Questioni giuridiche irrisolte in tema di rimborso dell’addizionale sull’accisa sull’energia elettrica riscossa dagli enti territoriali

Di Gianluca Selicato -

Abstract

Sul diritto al rimborso dell’addizionale sull’accisa sull’energia elettrica riscossa dagli enti territoriali nel biennio 2010 e 2011 e sul percorso necessario a conseguirlo continuano a stratificarsi statuizioni di una copiosa giurisprudenza di merito, di legittimità ed europea. Ciononostante, la materia continua ad essere feconda di questioni giuridiche che alimentano grandi preoccupazioni negli enti territoriali. I profili più critici attengono probabilmente la prescrizione dal diritto e la decadenza dall’azione di rimborso, nonché il riparto dell’onere probatorio che viene generalmente banalizzato. Eppure, attorno questi temi si gioca una partita fondamentale per la stabilità finanziaria degli enti territoriali.

Unresolved issues regarding reimbursement of the additional excise duty on electricity collected by local authorities  – On the right to reimbursement of the additional excise tax on electricity collected by local authorities in the two-year period 2010 and 2011 and on the path necessary to achieve it, contributions continue to be offered by copious substantive, legitimate and European jurisprudence. Nonetheless, the subject continues to be full of legal issues that fuel great concerns in local authorities. The most critical aspects probably concern the prescription of the law and the forfeiture of the reimbursement action, as well as the distribution of the evidentiary burden which is generally trivialized. Yet, a fundamental game is being played around these issues for the financial stability of local authorities.

Sommario: 1. Le liti da rimborso dell’addizionale sull’accisa sull’energia elettrica riscossa dagli enti territoriali nel biennio 2010 e 2011. – 2. Ancora in tema di legittimazione passiva al rimborso, alla luce degli schemi di attuazione del soppresso tributo… – 3. … In attesa dell’enunciazione del principio di diritto a seguito del rinvio pregiudiziale alla Suprema Corte ex art. 363-bis. – 4. Questioni irrisolte in punto di prescrizione e decadenza. – 5. Considerazioni conclusive sul riparto dell’onere probatorio nei procedimenti e nelle liti da rimborso.

1. Sta assumendo una certa consistenza ed offre interessanti spunti di riflessione il filone giurisprudenziale in materia di liti da rimborso dell’addizionale sull’accisa sull’energia elettrica riscossa dagli enti territoriali nel biennio 2010 e 2011 in virtù dell’art. 6 D.L. 28 novembre 1988, n. 511. In estrema sintesi, il prelievo, commisurato ad ogni kWh fornito di energia elettrica, variava in funzione della tipologia dell’utente e dell’entità dei consumi dal momento che, quanto agli impieghi domestici, l’addizionale era destinata ai municipi e teneva conto delle caratteristiche dell’immobile ad uso abitativo (prima casa o meno, residenza anagrafica del suo occupante, ecc.); invece, gli altri consumi mensili non superiori a 200 chilowatt e relativi a locali e luoghi diversi dalle abitazioni scontavano un prelievo in favore delle Province. Infine, al superamento di tale limite, la liquidazione e la riscossione dell’addizionale avvenivano con le stesse modalità dell’imposta di consumo sull’energia elettrica ed il suo gettito affluiva direttamente all’Erario.

Il presupposto del tributo era il medesimo dell’imposta di consumo dell’energia elettrica, armonizzata ad opera della Direttiva 2008/118/CE del Consiglio europeo e trasfusa nell’art. 52 del Testo Unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative (D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, c.d. TUA). La disciplina unionale delle accise ha tuttavia ridotto la sovranità impositiva nazionale vietando l’istituzione di imposte indirette destinate a colpire il consumo dei medesimi prodotti sottoposti ad accisa (su questi temi cfr. Verrigni C., Le accise nel sistema dell’imposizione sui consumi, Torino, 2017, 89, ss.), ove non conformi alle norme europee sulla determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto ed ove non protese al perseguimento di finalità specifiche quali, nel caso che ci occupa, la riduzione dei costi ambientali connessi al consumo di energia elettrica o alla promozione della coesione territoriale e sociale.

Proprio in relazione a tale ultimo profilo, nel 2011 la Commissione europea ha ritenuto che l’addizionale italiana potesse confliggere con l’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, poiché priva di una “finalità specifica” differente rispetto al mero procacciamento delle ordinarie risorse necessarie all’assolvimento dei compiti istituzionali di enti locali e Regioni. La procedura d’infrazione è stata tuttavia scongiurata dall’abrogazione del prelievo nell’ambito della revisione della finanza degli enti territoriali avvenuta con i decreti legislativi 14 marzo 2011, n. 23, per quanto attiene la fiscalità dei Comuni, e 6 maggio 2011, n. 68, per ciò che attiene i tributi delle Province e Regioni a statuto ordinario. Il Governo italiano, dunque, per prevenire l’irrogazione di sanzioni nei confronti dello Stato, si è affrettato a riallineare la legislazione nazionale a quella europea, disponendo espressamente l’abrogazione dell’art. 6 D.L. n. 511/1988 ad opera dell’articolo 4, comma 10, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, a favore di uno speculare incremento dell’importo dell’accisa sull’energia elettrica erariale necessario ad assicurare l’invarianza finanziaria delle entrate complessive.

Tali interventi non sono riusciti, invece, a fugare alcuni profili di criticità del prelievo intervenuto nel periodo intercorrente tra il recepimento della Direttiva europea nell’ordinamento interno, ad opera del D.Lgs. 29 marzo 2010, n. 48, e la data di soppressione del tributo. Anche in relazione alle addizionali sull’accisa riscosse in tale arco temporale, infatti, la Suprema Corte, con la sentenza del 23 ottobre 2019, n. 27101, ed altre successive pronunce, ha riconosciuto sussistente un contrasto tra la disciplina interna e il diritto europeo, soffermandosi sulla sostanziale continuità tra l’art. 3, par. 2, della Direttiva 92/12/CEE e l’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, nella parte in cui condizionano l’esercizio della potestà impositiva degli Stati membri nell’applicazione di altre imposte indirette ai prodotti sottoposti ad accisa alla previsione di “finalità specifiche” di tali prelievi (al riguardo la Suprema Corte ha richiamato la CGUE 24 febbraio 2000, in causa C-434/97, Commissione/Francia, punto 19; CGUE 9 marzo 2000, in causa C-437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; CGUE 27 febbraio 2014, in causa C-82/12, Transportes lordi Besora, punto 23). Orbene, proprio l’assenza di una finalità specifica delle addizionali in commento, ovvero di una finalità diversa da quella di assicurare generiche entrate al bilancio dell’ente impositore (nel senso già censurato da CGUE, 27 febbraio 2014, cit., punto 29), individua il profilo di criticità del prelievo statale che ha indotto il Giudice di legittimità a disporne la disapplicazione per contrasto con l’art. 1, par. 2, della Direttiva europea 2008/118/CE, con conseguente avvio delle azioni di recupero di quanto versato da parte dei consumatori finali.

2. A fronte di un diritto di rimborso che può considerarsi sufficientemente assestato in termini generali, permangono incertezze sia sul versante attivo che su quello passivo del rapporto restitutorio.

Muovendo dal primo profilo, generalmente l’azione di rimborso è promossa dall’utente-contribuente nei confronti del fornitore-sostituito d’imposta e quest’ultimo, a valle della sentenza che impone la restituzione delle somme, si rivolge a sua volta all’ente impositore in linea con le previsioni dell’art. 14, comma 4, TUA. Tuttavia, laddove cause sopravvenute di forza maggiore precludano l’escussione del fornitore, la giurisprudenza ha ritenuto comunque ammissibile l’azione diretta del contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Dogane (si vedano al riguardo, inter alias, Cass., sez. V, sent. 24 maggio 2019, n. 14200, nonché Morri S. – Gatto A., Il diritto di rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica contrarie al diritto dell’Unione Europea: la posizione del fornitore, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, XVI, 486 ss.). Si tratta di una deroga coerente con il pensiero più recente della Corte di Giustizia UE secondo cui il principio di effettività risulterebbe violato laddove la preclusione legislativa nazionale, precludendo al consumatore finale di rivolgere la relativa istanza direttamente allo Stato membro, finisse per inibire in concreto il rimborso dell’accisa trattenuta e versata dal sostituto d’imposta (in questi termini CGUE, sent. 11 aprile 2024, causa C‑316/22).

Si profila quindi, su più fronti, un’interpretazione “sostanzialista” in quanto incline a riconoscere la cedevolezza dello schema tipizzato nel TUA a favore di una tutela effettiva del diritto dell’utente-contribuente di conseguire il ristoro delle somme illegittimamente riscosse. Tuttavia, la previsione di questo doppio binario non resta priva di conseguenze sui termini d’esercizio dell’azione di rimborso, sollecitando alcune considerazioni che saranno esposte a breve.

Maggiormente in ombra restano, invece, alcune implicazioni dello schema di attuazione del tributo, adesso soppresso, sul versante della legittimazione passiva al rimborso e sulle condizioni per il suo conseguimento. Va anzitutto chiarito al riguardo che, sebbene il soggetto destinatario del gettito potesse variare tra Municipio e Provincia (come detto, in base alla natura del consumatore) ovvero Erario (al superamento della soglia dei 200 chilowatt mensili), le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo erano comunque definiti unilateralmente dall’Amministrazione finanziaria, tant’è che le dichiarazioni di consumo ed i canali telematici di trasmissione delle stesse venivano predisposti ed aggiornati per ciascun periodo di imposta dall’Agenzia delle Dogane. Ad essa confluivano, inoltre, le informazioni che i sostituti d’imposta fornivano in forma aggregata ed agli stessi Uffici finanziari competevano le attività di accertamento e riscossione coattiva del tributo, residuando in capo agli enti territoriali un ruolo meramente formale e, se dovuta, la percezione materiale delle somme versate. In base all’art. 53 TUA, infine, la liquidazione e il versamento delle addizionali, esattamente come accadeva per le accise, era a carico del sostituto d’imposta, ovvero di colui che cedeva e fatturava l’energia elettrica ai consumatori finali (venditore) o che la utilizzava per uso proprio. L’art. 56, comma 1, riconosceva, quindi, a tale soggetto il diritto di rivalsa sui consumatori finali.

Venendo alle implicazioni che tali assetti riflettono sul procedimento restitutorio va preliminarmente evidenziato che la previsione di differenti destinazioni del gettito, non necessariamente coincidenti con la tesoreria centrale dello Stato, non costituisce un elemento sufficiente ad influenzare la natura del tributo. La Corte costituzionale, infatti, fin dalla nota sentenza n. 296 del 26 settembre 2003, ha chiaramente e ripetutamente rimarcato che i tributi istituiti e disciplinati con legge dello Stato (in quel caso l’IRAP) non rientrano nella competenza concorrente, bensì in quella esclusiva statale (art. 117, comma 2, lett. e), così mantenendo la natura di tributi erariali (cfr. Uricchio A.F., (voce) Tributi comunali, provinciali, in Cassese S. (a cura di), Diz. enc., vol. VI, 2006; nonché, Selicato G., La nuova autonomia impositiva degli Enti territoriali, in Dir. prat. trib., 2005, 6, I, 1177, ss). Rispetto ad essi, la potestà tributaria dell’ente territoriale assolve una funzione meramente attuativa, a prescindere dall’introito del gettito e dalla facoltà dell’ente territoriale – che pure sussiste nel caso dell’addizionale provinciale – di fissare l’aliquota dell’addizionale all’interno di una forbice stabilita dal legislatore statale. Nessuno di questi elementi incide sulla matrice del tributo che resta erariale e che identifica nello Stato e nelle sue Agenzie i soggetti titolari della potestà impositiva e, dunque, della sua gestione (in senso analogo, tra le tante, le successive sentenze della Corte costituzionale nn. 296/2003, 311/2003 e 241/2004, nonché la n. 97/2013 secondo cui «i tributi propri derivati, che sono istituiti e regolati dalla legge dello Stato, ma il cui gettito è destinato a un ente territoriale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali»).

Questi assetti assumono rilievo nell’identificazione del soggetto legittimato, sul versante passivo, a definire la procedura di rimborso, assegnando un’indiscutibile centralità dell’Erario nello schema impositivo in rassegna. Inoltre, a prescindere dalla sfera giuridica in cui si ripercuotono gli effetti patrimoniali del prelievo (che può variare, come si è visto, in conseguenza della complessità del presupposto impositivo), la descritta natura del tributo e la centralizzazione sull’Agenzia delle Dogane di ogni adempimento correlato alla sua gestione (predisposizione del modello di dichiarazione, definizione delle modalità di versamento, ricezione dei flussi di informazioni, attività accertativa, ecc.) depongono a favore della centralità del suo ruolo nelle vicende restitutorie.

Il difetto di legittimazione passiva degli enti territoriali, sostanzialmente estromessi dalla gestione del tributo, ha trovato dapprima conferma nella giurisprudenza tributaria di merito, grazie ad un orientamento formatosi nelle liti da rimborso che hanno già coinvolto Città Metropolitane, tra cui Milano, Bologna e Bari, e Province, come Piacenza e Bergamo. Tra le sentenze favorevoli alla legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane si segnalano quelle pronunciate dalle Corti di Giustizia tributaria di I grado di Bologna, n. 1/2022, di Milano, n. 397/2022, di Piacenza, n. 132/2022, di Bergamo, n. 339/2023, di Bari, n. 1818/2023.

In senso opposto, invece, la stessa Corte di Giustizia tributaria di I grado di Bari, nelle sentenze nn. 2055/2023 e 223/2024, quella di Brindisi, nella sentenza 12 dicembre 2022, n. 493, quella di Como, con sentenza 6 maggio 2023, n. 131 ed altre, che radicano in capo all’ente percettore del prelievo la legittimazione passiva nei procedimenti e nelle eventuali liti da rimborso.

Questa seconda tesi profila alcune criticità cui si è soliti prestare scarsa attenzione ma che sono destinate ad emergere, soprattutto sul piano operativo, nella verifica del presupposto del diritto al rimborso, ovvero l’intervenuta corresponsione del tributo, atteso che gli enti territoriali, a differenza dell’Erario, non hanno contezza degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione, disponendo invece delle sole informazioni contenute nelle comunicazioni in forma aggregata sui volumi di accisa che il sostituto ha indirizzato all’Agenzia delle Dogane e che non consentono, quantomeno senza la collaborazione della stessa Agenzia, di verificare quali somme siano state in concreto versate per la specifica utenza.

3. Ci si riserva di tornare a breve sui profili che attengono la fondatezza della pretesa restitutoria e l’identificazione del soggetto onerato della sua dimostrazione, anche perché destinati a perdere d’importanza col superamento del dissidio sulla soggettività passiva al rimborso che è ragionevole attendersi dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione disposto dalla Corte di Giustizia tributaria di I grado di Piacenza ai sensi del controverso nuovo art. 363-bis c.p.c. Tale norma, infatti, consente al giudice di merito di rimettere pregiudizialmente alla Corte di Cassazione la soluzione di questioni di solo di diritto che presentino gravi difficoltà interpretative, che siano suscettibili di porsi in numerosi giudizi e sempre che la questione, considerata necessaria alla definizione del giudizio di rinvio, non sia stata ancora risolta dalla Cassazione (sui presupposti dell’istituto e i suoi effetti sul processo cfr. Corraro D., Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ex art. 363-bis c.p.c. e la sua possibile estensione al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2024, 1, 69 ss.).

L’ordinanza 9 agosto 2023, n. 60 del Collegio piacentino, pur lasciando trasparire l’inclinazione favorevole a sostenere la responsabilità diretta delle province, piuttosto di quella agenziale, ha opportunamente sollecitato l’esercizio della funzione nomofilattica in ordine ai seguenti quesiti:

«a) […] chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta, in deroga ai principi civilistici in tema di ripetizione dell’indebito, che l’istanza di rimborso dell’accisa vada sottoposta sempre e comunque all’Amministrazione centrale dello Stato in persona dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ancorché le somme oggetto di ripetizione siano state versate a suo tempo direttamente all’Ente locale ai sensi dell’abrogato art. 6 D.L. 511/1988;

b) […] chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui il combinato disposto degli artt. 1 e 14 D.Lgs. 504/1995 e dell’art. 63 D.Lgs. 300/1999, anche alla luce di quanto disposto da C. Cost. 52/2013, varrebbe ad attrarre l’istituto del rimborso dell’accisa alla competenza esclusiva dell’Amministrazione centrale dello Stato, in persona dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con aggravio procedimentale per il privato istante e con conseguente ritardo nel rimborso;

c) […] chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta, in deroga ai principi di cui alla L. 241/1990, che l’Ente locale destinatario dell’istanza di rimborso dell’accisa non provveda ad acquisire, in sede istruttoria, tutte le informazioni agevolmente richiedibili al privato istante e/o alle altre amministrazioni che ne siano in possesso, determinando con il proprio rigetto la competenza dell’Amministrazione centrale;

d) […] chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta che il privato non possa invocare gli effetti favorevoli conseguenti al giudicato civile, e segnatamente quelli derivanti dall’efficacia esecutiva della sentenza, ancorché resa in un procedimento nel quale non fosse parte l’Amministrazione, laddove l’istanza nei confronti dell’Amministrazione assuma come proprio presupposto proprio l’autorità di quel giudicato

e) In ogni caso, […] chiarire se sia la Provincia ovvero l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ad essere legittimata passiva rispetto alla richiesta del venditore-fornitore di energia elettrica di rimborso delle somme restituite al consumatore ed indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale sulle accise, istituita con l’art. 6 D.L. n. 511 del 28.11.1988 convertito con L. n. 20 del 27.01.1989, con riferimento alle forniture di potenza non superiore a 200kw».

Nel solco del rimedio processual-civilistico, la cui applicabilità al processo tributario è stata a lungo dibattuta anche in ragione dell’abbandono dell’iniziale proposito degli estensori della L. n. 130/2022 di introdurre un istituto di analogo tenore nel D.Lgs. n. 546/1992 (l’art. 62-ter, per i cui approfondimenti si rinvia a Pistolesi F., Il primo caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione in materia tributaria, in Giustizia.insieme.it, 13 giugno 2023; Coppola P., Il rinvio pregiudiziale dipende dalla riforma del processo civile, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 172 ss.; Glendi G., Dal principio di diritto nell’interesse della legge al rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione nell’ambito della giustizia tributaria riformata: il rischio di cortocircuito tra “astratti principi di diritto” e “concrete fattispecie impositive”, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 56 ss.), il Primo Presidente della Suprema Corte, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, ha adottato il proprio provvedimento 2 ottobre 2023, n. 16910 rimettendo alla Sezione tributaria l’enunciazione del principio di diritto che potrebbe dissolvere in via definitiva le incertezze sulla legittimazione passiva nel rimborso delle addizionali provinciali sulle accise (al riguardo vd. Muliere I., Legittimazione passiva delle province in tema di rimborso sulle addizionali alle accise sull’energia elettrica: il recente rinvio pregiudiziale alla Suprema corte di cassazione, sezione tributaria, in fiscalitadellenergia.it, 21 novembre 2023).

Ma se i dissidi tra Corti di merito in ordine alla legittimazione passiva nei procedimenti e nelle liti da rimborso appaiono destinati a risolversi per effetto dell’intervento chiarificatore dei Giudici supremi, altre questioni giuridiche rilevanti nell’azione restitutoria continuano ad emergere dai giudizi tributari di merito e richiedono perciò stesso di essere qui segnalate.

4. Assume un ruolo centrale nelle liti sul recupero dell’addizionale, ad esempio, l’individuazione delle norme che regolano, in questa materia, il termine entro cui esercitare il diritto a presentare l’istanza di rimborso, oltre che il dies a quo della sua effettiva decorrenza (sul diritto al rimborso in generale e sulle sue ordinarie modalità di suo esercizio si veda Paparella F., Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2011, 323 ss.).

Possono prospettarsi, al riguardo, due differenti ipotesi. La prima fa riferimento all’art. 14, comma 4, TUA, che disciplina l’insorgenza del diritto al rimborso in conseguenza di un’azione giudiziaria. In base a questa norma, infatti, «qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».

Molte controversie recentemente instaurate dalle società fornitrici di energia elettrica (soggetti obbligati al pagamento dell’accisa) scaturiscono, in effetti, da tale previsione atteso che, soltanto a valle del passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito – o che definiranno – i giudizi civili promossi nei loro confronti da alcuni utenti finali (veri soggetti incisi dall’illegittimo prelievo) per l’accertamento del diritto a conseguire il rimborso dell’addizionale versata, riceve (o riceverà) impulso l’azione di rivalsa nei confronti dell’ente impositore o, come parrebbe più corretto, dell’Agenzia delle Dogane. Eppure, per quanto conforme al Testo Unico Accise, se avallata incondizionatamente, tale impostazione rischierebbe di travolgere la certezza dei rapporti giuridici dal momento che il passaggio in giudicato delle sentenze che impongono la restituzione delle somme potrebbe avvenire, in ragione di variegate vicende processuali, anche a distanza di moltissimi anni dal versamento delle stesse, complice il fatto che l’azione restitutoria potrebbe essere incardinata dal soggetto inciso dal prelievo molti anni dopo il versamento del tributo, fatto salvo il termine di prescrizione dell’azione per indebito.

Orbene, laddove l’avvio dell’azione non fosse comunicato al soggetto nei cui confronti il sostituto intende esercitare la rivalsa, si determinerebbe l’imprevedibilità delle conseguenze dei nuovi assetti e dei conseguenti potenziali oneri restitutori per un periodo di tempo eccessivamente lungo, in specie per le esigenze di stabilità e prevedibilità dei bilanci pubblici. Ne discende che, nell’ipotesi in cui volesse condividersi questa tesi, andrebbe quantomeno riconosciuta la necessità che l’atto interruttivo della prescrizione del diritto di rimborso compiuto dal contribuente sia portato contestualmente a conoscenza (anche) del soggetto che dovrà, in ultima istanza, disporre e/o erogare le somme indebitamente introitate. Nel caso opposto, la prescrizione finirebbe per perfezionarsi nei confronti dell’ente debitore, generando un’asimmetria rispetto alle vicende del sostituto ed alla sopravvivenza in vita del suo rapporto di debito.

Non dovrebbe sfuggire, del resto, la differenza tra prescrizione del diritto al rimborso, destinata a compiersi nei confronti del soggetto definitivamente inciso dal prelievo (l’utente-consumatore) allo spirare di un termine che deve computarsi dall’originario versamento delle somme, e decadenza dal diritto di azionare il credito riconosciuto nella sentenza passata in giudicato, di cui parla, a chiare lettere, l’art. 14, comma 4, TUA (per approfondimenti sulle differenze tra i due istituti cfr. Randazzo F., Decadenza e prescrizione nella disciplina dei rapporti tributari, in Riv. dir. trib., 2021, 5, I, 353 ss.; Farri F., Prescrizione e decadenza [dir. trib.], in Treccani, Diritto on line, 2018).

Una seconda impostazione valorizza altri enunciati del TUA e, in particolare, l’art. 14, comma 2, secondo cui il rimborso deve essere richiesto, anche in questo caso a pena di decadenza, «entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato», nonché l’art. 57, comma 3, secondo alinea, D.Lgs. n. 504/1995, il quale disciplina la prescrizione dell’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero dell’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica, dopo aver disposto che, ordinariamente, «il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo».

Ne potrebbe scaturire un inquadramento in termini più rigorosi e restrittivi dei presupposti d’esercizio del diritto di rimborso che indurrebbe a tener conto di due circostanze: la prima è che le azioni di rimborso da parte degli utenti finali si sarebbero potute, ed anzi dovute, promuovere fin dall’epoca della rideterminazione del sistema di prelievo comunale e provinciale ad opera dai decreti di attuazione del c.d. federalismo fiscale o, al più tardi, dall’abrogazione dell’addizionale, dichiaratamente intervenuta proprio per evitare che la procedura d’infrazione avviata nei confronti del Governo italiano giungesse a termine. Del resto, l’art. 4 D.L. n. 16/2012 non lascia dubbi al riguardo laddove, al comma 10, riferisce che: «a decorrere dal 1° aprile 2012, al fine di coordinare le disposizioni tributarie nazionali applicate al consumo di energia elettrica con quanto disposto dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, l’articolo 6 del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 1989, n. 20, é abrogato». Altri argomenti a favore di questa tesi possono attingersi dalla sentenza CGUE 11 aprile 2024, causa C‑316/22, già richiamata, con la quale viene interpretato l’art. 288, comma 3, TFUE in relazione ai cc.dd. “effetti (diretti) orizzontali delle direttive”. Più precisamente, i giudici lussemburghesi ritengono che tale principio non osti a che un giudice nazionale disapplichi, in una controversia tra privati, una norma statale istitutiva di un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una Direttiva europea – sebbene non ancora trasposta o non correttamente trasposta – allorquando «l’ente nei confronti del quale venga fatta valere la contrarietà di detta imposta» (nel nostro caso il fornitore-sostituto d’imposta) sia «soggetto all’autorità o al controllo dello Stato o disponga di poteri esorbitanti rispetto a quelli risultanti dalle norme applicabili ai rapporti tra privati». Orbene, il sostituto d’imposta, agendo da ausiliario della funzione accertativa e riscossiva erariale, appare dotato proprio di quei «poteri esorbitanti rispetto a quelli risultanti dalle norme applicabili ai rapporti tra privati» cui fa riferimento la Corte di Giustizia e che avrebbero dovuto indurre il giudice nazionale a disapplicare il diritto interno in contrasto con quello unionale.

Il diritto al rimborso, osservato in questa prospettiva, sarebbe quindi sorto già con l’adozione del D.L. n. 16/2012, profilandosi con evidenza, nel suo enunciato normativo, il contrasto tra il pregresso prelievo nazionale e la normativa europea ed il conseguente potere del giudice di fare corretta applicazione delle regole europee. Peraltro, ove si convenisse nell’individuazione del dies a quo per l’avvio dell’azione di rimborso nel 1° aprile 2012 – data di entrata in vigore della disposizione abrogatrice – andrebbe chiarito il motivo per cui la giurisprudenza di merito tende a prediligere il riferimento ad un termine prescrizionale decennale, il quale s’addice alle azioni per indebito arricchimento, anziché a quello, ben più breve, di cinque anni dall’immissione in consumo del bene soggetto ad accisa, specularmente attinto dall’art. 57, comma 3, TUA che, ad avviso di chi scrive, costituisce disposizione speciale deputata a trovare applicazione in luogo della regola generale.

Eppure, la Corte di Giustizia tributaria di I grado di Bergamo, nella recente sentenza n. 58/1/2024, non ha avuto esitazioni nel riconoscere il termine decennale di esercizio del diritto di rimborso, pur senza illustrarne le ragioni. Inoltre, vertendosi in una delle rare fattispecie di azione diretta del contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Dogane (anziché del fornitore-sostituto, poiché estinto e cancellato dal registro delle imprese), ha considerato non applicabile la disciplina speciale decadenziale dell’azione di rimborso dell’accisa ex art. 14 TUA che sarebbe stata invece applicabile alla lite da rimborso promossa dal fornitore. Tale secondo assunto appare condivisibile, diversamente dall’ulteriore statuizione secondo cui il termine prescrizionale dovrebbe iniziare a decorrere dalla data di pubblicazione delle sentenze della CGUE C-533/13 del 5 marzo 2013 e C-103/17 del 25 luglio 2018, anziché dalla data del versamento, poiché proprio tali pronunce avrebbero riconosciuto il contrasto tra l’art. 6 D.L. n. 511/1988 ed il diritto europeo (la sentenza bergamasca è commentata da Urbani Neri A. su Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2024).

Viene tuttavia da chiedersi perché mai, a fronte di un conclamato contrasto tra disciplina interna e diritto unionale che ha costituito oggetto di una procedura di infrazione e che ha indotto il legislatore, già nel 2012, a mutare gli assetti legislativi, debba seriamente subordinarsi il diritto a chiedere il rimborso del tributo al successivo intervento della Corte di Giustizia europea (che avrebbe anche potuto non esservi). Del resto, sostenendo che il termine prescrizionale non debba farsi decorrere dal giorno del versamento del tributo bensì da quando il conflitto tra disciplina interna e diritto europeo abbia assunto contorni più definiti nella (sola) giurisprudenza europea, la Corte di Giustizia di Bergamo configura un meccanismo restitutorio del tutto sganciato da quella supremazia dell’ordinamento europeo su quello interno che – anche a fronte di fattispecie meno palesi di violazione del diritto europeo – obbliga in ogni caso il giudice tributario a disapplicare le regole nazionali, essendo egli stesso custode di una gerarchia delle fonti che non può essere subordinata all’intervento della CGUE. In questo senso, ex multis, Cass., 8 novembre 2004, n. 21248, Cass., 22 ottobre 2007, n. 22067, Cass., 9 dicembre 2009, n. 25701, Cass., Sez. Un. 17 febbraio 2010, n. 3674, Cass. 15 maggio 2013, n. 11641, Cass., 16 dicembre 2015, n. 25278, Cass., 10 agosto 2016, n. 16923, Cass. 31 ottobre 2018, n. 27822. Si tratta delle sentenze ricordate proprio dalla stessa Suprema Corte nella sua sentenza n. 27101/2019, di cui s’è già detto poiché pronunciata proprio sul tema oggetto di questa analisi e che ha indotto i giudici di legittimità, già in quell’occasione, a ritenere che: «il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva n. 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento» che risultino in contrasto o incompatibili con essa.

Ci si dovrebbe piuttosto domandare se il collegamento alle sentenze CGUE C-533/13 del 5 marzo 2013 e C-103/17 del 25 luglio 2018, che la Corte di Giustizia bergamasca ha stabilito con l’avvio del termine di prescrizione del diritto al rimborso, non debba più correttamente invocarsi in relazione al (più breve) termine decadenziale di recupero dell’accisa previsto dall’art. 14 TUA. Del resto, la valenza interpretativa e dunque retroattiva delle sentenze della Corte di Giustizia europea configurano un preciso obbligo restitutorio che, nel nostro caso, non avrebbe necessitato di alcuna ulteriore specificazione e che avrebbe dovuto perciò indurre «il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa» (ergo, il fornitore dell’energia elettrica) ad attivare immediatamente il meccanismo restitutorio entro il termine decadenziale di novanta giorni stabilito dalla norma. Il che rende tale impostazione compatibile con i principi statuiti dalla Cassazione con le cinque sentenze gemelle del 30 settembre 2019 (nn. dal 24259 al 24263), con cui ha chiarito che il termine biennale per la presentazione dell’istanza di restituzione del credito per le agevolazioni in materia di accise decorre dal momento in cui si configura il presupposto costitutivo del beneficio (cfr. Baldi V., Sul rimborso delle accise: il termine biennale decorre dal momento di realizzazione del presupposto costitutivo del beneficio dell’agevolazione, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, XIV, 565 ss.).

5. Scarsamente indagato è anche il riparto dell’onere probatorio che, nelle liti da rimborso, grava principalmente sul soggetto che rivendica la restituzione di quanto asserisce di aver versato.

La questione attiene i giudizi incardinati dal fornitore nei confronti degli enti territoriali, anziché dell’Agenzia delle Dogane, e muove dalla necessità di porre gli intimati nelle condizioni di verificare il presupposto stesso del rimborso, ovvero l’avvenuto versamento delle somme (ed esattamente di quelle) di cui si chiede la restituzione. Tale dimostrazione viene generalmente banalizzata e data per superflua, poiché il fornitore adisce le Corti di Giustizia di merito considerando implicito l’intervenuto versamento di un tributo che ha già costituito oggetto di specifica richiesta da parte del suo cliente e del quale, in applicazione delle norme descritte nella prima parte di questo articolo, il ricorrente ha agito in qualità di sostituto d’imposta.

Invece, a ben vedere, lo schema di attuazione del prelievo stabiliva che il sostituto, solo dopo aver operato la ritenuta nei confronti dei propri utenti, ne effettuasse il (ri)versamento a favore degli enti locali (Comuni, Province e Città Metropolitane), compilando apposite dichiarazioni riassuntive dei consumi su base aggregata che venivano però indirizzate all’Agenzia delle Dogane. Dunque, l’ente territoriale convenuto, soprattutto a tanti anni di distanza, può incontrare oggettive difficoltà a reperire documentazione amministrativa per la quale potrebbe essere finanche cessato l’obbligo decennale di conservazione, adesso finalmente ascritto a criterio generale del sistema dei tributi ad opera della novella dell’art. 8 L. n. 212/2000 disposta, nell’ambito della più recente riforma del sistema fiscale italiano, dal D.Lgs. n. 219/2023 di aggiornamento dello Statuto del contribuente. Tale circostanza, in giudizi nei quali non sia stata convenuta neppure l’Agenzia fiscale, non andrebbe trascurata essendo del tutto evidente che in molte vertenze non ancora concluse e per le quali il sostituto non abbia tempestivamente informato l’ente territoriale dell’azione restitutoria in atto, quest’ultimo potrebbe non disporre dei conteggi, database e fogli di calcolo che gli consentano di verificare la corrispondenza tra le somme pretese in restituzione ed il loro effettivo versamento ad opera del sostituto. Le dichiarazioni periodiche di consumo, riassuntive dei versamenti effettuati, venivano del resto interamente gestite dall’Agenzia delle Dogane, cui le stesse venivano trasmesse, ed erano basate su una mole cumulata di operazioni, rispetto alle quali gli Uffici finanziari erariali, anziché quelli degli enti periferici, avrebbero dovuto condurre attività di controllo. È sufficiente consultare uno dei modelli di dichiarazione per evincere agevolmente l’inconferenza ai fini probatori delle informazioni da essa attingibili e, dunque, il marginale concorso di tali atti alla formazione della prova, che incombe sul ricorrente, del presupposto del rimborso.

L’eventuale assenza di tali allegazioni in sede giudiziale inibisce i riscontri contabili cui un ente territoriale non può sottrarsi e determina la violazione della regola base del riparto probatorio in ambito sostanziale e processuale che è contenuta nell’art. 2697 c.c., secondo cui «Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Eppure, a differenza di ciò che avviene nell’ipotesi in cui il contribuente-ricorrente si difenda da una pretesa impositiva, nel caso delle liti da rimborso, il ricorrente è attore in senso non solo formale, ma anche sostanziale del giudizio. Da ultimo, come è stato chiarito dalla Suprema Corte con specifico riferimento alla materia delle accise e delle loro addizionali (Cass. civ., sez. trib., sent. 23 ottobre 2019, n. 27099): «i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro».

L’insieme di tali circostanze sollecita un recupero di attenzione sull’oggetto della prova nei giudizi in rassegna ed alimenta scetticismo in ordine all’approssimazione con cui i fornitori, allorquando pretendano di rivolgere la domanda al solo ente territoriale e di mantenere estranea al giudizio l’Agenzia delle Dogane, fondino la propria domanda sulla mera configurazione del loro ruolo in termini di sostituto d’imposta, senza offrire prove ulteriori sula corrispondenza tra ciò che si è versato molti anni addietro e quanto si chiede adesso a rimborso.

Nonostante la ricchezza dei contributi offerti da una copiosa giurisprudenza di merito, di legittimità ed europea, questa materia continua quindi ad essere feconda di questioni giuridiche che alimentano grandi preoccupazioni negli enti territoriali. Dopo essere stati obbligati dal legislatore ad incassare un tributo di genesi statale, Comuni, Province e Città metropolitane avvertono adesso un comprensibile senso di abbandono nella delicata fase in cui, riconosciuta l’incompatibilità del prelievo con le regole europee, si trovano soli, incolpevoli ed in ordine sparso ad arginare le conseguenze di richieste di rimborso tanto legittime quanto indeterminate nel quantum e nel tempo.

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