IL PUNTO SU… La nuova disciplina fiscale del c.d. reshoring alla luce dei commenti rilasciati da Assonime

Di Valentina Buzzi e Giulia Sorci -

A. L’art. 6 D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 (di seguito, il “Decreto”) ha introdotto nel nostro ordinamento una normativa di favore (il regime del c.d. “reshoring”) che prevede la non concorrenza alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini IRAP del 50% del reddito derivante da attività di impresa o da arti o professioni esercitate in forma associata trasferite da Paesi extra europei in Italia, per il periodo in cui avviene il trasferimento e nei 5 successivi.

L’agevolazione non spetta per le attività già esercitate in Italia nei 24 mesi precedenti al trasferimento e viene meno nel caso di “ritrasferimento”, anche parziale, dell’attività al di fuori dei confini europei nei 5 periodi d’imposta – 10 se si tratta di grandi imprese – successivi al termine del regime. Per poterne beneficiare, la normativa prevede l’obbligo per il contribuente di mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito. L’efficacia della disposizione è sospesa sino all’autorizzazione da parte della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (per un primo commento, Ascoli G. – Pellecchia M., Trasferimento in Italia di attività economiche, in il fisco, 2023, 46, 4365 ss.; Avolio D. – Piazza M., Il reshoring di attività economiche e il caso delle società holding, in il fisco, 2024, 4, 321 ss.; Michelutti R. – Prampolini A. – D’Ettorre A., Il trasferimento in Italia di attività economiche (reshoring), in Corr. trib., 2024, 3, 205 ss.).

Il testo normativo, meritevolmente snello, ha senz’altro il pregio di mettere in risalto le proprie finalità agevolative e di fissare al contempo dei meccanismi applicativi di base facilmente comprensibili anche dagli operatori esteri, ma, al contempo, presenta dei limiti quando si tenta un coordinamento con le disposizioni vigenti nel sistema fiscale odierno.

Con la circolare 23 febbraio 2024, n. 4 (di seguito la “Circolare”), l’Assonime ha fornito alcuni chiarimenti sull’ambito applicativo e sul meccanismo di calcolo del reddito agevolato prodotto nel contesto di attività imprenditoriali, che meritano di essere sintetizzati con alcune osservazioni a margine.

B. Partendo dall’ambito applicativo, la Circolare osserva preliminarmente come il regime non sia delimitato sul piano soggettivo e come la norma preveda l’accesso al beneficio dei soli soggetti che trasferiscono in senso fisico un’attività di impresa da un Paese estero extra UE e SEE in Italia.

Tra le attività economiche agevolabili devono intendersi comprese per definizione le attività produttive e commerciali, esercitate attraverso la gestione di un complesso di beni organizzato. Al contrario, è dubbio che possano consentire l’accesso al beneficio il trasferimento di asset isolati che implicano solo una titolarità meramente passiva (ad esempio, le proprietà intellettuali, crediti o partecipazioni).

Meno netta appare la questione del possibile accesso all’agevolazione da parte di società residenti in un Paese extra CEE o SEE che siano holding statiche o IP companies: a tal riguardo la soluzione dovrebbe essere negativa se si opera un rimando alla normativa in materia di aiuti di Stato.

E invero, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in tema di aiuti di Stato (sentenze 6 febbraio 1987, causa C-80/95, Harnas & Helm CV e 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.), lo svolgimento di un’attività economica va esclusa nel caso di «semplice possesso di partecipazioni, anche di controllo, quando tale possesso dà luogo soltanto all’esercizio di diritti connessi alla qualità di azionista o di socio», e quindi ciò non dovrebbe consentire l’accesso all’agevolazione in parola in tali casi. Differenti dovrebbero essere invece le conclusioni rispetto alle c.d. holding dinamiche, che effettuano un’attività di controllo attraverso una partecipazione diretta o indiretta alla gestione delle partecipate.

Sul punto la Circolare suggerisce un criterio alternativo per l’analisi di queste situazioni: quello di verificare se l’attività svolta in Italia, anche in assenza di trasferimento, possa configurare una stabile organizzazione ai sensi dell’art. 162 TUIR. In questo caso, per la valutazione della soglia di presenza fisica richiesta dalla norma sopra citata, potrebbero essere d’aiuto anche le indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria ai fini della prova dell’esimente di cui all’art. 167, comma 5, TUIR che rende inoperante la disciplina CFC in caso di radicamento nel territorio, ovvero in presenza di «attività economiche effettive mediante impiego di personale, attrezzature, attivi e locali».

Il trasferimento presuppone che l’attività rimpatriata sia già svolta all’estero, con il limite che non possono fruire dell’agevolazione quelle che sono state condotte in Italia nei 24 mesi precedenti. Per quelle insediate ab origine all’estero, diversamente da quelle svolte in precedenza in Italia, non è previsto a livello normativo alcun periodo minimo di permanenza all’estero e quindi potrebbero essere oggetto di trasferimento anche prima del decorso dei 24 mesi dall’avvio.

Ai fini dell’agevolazione è, inoltre, ininfluente che le attività oggetto di agevolazione siano già soggette alla potestà impositiva in Italia prima del trasferimento. Questo potrebbe essere, ad esempio, il caso di attività che prima del rimpatrio siano state esercitate all’estero per mezzo di una stabile organizzazione di un soggetto residente. Considerazioni analoghe dovrebbero valere per le attività facenti capo a una CFC nel caso di trasferimento sia della residenza in Italia sia di parte delle attività esercitate dalla CFC alla casa-madre.

La Circolare si sofferma, inoltre, sulle modalità attraverso le quali può essere attuato il trasferimento delle attività oggetto di agevolazione e reputa ammissibili tutte le soluzioni tecniche tramite le quali possa avvenire la riallocazione di attività in Italia. Non pare dubbio che ciò possa essere effettuato tramite il trasferimento della residenza o la creazione di una stabile organizzazione.

Parimenti dovrebbero essere trattati i trasferimenti realizzati per effetto di operazioni straordinarie e dovrebbero essere altresì ammesse le riallocazioni di attività svolte all’estero non solo con riferimento alla singola entità ma anche all’interno del gruppo economico. Ed invero, come chiarito dalla Relazione illustrativa, non è determinante l’appartenenza dell’attività trasferita ad un soggetto giuridico che in precedenza operava all’estero bensì il fatto che il trasferimento venga deciso e posto in essere dal predetto gruppo economico.

Al di fuori di queste ipotesi, Assonime si interroga se le medesime conclusioni possano essere raggiunte anche con riferimento alle operazioni straordinarie a favore di società appartenenti ad un gruppo societario diverso, poiché il requisito del pregresso svolgimento all’estero dell’attività da parte dello stesso soggetto economico potrebbe essere assente.

In tale contesto, non ci dovrebbero essere dubbi con riferimento ad operazioni in entrata come fusioni e scissioni, posto che l’avente causa subentra nelle situazioni soggettive del dante causa. Se si parte dal presupposto che l’attività rimpatriata debba appartenere al medesimo gruppo al momento del trasferimento fisico in Italia, dovrebbero rientrare nell’ambito dell’agevolazione anche le operazioni in entrata di natura realizzativa, quali ad esempio il conferimento o la cessione d’azienda, nel limite in cui l’attività estera sia acquisita da un gruppo economico diverso e quest’ultimo proceda al rimpatrio.

Da ultimo la Circolare analizza l’ipotesi in cui il trasferimento dell’attività avvenga attraverso l’attribuzione di nuove funzioni alla società o alla stabile organizzazione già presente in Italia con la contemporanea cessazione delle attività all’estero.

Un esempio potrebbe essere la trasformazione di un distributore con un profilo limited distributor a quello fully fledged. In linea di principio questo cambiamento dovrebbe poter beneficiare del regime in esame. Tuttavia, l’agevolazione dovrebbe essere attivabile solo laddove non si verifichi una tale integrazione tra le attività preesistenti in Italia e quelle oggetto di trasferimento negli anni di vigenza del regime da condurre alla sostanziale impossibilità di predisporre dei conti economici distinti per le attività agevolate.

C. La Circolare in esame non fornisce indicazioni circa le possibili modalità del trasferimento in Italia di attività professionali esercitate in forma associata, sebbene sia una fattispecie rientrante nell’ambito dell’agevolazione in parola.

Una di queste potrebbe essere, ad esempio, la creazione di una base fissa d’affari da parte del soggetto estero, tra l’altro già oggetto del vaglio dell’Amministrazione finanziaria in precedenti documenti di prassi (cfr. ris. 26 aprile 2007, n. 80/E e 11 giugno 2009, n. 154/E). Secondo quanto chiarito, un’associazione tra professionisti estera dovrà essere considerata come un soggetto passivo dell’imposta sulle società di cui all’art. 73, comma 1, lett. d), TUIR (cfr. istruzioni modello Redditi – enti non commerciali) e lo status di ente non commerciale dovrà essere verificato rispetto all’attività effettivamente esercitata in Italia, prescindendo dalla connotazione che ha l’ente o associazione professionale nell’ordinamento del Paese di origine.

Ne consegue che i redditi prodotti dalla base fissa, imponibili in Italia ai sensi delle regole di localizzazione previste dall’art. 23, comma 1, lett. d), TUIR, devono essere determinati ai sensi degli artt. 153 e 154 TUIR, ossia sommando il risultato delle singole categorie di redditi individuate dal Titolo I del TUIR. Con specifico riferimento ai redditi di lavoro autonomo, questi seguiranno le regole degli artt. 53 e seguenti del TUIR. La percezione di compensi per attività professionali comporterà inoltre l’assoggettamento dei medesimi a ritenute ai sensi dell’art. 25 D.P.R. n. 600/1973 (ossia a ritenuta a titolo d’acconto ai sensi del comma 1 della predetta norma e nella misura del 20%, in base ai chiarimenti forniti nelle richiamate ris. nn. 80/E/2007 e 154/E/2009; essi dovrebbero, tuttavia, intendersi come superati dall’opinabile posizione assunta nella più recente Risposta ad interpello n. 285/E del 20 maggio 2022, in cui si precisa che i compensi erogati a un consulente non residente per attività professionale svolta attraverso una “sede fissa” debbano essere assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30% ai sensi dell’art. 25, comma 2).

D. La disciplina del reshoring si sostanzia, come già richiamato, in una riduzione del 50% della base imponibile rilevante ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP calcolata a partire dal reddito prodotto dalle attività trasferite nel territorio dello Stato e precedentemente esercitate in un Paese extraeuropeo nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei 5 periodi di imposta successivi.

Le modalità di determinazione del risultato di periodo non sono affrontate nel testo normativo. Quest’ultimo difatti si limita a prevedere che il contribuente sia obbligato a tenere separate evidenze contabili in cui siano rilevati i fatti gestionali riferibili alle attività agevolabili.

D.1. È, ovviamente, possibile che l’attività trasferita possa generare delle perdite fiscali nel periodo di vigenza del beneficio. La sola menzione nella normativa in commento ai “redditi imponibili” non dovrebbe essere di per sé d’ostacolo all’applicazione delle disposizioni in materia di compensazione e di riporto delle perdite, sempre nel rispetto dei limiti di cui all’art. 83, comma 1, secondo periodo, TUIR secondo cui «in caso di attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito, le relative perdite fiscali assumono rilevanza nella stessa misura in cui assumerebbero rilevanza i risultati positivi».

Questa disposizione – collocata nel testo dell’art. 83 dopo l’abrogazione di una norma sostanzialmente analoga dal testo dell’art. 84 TUIR – è volta a fissare il «criterio di simmetria tra imponibilità del risultato positivo (reddito) e deducibilità del risultato negativo (perdita)» e a chiarire che «la citata simmetria opera ab origine sul risultato di esercizio e, quindi, sia sulle perdite di esercizio eventualmente da utilizzare in compensazione nel medesimo periodo d’imposta su altri redditi, sia, a maggior ragione, sul riporto a nuovo delle perdite» (così, Relazione di accompagnamento alla Legge di Bilancio 2008). Allo stato, come precisato dalla ris. 13 dicembre 2010, n. 129/E, ricadono nel campo di applicazione di tale limitazione i regimi agevolativi che riguardano i risultati reddituali complessivi derivanti dall’esercizio di determinate attività d’impresa, quali, ad esempio, l’esenzione pari all’80% del reddito derivante dall’utilizzazione di navi iscritte nei registri internazionali di cui all’art. 4, comma 2, D.L. 30 dicembre 1997, n. 457 (se non è stata effettuata l’opzione per il regime della tonnage tax) o quella del 56% del reddito delle imprese che esercitano la pesca mediterranea, costiera o interna, che nei fatti concedono agevolazioni con dei meccanismi pienamente assimilabili a quelli del reshoring.

Non dovrebbe trovare invece applicazione – come si afferma anche nella Circolare Assonime – la limitazione prevista dall’art. 84 TUIR che sterilizza le perdite riportabili fino a concorrenza degli utili che non hanno concorso alla formazione dell’imponibile a titolo di esenzione, in quanto l’agevolazione in parola agisce a livello di reddito imponibili e non sul risultato civilistico.

Nel caso in cui il soggetto beneficiario sia titolare unicamente di attività agevolate, gli utili e le perdite devono assumersi in termini omogenei, e quindi, in forza del principio di cui sopra, nella misura del 50%, fermo sempre restando in ogni caso i limiti all’utilizzo in compensazione fissati dall’art. 84 TUIR (i.e. compensabilità delle perdite fino a concorrenza dell’80% dell’utile, a meno che le perdite siano realizzate nei primi 3 anni di attività): ipotizzando, ad esempio, che le perdite in T1 siano pari a 150 (300*50%) e gli utili in T2 siano 400, il reddito imponibile in T2 dovrebbe essere pari a 400*50% – 300*50%= 50.

Proseguendo oltre, l’Assonime analizza l’ipotesi in cui coesistano attività rientranti nel perimetro applicativo dell’agevolazione e attività soggette invece a IRES ordinaria, così come peraltro ammesso dalla stessa disposizione là dove impone la tenuta di separate evidenze contabili per le componenti che beneficiano del regime di reshoring. Anche in questo caso, l’applicazione della disposizione di cui all’art. 83 TUIR dovrebbe consentire una compensazione infra-periodo delle perdite conseguite dalle attività agevolate nella misura del 50% con i redditi conseguiti da quelle condotte dal contribuente in regime ordinario, in analogia con la disciplina della branch exemption.

Dal nostro punto di vista, simili conclusioni potrebbero estendersi anche al caso in cui la società conduca un unico business soggetto al regime del reshoring e alla fine del periodo agevolabile disponga di perdite a riporto. Tali perdite, come per le società dove si verifica una compresenza tra il regime agevolato e quello ordinario, non dovrebbero trovare limiti al loro riporto e alla compensazione, seppur nella misura del 50%.

D.2. La presenza di più attività comporta che alcuni costi possano avere natura promiscua ed essere pertanto riferibili indistintamente tanto all’attività agevolata quando a quelle ordinarie.

In questi casi, l’Assonime suggerisce il ricorso a un criterio oggettivo e verificabile come l’allocazione di tali costi in base ai ricavi, così come previsto per altri regimi speciali (cfr. art. 159, comma 3, TUIR in materia di ripartizione di costi promiscui riferibili ad attività in regime di tonnage tax e ad attività in regime ordinario). Peraltro, una soluzione di carattere analogo era già stata adottata dalla prassi con riferimento al regime della società armatoriali, che parrebbe del tutto simile a quello in parola poiché prevede un abbattimento del reddito imponibile nella misura dell’80%.

L’allocazione secondo tale criterio dovrebbe precludere l’applicazione della disciplina di cui all’art. 109, comma 5, TUIR, in base alla quale i costi promiscui sono deducibili in misura corrispondente al rapporto tra i ricavi tassati (o non tassati in quanto esclusi) e il totale dei ricavi, prevedendo la sterilizzazione della porzione di costi generali riferibili ai ricavi esenti. In particolare, l’inoperatività del citato art. 109, comma 5 sarebbe giustificata, da un lato, dal fatto che la detassazione nel contesto del reshoring non riguarda proventi ma il reddito in generale e, dall’altro, dalla volontà di evitare possibili distorsioni generate da una doppia sterilizzazione.

D.3. Un esempio di costi comuni ad attività agevolate e soggette a tassazione ordinaria potrebbe essere rappresentato dagli interessi passivi, i quali, lo si anticipa, presentano per loro natura talune peculiarità.

La Circolare Assonime in commento sembrerebbe suggerire di procedere, in prima battuta, ad un calcolo separato ai sensi dell’art. 96 TUIR degli interessi deducibili (o eccedenti) afferenti l’attività agevolata e le altre attività mediante la predisposizione di due distinti ROL. In un secondo momento, i risultati così ottenuti dovrebbero essere consolidati.

Va evidenziato che, in caso di finanziamenti, l’imputazione degli interessi passivi solamente all’attività trasferita dovrebbe essere consentita solo se questi ultimi sono contratti esclusivamente con l’intento di finanziare detta attività (cfr. Risposta a interpello n. 745 del 27 ottobre 2021, in materia di rinuncia ai crediti da parte del socio di una società che applica il regime del “Registro Internazionale”) e, in caso contrario, dovrebbe essere consentita l’allocazione solo della quota riferibile all’attività agevolata.

Questo approccio non parrebbe tuttavia allineato la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 142/2018, la quale lascerebbe intendere che la determinazione del ROL debba essere unitaria e che in presenza di regimi di esenzione (come quello della c.d. branch exemption) e di esclusione dal reddito (come quella previsto alla previgente disciplina del Patent box) si debba procedere solo ad una rettifica del ROL in modo da escludere dal computo le componenti ivi incluse e detassate per effetto dell’agevolazione.

Da un punto di vista pratico, in base a tale impostazione si dovrebbe, in primo luogo, procedere a rettificare il ROL fiscale delle componenti relative all’attività agevolate nella misura del 50% e poi, in un secondo momento, a decrementare di pari misura l’importo degli interessi passivi imputabili all’attività oggetto di reshoring in modo da raffrontare due grandezze che possano dirsi omogenee.

Detta metodologia è, tuttavia, ritenuta del tutto coerente da parte di Assonime, in quanto non sarebbe in grado di assicurare che gli interessi passivi deducibili a livello di impresa nel complesso possano essere allineati al totale degli interessi passivi che avrebbero assunto rilevanza qualora le medesime attività fossero pertinenti a due entità separate, anziché in un unico soggetto

A latere, si evidenzia che al termine del periodo agevolabile potrebbero essere presenti eccedenze di interessi passivi, di interessi attivi o di ROL (quest’ultimo riportabile in ogni caso nel limite del periodo di 5 anni) generate dall’attività trasferita. Partendo dalle eccedenze di interessi passivi, e posto che l’originaria variazione in aumento effettuata ai fini della determinazione del reddito imponibile porterebbe alla loro rilevanza per la quota del 50%, appare logico che la corrispondente variazione in diminuzione effettuata dopo il periodo di vigenza del reshoring sia rilevante nella medesima misura. Questo approccio potrebbe anche essere supportato dal sopra richiamato principio di simmetria applicabile alle perdite che fissa il momento di quantificazione della limitazione dell’ammontare compensabili nel momento di formazione delle stesse.

E. La determinazione del reddito ai fini IRES e IRAP richiede, inoltre, l’attribuzione di un valore fiscale agli asset afferenti all’attività economica oggetto di trasferimento.

Sulla scorta delle considerazioni effettuate al paragrafo 2, in caso di beni posseduti dalle imprese commerciali dovrebbe trovare applicazione la disciplina dell’entry tax di cui all’art. 166-bis TUIR, che prevede specifici criteri per la valorizzazione dei beni in ingresso in Italia nelle diverse ipotesi di trasferimento della residenza, anche per effetto di operazioni straordinarie, o di un complesso aziendale.

Seguendo la regola di carattere generale, il riconoscimento del valore fiscale dovrà avvenire al valore di mercato ex art. 110, comma 7, TUIR, ove sia effettuato da soggetti residenti in Paesi extra-europei inclusi nella lista di cui all’art. 11, comma 4, lett. c), D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 degli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni, o interessi una stabile organizzazione in regime di branch exemption ivi situata. Nel caso in cui invece i soggetti che effettuano il trasferimento rilevante provengano da Stati e territori non inclusi nella white list (che nella pratica rappresentano ipotesi del tutto residuali), il criterio del valore di mercato potrà trovare applicazione solo ad esito di un accordo preventivo di cui all’art. 31-ter D.P.R. n. 600/1973; in caso contrario, sarà assunto come valore fiscale delle attività trasferite, il minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore di mercato, mentre per le passività, in misura pari al maggiore tra questi.

L’applicazione della normativa dell’entry tax nell’ambito del reshoring potrebbe quindi recare il vantaggio di consentire un eventuale step-up sui valori in entrata anche in assenza di una tassazione in uscita.

E invero, il criterio del valore di mercato (salvo per le eccezioni rappresentate per le attività provenienti da Paesi black list) ha valenza assoluta e deve essere applicato anche ai beni che «non sono più presenti in bilancio in quanto completamente ammortizzati o il cui valore contabile sia inferiore al loro fair value» (cfr. ris. n. 69/E/2016). In questi casi, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto la legittimità di procedere alla deduzione delle maggiori quote di ammortamento fiscale in via extra-contabile in base alla deroga al principio di previa imputazione dei costi al conto economico contenuta nell’art. 109, comma 4, lett. a), TUIR, che prevede la deduzione dei componenti negativi che, «pur non essendo imputati a conto economico, sono deducibili per disposizione di legge» (cfr. Interrogazione parlamentare 5-08068 del 10 marzo 2016 e citata ris. n. 69/E/2016). Il medesimo principio dovrebbe valere per i fondi rischi e quindi dovrebbero considerarsi dedotti, come osservato da Assonime (cfr. Circolare 4 agosto 2021, n. 24), «in modo del tutto analogo a quanto accade quando l’acquirente di un compendio aziendale ripartisca il corrispettivo pagato tra le attività e le passività, compresi i fondi rischi».

È, inoltre, possibile attribuire un valore fiscale all’avviamento tenendo in considerazione le funzioni e i rischi trasferiti anche in assenza di un acquisto contro corrispettivo nel Paese di provenienza, dovendosi considerare superato – per effetto dell’introduzione ad opera del “decreto internazionalizzazione” del comma 4 all’art. 166-bis TUIR – l’orientamento espresso dalla prassi nella ris. 5 novembre 2019, 92/E secondo cui tra gli asset suscettibili di valorizzazione in entrata non era «riconducibile l’avviamento autoprodotto all’estero».

L’art. 166-bis TUIR è, tuttavia, applicabile solo ai soggetti che conseguono reddito d’impresa. Da chiarire, dato il vuoto normativo, se i medesimi criteri possano essere estesi ai soggetti esteri che esercitano in Italia attività professionali, come dovrebbe essere.

Problematica è l’applicabilità dei criteri previsti dall’art. 166-bis anche ai fini IRAP. In passato, l’Amministrazione finanziaria (cfr. Risposta a interpello n. 460/2019) si era espressa in senso negativo, sulla base dell’assunto che l’IRAP dovesse ritenersi un tributo autonomo rispetto all’IRES che si fonda sulla cosiddetta “presa diretta” dal bilancio.

Secondo Assonime, tale posizione dovrebbe essere riconsiderata posto che l’art. 166-bis richiama la disciplina del transfer pricing la quale è rilevante anche ai fini IRAP. Diversamente, del resto, se si considerasse il costo storico in luogo di quello di mercato, si finirebbe per attrarre in Italia plusvalori formati all’estero prima del trasferimento, e questo sarebbe manifestamente contrario al presupposto del tributo regionale che è quello di tassare il valore della produzione realizzata sul territorio nazionale.

Come si precisa anche nella Circolare in esame, il regime del reshoring non deroga alle regole ordinarie di determinazione dell’imponibile. Di conseguenza, le variazioni temporanee effettuate nel periodo di vigenza dell’agevolazione, partendo dai valori rilevati con i criteri di cui sopra, rileveranno per il medesimo importo nel momento del loro riassorbimento, anche quando il contribuente sarà transitato al regime ordinario al termine del quinquennio in cui vige l’agevolazione.

F. Il regime agevolativo del reshoring può inevitabilmente intersecarsi con altri istituti previsti dal TUIR.

In primo luogo, la società che beneficia del reshoring dovrebbe poter aderire al regime del consolidato fiscale, fermo restando la sussistenza delle altre condizioni previste dall’art. 117 e seguenti del TUIR. In base all’art. 126, comma 1, TUIR l’opzione è preclusa alle società che fruiscono di riduzione delle aliquote IRES. Al contrario (come precisato anche nella circ. 20 dicembre 2004, n. 53/E, par. 2.2.2.), tale esclusione non dovrebbe esplicare i propri effetti nelle ipotesi di esenzione, totale o parziale, dal reddito da imposizione (al pari delle agevolazioni di tipo territoriale o settoriale), che a ben vedere dovrebbero comprendere anche l’agevolazione in esame. A favore di questa lettura sembra determinate il fatto che la disposizione in commento non contiene un divieto specifico all’adesione al consolidato, al contrario ad esempio di quanto espressamente previsto per i soggetti che applicano la tonnage tax nell’art. 160 TUIR.

A nostro giudizio, nel caso di inclusione nel perimetro del consolidato di un’impresa che beneficia del regime in parola dovrebbero in linea di principio valere le medesime considerazioni effettuate in relazione alla gestione del meccanismo di deducibilità degli interessi passivi ove coesistano attività agevolabili ed attività soggette a imposizione ordinaria. In tale circostanza, il consolidato produrrebbe, infatti, una condizione di concorrenza ad imposizione di redditi derivanti da due gestioni differenti nel medesimo periodo.

Stesse conclusioni dovrebbero valere per il regime di trasparenza fiscale di cui all’art. 115 TUIR, posto che esso è precluso solo nel caso in cui i soci della società partecipata fruiscano di una riduzione dell’aliquota IRES, non essendo attivabile quando il reddito della partecipata sia in tutto o in parte detassato.

Per quanto riguarda il rapporto tra il regime in esame e le altre agevolazioni, la normativa in esame non prevede alcun divieto esplicito di cumulo tra gli incentivi, come non manca di evidenziare la Circolare Assonime.

Con specifico riferimento al credito per attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 1, commi 198 ss., L. n. 160/2019, le spese ammissibili vanno assunte al netto di contributi e sovvenzioni ricevute a qualsiasi titolo: il beneficio del reshoring non dovrebbe ricadere in questa categoria in quanto riguarda la detassazione del reddito e non il costo dei beni relativi all’attività agevolata.

Quanto all’interrelazione tra la disciplina del reshoring e quella del Patent box, non dovrebbero essere tenuti in considerazione i costi sostenuti prima del trasferimento in Italia. E infatti, il provvedimento attuativo sul Patent box (art. 3.4 del Provvedimento direttoriale prot. n. 48243/2022) consente di attribuire rilevanza solo alle attività “svolte in laboratori o strutture situate nel territorio dello Stato” o in Stati UE e SEE, onde devono ritenersi esclusi quelli sostenuti per attività svolte in Paesi extra EU o SEE.

La Circolare Assonime in esame si interroga se la detassazione prevista dal regime del reshoring possa essere rilevante (o meno) ai fini della normativa anti-ibridi di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 142/2018.

La risposta dovrebbe essere negativa in quanto la disciplina in commento non integra una fattispecie di D/NI (deduzione non inclusione). In particolare, per ricadere nella disciplina anti-ibridi dovrebbe presentarsi un quid pluris rispetto a un effetto di deduzione e non inclusione in due giurisdizioni riconducibile a una cosiddetta causa ibrida dovuta dalla presenza di strumenti finanziari e/o entità diversamente qualificati (ovvero di componenti reddituali attribuiti in modo asimmetrico) dalle giurisdizioni fiscali coinvolte nell’operazione.

G. La normativa in esame prevede, infine, un meccanismo di recupero dell’agevolazione nel caso in cui l’attività economica agevolata venga successivamente ritrasferita in uno Stato extra-europeo ed extra-SEE nel periodo di 5 anni dal termine del regime agevolato o nei 10 anni successivi ove la beneficiaria sia un’impresa di grandi dimensioni, così come individuato dalla Raccomandazione 2003/361/CEE della Commissione del 6 maggio 2003 (i.e. da individuarsi per differenza rispetto alle PMI, nelle imprese che hanno più di 250 dipendenti e un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro o un totale di bilancio annuo superiore a 43 milioni di euro).

Da un punto di vista temporale, il periodo quinquennale o decennale decorrente dalla scadenza dell’agevolazione potrebbe essere interpretato quale termine ultimo per l’applicazione del meccanismo di recapture e, quindi, esso dovrebbe operare anche nei periodi agevolati.

Sempre su questo fronte, la norma del reshoring dovrebbe configurarsi come una disciplina speciale rispetto a quella prevista dall’art. 5 D.L. n. 87/2018 in materia di aiuti di Stato la cui decadenza si verifica ove l’attività venga delocalizzata. Su tali basi, il meccanismo di recapture dovrebbe attivarsi anche nel caso di un trasferimento parziale dell’attività che ha beneficiato dell’agevolazione e dovrebbe comportare il recupero delle imposte non pagate per effetto dell’abbattimento del reddito al 50% incrementate degli interessi.

Nel caso di un soggetto che svolga più attività – agevolate e non – l’importo da versare dovrebbe essere determinato riliquidando gli imponibili dei periodi di imposta interessati originariamente dall’agevolazione anche laddove in tali periodi siano maturate perdite. Le perdite che hanno subito una decurtazione per effetto dell’art. 83 TUIR venendo meno l’agevolazione dovrebbero essere riconsiderate nella misura del 100%.

Il trasferimento dovrebbe intendersi in senso fisico e quindi l’ambito di applicazione della recapture pare escludere il ridimensionamento dell’attività rimpatriate dovute a fatti meramente gestionali genuini riconducibili, ad esempio, a congiunture negative di mercato. Alla stessa stregua, non dovrebbe ritenersi elusiva la scelta di cedere il business a terzi o anche ad altre entità del gruppo. Su questo aspetto ci si chiede se il terzo nel periodo di sorveglianza debba astenersi dal delocalizzare detto business in uno Stato extra-EU. Dovrebbe risultare, altresì, irrilevante: (i) la cessione di asset isolati a controparti che eventualmente procedano al loro trasferimento all’estero quando gli asset in questione siano sostituiti e l’attività prosegua in Italia senza soluzione di continuità; (ii) l’avvio della stessa tipologia di attività oggetto di reshoring all’estero.

H. Una questione da chiarire riguarda gli effetti che si potrebbero avere nel caso in cui l’attività economica oggetto di reshoring sia trasferita dal soggetto beneficiario ad altro soggetto, fermo restando il requisito del radicamento sul territorio italiano.

E invero, in caso di trasferimento della titolarità dell’attività agevolata attraverso operazioni fiscalmente neutrali, come fusioni e scissioni, la normativa di favore in esame dovrebbe continuare a operare senza soluzione di continuità. Inoltre, per effetto del subentro dell’avente causa nelle posizioni soggettive del dante causa, il meccanismo di recapture dovrebbe applicarsi anche alla società risultante dalla fusione ovvero alla beneficiaria della scissione.

Passando al contesto di un’operazione di cessione d’azienda, occorre preliminarmente osservare che i plusvalori realizzati dal cedente sono attratti al regime di detassazione in esame. Di converso, il cessionario, in coerenza con i principi generali, prenderà in carico l’azienda ai nuovi valori così come risultanti dal corrispettivo pagato.

Alcune indicazioni sulla possibilità di continuare (o meno) il regime agevolato in capo al cedente possono desumersi dall’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 87/2018 in materia di limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti di Stato. Tale disposizione prevede che il distoglimento dell’attività dal sito produttivo oggetto di incentivi ad altro sito sia rilevante ai fini del recupero dell’aiuto solo quando il trasferimento sia realizzato dalla stessa impresa beneficiaria o da altra impresa controllata o collegata, con l’effetto di penalizzare solo le delocalizzazioni realizzate o riconducibili al di fuori del medesimo soggetto economico.

A contrariis, sembra possibile affermare che il cessionario appartenente al medesimo gruppo societario del cedente possa continuare a fruire dell’abbattimento della base imponibile per i periodi rimanenti del quinquennio ed essere parimenti assoggettato quindi al meccanismo di recapture.

Scenario diverso dovrebbe all’opposto delinearsi qualora la cessione fosse effettuata a favore di soggetti terzi. In questo caso, la preclusione all’accesso al regime agevolato dovrebbe essere determinata dal fatto che, ai fini fiscali, l’acquirente inizia un’attività ex novo in discontinuità con il dante causa e con i nuovi valori di riferimento, in modo non dissimile a quanto accade nel caso di acquisto di beni non agevolati.

Come chiarisce anche la Circolare Assonime, anche nel caso del conferimento d’azienda va tenuta in debita considerazione la distinzione tra operazioni interne o esterne al perimetro del gruppo.

Più in particolare, per quanto riguarda i conferimenti d’azienda tra società del medesimo gruppo, dovrebbero poter essere applicabili regole analoghe a quelle appena delineate nell’ipotesi di cessione. Per quanto concerne i conferimenti d’azienda a favore di soggetti terzi, occorre osservare preliminarmente che tale operazione è fiscalmente neutrale anche se non comporta il trasferimento delle posizioni soggettive. In tale contesto, se si reputa l’agevolazione in parola una posizione soggettiva non trasferibile, il regime del reshoring non dovrebbe continuare in capo al conferitario. Di converso, se si valorizza il fatto che l’attività trasferita non si considera realizzata a seguito del conferimento e prosegue fiscalmente senza soluzione di continuità, si potrebbe sostenere che tale operazione abbia un effetto successorio, prevedendo così la possibilità per il conferitario di beneficiarie dell’abbattimento del reddito del 50%, come avviene per fusioni e scissioni.

I. Qualche osservazione, seguendo la scansione argomentativa della Circolare Assonime, va fatta con riguardo alla possibile interazione tra le GloBE Rules e la disciplina del reshoring.

Com’è noto, il D.Lgs. n. 209/2023 ha attuato la Direttiva (UE) 2022/2523 che prevede un serie di regole che garantiscono un livello impositivo minimo del 15% per i gruppi nazionali o multinazionali che superano la soglia di ricavi di 750 milioni di euro. L’Italia si è avvalsa della facoltà di introdurre un’imposta minima nazionale in relazione a tutte le imprese localizzate in Italia (cd. Qualified Domestic Minimum Top Up Tax QDMTT).

In tale contesto, l’agevolazione del reshoring si presenta quale incentivo fiscale di natura permanente e comporta una riduzione del livello di imposizione effettiva. Di conseguenza, un gruppo multinazionale che usufruisce del regime agevolativo in esame potrebbe essere tenuto a versare l’imposta minima nazionale.

L’entità dell’imposta QDMTT dipenderà dalla modalità di calcolo dell’Effective Tax Rate.

Ipotizzando che sia svolta in Italia solo l’attività agevolata, il differenziale – nel caso in cui si considerasse la sola IRES – sarebbe pari al 3% (15% – 24%*50%). Potrebbero esservi, tuttavia, buone argomentazioni per ricomprendere nelle Covered Taxes anche l’IRAP, con la conseguenza che tale differenza sarebbe ridotta all’1,05% (15%-27,9%*50%).

L’imposta minima nazionale si ottiene poi moltiplicando tale aliquota dell’1,05% per il c.d. profitto eccedente, ossia il reddito netto che risulta dopo aver scomputato la quota esente che riflette la remunerazione ordinaria dell’attività economica (Substance-Based Income Inclusion – SBIE).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ascoli G. – Pellecchia M., Trasferimento in Italia di attività economiche, in il fisco, 2023, 46, 4365 ss.

Assonime, circolare 23 febbraio 2024, n. 4

Assonime, circolare 4 agosto 2021, n. 24

Avolio D. – Piazza M., Il reshoring di attività economiche e il caso delle società holding, in il fisco, 2024, 4, 321 ss.

Michelutti R. – Prampolini A. – D’Ettorre A., Il trasferimento in Italia di attività economiche (reshoring), in Corr. trib., 2024, 3, 205 ss.

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