RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass. civ., Sez. Un., 30 aprile 2024, n. 11676
Di STEFANO MARIA RONCO
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La massima della Suprema Corte (*)
Le Sezioni Unite civili – pronunciandosi su questione di massima di particolare importanza – hanno affermato i seguenti principi:
Nel processo tributario con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332 c.p.c., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno.
Nel processo tributario, le modalità di proposizione dell’appello incidentale – che l’art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 prevede che sia contenuto, a pena di inammissibilità, nell’atto di costituzione dell’appellato, al pari delle modalità di proposizione dell’appello incidentale che, a pena di decadenza, l’art. 343, comma 1, c.p.c., prescrive sia contenuto nella medesima comparsa di risposta depositata – riguardano esclusivamente le ipotesi di processi relativi a cause inscindibili o dipendenti, non anche quei giudizi nei quali siano portate al vaglio dell’organo giudiziario cause scindibili; pertanto, l’appellato che intende impugnare la sentenza anche nei confronti di una parte del giudizio di primo grado non convenuta dall’appellante principale in riferimento a cause scindibili, deve proporre l’appello mediante notifica nel termine di cui all’art. 23 D.Lgs. n. 546/1992, decorrente dal momento della conoscenza della sentenza e comunque non oltre i termini di decadenza dal diritto all’impugnazione.
Il (tentativo di) dialogo
La presenza di più parti nel processo tributario pone, come noto, svariate questioni applicative.
Tale stato di cose è, a tutta evidenza, il frutto della difficoltà di conciliare la natura impugnatoria del giudizio tributario con le logiche a cui risponde l’istituto del litisconsorzio, che sono state pensate e modellate in funzione della struttura del processo civile.
Allo stesso modo, però, l’interesse che al giudizio prendano parte più soggetti, nell’ottica di una corretta distribuzione dei carichi tributari tra i consociati in adesione ai canoni costituzionali di cui agli artt. 53 e 3 Cost., ha portato dottrina e giurisprudenza a rafforzare gli elementi di contatto tra diritto sostanziale e dinamica processuale ed a mitigare la natura di tipo prettamente impugnatorio del processo tributario, facendo riferimento a concetti quali, in particolare, il vincolo di pregiudizialità-dipendenza al fine di rafforzare i collegamenti tra atti e tra rapporti.
Le incertezze ed i ripensamenti che hanno contraddistinto tale percorso testimoniano, tuttavia, la difficoltà di bilanciare tale interesse di rilevanza costituzionale con il rispetto del principio del giusto processo in termini di effettività della tutela giurisdizionale.
Le problematiche poc’anzi accennate “riverberano” sull’applicazione di più istituti del diritto processuale tributario e chiamano in causa, in particolar modo, la regolamentazione dei limiti soggettivi del giudicato dettata all’art. 2909 c.c.; norma che, come noto, sancisce che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato vincola esclusivamente le parti della lite.
Non casualmente, pur a fronte della nitidezza del principio scolpito all’art. 2909 c.c., si è assistito all’estensione per via giurisprudenziale del campo di applicazione di istituti – quali, in specie, il litisconsorzio necessario, la sospensione del giudizio “per pregiudizialità” e l’intervento adesivo dipendente – finalizzati ad evitare, per quanto possibile, il rischio di possibili giudicati contrastanti e a garantire una maggiore concentrazione di giudizi connotati da una pluralità di parti o, più in generale, aventi a fondamento questioni “comuni” a più contribuenti.
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In tale contesto si pone la sentenza delle Sezioni Unite civili 30 aprile 2024, n. 11676, che ha fornito indicazioni importanti in ordine a problematiche ricorrenti per quanto riguarda i processi con pluralità di parti.
L’applicabilità degli artt. 331 e 332, c.p.c. per quanto concerne la notifica dell’impugnazione principale
La prima questione affrontata dalle Sezioni Unite si può sintetizzare nei seguenti termini: se nel processo tributario d’appello possano trovare applicazione le regole di matrice processual-civilistica di cui agli artt. 331 e 332 c.p.c. oppure se l’art. 53 D.Lgs. n. 546/1992 disciplini un litisconsorzio necessario processuale, che prescinda dalla distinzione tra cause scindibili e inscindibili propria del rito civile.
L’importanza pratica di tale questione non può essere sottaciuta considerato che, qualora si aderisse all’indirizzo secondo cui l’onere della notifica da parte dell’appellante principale trovi sempre applicazione, anche nell’ipotesi in cui la causa riguardi controversie scindibili, si porrebbe la questione circa l’ammissibilità dei ricorsi in appello non notificati a tutte le parti del giudizio di primo grado. In assenza di una disciplina modellata alla stregua degli artt. 331 e 332 c.p.c. e facendo un’applicazione rigorosa dell’art. 53, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, vi sarebbe il rischio che l’effetto dell’omessa notifica dell’appello principale a tutte le parti intervenute nel giudizio di primo grado porti ad una declaratoria di inammissibilità dell’appello, senza che tale vulnus possa essere sanato nel corso del giudizio, tramite notifica alle parti pretermesse a seguito dell’ordine di integrazione del contraddittorio disposto dal giudice.
A fronte di ciò, le Sezioni Unite hanno ribadito l’applicabilità nel processo tributario delle regole di matrice processual-civilistica.
In specie, le Sezioni Unite hanno sottolineato che il riferimento ai principi di estrazione processualcivilistica di cui agli artt. 331 e 332 c.p.c. – basati sulla differenziazione tra cause inscindibili e tra loro dipendenti, da un lato, e cause scindibili, da un altro lato – sono applicabili anche nel processo tributario e risultano idonei a definire i confini del litisconsorzio necessario nel processo d’appello tributario.
Così argomentando, in sostanza, la Cassazione non ha condiviso la tesi in base alla quale il legislatore tributario avrebbe inteso, con l’art. 53, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, introdurre una disciplina autonoma rispetto al rito civile per quanto riguarda i processi soggettivamente complessi, volta, in buona sostanza, ad estendere la portata del litisconsorzio necessario processuale a tutti i giudizi con pluralità di parti, anche qualora coinvolgenti cause scindibili.
La statuizione delle Sezioni Unite elimina, quindi, alla radice possibili rischi di declaratorie di inammissibilità dei ricorsi in appello non notificati a tutte le parti del giudizio di primo grado, confermando, così, che il ricorrente in appello non è tenuto, a pena di difetto di integrità del contraddittorio, a notificare il ricorso a tutte le parti intervenute nel processo di primo grado, indipendentemente dal fatto che la controversia nel giudizio di primo grado riguardi cause inscindibili o tra loro dipendenti oppure cause scindibili.
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L’onere di notifica dell’appello incidentale in cause scindibili nei confronti delle parti del giudizio di primo grado nei cui confronti non sia stata notificata l’impugnazione principale
La seconda questione affrontata dalla Cassazione è un riflesso della prima problematica e viene in esame nella misura in cui, come sostenuto dalle Sezioni Unite, si riconosca l’applicabilità delle regole dettate dagli artt. 331 e 332 c.p.c. al processo tributario d’impugnazione.
Infatti, tale soluzione interpretativa presenta alcuni profili problematici – ben colti nell’ordinanza di rimessione – e rispetto ai quali le Sezioni Unite offrono indicazioni importanti, sotto più aspetti innovative rispetto all’assetto attuale (ancorché non prive di alcuni margini di ambiguità che meriterebbero ulteriori approfondimenti).
In specie – ed è questo l’argomento su cui si era soffermata con particolare incisività l’ordinanza di rimessione – la tesi circa l’applicabilità degli artt. 331 e 332, c.p.c. non si coordinava linearmente con i criteri, dettati dall’art. 54 D.Lgs. n. 546/1992, in forza dei quali l’appellante incidentale è tenuto a portare la sua impugnazione a conoscenza delle altre parti del giudizio.
Il problema starebbe nel fatto che siccome l’appello incidentale nel processo tributario non viene notificato, ma depositato unitamente alle controdeduzioni, l’appellante incidentale nell’ambito di cause scindibili perderebbe il diritto di agire verso quelle parti nei cui confronti l’appellante principale avesse omesso di notificare il ricorso. Alla luce di ciò, osservava l’ordinanza di rimessione, l’obbligo di notifica dell’impugnazione principale nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al processo di primo grado – e, quindi, l’inapplicabilità dell’art. 332 c.p.c. – avrebbe potuto rappresentare la via per ovviare a tale criticità, in quanto la notifica dell’impugnazione principale a tutte le parti del giudizio di primo grado – indipendentemente dalla natura scindibile o inscindibile della lite – avrebbe permesso all’appellante incidentale di impugnare la sentenza di primo grado ed esercitare pienamente il diritto di difesa senza preclusioni di sorta, anche nell’ambito di liti aventi ad oggetto cause scindibili.
Ebbene, come anticipato, le Sezioni Unite hanno sciolto tale nodo interpretativo –valorizzando la disciplina di cui all’art. 14 D.Lgs. n. 546/1992, da un lato, e l’art. 343 comma 1, c.p.c., da un altro lato – allo scopo di assicurare che l’appellante incidentale, che intende impugnare la sentenza anche nei confronti di una parte del giudizio di primo grado non convenuta dall’appellante principale in riferimento a cause scindibili, possa indirizzare il suo gravame nei confronti di tale parte.
In specie, la Cassazione ha osservato che l’art. 14, comma 5, D.Lgs. n. 546/1992 già prevede che soggetti quali gli interventori volontari o i chiamati in giudizio – tra i quali vi possono anche essere titolari di posizioni scindibili – possano intervenire nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. In questo caso, quindi, è lo stesso art. 14 D.Lgs. n. 546/1992 che deroga alla regola ordinaria di costituzione della parte resistente, disponendo, al comma 5, per l’ipotesi di processo con pluralità di parti, che la modalità d’intervento sia proprio quella della notifica dell’atto.
Se così è, aggiungono le Sezioni Unite, nulla osta affinché tale regola si renda applicabile anche nel processo d’appello, posto che il richiamo nell’art. 61 D.Lgs. n. 546/1992 alle norme del processo di primo grado rende possibile integrare, in parte qua, le prescrizioni dettate dall’art. 54 D.Lgs. n. 546/1992 per quanto concerne la costituzione della parte resistente.
Da tali considerazioni si evince, secondo la Cassazione, che, se nella ordinarietà delle ipotesi, l’appello incidentale rivolto nei confronti dell’appellante principale o di una delle altre parti legate dal vincolo di inscindibilità o di dipendenza delle cause si propone con il deposito delle controdeduzioni, qualora l’impugnazione abbia ad oggetto una sentenza resa in cause scindibili, l’appello incidentale proposto nei confronti di soggetto che risulti pretermesso nel giudizio d’appello dovrà essere oggetto di notifica e non di mero deposito nella segreteria della Corte di Giustizia di secondo grado adita.
Una tale conclusione, aggiungono le Sezioni Unite, trova conferma anche alla luce del dettato dell’art. 343, comma 1, c.p.c. Come infatti sancito a tale proposito dalla giurisprudenza civile, l’appello incidentale si può proporre nella prima comparsa solo quando tale atto sia rivolto contro l’appellante principale o contro altra parte già costituita o che si costituisca prima del decorso dei termini d’impugnazione. Quando, invece, l’appello incidentale sia proposto nei confronti di parti non presenti nel giudizio di secondo grado e, inoltre, l’impugnazione abbia per oggetto una sentenza resa in cause scindibili, l’appellante incidentale deve provvedere alla notifica dell’impugnazione.
Se tale è quindi il quadro di riferimento, in base al quale, relativamente ai giudizi attinenti a cause scindibili, l’appellante incidentale che intende impugnare la sentenza anche nei confronti di una parte del giudizio di primo grado non convenuta dall’appellante principale ha l’onere di proporre l’appello mediante notifica e non con mero deposito telematico nella segreteria della Corte di Giustizia di secondo grado adita, si pone, in ultimo, la questione circa il rispetto dei termini entro i quali l’appellante incidentale deve notificare il relativo atto.
Ebbene, a tale riguardo le Sezioni Unite chiariscono che la proposizione dell’appello mediante notifica da parte dell’appellante incidentale debba avvenire (i) nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale (ai sensi dell’art. 23 D.Lgs. n. 546/1992) e (ii) comunque non oltre i termini di decadenza dal diritto all’impugnazione.
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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