Anche la tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea incontra dei limiti: l’art. 273 della Direttiva IVA non legittima gli Stati a estendere la soggettività IVA a chi non è soggetto passivo di tale tributo
Di Cesare Borgia
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Abstract
Nella sentenza in commento, priva di precedenti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si spinge ad affermare che la legittima aspettativa che la Direttiva IVA si applichi soltanto con riguardo ai soggetti passivi del tributo può recedere dinanzi alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, obiettivo da assicurare mediante l’esatta riscossione dell’IVA. Una presa di posizione che travalica i limiti posti dalle norme di diritto positivo, addirittura provocando, nel caso di specie, l’effetto di sovvertire il tradizionale meccanismo di funzionamento dell’IVA. Nel presente lavoro, allora, con particolare riguardo alla soluzione interpretativa adottata nella sentenza, si tenterà di metterne in luce le criticità.
The protection of the financial interests of the European Union also encounters limits: Article 273 of the VAT Directive does not legitimize member states to extend the VAT subjectivity to those who are not taxable to that tax – In the unprecedented judgment under review, the Court of Justice of the European Union goes so far as to affirm that the legitimate expectation that the VAT directive applies only with respect to those liable to pay the tax may recede before the protection of the financial interests of the European Union, an objective to be ensured through the exact collection of VAT. A stance that oversteps the limits set by the norms of positive law, even provoking, in the present case, the effect of subverting the traditional mechanism of operation of VAT. In the present work, then, with particular regard to the interpretative solution adopted in the judgment, an attempt will be made to highlight its critical issues.
Sommario: 1. Una premessa che muove dai fatti di causa. – 2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. – 3. Le criticità del decisum. – 4. Riflessioni conclusive.
1. Il caso esaminato dalla CGUE origina da un ricorso presentato da una persona fisica avverso un avviso di accertamento con il quale la stessa veniva chiamata ad effettuare, quale responsabile in solido, il versamento dell’IVA (e dei relativi interessi di mora dovuti) in seguito all’infruttuoso tentativo di riscuoterla in capo all’obbligato principale, ossia la società di cui era amministratore.
Più nello specifico, avendo l’amministratore posto in essere con malafede alcuni comportamenti che avevano, seppur indirettamente, distratto le disponibilità finanziarie della società, privandola delle risorse necessarie per adempiere al corretto versamento del tributo, ricorrevano tutte le circostanze richieste dal diritto bulgaro per chiamarlo a rispondere (per approfondimenti, si v. Fazio A., Contrasto alle frodi iva ed eterogenesi dei fini: note critiche a margine di una “sorprendente” sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, in Dir. prat. trib. int., 2023, 2, in part. 671).
Per quanto qui interessa, la contestazione principale mossa dall’amministratore alla pretesa impositiva avanzata dal Fisco bulgaro attiene alla presunta incompatibilità di siffatto meccanismo di responsabilità solidale con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la Direttiva IVA.
Lo stesso giudice del rinvio, interrogandosi sulla compatibilità con il diritto europeo di questa modalità di creare all’occorrenza un soggetto passivo del tributo, diverso dall’obbligato principale, sottopone alla CGUE la seguente primaria questione pregiudiziale: se l’art. 9 della Convenzione TIF, in combinato disposto con l’art. 273 della Direttiva 2006/112/CE (anche nota come Direttiva IVA), «debba essere interpretato nel senso che non osta, nel settore armonizzato dell’imposta sul valore aggiunto, a una norma giuridica nazionale come quella prevista all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK [codice bulgaro di procedura del contenzioso tributario e previdenziale, ndr] la cui applicazione comporta la responsabilità solidale ex post di una persona fisica che non è soggetto passivo, e non è debitrice dell’IVA, ma la cui condotta infedele ha determinato il mancato assolvimento di detta imposta da parte della persona giuridica soggetto passivo che ne è debitrice”.
Come si vedrà nel prosieguo, la CGUE, con sentenza del 13 ottobre 2022, causa C-1/21, MC ha risolto in maniera del tutto non condivisibile la questione.
Quello che preme sin da subito evidenziare è che non si tratta di una pronuncia riconducibile al recente indirizzo giurisprudenziale europeo volto a contrastare le c.d. “frodi carosello” in assenza, nella Direttiva IVA, di norme specifiche idonee a sanzionare tutti i soggetti partecipanti a tali frodi (su questo filone di recenti pronunce, si v. De Ieso C., L’evoluzione della giurisprudenza UE sui rimedi sanzionatori contro le frodi IVA, in Corr. trib., 2023, 1, in part. 74 ss. Più in generale, sui numerosi interventi – nazionali e sovranazionali – finalizzati a contrastare la piaga delle frodi perpetrate a danno di tale tributo, si vedano Giovanardi A., Le frodi IVA. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, in part. 10 ss.; Zizzo G., Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello, in Corr. trib., 2010, 12, 962 ss.; Toma G.D., La frode carosello nell’IVA (parte seconda) – Risvolti tributari, in Dir. prat. trib., 2010, 6, 1381 ss.; Tesauro F., Appunti sulle frodi carosello, in Giur. it., 2011, 5, 1213-1214; Purpura A., Potenziali benefici, rischi e limiti del “Transaction Network Analysis” quale strumento di prevenzione e contrasto alle frodi IVA infra-UE, in Riv. tel. dir. trib. 2019, 2, XV, 596 ss.; De Flora M.G., La rilevanza dell’elemento soggettivo nelle frodi iva, in Dir. prat. trib. int., 2020, 3, 1168 ss.; Scrimieri F., Onere della prova “complesso” nelle frodi IVA di natura soggettiva, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 317 ss.).
Si tratta, piuttosto, di una sentenza priva di precedenti, nella quale la CGUE si spinge ad affermare che la legittima aspettativa che la suddetta Direttiva si applichi soltanto con riguardo ai soggetti passivi del tributo può recedere dinanzi alla tutela (“ad ogni costo”, verrebbe da dire) degli interessi finanziari dell’Unione Europea, obiettivo da assicurare mediante l’esatta riscossione dell’IVA.
Una presa di posizione che, come è stato giustamente notato, travalica i limiti posti dalle norme di diritto positivo, addirittura provocando, nel caso di specie, l’effetto di sovvertire il tradizionale meccanismo di funzionamento dell’IVA (cfr. Fazio A., op. cit., in part. 669. Per approfondire, sul sistema comune dell’IVA, si veda ampiamente Comelli A., IVA comunitaria e IVA nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000).
Nel presente lavoro, allora, con particolare riguardo alla soluzione interpretativa adottata dalla CGUE, si tenterà di metterne in luce le criticità.
2. La Corte di Giustizia UE ha, dapprima, ricordato che, in virtù dell’art. 273 della Direttiva IVA, agli Stati membri è riconosciuto il potere discrezionale di adottare tutti i mezzi ritenuti idonei a contrastare efficacemente l’evasione e assicurare l’integrale riscossione dell’IVA, affermando, poi, che tale potere incontra l’unico limite rappresentato dal rispetto del principio di proporzionalità.
Dunque, la stessa CGUE si rende conto che i meccanismi nazionali che prevedono una responsabilità solidale “su base oggettiva” per il versamento dell’IVA contrastano con il portato di garanzie di cui al principio di proporzionalità, dal momento che eccedono quanto è necessario al fine di assicurare l’esatta riscossione del tributo.
A detta della Corte, tuttavia, si tratta di una incompatibilità che può essere superata laddove la normativa nazionale preveda la facoltà per l’obbligato in solido di fornire la prova di essere del tutto estraneo alla condotta omissiva dell’obbligato principale.
Ad esempio, il soggetto dovrebbe riuscire a dimostrare di avere agito in buona fede.
Diversamente, l’eventuale compimento – come nel caso di specie – di atti in malafede idonei a determinare un concorso con l’obbligato principale nell’evasione dell’IVA dovuta, giustificherebbe la possibilità di obbligare un soggetto diverso dall’obbligato principale a versare il tributo, senza peraltro determinare una violazione del principio di proporzionalità.
La CGUE giunge così a ritenere il meccanismo di responsabilità solidale previsto dal diritto bulgaro compatibile con il principio europeo di proporzionalità: tale meccanismo, posto che prevede la responsabilità solidale dell’amministratore della società per il versamento dell’IVA da quest’ultima dovuta al solo ricorrere di determinate circostanze, su tutte l’acclarata malafede dei comportamenti posti in essere dal soggetto in questione, sarebbe perfettamente in linea con il disposto di cui all’art. 273 della Direttiva, trattandosi di un adeguato e legittimo strumento per contrastare le evasioni del tributo.
3. Tale soluzione interpretativa si reggerebbe sul richiamo della giurisprudenza precedente contenuto nella sentenza in commento. Ma l’equivoco è proprio qui.
La decisione della Corte si basa su argomentazioni adottate in casi totalmente inconferenti rispetto al caso di specie, perché strettamente riferibili ad ipotesi in cui risultava acclarata la consapevolezza del cessionario – oltretutto soggetto passivo ai fini IVA alla pari del cedente – a partecipare ad una catena fraudolenta col fine di evadere il tributo (come sottolinea Fazio A., op. cit., 676 il principale riferimento della Corte è la sentenza della CGUE, 20 maggio 2021, causa C-4/20, Alti, erroneamente richiamata a supporto diverse volte all’interno della decisione).
La soluzione adottata nel caso Alti prendeva infatti le mosse dal presupposto che i soggetti chiamati a rispondere in solido del versamento dell’IVA dovuta fossero due soggetti passivi e non, come nel caso di specie, un soggetto passivo obbligato principale (la società debitrice dell’IVA) e un “non” soggetto passivo (l’amministratore della società).
Ne deriva, in totale spregio della Direttiva, l’attribuzione per via pretoria della soggettività passiva ai fini IVA ad un soggetto – l’amministratore – che non ha nulla a che vedere con le operazioni poste in essere dall’unico soggetto passivo – la società – rilevanti ai fini del tributo.
Sembra opportuno ricordare che, ai fini dell’applicazione del tributo, la Direttiva IVA prevede che una condizione necessaria debba rinvenirsi proprio nella sussistenza del requisito “soggettivo”: un’operazione deve essere assoggettata ad IVA solo laddove venga posta in essere da chiunque eserciti, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (cfr. gli artt. 2 e 9 della Direttiva 2006/112/CE).
Nelle stesse lucide conclusioni del 2 giugno 2022 rassegnate dall’Avv. Generale Kokott, incredibilmente disattese dalla Corte nella sentenza che si annota, si avvertiva che interpretando “a livello sistematico” l’art. 273 della suddetta Direttiva sarebbe stato possibile evincersi l’inapplicabilità del disposto normativo al caso di specie.
Sebbene il contenuto della norma possa apparire “inafferrabile” – limitandosi a prevedere genericamente che gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA – già il dato letterale della disposizione può risultare chiarificatore; nel senso che la possibile estensione degli obblighi si riferisce sempre e solo ai soggetti passivi ai sensi della Direttiva IVA, di modo che non sarebbe consentito agli Stati membri di imporre obblighi a qualsiasi persona che abbia un legame indiretto con il debito dell’IVA di un terzo.
Del resto, come è stato lucidamente notato in dottrina, è la stessa norma che parla di “altri obblighi” o “ulteriori obblighi” (a seconda della versione linguistica della Direttiva presa in esame), con ciò individuandosi degli obblighi “aggiuntivi” ad altri preesistenti che attengono all’applicazione della Direttiva (Fazio A., op. cit., 679).
Nel ragionamento dell’Avvocato Generale, tale conclusione è peraltro in linea con la finalità che orienta la menzionata Direttiva, la quale disciplina la normativa sostanziale in materia di IVA – cioè, in sintesi, il sorgere del debito d’imposta a carico di un soggetto passivo – escludendo fermamente la possibilità per gli Stati membri di stabilire determinati obblighi a carico delle persone alle quali non si applica la Direttiva IVA. Dunque, non è possibile oltrepassare il limite giuridico rappresentato dalla esclusiva applicabilità della Direttiva IVA ai soggetti passivi del tributo avendo come unico scopo quello di assicurare ad ogni costo il gettito ed evitare l’evasione.
Invero, come è stato segnalato dalla dottrina poc’anzi citata, già esiste nella Direttiva qualche deroga puntualmente individuata (si pensi a quelle previste per le persone giuridiche non soggetti passivi in quanto esse, ad esempio, realizzano anche acquisti intracomunitari oppure possono diventare debitrici del tributo), tuttavia ricondurre nella cerchia dei soggetti che potrebbero essere destinatari di “ulteriori obblighi” anche coloro che abbiano un qualsiasi legame indiretto con il debito d’imposta di un terzo porterebbe ad una illegittima espansione dell’ambito di applicazione della Direttiva.
Come afferma in maniera molto netta Kokott nelle sue conclusioni: «qualsiasi collegamento indiretto con la normativa in materia di IVA non è sufficiente a giustificare l’applicabilità del diritto dell’Unione» (trattasi, peraltro, di una presa di posizione in linea con quanto già espresso dall’Avv. Generale nelle sue conclusioni rese nelle cause riunite IN e JM (C-469/18 e C-470/18, par. 65).
L’Avvocato Generale, ritenendo che il caso di specie non costituisce oggetto della Direttiva IVA e non ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, giunge quindi a sostenere che “la Corte non è competente a pronunciarsi sulle questioni sollevate nel presente procedimento”.
4. La CGUE ha superato le condivisibili argomentazioni giuridiche dell’Avv. Generale sostenendo che, dal momento che incombe sugli Stati membri l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative volte a garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nei loro rispettivi territori e a combattere contro le frodi, il meccanismo di responsabilità solidale bulgaro rientra perfettamente nell’ambito di applicazione dell’art. 273 della Direttiva IVA, costituendo uno strumento adeguato ad assicurare l’esatta riscossione del tributo. Di qui la compatibilità del predetto meccanismo con il diritto europeo.
Così facendo la Corte UE, basando tutto il proprio ragionamento sulla necessità di legittimare qualsiasi misura nazionale che sia diretta alla riscossione integrale dell’IVA e al contrasto all’evasione, ha finito per avallare una ingiustificata dilatazione dell’ambito applicativo della Direttiva IVA, con particolare riguardo all’art. 273, anche a persone che non sono soggetti passivi IVA.
Nessuno dubita della gravità che ha ormai assunto il fenomeno delle frodi IVA nel contesto europeo e, quindi, è comprensibile e apprezzabile l’affannosa ricerca da parte della CGUE dei migliori strumenti di contrasto a tale piaga.
Il tema degli strumenti a disposizione degli Stati membri al fine di contrastare le pratiche di evasione o di elusione fiscale internazionale è di estrema attualità; ciò perché, come è stato ben messo in luce in dottrina, tali pratiche non determinano soltanto perdite di bilancio per i singoli Stati membri, ma provocano una lesione profonda del fondamentale principio di giustizia fiscale, incidono sulla movimentazione dei capitali, distorcendone il flusso naturale, «e – profilo ancora più preoccupante – sulle condizioni di concorrenza interne al mercato unico europeo, pregiudicando sia il corretto funzionamento sia l’equilibrio di questo» (Purpura A., op. cit., 1).
Tuttavia, ciò non toglie il fatto che pronunce come quella che si annota non dovrebbero spingersi oltre, fino a creare surrettiziamente nuovi presupposti di applicabilità dell’IVA.
Non si dovrebbe mai superare il limite giuridico rappresentato dalle norme di riferimento e dai principi che governano il funzionamento di una determinata imposta.
La criticità emerge quando si inizia ad avallare meccanismi – come quello, nel caso di specie, di responsabilità solidale nel versamento dell’IVA – che producano l’effetto di rendere soggetti passivi del tributo persone che non lo sono affatto, «con il solo scopo di incassare a “qualsiasi costo” l’IVA non versata dal soggetto passivo designato per legge» (Fazio A., op. cit., 684).
Si rischia di travolgere i diritti fondamentali delle persone, le quali, in uno Stato di diritto, devono sempre e comunque potersi affidare al canone imprescindibile della certezza del diritto.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Comelli A., IVA comunitaria e IVA nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000
De Flora M.G., La rilevanza dell’elemento soggettivo nelle frodi IVA, in Dir. prat. trib. int., 2020, 3, 1168 ss.
De Ieso C., L’evoluzione della giurisprudenza UE sui rimedi sanzionatori contro le frodi IVA, in Corr. trib., 2023, 1, in part. 74 ss.
Fazio A., Contrasto alle frodi iva ed eterogenesi dei fini: note critiche a margine di una “sorprendente” sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, in Dir. prat. trib. int., 2023, 2, 669 ss.
Giovanardi A., Le frodi IVA. Profili ricostruttivi, Torino, 2013
Purpura A., Potenziali benefici, rischi e limiti del “Transaction Network Analysis” quale strumento di prevenzione e contrasto alle frodi IVA infra-UE, in Riv. tel. dir. trib., 2, XV, 596 ss.
Scrimieri F., Onere della prova “complesso” nelle frodi IVA di natura soggettiva, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 317 ss.
Tesauro F., Appunti sulle frodi carosello, in Giur. it., 2011, 5, 1213-1214
Toma G.D., La frode carosello nell’IVA (parte seconda) – Risvolti tributari, in Dir. prat. trib., 2010, 6, 1381 ss.
Zizzo G., Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello, in Corr. trib., 2010, 12, 962 ss.
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