Patrocinio a spese dello Stato e processo tributario: i presupposti sistematici e il rischio di orientamenti eccessivamente restrittivi

Di Andrea Bodrito -

Abstract

Il presente contributo analizza i presupposti per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato e evidenzia le criticità della decisione in esame.

Legal aid and tax process: the systematic conditions and the risk of excessively restrictive guidelines – The present paper aims to analyse the conditions for entitlement to free legal aid and highlights the critical issues of the decision in question.

 

Sommario: 1. La ratio del patrocinio gratuito. – 2. Patrocinio gratuito e principio di soccombenza. – 3. Patrocinio gratuito e ufficio del difensore. – 4. Il presupposto oggettivo per l’accesso all’assistenza tecnica gratuita. – 5. Il presupposto soggettivo reddituale. – 6. La dichiarazione del richiedente sul limite reddituale. – 7. La presunzione legale relativa di superamento del limite di reddito. – 8. La verifica dell’Agenzia delle Entrate sulla dichiarazione relativa al limite reddituale. – 9. Criticità della decisione in commento sul limite reddituale.

1. La decisione della Commissione Patrocinio per il primo grado di Alessandria del 19 febbraio 2024 offre l’occasione per esaminare i presupposti di accesso al patrocinio gratuito, e alla luce di queste si potranno evidenziare alcune sue criticità.

Muoviamo dalla ratio dell’istituto, di attuazione costituzionale. L’art. 24, comma 3, Cost., assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione. Esso specifica il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (art. 3, comma 2, Cost). È una misura che include i non abbienti nella possibilità di accesso e di effettiva tutela dei propri diritti, perché assicurare la giustizia è fondamento della convivenza. La misura non si limita a ribilanciare, nell’accesso alla giustizia, la mancanza di redditi a fronte dell’obbligo, legislativamente imposto, di ricorrere alla difesa tecnica, che è difesa a pagamento e dunque onere finanziario. Infatti il patrocinio è assicurato anche negli affari di volontaria giurisdizione in cui non v’è obbligo di difesa tecnica ma può esservi difesa tecnica (Cass. n. 15175/2019). Se l’ordinamento prevede la mera possibilità di difesa tecnica, si rivela l’utilità di quest’ultima non tanto per l’accesso all’attività giudiziale, ma per l’effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi.

La disciplina del patrocinio a spese dello Stato, attuando una prescrizione costituzionale, non è norma di eccezione, non è norma che disciplini un dono, una regalia, ma è norma di regolazione di un diritto costituzionalmente garantito a chi né è degno per il solo fatto di essere cittadino, straniero regolarmente soggiornante, apolide, ente o associazione che non persegue scopi di lucro e non eserciti attività economica (art. 119 D.P.R. n. 115/2002, cd. Testo Unico Spese di Giustizia, di seguito TUSG). Non si potrà richiamare il criterio restrittivo di interpretazione.

2. Si potrebbe pensare che la ripartizione delle spese processuali in base al principio di soccombenza (art. 15 D.Lgs. n. 546/1992) sia già uno strumento di bilanciamento dell’onere finanziario scaturente dalla difesa tecnica. Questo è vero ma sotto il profilo del ristoro delle conseguenze derivanti dalla responsabilità di aver causato, avendo torto, la necessità all’altra parte di sopportare la spesa per la difesa. Il patrocinio gratuito opera, come detto, su un altro piano, l’accesso alla difesa tecnica. Esso sopperisce alla mancanza di forza economica per sopportare l’onere finanziario della difesa tecnica. Tanto è vero che, se è condannato alle spese la parte che non gode della difesa gratuita, il pagamento delle spese sarà eseguito a favore dello Stato e non a favore della parte vittoriosa (art. 133 TUSG). Lo Stato, pagando la difesa, si surroga ex-lege nei diritti della parte verso il soccombente per le spese processuali.

3. Con la disciplina del TUSG, è stata superata la difesa gratuita come adempimento di un dovere onorifico appartenente alla deontologia professionale dell’avvocato (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282), perché lo Stato si assume l’onere economico della difesa, e il cittadino può scegliersi il difensore di fiducia. Però gli importi spettanti al difensore, pur fissati osservando la tariffa professionale nel limite dei valori medi (art. 82 TUSG), sono ridotti per legge alla metà (art. 130 TUSG), sicché si potrebbe avere, infine, un compenso inferiore ai minimi. Ma la rilevante e netta riduzione ex-lege del compenso neppure è giustificabile con una assegnazione d’ufficio del lavoro, perché la parte ammessa è libera di scegliersi il difensore. La riduzione alla metà del compenso conforme ai parametri approvati dal Ministero della Giustizia è dunque una chiamata del difensore a collaborare solidaristicamente con lo Stato come effetto della libera accettazione dell’incarico, che potrebbe essere altrettanto liberamente non accettato.

4. “Ragioni” e “motivi di ricorso”. I presupposti per l’accesso all’assistenza tecnica gratuita sono due: quello soggettivo reddituale, e quello oggettivo della non manifesta infondatezza delle ragioni per la difesa.

Il presupposto oggettivo di diritto è che le «ragioni per la difesa» del cittadino non abbiente «risultino non manifestamente infondate» (art. 74, comma 2, TUSG). Si tratta di un requisito tecnico-giuridico, che la decisione in commento equipara al “fumus di fondatezza” dei “motivi” di ricorso. La ratio del presupposto è quella di evitare alla collettività una spesa che risulti inutile per lo stesso istante.

Si è ora detto che la decisione in commento individua il presupposto delle “ragioni” del cittadino richiedente il patrocinio gratuito nei “motivi di ricorso”. In relazione al caso ciò risulta condivisibile, perché sembra che la Commissione abbia esaminato il ricorso, o almeno una bozza di ricorso.

Nondimeno si offre l’occasione per sottolineare la differenza tra le “ragioni per la difesa”, oggetto della valutazione nella lettera dell’art. 74 TUSG, e i “motivi di ricorso” a cui fa riferimento la decisione in commento. Le “ragioni per la difesa”, rispetto ai “motivi di ricorso”, hanno una maggiore indeterminatezza, una minore precisione. Esse sono integrate dalle «enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione» (art. 122 TUSG). Le “ragioni per la difesa” ammettono un’esposizione il cui grado di approfondimento e specificità è inferiore rispetto ai “motivi di ricorso”, e un grado di sinteticità ancora maggiore rispetto a quello dettato, per gli atti processuali, dall’art. 17-ter D.Lgs. n. 546/1992. D’altro canto se l’assistenza tecnica gratuita copre la fase di attività dello studio della controversia, che comprende l’esame dell’atto pretensivo da impugnare, poiché la domanda di ammissione al patrocinio può essere anteriore al detto studio, le ragioni della difesa non possono che avere una minore specificità e approfondimento rispetto ai motivi di ricorso.

Non manifesta infondatezza” e “fumus di fondamento”. Problematica nella decisione in commento è, invece, l’equiparazione tra il criterio di valutazione delle ragioni di difesa, legislativamente individuato con la doppia negazione “non manifestamente infondati” e il criterio affermativo, indicato nella decisione stessa, del “fumus di fondamento dei motivi”. I due criteri sono tra loro diversi.

Infatti la “manifesta infondatezza” è pari al grado di certezza, al grado di evidenza tale dell’infondatezza da rendere inutile un ulteriore approfondimento di ciò che risulta dalla lettura delle “ragioni” del richiedente il beneficio, sicché la “non manifesta infondatezza” è la mancanza di certezza, di evidenza dell’infondatezza. Corte cost. 220/2009 afferma che si debba verificare se «sin dall’origine, l’istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata». Sarà sufficiente il dubbio e quindi la necessità di compiere approfondimenti per acclarare l’infondatezza per potersi dire che la domanda è non manifestamente infondata. Gli approfondimenti saranno ovviamente compiuti dal giudicante a cui il richiedente l’assistenza tecnica gratuita si rivolge. Tanto è vero che art. 136, comma 2, TUSG, prevede, a conclusione del giudizio, la possibile revoca dell’ammissione al patrocinio «se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave».

Il “fumus di fondatezza”, invece, è un concetto indeterminato relativo alla cognizione del caso che, osserva la dottrina, nulla precisa quanto al grado o all’intensità di approfondimento che va raggiunto, tanto che gli estremi esterni al concetto si rinvengono, muovendo dal minimo al massimo, proprio nella nozione di “non manifesta infondatezza” da un lato, e di un “accertamento pieno” dall’altro (Montanari M., sub art. 47, in Consolo C. – Glendi C., Comm. breve proc. trib., Milano, V ed., 2023). Così la dottrina e la giurisprudenza tendono a escludere che, nel valutare il fumus, “il giudice possa accontentarsi di una mera valutazione di non manifesta infondatezza del ricorso” (Montanari M., cit.).

C’è anche un argomento storico a precludere l’equiparazione tra “non manifesta infondatezza” e “fumus di fondatezza”. Infatti nella previgente disciplina del patrocinio gratuito recata dal R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, l’art. 15 richiedeva, come presupposto oggettivo, «la probabilità dell’esito favorevole nella causa od affare», criterio a cui si avvicina quello del “fumus di fondatezza”. Ma detto previgente criterio è oggi sostituito da quello di “non manifesta infondatezza”.

Infine, il riferimento alla “non manifesta infondatezza”, piuttosto che al “fumus di fondatezza”, è giustificato dalla considerazione della funzione della valutazione in esame. La Commissione per l’assistenza tecnica gratuita, in sede di ammissione al beneficio, in tutti i casi di assistenza tecnica obbligatoria in sostanza valuta la possibilità del non abbiente di agire o difendersi, valutazione preliminare a cui non si sottopone l’abbiente e che non può assumere il carattere di pre-giudizio. La funzione della valutazione con il criterio del “fumus”, nel nostro processo, è ben diversa, e sarà svolta dal giudice del ricorso, nell’incidente cautelare ex art. 47 D.Lgs. n. 472/1997, come giudizio sommario prima del giudizio a cognizione piena, con carattere anticipatorio rispetto alla decisione del giudice del ricorso stesso. Allora nel nostro caso il criterio della “non manifesta infondatezza” avente ad oggetto le “ragioni per la difesa” ha finalità e ratio ben diversa dal criterio del “fumus” previsto per il procedimento cautelare, che è una “delibazione del merito” risultante dai “motivi di ricorso”, una valutazione sommaria anticipata rispetto all’approfondimento proprio del merito stesso nella fase istruttoria del processo con il pieno contraddittorio tra le parti. Se il “fumus” si attesta tra la possibilità e la probabilità di fondatezza dei motivi di ricorso, la non manifesta infondatezza è la “possibilità anche remota” di fondatezza, la non temerarietà delle ragioni, e questo metro di valutazione, esterno all’intervallo in cui si estende il criterio del “fumus”, è appropriato in relazione alla funzione del patrocinio a spese dello Stato, che è solo quello, come detto, di consentire l’accesso all’effettiva difesa delle ragioni del cittadino non abbiente, e non quello di anticipare una anche parziale vittoria, possibile o probabile che appaia.

Il criterio della “non manifesta infondatezza” integra (artt. 1 L. cost. n. 1/1948 e 23 L. n. 87/1953) il presupposto perché il giudice possa sollevare, con ordinanza, questione di legittimità costituzionale davanti al Giudice delle leggi, che sussiste, appunto, quando «è assente il benché minimo dubbio circa la costituzionalità della disciplina legislativa relativa al caso trattato» (Chessa O., Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice?, Paper del Forum di Quaderni costituzionali, in forumcostituzionale.it). Ma qui terminano le analogie, perché il giudizio di costituzionalità riguarda le norme, piuttosto che le disposizioni, per cui il giudice a quo deve anche valutare l’impossibilità dell’interpretazione adeguatrice (Chessa O., cit.)

Tornando all’accesso al patrocinio gratuito, tutto ciò conduce a osservare che il vaglio delle ragioni della difesa con il metro della non manifesta infondatezza acquista una diversa specificità, ma non una diversa graduazione di approfondimento, con l’avanzare dei gradi del processo. Infatti le ragioni prospettate alla Commissione andranno specificate, per l’appello, sulla sentenza di primo grado, la quale potrebbe aver esaurientemente evidenziato la manifesta infondatezza di alcuni motivi di ricorso, per la rinnovata prospettazione dei quali sarebbe inutile consentire l’accesso al beneficio della difesa gratuita.

5. Il presupposto reddituale è dettato dall’art. 76 TUSG, per il quale «può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore» alla cifra stabilita ogni due anni con decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, e che oggi è di 12.838,01 euro (D.M. Giustizia 10 maggio 2023). Nella determinazione di detto limite, si tiene conto anche dei redditi esenti IRPEF, di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva (art. 76, comma 4, TUSG). A questo riguardo si rammenta, peraltro, che i redditi da locazione soggetti alla cedolare secca sono esposti nella dichiarazione dei redditi.

Se il richiedente convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso il richiedente. Si fa eccezione a questa regola del cumulo solo quando sono oggetto della causa diritti della personalità, oppure nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quello degli altri componenti il nucleo familiare con lui convivente (art. 76, comma 4, TUSG). Si tratta di eccezioni che risultano irrilevanti nel processo tributario.

6. Un problema è certamente costituito dall’accertamento del limite reddituale. La legge (art. 79, comma 1, lett. c), TUSG) fa perno sulla dichiarazione sostitutiva di certificazione resa dallo stesso richiedente, che deve attestate la sussistenza delle condizioni di reddito richieste dall’art. 76 TUSG. Se la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato presso il giudice tributario competente (che, per il nostro processo in cui i difensori non sono solo avvocati, è l’organo preposto a decidere sull’ammissione al beneficio) lo “richiede” (art. 79, comma 3, TUSG), l’interessato è tenuto, a pena di inammissibilità della domanda, a produrre la documentazione necessaria a accertare la veridicità di quanto in essa indicato. Nella pratica tutte le Commissioni richiedono detta documentazione, che sarà costituita dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata, se l’istante era obbligato a presentarla e dall’attestazione ISEE. Nel caso, occorrerà la certificazione relativa ai redditi esenti o soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o a imposizione sostitutiva. Se il richiedente non ha presentato dichiarazione per mancanza di redditi o per il possesso di redditi inferiori al limite che integra l’obbligo a presentarla, nella prassi viene presentata la sola attestazione ISEE.

7. Anche la possibile infedeltà della dichiarazione dei redditi o della dichiarazione formulata nella certificazione sostitutiva trova considerazione nel TUSG. L’art. 76, comma 4-bis, TUSG prevede che se il richiedente è già condannato con sentenza definiva per i reati commessi in materia di evasione delle imposte sui redditi e sull’IVA, si presume superato il limite dei redditi. Nata come una illegittima presunzione assoluta, Corte cost. n. 139/2010 l’ha elevata, rispetto al diritto di difesa, a presunzione relativa ammettendo la prova contraria.

8. Inoltre, come disposizione particolare applicabile nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario (con esclusione, quindi del processo penale), l’art. 127 TUSG prevede che l’atto con il quale è accolta l’istanza di ammissione al beneficio, con i documenti correlati, sia trasmesso all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente. Il disposto utilizza l’indicativo presente: copia dell’atto di ammissione “è trasmessa”, la trasmissione avviene d’ufficio e in tutti i casi. L’Agenzia verifica l’esattezza dell’ammontare del reddito attestato dall’interessato effettuando opportune verifiche presso l’Anagrafe tributaria ma anche, occorrendo, mediante la verifica fiscale del richiedente e dei conviventi. Anche il reddito accertato ma non dichiarato è infatti rilevante (Cass. n. 23823/2023), salva la contestazione dei risultati delle verifiche. All’esito dei controlli, l’Ufficio richiede la revoca dell’ammissione al beneficio e trasmette gli atti alla Procura della Repubblica per i reati previsti dall’art. 125 TUSG.

Il sistema dei controlli affida, dunque, alla Commissione un compito di controllo formale, mentre all’Agenzia delle Entrate il compito di controllo sostanziale.

Il controllo formale vuole la verifica della corrispondenza tra ciò che emerge dalla dichiarazione del richiedente e dai documenti allegati in ordine al limite reddituale di legge. Per esempio, nonostante l’assenza di redditi da dichiarare, vi può essere la disponibilità di patrimonio mobiliare. L’attestazione ISEE indica pure il “Reddito figurativo del patrimonio mobiliare del nucleo”, ed esso si potrebbe ritenere un indice reddituale rilevanti ai fini del rispetto della soglia di legge per l’ammissione al beneficio. La forza presuntiva andrà vagliata considerando che si tratta di un reddito “figurativo” e quindi si tratta di un tasso di rendimento medio. Nel caso sarà onere del richiedente dimostrare che il reddito effettivo ritratto dal detto patrimonio mobiliare è nei fatti inferiore a quello stimato per l’indicatore ISEE che risulti idoneo al superamento della soglia per l’ammissione al beneficio.

9. Dalle considerazioni svolte, la decisione in commento non convince. Infatti il richiedente aveva affermato di essere privo di reddito rilevante ai sensi dell’art. 76 TUSG, dichiarazione idonea ad ammetterlo al beneficio previsto proprio per i non abbienti. La Commissione invece ritiene la dichiarazione resa sia confliggente con le “minime esigenze di sopravvivenza”. In pratica la Commissione deduce dalle dette “minime esigenze di sopravvivenza” un reddito IRPEF o soggetto a imposizione sostitutiva superiore al minimo di legge. Senonché le esigenze di sopravvivenza non hanno detta puntuale forza probante. Lo stesso legislatore, attribuendo rilevanza alla nozione di reddito propria dell’IRPEF e stabilendo per il beneficio la fascia tra zero e 12.000 euro, ammette che si possa sopravvivere senza tali redditi ed essere ammessi al beneficio. Del resto è noto che la nozione di reddito IRPEF o soggetto a imposizione sostitutiva non coincide con la nozione di reddito entrata, per cui c’è uno spazio in cui può debitamente collocarsi la sopravvivenza. La decisione in commento, infine, riferendosi all’ “assenza di altri indici non indicati” ritiene che sia posto a carico del richiedente l’onere della prova dei mezzi di sopravvivenza in presenza di dichiarazione di assenza dei redditi rilevanti per essere esclusi dal beneficio, e non avendo il richiedente assolto all’onere la Commissione ha deciso in base alla regola di giudizio fondata sul mancato assolvimento dell’onere della prova medesimo. Tuttavia, come sopra esposto, la legge non chiede che il non abbiente debba provare come sopravvive senza redditi, sempre che i documenti forniti a prova della dichiarazione, per esempio, l’attestazione ISEE, siano coerenti con la stessa. Sarà poi l’Agenzia delle Entrate a compiere le verifiche opportune con riguardo alla correttezza della dichiarazione, con ogni conseguenza pregiudizievole, anche di natura penale, a carico del richiedente.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Montanari M., sub art. 47, in Consolo C. – Glendi C., Comm. breve proc. trib., Milano, V ed., 2023

Chessa O., Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice?, Paper del Forum di Quaderni costituzionali, in forumcostituzionale.it

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