Riflessioni sulla disciplina dei crediti d’imposta non spettanti ed inesistenti nello schema di decreto sulle sanzioni

Di Giovanni Girelli -

Abstract

La nuova disciplina sui crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, pur apprezzabile in alcuni tratti, necessita di essere ampiamente rivista prima di entrare in vigore. Il testo normativo non riesce, difatti, a fugare i dubbi interpretativi che hanno stimolato il legislatore ad intervenire sulla materia. In particolare non solo non è stata delineata efficacemente la distinzione tra credito inesistente e non spettante ma anzi la novella appare addirittura meno chiara e convincente delle disposizioni oggi vigenti.

Thoughts on the regulation of tax credits that are not due and do not exist in the draft decree on sanctions – The new regulation on non-existent and non-due tax credits, although appreciable in some aspects, needs to be extensively revised before coming into force. The regulatory text is unable, in fact, to dispel the interpretative doubts that stimulated the legislator to take care of the matter. In particular, not only the distinction between non-existent and non-due credit has been effectively delineated, but rather the new rules appear even less clear and convincing than the provisions currently in force.

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’indebita compensazione ante riforma fiscale. – 3. Crediti inesistenti e non spettanti nel “decreto sanzioni”. – 4. Riflessioni di sintesi.

1. La questione dell’indebita compensazione e, più specificamente, la distinzione tra il concetto di inesistenza e non spettanza di crediti d’imposta, è stata ed è tuttora oggetto di ripetuto e acceso dibattito.

La L. 9 agosto 2023, n. 111 (c.d. legge delega per la riforma fiscale), in virtù della riscontrata presenza di profili d’incertezza interpretativa, connessi proprio alla difficile delimitazione giuridica tra crediti “non spettanti” e “inesistenti”, ha previsto – con l’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5 – che il Governo, nell’ambito della delega per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, introducesse, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione definitoria e sanzionatoria, tra le fattispecie di indebita compensazione di crediti d’imposta non spettanti e inesistenti.

La questione si è posta poiché la differenza tra crediti inesistenti e non spettanti rileva non solo ai fini sanzionatori (tributari e penali), ma anche per la procedura di accertamento degli stessi e in particolare per individuare i tempi di accertamento concessi all’Amministrazione finanziaria.

La riforma fiscale in atto ha, dunque, offerto l’occasione per rivedere o, comunque, riordinare le sparse disposizioni emanate in materia.

Il legislatore delegato, infatti, nell’ambito dell’ampia riforma fiscale e prima di (provare a) introdurre una più puntuale distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti, ha rimodulato la disciplina del recupero del credito d’imposta mediante sia la generalizzazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale1, sia la formale estensione delle regole sull’accertamento con adesione all’atto di recupero2, sia – e soprattutto – con l’introduzione dell’art. 38-bis all’interno del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e disciplinante, appunto, il “nuovo” atto di recupero dei crediti d’imposta3.

Alla distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti, il legislatore delegato, invece, ha inteso provvedere con il decreto legislativo sulla revisione del sistema sanzionatorio di prossima emanazione – approvato in esame preliminare nella riunione del Consiglio dei Ministri del 21 febbraio 2024 – che, in questa sede, si intende esaminare al fine di verificare se l’obiettivo della delega sia stato o meno raggiunto.

2. Prima di esaminare la introducenda novella, tuttavia, appare doveroso ripercorrere, seppur brevemente, le origini del dissidio esegetico riguardante la distinzione da operare tra crediti non spettanti e crediti inesistenti e che ha avuto rilievo, come sopra anticipato, ai fini di individuare sia i tempi di accertamento concessi all’Amministrazione finanziaria, sia l’entità del carico sanzionatorio amministrativo e penale.

Principiando dal tema dei tempi di accertamento, la confusione interpretativa era nata dai precetti del legislatore in materia di atti di recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione. Questi ultimi, anche prima della attuale riforma fiscale, venivano considerati atti amministrativi che si aggiungevano ai tradizionali avvisi di accertamento e che venivano impiegati per contestare specificamente l’illegittima compensazione del credito. Sebbene, difatti, l’art. 1, comma 421, L. 30 dicembre 2004, n. 3114, nel disciplinare l’emissione dell’atto di recupero del credito, non distinguesse tra l’ipotesi del credito non spettante e quella del credito inesistente, e facesse semplicemente riferimento ai crediti indebitamente utilizzati5, poi l’art. 27, comma 16, D.L. 29 novembre 2008, n. 1856, invece, indicava il termine decadenziale di otto anni per la notifica dell’atto di recupero citando i soli crediti inesistenti. Quindi si era sviluppato un acceso dibattito giurisprudenziale circa la tempistica offerta dal legislatore all’Amministrazione finanziaria quando essa contestava un credito la cui esistenza non fosse controversa ma fosse in discussione solo il mancato rispetto delle regole per opporlo in compensazione7.

Sul punto, quindi, sono recentemente intervenute le Sezioni Unite affermando che in tema di compensazione di crediti da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’Erario si applicasse il più lungo termine di otto anni, di cui al citato art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, solo quando il credito utilizzato fosse inesistente8. Tale condizione si realizza, alla luce anche del testo dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (tuttora vigente finché entrerà in vigore il nuovo decreto legislativo sulle sanzioni) allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, sia il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero sia carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, sia già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ove, difatti, sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo automatizzato o formale, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e, pertanto si sarebbero applicati, secondo tale orientamento, i termini ordinari per l’attività di accertamento.

Passando all’apparato sanzionatorio ancora per poco tempo vigente, il legislatore, circa l’indebito utilizzo dei crediti in compensazione, ha inteso espressamente distinguere tra la violazione concernente il credito non spettante e quello inesistente. Difatti, le due fattispecie sono disciplinate con sanzioni di differente entità sia in sede amministrativa, sia in sede penale. È, invero, per quanto riguarda le sanzioni amministrative, ben puntualizzata la distinzione delle due fattispecie relative ai crediti non spettanti ovvero inesistenti: l’art. 13, commi 4 e 5, D.Lgs. n. 471/1997 circoscrive l’ambito definitorio di essi. Il comma 4 citato disciplina la sanzione per l’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti effettuato in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste. Qui la sanzione amministrativa, in linea con l’ipotesi dell’omesso o ritardato versamento, è il 30% dell’ammontare del credito malamente utilizzato. Dalla lettura del vigente dettato normativo si evince che l’ipotesi sanzionatoria sia costruita per la fattispecie ove il contribuente, a mezzo dell’eccedenza o del credito utilizzati in compensazione, estingua un debito in misura superiore a quella concessa dalle previsioni in materia (ma servendosi di importi di cui è legittimamente titolare). Dunque, il legislatore ascrive alla sanzione del 30% le violazioni procedurali pertinenti l’estinzione del debito la cui soddisfazione, però, non sarebbe – nella sostanza – stata compromessa. La fattispecie è assimilabile in concreto ai casi in cui il privato versa l’imposta in ritardo o, sebbene tempestivamente, secondo modalità diverse da quelle indicate dalle disposizioni in materia.

Passando al successivo comma 5 citato, dedicato all’utilizzo dei crediti inesistenti e alla relativa sanzione prevista tra il 100% e il 200% del credito illegittimamente utilizzato, qui è considerato inesistente quel credito per cui manca in tutto o in parte il presupposto costitutivo ad eccezione dei casi in cui l’inesistenza sia riscontrabile dall’Agenzia delle Entrate a mezzo dei controlli previsti dagli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 ovvero dall’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972. Il legislatore qui intende, pertanto, disincentivare e reprimere con maggiore forza quei comportamenti illeciti del contribuente in materia compensativa che vadano ad impegnare l’Amministrazione finanziaria in procedure di accertamento ben più complesse, ed anche ben meno frequenti, di quelle di carattere formale.

La nozione dettata per il credito inesistente agisce, per quanto concerne la disciplina ancora per poco tempo in vigore, dunque, su due livelli. Infatti, l’interprete per avvedersi se il credito è da considerarsi inesistente deve compiere un’indagine circa il perimetro della effettiva sussistenza di esso in termini di presupposti giuridici e fattuali, ma tale indagine diventa del tutto superflua se l’inesistenza possa essere individuata e censurata grazie alle procedure semplificate di controllo amministrativo: in tale ipotesi il credito, per espressa dizione normativa, va qualificato quale “non spettante”.

Fuori dai casi intercettati grazie alle procedure semplificate di controllo, il credito è considerato inesistente se esso è deficiente rispetto ad elementi giustificativi fenomenicamente e giuridicamente apprezzabili, e quindi soffre di una rappresentazione in dichiarazione da parte del privato non conforme alla norma di riferimento. Detta rappresentazione, però, non va necessariamente collegata a criteri di fraudolenta falsità ed artificiosità. Dal testo normativo che sarà superato dalla riforma sulle sanzioni non risulta, infatti, essere dirimente ai fini distintivi l’elemento della voluta artificiosità o falsità del credito per ascriverlo alla categoria dei crediti inesistenti: l’inesistenza va correlata alla mera assenza – sia dolosa, sia colposa – dei presupposti costitutivi di esso e proprio tale ultima ipotesi ha, invero, generato confusione.

In ogni modo, anche del profilo sanzionatorio amministrativo si sono occupate le Sezioni Unite9, affermando che in tema di indebita compensazione di crediti d’imposta si applichi la sanzione prevista dall’art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. n. 471/1997 quando il credito utilizzato sia inesistente così come sopra esplicitato10.

Per quanto riguarda, infine, il profilo sanzionatorio penale, viene in rilievo l’art. 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale disciplina il reato di indebita compensazione prevedendo differenziate pene detentive per chi non versa le imposte dovute utilizzando in compensazione crediti non spettanti ovvero crediti inesistenti per un ammontare superiore a 50.000 euro ad anno.

Dal punto di vista definitorio, ad eccezione della netta distinzione lessicale tra credito non spettante ed inesistente, il D.Lgs. n. 74/2000, sino all’entrata in vigore del decreto sulla revisione del sistema sanzionatorio di prossima emanazione, non fornisce all’interprete alcun chiarimento circa la differenziazione tra le due fattispecie. Appare, invero, singolare che mentre il legislatore in sede sanzionatoria amministrativa si sia sforzato di indicare gli elementi costitutivi della fattispecie sanzionata, il legislatore penale-tributario abbia omesso qualsivoglia specificazione in merito.

Comunque, ricalcando quanto previsto per le sanzioni amministrative, anche in sede penale si era consolidata la convinzione che il credito inesistente rappresentasse una situazione in cui era del tutto o in parte assente il presupposto costitutivo; diversamente, il credito non spettante era quello che, invece, aveva come presupposto una rappresentazione creditoria corretta in quanto corrispondente alla realtà fenomenica e giuridica, ma che, tuttavia, era utilizzata in modo non aderente rispetto a quanto previsto dalla legge11.

3. Lo schema di decreto legislativo sulla revisione del sistema sanzionatorio riscrive la nozione di credito inesistente e di credito non spettante – con una formulazione identica sia ai fini penali12 che amministrativi13 – ed interviene a ridefinire l’ammontare delle sanzioni amministrative applicabili all’indebita compensazione14.

Più in dettaglio, il legislatore delegato definisce in maniera articolata il credito d’imposta non spettante, mentre il credito d’imposta inesistente continua ad essere identificato dalla mancanza, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo ma con la novità dell’eliminazione di ogni riferimento ai controlli automatizzati o formali per legittimare la contestazione dell’inesistenza dei crediti. Per l’utilizzo in compensazione di un credito inesistente viene prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 70% del credito indebitamente utilizzato (in luogo di quella compresa tra il 100% e il 200% prevista dal testo previgente). Tale sanzione, in base al nuovo comma 5-bis dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997 viene aumentata dalla metà al doppio (quindi dal 105% al 140%) se i fatti materiali posti a fondamento del credito siano oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazione o artifici.

Il legislatore delegato considera, invece, credito d’imposta non spettante quel credito, diverso da quello inesistente, fondato su fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva per il difetto di specifici elementi o particolari qualità, nonché il credito d’imposta utilizzato in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quello fruito in misura superiore a quella prevista. L’utilizzo di tali crediti in compensazione comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 25% del credito indebitamente utilizzato (in luogo di quella attuale del 30%).

Al contrario, dal legislatore delegato vengono ora espressamente considerati spettanti quei crediti fondati sulla base di fatti reali rientranti nella disciplina attributiva, nonché utilizzati in misura e con le modalità stabilite dalla medesima, ma in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempre che gli stessi: a) non siano previsti a pena di decadenza e non siano essenziali al riconoscimento del credito medesimo; b) la violazione sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale o, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla sua commissione. In tal caso, l’utilizzo di tali crediti comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari a 250 euro.

4. Ebbene, l’introducenda novella legislativa in commento, sebbene presenti alcuni profili condivisibili, difetta assai nel non riuscire a scolpire efficacemente la differenza tra crediti inesistenti e non spettanti, tanto da dover suggerire al legislatore delegato di voler ritornare sul testo del decreto prima della emanazione definitiva.

Partendo da quanto condiviso, merita di essere sicuramente apprezzato il coordinamento definitorio tra la disciplina tributaria e penale, in quanto per ovvie ragioni di coerenza del nostro ordinamento, di certezza del diritto e stante l’analoga natura delle sanzioni amministrative tributarie e penali-tributarie, vi era la necessità di avere una nozione unitaria di credito inesistente e di credito non spettante. Sotto tale profilo ed alla luce dei recenti interventi giurisprudenziali in precedenza richiamati, dunque, il legislatore delegato ha sicuramente superato una criticità della vigente disciplina.

In secondo luogo, deve essere valutata positivamente anche l’eliminazione del riferimento ai controlli automatizzati per legittimare l’inesistenza dei crediti di imposta utilizzati. Il legislatore delegato, difatti, ha formulato una locuzione normativa in base alla quale diviene irrilevante la modalità con la quale l’Amministrazione finanziaria intercetta la potenziale violazione. In altre parole, il legislatore ha correttamente ritenuto di eliminare l’automatismo in base al quale la modalità di recupero del credito tramite procedure automatizzate garantiva comunque il fatto che il credito, a prescindere da ogni altra valutazione, dovesse considerarsi non spettante anche nelle ipotesi in cui, per i suoi tratti costitutivi, esso in realtà è assolutamente “inesistente” (si pensi all’indicazione del credito “inventato” sul modello di delega di versamento).

A tale riguardo, lo schema di decreto, nel tentativo di introdurre una più rigorosa distinzione normativa tra credito inesistente e non spettante, tenendo conto anche delle evoluzioni giurisprudenziali come richiesto dalla legge delega, ha cercato di individuare dal punto di vista ontologico il discrimen tra le due fattispecie in relazione alla gravità della violazione, indipendentemente dalla modalità con la quale l’Amministrazione finanziaria possa venire a conoscenza dell’illecito. Non a caso, anche in sede di riforma dell’atto di recupero di cui all’art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973, è la violazione attinente al credito indebitamente utilizzato che orienta l’individuazione della fattispecie e, conseguentemente, la sanzione irrogabile e, infine, l’aspetto procedimentale anche sotto l’aspetto temporale. In relazione a tale ultimo profilo, la scelta, invero, operata nell’art. 38-bis citato di prevedere un differenziato termine di decadenza di cinque e otto anni per la contestazione rispettivamente del credito non spettante od inesistente non appare sistematicamente ragionevole. Infatti, già cinque anni costituiscono un periodo non certo breve per operare i dovuti controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, sia che si verta di credito non spettante, sia inesistente, esso è da considerarsi congruo e, soprattutto, in linea con l’intero apparato normativo sull’accertamento dei tributi che non conosce tempistiche più estese di cinque anni in presenza di dichiarazione tributaria presentata, e l’indebita compensazione è sempre ragionevolmente connessa ad una dichiarazione validamente presentata. Peraltro, se si vuole fare riferimento specificamente a condotte particolarmente insidiose da parte del contribuente – quali possono essere le fattispecie connesse ad operazioni economiche inesistenti od abusive – e, dunque, ove obiettivamente l’indagine da condurre da parte del Fisco può essere particolarmente impegnativa, mai il legislatore ha previsto termini decadenziali superiori ai cinque anni. In ogni modo, qualora il legislatore, nella propria discrezionalità, fosse convinto che l’indebita compensazione meritasse decadenze impositive speciali, allora avrebbe dovuto prevedere il termine di otto anni per entrambe le ipotesi compensative qui in esame. Difatti, la qualificazione del credito quale non spettante od inesistente ovviamente non è operata ex ante dall’Agenzia delle Entrate prima dell’accertamento, ma ex post al controllo. Quindi differenziare le tempistiche accertative non appare, comunque, condivisibile.

Meritevole di piena condivisione, invece, è la sintetica definizione di credito inesistente che descrive efficacemente e senza inutili fronzoli normativi la fattispecie, benché sarebbe stato ancor meglio individuare una ulteriore figura legislativa propria per le ipotesi fraudolente. Infatti, ai fini definitori e per meglio parametrare la severità delle sanzioni irrogabili, sarebbe risultato maggiormente opportuno isolare dalle categorie dei crediti “meramente” inesistenti le ipotesi di atti e/o fatti materiali posti a fondamento del credito che sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazione o artifici.

Le categorie di crediti inesistenti, invero, fuori dai casi connotati da fraudolenza, involgono il più delle volte fattispecie di crediti d’imposta ove il contribuente ha intrapreso un’iniziativa e posto in essere una determinata condotta, ma tali iniziative e condotte – vuoi per errore interpretativo, per carenza documentale, ecc. – risultano ex post inidonee a fondare la legittimità del credito d’imposta utilizzato in compensazione.

Del resto, le già citate Sezioni Unite della Suprema Corte – nel cercare di dirimere il contrasto sorto sotto la vigenza della previgente disciplina – avevano chiaramente distinto, ai fini della determinazione dell’inesistenza del credito, la fattispecie di credito d’imposta che non era mai venuta ad esistenza perché, sostanzialmente, era stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fondava il preteso riconoscimento del credito, dalla diversa fattispecie in cui, invece, il credito era inesistente perché carente di un elemento costitutivo. Proprio per tale ultima casistica era stato correttamente evidenziato dai giudici di legittimità come la verifica circa l’ipotizzata inesistenza del credito richiedesse sempre l’esegesi puntuale delle norme che avevano istituito la misura agevolativa e di tener conto dei principi regolatori dello specifico tributo coinvolto dall’agevolazione sotto forma di riconoscimento di un credito d’imposta. Dunque, la fraudolenza si aggiunge alla inesistenza del credito così da determinare due diverse categorie di violazioni che avrebbero dovute essere meglio differenziate.

Peraltro – e, qui, un secondo aspetto negativo della novella in commento – non può non evidenziarsi che sebbene il legislatore delegato abbia cercato di introdurre una definizione di credito inesistente identica ai fini penali e tributari, dal punto di vista delle sanzioni, invece, tale identità non è ancora riscontrabile. Per le sanzioni amministrative è prevista una “bipartizione” delle fattispecie di indebito utilizzo di credito in compensazione: credito inesistente connotato da fraudolenza per cui è previsto un apparato sanzionatorio più severo e credito inesistente c.d. “ordinario o semplice” per cui è prevista una sanzione più mite. Il nuovo comma 5-bis dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997 impone, difatti, all’Amministrazione finanziaria di applicare una sanzione aumentata se i fatti materiali posti a fondamento del credito siano oggetto di rappresentazioni fraudolente, lasciando un margine di discrezionalità non sull’an dell’aumento, bensì solo sul quantum (dal 105% al 140%). Per le sanzioni penali, invece, il legislatore ha mantenuto la univocità già prevista dal previgente testo dell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 – senza differenziare la pena per l’ipotesi di credito inesistente perché oggetto di rappresentazioni fraudolente, false e/o simulate.

Tale disomogeneità nell’apparato sanzionatorio amministrativo e penale non appare giustificabile atteso che, sebbene la sanzione penale per la fattispecie di credito inesistente preveda un minimo ed un massimo di pena, che dovrebbe consentire (prima all’organo inquirente e, comunque, all’organo giudicante) di parametrare la concreta misura proprio in virtù della condotta posta in essere dal contribuente, tuttavia lasciare alla discrezionalità della magistratura l’individuazione della pena per le fattispecie connotate da fraudolenza non appare scelta condivisibile e, comunque, incoerente con quanto previsto, come visto, per la sanzione amministrativa.

A tale riguardo, il legislatore delegato avrebbe dovuto, sia per le sanzioni amministrative, sia per l’illecito penale, non tanto prevedere l’applicazione di una circostanza aggravante per l’ipotesi fraudolenta, bensì disciplinare il credito c.d. “fraudolento” a mezzo di una fattispecie ad hoc – dotata di relativa sanzione –. Così vi sarebbe stata maggiore chiarezza definitoria circa le diverse ipotesi che divergono tra di esse e sarebbe meglio legislativamente delineato il precipuo regime sanzionatorio amministrativo e penale riducendo drasticamente la discrezionalità interpretativa.

In ogni modo, tornando al credito inesistente “ordinario”, fuori dai casi di condotta fraudolenta, è da sottolineare che, in virtù della varietà di tipologie di crediti d’imposta presenti nel nostro ordinamento, sia palese la necessità di procedere ad un’indagine assai approfondita al fine di individuare – pur a fronte delle difficoltà derivanti da una normazione di settore spesso variegata e multiforme – i parametri strutturali, di carattere generale, per ritenere esistente un credito di imposta, ossia quali siano gli elementi idonei ad assumere natura costitutiva e quali, invece, abbiano carattere meramente accessorio, ossia non possano essere considerati elementi qualificanti il credito ai fini della conformità di esso rispetto al processo di formazione imposto dalla legge.

Per presupposto costitutivo del credito, difatti, si deve intendere quell’elemento (o quegli elementi) fattuale e/o giuridico che le disposizioni fiscali pongono alla fonte e a causa della concessione del credito da spendere in compensazione o, comunque, come requisito essenziale a pena di decadenza del riconoscimento del credito stesso. In deficienza di tale elemento al momento dell’utilizzo del credito in compensazione, è evidente che il credito debba essere qualificato come inesistente proprio perché carente, appunto, della condizione essenziale che secondo il legislatore consente il formarsi – e, quindi, l’esistenza – del credito stesso.

Conseguentemente, nelle ipotesi ove il contribuente si sottragga o violi un obbligo previsto dalla legge, che comandi determinate azioni per la formazione di un determinato credito o prescriva limitazioni finalizzate al mantenimento delle condizioni per poterne beneficiare, il credito indebitamente compensato assume i caratteri dell’inesistenza.

Il giudizio sulla qualificazione di crediti inesistenti, quindi, è per lo più positivo, salva la deficienza riscontrata circa la individuazione del tertium genus di fraudolenza.

Diversamente non appare, al contrario, risolutivo delle difficoltà sino ad oggi incontrate dall’interprete nel distinguere tra credito inesistente e non spettante quanto tipizzato in relazione a tale ultima tipologia di credito. Più in dettaglio, nella nuova formulazione di credito non spettante è assai difficile comprendere l’esatta differenza tra le ipotesi di crediti non spettanti, perché «fondati su fatti reali, non rientranti nella disciplina attributiva per il difetto di specifici elementi o particolari qualità» e di crediti inesistenti, per mancanza dei «presupposti costitutivi». A titolo esemplificativo, si pensi al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo e alla necessità che debba essere soddisfatto il requisito della novità per potervi accedere, ovvero al credito d’imposta sui nuovi investimenti nel caso in cui il bene agevolato non entri in funzione entro un determinato periodo: in tali fattispecie, difatti, il credito d’imposta indebitamente fruito potrebbe qualificarsi sia come credito non spettante per mancanza “di specifici elementi o particolari qualità”, sia come credito inesistente per assenza dei “presupposti costitutivi”.

Allora le descritte formulazioni normative riferite al credito non spettante non sono idonee a sottrarre dall’alveo dell’inesistenza i casi a cui esse volevano riferirsi. Stante il dettato normativo citato, a prescindere dalla condivisione di esso dal punto di vista sostanziale, esso non riesce ad impedire – intento che era invece perseguito dal legislatore delegato con tali locuzioni – l’assorbimento delle fattispecie riscontrabili nella realtà fenomenica dalla “spugna” dell’inesistenza. Ciò in quanto il perimetro di credito inesistente, per come formulato nello schema di decreto in commento, appare decisamente esteso ed idoneo a ricomprendere anche quelle fattispecie aventi a fondamento fatti reali ma che non integrano, in tutto o in parte, le condizioni cui è subordinato il riconoscimento del credito d’imposta.

Proprio, difatti, la lettura della definizione di credito non spettante obbliga a tali conclusioni. Il legislatore delegato, invero, con gli incisi «diversi dai crediti previsti dalla lettera g-quinquies)» e «diverso da quello di cui al comma 5» introdotti, rispettivamente, nell’incipit dell’art. 1, comma g-quater), D.Lgs. n. 74/2000 e nel comma 4 dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, ha espressamente attribuito alla nozione di credito non spettante una funzione residuale rispetto a quella di credito inesistente: con la conseguenza che l’interprete potrà qualificare un credito come non spettante solo dopo aver preventivamente escluso la possibilità di qualificarlo come inesistente sulla base della pertinente disposizione normativa15.

Però la elencazione scelta dal legislatore per i crediti non spettanti, come sopra evidenziato, richiama indubbiamente più il credito “inesistente” che difetta in tutto in parte del o dei presupposti costitutivi e rende per l’interprete assai difficile distinguere la fattispecie di credito non spettante da quella dell’inesistenza. Non appare, invero, affatto rilevante, quale criterio distintivo tra credito inesistente e credito non spettante che il secondo sia basato su “fatti reali”, come afferma il primo periodo dell’introducendo art. 1, comma 1, lett. g-quater, D.Lgs. n. 74/2000, perché l’“inesistenza” del credito nell’ottica sistematica tributaria non va parametrata alla realtà fenomenica ma alla normativa fiscale di riferimento. In buona sostanza, il credito da utilizzare in compensazione “esiste” se è conforme nei tratti costitutivi alla normativa tributaria di riferimento e non perché il contribuente abbia posto in essere comportamenti effettivamente riscontabili e non puramente asseriti.

Del resto non appare neanche convincente voler ascrivere alla categoria del credito non spettante il caso in cui il contribuente abbia seguito per l’iter di costituzione del credito quanto prescritto dalle norme, ma all’esito del controllo amministrativo il credito sia contestato in quanto il risultato ottenuto dal contribuente, e che è alla base dell’attribuzione del medesimo credito, risulti deficitario di una o più qualità (ad esempio, la novità per i crediti ricerca e sviluppo) ma tale deficienza sia imputabile a incolpevole condotta del contribuente originata dall’obiettiva opinabilità delle valutazioni tecniche da svolgere e/o dalla complessità della normativa di settore. Qui, difatti, la condotta incolpevole del contribuente non è decisiva ai fini qualificatori del credito. La qualificazione deve, infatti, essere riferita a parametri oggettivi e, dunque, se manca un requisito, a prescindere dallo stato soggettivo del privato, il credito non muta la sua natura e rimane inesistente.

Invece, la condotta incolpevole del privato, che trova origine nella opinabilità delle valutazioni tecniche e nella complessità della normativa, deve essere correttamente rapportata ai criteri della buona fede e delle cause di obiettiva incertezza per ritenere non punibile il contribuente sia sul piano amministrativo che penale anche se il credito venga qualificato quale inesistente16.

In conclusione, il legislatore delegato avrebbe dovuto porre nel perimetro dell’inesistenza tutte quelle ipotesi che involgessero gli elementi costitutivi del credito e configurare il credito non spettante solo quello ove esso, pur del tutto conforme alla normativa di settore, sia poi compensato in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quello fruito in misura superiore a quella prevista. Del resto l’esigenza legislativa di definire i crediti spendibili in compensazione non trova giustificazione ex se ma solo per individuare il pertinente regime sanzionatorio (e di tempistica dell’accertamento, sebbene a tale riguardo, come detto, una differenziazione non appaia giustificabile). Difatti, la reazione dell’ordinamento allo scorretto scomputo, ovviamente, non può essere univoca, attesa la diversa insidiosità e lesività delle differenti condotte. Se questo è il punto di riferimento, allora la sanzione più mite (25%) va connessa alla figura della “non spettanza” perché qui il contribuente procede ad una compensazione solo “formalmente” indebita per la normativa fiscale ma “legittima” in relazione al diritto di credito del privato fatto valere in sede estintiva. Pertanto, nel senso predetto, il credito di tal guisa è esclusivamente quello che non sia utilizzabile in compensazione in quanto “non spettante” per l’atto di elisione così come configurato nei tempi e nelle modalità dal legislatore fiscale: ossia esso risulta non idoneo ad essere compensato ma è pienamente in linea con il dettato normativo tributaria circa la sua formazione. Al di fuori di qui siamo nell’ “inesistenza fiscale” del credito.

Infatti, solo una chiara e assai rigorosa normativa in materia è in grado, da un lato, di disincentivare comportamenti illeciti in questo settore così esposto a non commendevoli condotte, e, dall’altro, di permettere al contribuente corretto di procedere con serenità alla compensazione, così come ai preposti organi amministrativi e giudiziari di perseguire efficacemente i comportamenti illeciti.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti di imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., 2021, 4, 1525 ss.

Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: poliformismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. dir. trib., 2022, 3, I, 201 ss.

Girelli G., La compensazione tributaria, Milano, 2010

Girelli G., La compensazione opposta dal contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 3, 581 ss.

Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 502 ss.

Messina S.M., La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006

1 Cfr. art. 1, comma 1, lett. e), D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 che ha introdotto l’art. 6-bis, rubricato “Principio del contraddittorio”, all’interno della L. 27 luglio 2000, n. 212. Tale norma, difatti, prevede espressamente l’applicabilità di tale principio a tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi di giurisdizione tributaria tra cui vi è, ovviamente, anche l’atto di recupero del credito d’imposta.

2 Cfr. art. 1, comma 1, del decreto citato alla nota precedente che ha introdotto modifiche al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 tra cui, per quanto qui di interesse, la formale estensione delle regole sull’accertamento con adesione all’atto di recupero del credito.

3 Ad opera dell’art. 1, comma 2, lett. b), D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13. In particolare, il nuovo art. 38-bis prevede che l’atto, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti non spettanti e inesistenti, utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione, va notificato, a pena di decadenza, rispettivamente entro il 31 dicembre del quinto anno (per crediti non spettanti) e dell’ottavo anno successivo (per crediti inesistenti) a quello del relativo utilizzo. Sarà possibile, inoltre, prestare acquiescenza alle sanzioni pagando un terzo delle penalità irrogate, ma il pagamento dovrà avvenire per intero, senza compensazione.

4 Norma che, a decorrere dal 30 aprile 2024, è stata abrogata secondo quanto previsto dal D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13.

5  La norma, infatti, faceva genericamente riferimento alla «riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte».

6 Conv. con mod. dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2. Anche la norma citata nel testo, a decorrere dal 30 aprile 2024, è stata abrogata secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 13/2024.

7 Sul punto si era più volte espressa la Corte di Cassazione che nei suoi primi approdi, dedicati a fissare il termine decadenziale concesso all’Agenzia delle Entrate per recuperare i crediti indebitamente utilizzati (cfr. Cass. civ., 21 aprile 2017, n. 10112; Cass. civ., 2 agosto 2017, n. 19237; Cass. civ., 16 luglio 2020, n. 24093; Cass. civ., 13 gennaio 2021, n. 354), aveva ritenuto di non dover distinguere tra le due diverse posizioni affermando che la distinzione tra credito non spettante e credito inesistente appariva priva di senso logico nonché di fondamento giuridico, tanto che sarebbe stato lo stesso legislatore a non volere elevare l’inesistenza del credito a categoria diversa rispetto alla non spettanza dello stesso. Nello specifico, infatti, secondo tale orientamento inizialmente seguito dai Supremi Giudici, la differenza semantica utilizzata dal legislatore sarebbe stata approntata non tanto per evidenziare una differenza genetica tra i due tipi di credito, quanto, invece, al sol fine di garantire un margine di tempo adeguato per l’Amministrazione finanziaria per poter compiere le verifiche riguardanti l’origine del credito d’imposta utilizzato in compensazione dal contribuente. Tale lasso di tempo, dunque, indipendentemente dall’accezione di inesistenza ovvero di non spettanza del credito, doveva essere indistintamente fissato in otto anni senza la possibilità di richiamare il più breve termine di cinque anni previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 600/1973. Si rileva, peraltro, che nella prima delle menzionate pronunce, la Corte dimostrava di essere avveduta circa la invocabile differenza giuridica tra credito inesistente e credito non spettante richiamando a tale riguardo la ris. 27 novembre 2008, n. 452/E, in cui era esplicitata tale distinzione, per poi concludere che nel caso al suo esame il contribuente aveva compensato un credito inesistente. Tuttavia, non seguendo l’appena descritto primo orientamento, si era espressa una diversa posizione giurisprudenziale di legittimità (il riferimento è, in particolare, alle tre sentenze gemelle nn. 34443, 34444 e 34445 depositate in pari data il 16 novembre 2021 nonché, più recentemente, a Cass. civ., 25 ottobre 2022, n. 31429). Qui la Corte aveva ritenuto necessario superare le pronunce sopra citate e aveva delineato, al contrario, la netta differenza tra credito non spettante e credito inesistente. I Supremi Giudici hanno rilevato che dovesse darsi risalto alla distinzione stabilita dai commi 4 e 5 dell’art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 in relazione alla differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti e che, dunque, dovesse necessariamente essere superata l’affermazione, sostenuta precedentemente dalla stessa Corte, secondo cui sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante sia per quanto riguarda il profilo sanzionatorio, sia per quanto attiene i termini decadenziali per l’accertamento. Da ultimo, il dibattito era stato rimesso all’esame delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., ord. 2 dicembre 2022, n. 35536 e Cass. civ., ord. 8 febbraio 2023, n. 3784) affinché venisse chiarito se sussisteva o meno la eventuale diversità di natura giuridica tra le due tipologie di crediti e, in secondo luogo, quali fossero le conseguenti ricadute in relazione ai termini decadenziali di accertamento e di regime sanzionatorio.

8 Cass. civ., Sez. Un., nn. 34419 e 34452 depositate in data 11 dicembre 2023. Più in dettaglio, dell’ambito applicativo del termine speciale di decadenza dell’azione di accertamento si è occupata la sentenza n. 34419.

9 Cfr. Cass. civ., nn. 34419 e 34452 depositate in data 11 dicembre 2023 sopra già citate. Più in dettaglio, del profilo sanzionatorio si è occupata la sentenza n. 34452.

10 Le Sezioni Unite, peraltro, hanno anche cercato di fornire alcune chiavi di lettura per distinguere le ipotesi in cui la mancanza di un presupposto costitutivo integrasse la fattispecie di utilizzo di un credito d’imposta inesistente anziché non spettante. In particolare, i giudici di legittimità hanno riconosciuto che rientravano nelle ipotesi di inesistenza i casi in cui il credito veniva “creato” direttamente con il modello “F24” pur in assenza di riscontro documentale o esposizione nella dichiarazione o per effetto di attività artificiose mediante la creazione di crediti fittizi, ancorché, in questo caso, riportati nelle dichiarazioni. Infatti, secondo il Supremo Consesso le condotte rilevanti erano quelle caratterizzate da profili abusivi, occulti o fraudolenti, che, in quanto tali, erano rilevabili solamente attraverso riscontri di coerenza contabile del modello di versamento e non meramente cartolari poiché non emergenti dalle dichiarazioni presentate (o da esse falsamente emergenti) o dal mero raffronto con i relativi modelli di versamento.

Tuttavia, l’inesistenza non era rappresentata soltanto da condotte fraudolente, ma anche dalle fattispecie in cui mancava, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo del credito di imposta. In questo ambito, però, i giudici di legittimità hanno riconosciuto che non ogni mancanza di presupposto determinava inesistenza, ponendosi la necessità di un’analisi di ogni singola disciplina istitutiva.

Per le Sezioni Unite integravano i presupposti costitutivi della disciplina dell’incentivo fiscale (con l’effetto che il relativo utilizzo determinava la fattispecie di credito di imposta inesistente) la necessaria presentazione di un’istanza da parte del contribuente, l’imposizione di un obbligo di fare/non fare e l’indicazione di un termine finale entro il quale porre in essere alcune attività e la previsione di condizioni risolutive.

Non integravano, invece, i presupposti costitutivi di un incentivo fiscale (con l’effetto che il relativo utilizzo determinava la fattispecie di credito di imposta non spettante) l’inosservanza di adempimenti amministrativi o la previsione di soglie o limiti di valore nell’utilizzo del credito di imposta, l’inosservanza di un termine iniziale per l’utilizzo del credito ovvero una condizione sospensiva per la fruizione dello stesso.

11 Difatti, la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015, che aveva novellato nel testo l’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, in sede di commento del detto articolo, ai fini qualificatori in tale ambito penalistico del credito inesistente rimandava esplicitamente alla definizione adottata nel corpo dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997. Va sottolineato, sul punto, che la prospettiva unitaria e sistematica era stata fatta propria anche da un orientamento delle Sezioni penali della Corte di Cassazione. Ad esempio, la Terza Sezione penale, con la sentenza 3 marzo 2022, n. 7615 aveva affermato che la definizione di credito inesistente dovesse essere tratta, anche ai fini penali, dall’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, come novellato nel 2015, sicché dovevano ricorrere entrambi i requisiti ivi previsti per considerare il credito inesistente ovvero: a) doveva mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emergeva dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente); b) l’inesistenza non doveva essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria. Rimane, infatti, voce isolata il sostenere come la descrizione operata a livello sanzionatorio tra crediti non spettanti e inesistenti in ambito tributario dall’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, commi 4 e 5, non sia anche apprezzabile con la dicotomia delle diverse fattispecie di reato previste dai commi 1 e 2 dell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000. Tale (non condivisibile) conclusione – superata, come vedremo, dal decreto legislativo sulla revisione del sistema sanzionatorio – viene supportata sulla base di due ragioni. In primo luogo, in quanto in sede penale manca una specifica definizione di credito “non spettante” rispetto a quella di credito inesistente e, in secondo luogo, in quanto, diversamente opinando, nella stessa disposizione avrebbero convissuto irragionevolmente due diversi presupposti della medesima condotta. Ciò in quanto nel caso di utilizzazione di crediti non spettanti non era richiesto il requisito della loro facile rilevabilità attraverso controlli formali, mentre nel caso di utilizzo di crediti inesistenti sì, con il paradosso che la condotta più grave (inesistenza) avrebbe avuto un margine di applicazione meno ampio di quella meno grave (non spettanza). Così si veda Cass. pen., sez. III, n. 6 depositata in data 2 gennaio 2024. Tale pronuncia si pone in contrasto con le sentenze delle Sezioni Unite citate alla precedente nota 8 che hanno ritenuto che la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti dovesse intendersi unitaria tra ambito penale e tributario, in quanto seppur trattandosi di esito interpretativo esso discende dal dato letterale delle norme e risponde a criteri di coerenza e di razionalità di sistema e alle finalità, obiettive, perseguite dal legislatore.

12 L’articolo 1 del provvedimento, al comma 1, lett. a), introduce all’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, la definizione di crediti non spettanti (nuova lettera g-quater) e di crediti inesistenti (nuova lettera g-quinquies).

13 I numeri 2) e 3) della lett. l) del comma 1 dell’art. 2 del provvedimento, sostituiscono e modificano, rispettivamente, i commi 4 e 5 dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997.

14 Dal punto di vista della sanzione penale l’unica novità è infatti costituita dall’inserimento – ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. d) del provvedimento in commento – del comma 2-bis nell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000. Tale norma prevede che la punibilità dell’agente per il reato di indebita compensazione per crediti non spettanti è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito.

15 Nella Relazione illustrativa allo schema di decreto in commento del 14 marzo 2024, prot: 2024/0000540/TN, si legge testualmente che «In definitiva, viene reso esplicito il rapporto di sussidiarietà tra le due fattispecie, occorrendo prendere abbrivio da quella dei “crediti inesistenti”, rispetto alla quale assume rilievo dirimente la verifica – per effetto di attività meramente ricognitive – degli elementi che nell’economia della specifica normativa di riferimento assurgono alla dignità giuridica di “presupposti costitutivi”. Solo all’esito, una volta esclusa la sussumibilità nella categoria dei crediti inesistenti per effetto dell’immediato riscontro dei relativi presupposti costitutivi, andrà esplorato il distinto e residuale profilo della “spettanza” connesso ai profili per i quali residuino margini di apprezzamento valutativo».

16 Il problema della incolpevole condotta del contribuente è stato, invero, avvertito dal legislatore delegato ma impropriamente solo in sede penalistica e solo per i crediti non spettanti. L’art. 1, comma 1, lett. d) dello schema di decreto in commento (già supra citato alla nota n. 14), infatti, introduce una nuova causa di non punibilità per il reato di compensazione indebita, inserendo il comma 2-bis nell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 ma limitata alla sola compensazione dei crediti non spettanti. Tale norma prevede che la punibilità dell’agente per il reato di indebita compensazione per crediti non spettanti è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito. Ebbene, se si condividono le osservazioni svolte nel testo, tale disposizione doveva essere rapportata alla compensazione dei crediti inesistenti e doveva svolgere efficacia sia in sede penale, sia amministrativa. Per il credito non spettante, invece, se configurato come suggerito nel testo, sarebbe stato necessario formulare una diversa disposizione consona alla rappresentazione del credito non spettante qui auspicata.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , ,