Il “Tax credit musica”: aspetti controversi e zone d’ombra a seguito delle recenti modifiche

Di Mario Tenore e Andrea Perotti -

Abstract

Il Tax credit per la produzione musicale si configura come un vantaggioso incentivo fiscale, offrendo una riduzione del 30% sui costi associati ad alcune attività in ambito artistico. Si tratta di una misura agevolativa istituita con l’esplicito scopo di sostenere e promuovere l’intera filiera dell’industria musicale, dall’atto creativo alla fase di promozione. Originariamente introdotto nel 2013, la misura agevolativa ha subìto significativi aggiornamenti (con il decreto interministeriale n. 312/2021, emesso in attuazione del D.L. 8 agosto 2013, n. 91) e successivi adeguamenti (con il decreto interministeriale n. 147/2023). Nonostante le modifiche susseguitesi negli anni, volte a migliorarne l’applicazione, permane tuttora un certo grado di incertezza che contraddistingue la misura e che giustifica la necessità di approfondimenti e chiarimenti.

Il presente contributo mira a condurre un’analisi tecnica approfondita del Tax credit, focalizzandosi sugli aspetti controversi e sulle zone d’ombra ancora presenti, al fine di fornire una chiara e precisa interpretazione delle normative vigenti, con l’obiettivo ultimo di favorire una corretta applicazione delle disposizioni normative, nel contesto dinamico e complesso dell’industria musicale.

“Music tax credit”: controversial aspects and grey areas as a result of recent legislative adjustments – The Tax credit for music production qualifies as an advantageous tax incentive, offering a 30% reduction on costs associated with certain activities in the artistic area. The tax benefit aims at supporting and promoting the entire music industry, from the creative till the promotion phase. Originally introduced in 2013, this mechanism has undergone significant updates through Interministerial Decree No. 312 of 2021, issued in implementation of Decree-Law No. 91 of 8 August 2013, and subsequent adjustments with Interministerial Decree No. 147 of 2023. Despite the enforcement of these regulatory interventions, a certain level of uncertainty remains, raising the need for further study and clarification.

This contribution aims at conducting an in-depth technical analysis of the Tax credit, focusing on the existing controversial aspects, in order to provide a clear interpretation of the regulations in force, with the ultimate goal of favoring a correct application of the regulatory provisions within the dynamic and complex context of the music industry.

Sommario: 1. Tax credit musica. Introduzione. – 2. Soglia massima ed obbligo di reinvestimento del credito di imposta. – 3. Definizione di “opera” musicale agevolabile. – 4. Perimetro soggettivo. – 5. Spese agevolabili. – 6. Ammissibilità dei costi e obblighi di certificazione. – 7. Procedura di accesso al credito di imposta e successivo utilizzo. – 8. Considerazioni finali.

1. Il Tax credit per la produzione musicale si colloca in un più ampio novero di agevolazioni rivolte al settore culturale e artistico. L’agevolazione consiste nella concessione di un credito d’imposta pari al 30% dei costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione, digitalizzazione e promozione di registrazioni fonografiche e videografiche musicali, fruibile dalle imprese produttrici di fonogrammi e videogrammi musicali e da quelle produttrici di spettacoli di musica dal vivo. L’agevolazione in commento, introdotta dall’art. 7 D.L. 8 agosto 2013, n. 91 (d’ora in avanti “D.L. n. 91/2013“), ha subìto negli anni plurime modifiche.

La disciplina di attuazione è istituita dal decreto interministeriale 13 agosto 2021, n. 312 recante “Disposizioni applicative del credito d’imposta per la promozione della musica, nonché degli eventi di spettacolo dal vivo di portata minore di cui all’articolo 7 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112” (d’ora in avanti “D.I. n. 312/2021”). Il D.I. n. 312/2021 è stato recentemente modificato ad opera del decreto interministeriale adottato dal Ministero della Cultura in concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze 30 marzo 2023, n. 147 (d’ora in avanti “D.I. n. 147/2023”).

Le recenti modifiche hanno ampliato l’ambito di applicazione della misura agevolativa al fine di accrescerne ulteriormente l’attrattività. Permangono, tuttavia, alcuni elementi di incertezza che, a parere di chi scrive, risultano ancora di ostacolo alla fruizione del beneficio fiscale.

2. L’art. 7, comma 1, D.L. n. 91/2013 prevede che l’agevolazione sia concessa fino ad un importo massimo di 2 milioni di euro nei tre anni d’imposta, limite da ultimo previsto con le modifiche apportate dall’art. 13-bis, comma 1, D.L. 18 ottobre 2023, n. 145 (precedentemente, il limite era pari a 1.200.000 euro). La disciplina tace in merito alla decorrenza temporale delle sopra citate modifiche. Tuttavia, il Ministero della Cultura, con un avviso del 29 dicembre 2023, ha chiarito che l’innalzamento del limite triennale ha rilevanza per le domande di accesso all’agevolazione con riferimento ai costi sostenuti per la produzione di opere commercializzate nel corso dell’anno 2023.

Permane, tuttavia, qualche dubbio in ordine al significato del termine «costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione, digitalizzazione e promozione di registrazioni fonografiche o videografiche musicali» e, in particolare, se esso debba, comunque, essere riferito ai costi sostenuti di competenza dell’esercizio di sostenimento. In proposito, va osservato che l’art. 4, comma 4, D.I. n. 312/2021 stabilisce che le spese si considerano effettivamente sostenute secondo quanto previsto dall’art. 109 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (d’ora in avanti “TUIR”). Sebbene la disposizione evochi solo il requisito dell’effettivo sostenimento dei componenti negativi di reddito, si ritiene – a parere di chi scrive – che, in virtù del generico richiamo all’art. 109 TUIR, i costi debbano essere intesi quali costi non solo effettivamente sostenuti ma anche di competenza dell’esercizio ed inerenti all’attività di produzione musicale. Tale conclusione è stata indirettamente confermata dall’Agenzia delle Entrate con la Consulenza giuridica n. 14 del 8 aprile 2019, seppur con riferimento al solo principio di competenza, ritenuto rilevante anche per le imprese minori (imprese in contabilità semplificata).

Ulteriori dubbi sorgono con riferimento all’art. 7, comma 3, D.L. n. 91/2013 il quale stabilisce che, per accedere al credito d’imposta, le imprese hanno l’obbligo di reinvestire nel territorio nazionale un importo corrispondente all’80% del beneficio concesso, privilegiando la formazione e l’apprendistato in tutti i settori tecnici coinvolti.

Tale disposizione solleva tre considerazioni.

In primo luogo, la disposizione crea incertezza in quanto collega l’accesso al beneficio («[…] per accedere al beneficio […]») alla verifica di una condizione che potrà essere verificata solo a posteriori, ovverosia solo dopo che il beneficio sia stato concesso («[…] l’obbligo di spendere un importo corrispondente all’ottanta per cento del beneficio concesso […]»).

In secondo luogo, la disposizione non indica un limite temporale massimo entro il quale l’impresa beneficiaria dell’agevolazione dovrà effettuare il reinvestimento. Tale riferimento temporale è invece presente nella normativa di riferimento per il credito di imposta spettante alle imprese di produzione cinematografica (ex art. 15 L. 14 novembre 2016, n. 220), per il quale le disposizioni attuative indicano un termine per l’effettuazione del reinvestimento del beneficio di cinque anni. Non è chiaro, inoltre, quali siano gli effetti del mancato reinvestimento, posto che la verifica di tale requisito è successiva alla fruizione dell’agevolazione. Né, tantomeno, sono chiare le modalità di reinvestimento, posto il generico riferimento a «[…] tutti i settori tecnici coinvolti» e alle non meglio precisate attività di “formazione” e “apprendistato” rivolte a tali settori.

In terzo luogo, l’obbligo di reinvestimento nel territorio nazionale desta dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea. Segnatamente, i dubbi verterebbero sulla compatibilità della misura (ed in particolare del suddetto vincolo al reinvestimento del beneficio nel territorio italiano) con la libera prestazione dei servizi, oggi prevista dall’art. 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti “TFUE”). A tal riguardo, la Corte di Giustizia Europea con la sentenza C-39/04 si è espressa in merito all’interpretazione del suddetto art. 56 (all’epoca art. 49 del Trattato della Comunità Europea) in rapporto ad una normativa nazionale istitutiva di un meccanismo di credito di imposta avente ad oggetto le sole attività di ricerca svolte sul territorio nazionale francese. In tale pronuncia, la Corte ha rilevato che la normativa dello Stato membro assoggetta le prestazioni di servizi ad un regime fiscale diverso a seconda che l’attività di ricerca venga svolta in altri Stati membri o nello Stato membro interessato (la Francia), determinando una disparità di trattamento basata sul luogo di esecuzione della prestazione del servizio contraria all’art. 56 TFUE (all’epoca art. 49 del Trattato della Comunità Europea). Vani, in tale sede, sono stati i tentativi del governo francese di giustificare la disparità di trattamento alla luce della coerenza del regime fiscale (cfr. Corte di Giustizia, sent. 28 gennaio 1992, C-204/90, Bachmann).

Tale arresto sembrerebbe, quindi, suffragare i dubbi di compatibilità dell’art. 7, comma 3, D.L. n. 91/2013 con la libera prestazione di servizi di cui art.56 TFUE, specialmente qualora dal mancato rispetto della condizione di reinvestimento sul territorio italiano consegua la decadenza dall’agevolazione e, quindi, la necessaria restituzione del beneficio utilizzato. In tal senso, sarebbe opportuno che la disposizione summenzionata venisse modificata e il riferimento al “territorio nazionale” fosse sostituito dal riferimento “a territori di Stati membri dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo”.

3. L’art. 2 D.I. n. 312/2021 detta la definizione di “opera” musicale agevolabile, identificandola con la registrazione fonografica o videografica musicale, su supporto fisico o digitale, composta da un insieme di almeno otto brani non già pubblicati diversi tra loro, ovvero da uno o più brani non già pubblicati di durata complessiva non inferiore a 35 minuti. È previsto, inoltre, che il numero di brani già pubblicati rielaborati (“cover”) non possa eccedere il 20% del numero complessivo dei brani o del minutaggio complessivo dell’opera. Non è chiarissima la nozione di “brani già pubblicati rielaborati” che non sembrerebbe comprendere le c.d. “opere derivate” (i remix) ex art. 4 L. 22 aprile 1941, n. 633 (Legge sul diritto d’autore o in seguito anche “L.D.A.”), le quali, essendo oggetto di autonoma tutela, sarebbero da ricomprendere tra i brani a carattere innovativo e come tali non rilevanti al fine della determinazione dei limiti sopra richiamati (ossia il numero di brani e il minutaggio complessivo).

Da ultimo, la definizione di opera fornita dall’art. 2 D.I. n. 312/2021 è stata modificata con l’aggiunta, ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), D.I. n. 147/2023, del requisito costituito dal codice ISRC – International Standard Recording Code. Si tratta di un codice alfanumerico che, in linea astratta, dovrebbe esser assegnato ad ogni registrazione, o componente di essa, passibile di esser sfruttata in modo a sé stante. Come meglio definito dal Manuale per l’International Standard Recording Code, edito dall’International ISRC Registration Authority e rinvenibile sul sito web della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), l’ISRC «[] è un sistema di identificazione univoco delle registrazioni audio e video musicali in base al quale uno, e solo uno, codice identificativo viene assegnato a ogni singola versione di una registrazione sonora da parte o per conto di un ‘Richiedente’ che richiede l’assegnazione». La modifica nasce dall’esigenza rappresentata, soprattutto dalle piccole etichette discografiche, di consentire l’identificazione in modo univoco e permanente, ai fini della misura agevolativa, delle registrazioni audio e video musicali anche se innovatrici di repertori già esistenti. Si tratta, certamente, di una modifica che identifica in maniera certa l’opera agevolabile e che, pertanto, deve essere accolta favorevolmente eliminando i dubbi di agevolabilità in caso di opere comprensive di brani già pubblicati rielaborati (“cover”).

4. L’art. 3, comma 2, D.I. n. 312/2021 estende l’ambito soggettivo di applicazione del Tax credit alle imprese esistenti da almeno un anno dalla richiesta di accesso alla misura, aventi il codice ATECO 5920, il cui oggetto sociale include la produzione, in forma continuativa e strutturale, di fonogrammi, di cui all’art. 78 della L.D.A., o di videogrammi musicali oppure la produzione e l’organizzazione di spettacoli musicali dal vivo.

Analizzando il tenore letterale della norma, nella sua versione più recente ed in quelle ratione temporis applicabili nel corso degli anni, appare evidente come il Legislatore identifichi il soggetto fruitore dell’agevolazione nel “produttore”. Non è richiesto che il produttore sia, altresì, il soggetto che commercializza l’opera sul mercato musicale. L’agevolazione dovrebbe spettare anche al commissionario in ipotesi di “produzione commissionata” mutuando, sul punto, i chiarimenti offerti dall’Agenzia delle Entrate con il Principio di Diritto n. 15 del 11 dicembre 2018 in merito alla spettanza del credito di imposta per le spese sostenute in investimenti in ricerca e sviluppo per l’attività di ricerca commissionata (nel caso di specie la ricerca era commissionata ad una società residente in Italia da una società statunitense che ne deteneva il controllo integrale ed alla quale la società commissionaria addebitava i costi sostenuti per l’attività di ricerca).

Non è escluso neppure che la medesima opera possa esser oggetto di domanda del credito di imposta da parte di due soggetti differenti (come, ad esempio, produttore ed editore dell’opera). Si immagini, a titolo esemplificativo, che i costi per la promozione di un’opera siano sostenuti in parte dal soggetto produttore ed in parte dall’editore che commercializza l’opera e che entrambi soddisfino i requisiti soggettivi di applicazione dell’agevolazione. Ragionevolmente, l’agevolazione dovrebbe spettare ad entrambi i soggetti ancorché per la medesima opera; tuttavia, ciò comporterebbe una serie di complicazioni pratiche, tra le quali la valutazione del non superamento dei 250.000 euro di spesa agevolabili per singola opera del quale si dirà successivamente.

5. L’art. 4, comma 2, D.I. n. 312/2021, nella forma attualmente in vigore, prevede le seguenti spese quali agevolabili:

  1. compensi afferenti allo sviluppo dell’opera, ovvero quelli spettanti agli artisti-interpreti o esecutori, al produttore artistico, all’ingegnere del suono e ai tecnici utilizzati dall’impresa per la sua realizzazione, nonché spese per la formazione e l’apprendistato effettuate nelle varie fasi di detto sviluppo;

  2. spese relative all’utilizzo e nolo di studi di registrazione, noleggio e trasporto di materiali e strumenti;

  3. spese di post-produzione, ovvero montaggio, missaggio, masterizzazione, digitalizzazione e codifica dell’opera, nonché spese di progettazione e realizzazione grafica;

  4. spese di promozione e pubblicità dell’opera;

  5. costi per l’acquisizione di diritto d’autore.

I costi indicati sub (v) sono stati aggiunti per effetto della modifica apportata dalla lett. e) del primo comma dell’art. 1 D.I. n. 147 /2023. Non è chiaro se in tali costi rientrino le spese sostenute per l’acquisto del diritto di sfruttamento dell’immagine dell’artista, riconducibile ai diritti connessi al diritto d’autore. Tali spese potrebbero ricondursi alla voce delle “spese di promozione e pubblicità dell’opera”; presente nella domanda di accesso disponibile sulla piattaforma DGCOL. Tuttavia, la voce include le sole “Spese di acquisizione di diritti per l’utilizzo delle immagini” riferibili alla sola “Produzione di video musicali”; sembrerebbero, pertanto, escluse le spese sostenute per l’utilizzo dei diritti di immagine allorquando le immagini non siano riferibili alla produzione di detti video musicali. Parimenti dovrebbero essere escluse le spese sostenute per l’utilizzo, ad esempio, di altri elementi grafici volti alla promozione dell’opera o degli artisti coinvolti.

L’art. 4, comma 3, D.I. n. 312/2021 individua un limite pari a 250.000 euro relativo ai costi agevolabili per singola opera, la quale, di conseguenza, potrà beneficiare di un credito d’imposta massimo pari a 75.000 euro (pari al 30% del limite massimo di costi agevolabili per singola opera). La previsione di un limite ai costi agevolabili per ciascuna opera impone qualche ragionamento in ordine all’allocazione degli stessi, rispettivamente tra: i) costi di produzione direttamente riferibili all’opera; e ii) costi generali solo indirettamente riferibili all’opera.

La prima voce (costi di produzione direttamente riferibili all’opera) indubbiamente ricomprenderebbe tutte le spese sostenute per la produzione dell’opera e ad essa riferite non per effetto di una chiave di imputazione volta a definire quale componente di tale spesa abbia concorso alla definizione del totale dei costi dell’opera. Tra queste rientrano, certamente, i compensi spettanti ad artisti/interpreti o esecutori, i compensi spettanti al produttore artistico, le spese sostenute per l’eventuale noleggio degli studi di registrazione ecc. Tali spese concorrono al cumulo di costi agevolabili per il loro integrale valore (se riferibili ad una sola opera).

La seconda voce (costi generali solo indirettamente riferibili all’opera) includerebbe, invece, tutti i costi non direttamente riconducibili ad una singola opera quali ad esempio l’utilizzo di studi, locali, ed altre immobilizzazioni strumentali della stessa impresa produttrice o il personale dipendente da questa stabilmente assunto che partecipa alla produzione dell’opera. Questi costi includerebbero, altresì, le spese di comunicazione e marketing volte alla promozione dell’artista e non della singola opera (come tour e campagne di comunicazione), le quali, indubbiamente, comportano un effetto diffuso sul repertorio complessivo dell’artista. Non sono chiare, tuttavia, le modalità di riparto, ossia quali chiavi di allocazione potrebbero, seppur con un certo grado di approssimazione, rispecchiare l’effettiva utilità di un costo nel processo di produzione dell’opera. Tale valutazione non può che esser operata caso per caso a seconda della natura delle voci di costo.

Riguardo, invece, alle spese sostenute per l’organizzazione di tour e concerti, posta la loro principale finalità promozionale, sembrerebbe ragionevole presupporre che, seppur non strettamente riferiti alla promozione di una particolare opera, possano comunque essere inserite nel cumulo di costi agevolabili. Tale assunzione si basa sul tenore letterale di quanto riportato sulla domanda di accesso all’incentivo presente sulla piattaforma DGCOL, ove è prevista, tra le voci di spesa agevolabili, quella afferente alla “Promozione – Produzione di concerti dell’artista e tour supporting”. La specifica indicazione all’attività dell’artista e non all’opera in sé confermerebbe l’interpretazione sopra esposta. Rimarrebbe tuttavia da comprendere quale debba essere la quota di costi agevolabile, fermo restando la necessità di individuare anche in questo caso una chiave di allocazione nel caso in cui più opere siano oggetto di agevolazione.

Riguardo alle spese sostenute per attività promozionali in genere, direttamente o indirettamente riconducibili ad un’opera, non appare chiaro come ed entro quali limiti le nuove forme tecnologiche (eg. NFT) di pubblicazione e promozione musicale possano conciliarsi con la misura oggetto di disamina. Ipotizzando ad esempio la pubblicazione di opere tokenizzate attraverso NFT, posta la probabile ma non certa considerazione di tale formato quale “supporto digitale” ai fini dell’agevolazione, si porrebbero ulteriori dubbi laddove il token fosse “redeemable” (si veda a titolo esemplificativo “Premessa della Premessa”, l’Opera inedita di Morgan in NFT venduta all’asta sulla piattaforma Opensea, il cui aggiudicatario, oltre a diventarne proprietario e titolare esclusivo, ha ottenuto il diritto di incontrare l’artista di persona ricevendo dalle sue mani le stampe uniche e originali autografate con i testi del brano), ossia rappresentativo di un diritto che conferisce al titolare la possibilità di chiederne il riscatto e ottenere un determinato bene (ad esempio, il gadget) o una determinata prestazione consistente nell’obbligo di fare (ad esempio, la possibilità di incontrare l’artista dal vivo). Indubbiamente, tali strumenti rispondono maggiormente alle logiche di un’operazione commerciale rispetto a quelle della mera produzione artistica. Si tratta infatti di nuove forme di merchandising e promozione dell’artista e delle sue opere, che mal si conciliano con la finalità normativa di incentivo allo “sviluppo, produzione, digitalizzazione” delle opere musicali. Tuttavia, come evidenziato poc’anzi, anche i costi per attività di merchandising ed acquisto di materiali promozionali possono in taluni casi considerarsi agevolabili, ma, secondo l’attuale elencazione di costi della domanda di accesso all’incentivo sulla piattaforma DGCOL, tale possibilità è ammessa solamente per quelle spese sostenute ai fini dell’allestimento dei punti vendita presso i quali è venduta l’opera, attività che può ritenersi accessoria rispetto alla principale agevolata dal Legislatore fiscale (ossia la produzione artistica).

6. L’art. 4, comma 5, D.I. n. 312/2021 prevede che l’ammissibilità dei costi ai fini dell’ottenimento del credito di imposta deve essere certificata da un’apposita attestazione rilasciata dal presidente del collegio sindacale, da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, da un professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili o nell’albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro, o anche da un responsabile del centro di assistenza fiscale (CAF). Come su anticipato, il precedente comma 4 prevede che le spese si considerano effettivamente sostenute secondo quanto previsto dall’art. 109 TUIR. Sul punto l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con la Consulenza giuridica n. 14 del 8 aprile 2019, già richiamata in precedenza al paragrafo 2.

Resta dubbio se gli obblighi di certificazione in capo ai professionisti debbano estendersi sino alla verifica del requisito di inerenza dei costi. Sul punto, si osserva che la disciplina in materia di Tax credit cinema (art. 13, comma 1, lett. c), D.I. 4 febbraio 2021, n. 70) prevede che la certificazione del professionista è rivolta all’«attestazione di effettività di tale costo e stretta inerenza all’opera delle spese sostenute». Con riguardo al Tax credit cinema, il Legislatore fa ricadere sul professionista l’onere di verificare l’esistenza dei presupposti di inerenza delle spese all’opera oggetto di agevolazione. Diversamente, la formulazione dell’art. 4, comma 5, D.I. n. 312/2021 non si estende alla verifica del requisito di inerenza che dunque deve considerarsi escluso dall’obbligo di certificazione. Qualora il Legislatore avesse voluto estendere l’attività di verifica del professionista anche al presupposto di inerenza dei costi rispetto alla singola opera, è ragionevole ritenere che ne avrebbe dato precisa indicazione nel testo normativo.

La questione è rilevante in quanto delimita il perimetro della successiva attività accertativa. Non è chiaro, infatti, in quale misura la valutazione ex ante, operata dal Ministero della Cultura, limiti la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria. Secondo quanto descritto dall’art. 8, comma 1, D.I. n. 312/2021, il Ministero della Cultura risulta esser responsabile dei controlli relativi all’indebita fruizione, anche parziale, del credito di imposta concesso avvalendosi tuttavia del supporto dell’Agenzia delle Entrate; supporto che, secondo quanto descritto dal successivo comma 2, si sostanzierebbe nella comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’eventuale indebita fruizione, totale o parziale, del credito d’imposta, accertata nell’ambito dell’ordinaria attività di controllo. Il medesimo comma, tuttavia, precisa che, qualora siano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine alla ammissibilità di specifiche attività, ovvero alla pertinenza e congruità dei costi, i controlli possono essere effettuati con la collaborazione del Ministero della Cultura.

Per effetto del combinato disposto dell’art. 8, commi 1 e 2, D.I. n. 312/2021, sembrerebbe che l’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate non possa spingersi nel merito delle valutazioni di merito in ordine alla ammissibilità di specifiche attività (all’agevolabilità dei relativi costi) che resta, quindi, di competenza del Ministero della Cultura. Tale conclusione sembra, inoltre, supportata dal tenore letterale del comma 2 del citato articolo 8, ove si afferma che l’Agenzia delle Entrate è tenuta alla comunicazione al Ministero della Cultura dell’indebita fruizione del credito di imposta accertata nell’ambito dell’ordinaria attività di controllo. Diversamente, non si comprenderebbe quale valenza dovrebbe essere attribuita all’attività di filtro preventiva svolta dal Ministero della Cultura in fase di presentazione della domanda (e quindi al momento della concessione del credito di imposta), posto che quest’ultimo è tenuto in quella sede a valutare l’effettiva esistenza dei presupposti sostanziali di accesso alla misura agevolativa (ad esempio, la natura delle attività svolte e l’agevolabilità dei costi ad esse riferiti). Resterebbe, invece, di competenza dell’Agenzia delle Entrate l’attività di verifica volte ad appurare la corretta fruizione del credito (ad esempio, le modalità di fruizione e l’utilizzo in compensazione del credito, il rispetto del vincolo di reinvestimento).

7. L’acceso al credito di imposta è subordinato alla compilazione di una domanda di accesso sul portale DGCOL del Ministero della Cultura presentabile dal 1° gennaio al 28 febbraio dell’anno successivo a quello in cui l’opera agevolabile è stata commercializzata. Il momento di rilevanza per la pubblicazione dell’opera è inteso come la data di prima messa in distribuzione e commercio del supporto fisico relativo all’opera o, in caso di distribuzione digitale, la data di prima pubblicazione della stessa. Tale data è da intendersi riferita all’opera nella sua interezza, sono, pertanto, ammesse ai fini dell’istanza anche le distribuzioni e commercializzazioni parziali dell’opera purché avvenute entro 60 giorni antecedenti alla data di commercializzazione integrale.

A seguito dell’emanazione di un apposito decreto del Ministero della Cultura nel quale quest’ultimo attribuisce i crediti ottenuti, il beneficio è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ex art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241, decorsi almeno 10 giorni dalla comunicazione all’impresa del riconoscimento dell’agevolazione. Il credito riconosciuto non è cumulabile con altre forme di agevolazione fiscale previste per i videogrammi musicali ai sensi della L. n. 220/2016. La compensazione deve effettuarsi mediante modello F24 indicando il codice “6849” denominato “Tax credit musica – art. 7, dl n. 91/2013” indicando come anno di riferimento l’anno di concessione del credito come indicato dalla ris. n. 4/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate.

Non si rinvengono più precise indicazioni sull’eventuale cedibilità o sulla possibilità di impiego in regime di consolidato fiscale di detto credito di imposta. Tuttavia, con la Risposta ad Interpello n. 191/2019 l’Agenzia delle Entrate ha accordato all’istante la legittimazione a cedere il credito d’imposta previsto dagli artt. 17 e 18 L. n. 220/2016 (Tax credit cinema) nell’ambito del consolidato fiscale cui partecipava, affinché la consolidante potesse utilizzarlo in compensazione con l’IRES di gruppo. Tuttavia, tale risposta poggiava sul comma 4 dell’art. 21 L. n. 220/2016 che prevede espressamente la cedibilità del credito. Tale interpretazione è stata anche ripresa dalla più recente Risposta ad Interpello n. 543 del 3 novembre 2022, ove in merito ad un credito di imposta per investimenti afferenti al Piano nazionale Impresa 4.0, l’Agenzia delle Entrate, richiamando quanto affermato nella Risposta ad Interpello n. 508 del 23 luglio 2021, ha definito che non essendo previsto alcun espresso divieto di cessione o trasferimento del credito, la società avrebbe potuto utilizzare i suddetti crediti nell’ambito del consolidato nazionale nei limiti della quota utilizzabile e dell’IRES di gruppo. Quanto al Tax credit musica, la disciplina nulla dispone in tema di cedibilità del credito di imposta che non dovrebbe pertanto ritenersi esclusa.

8. Certamente, la misura oggetto di disamina è da accogliere con favore, soprattutto in quanto si pone come strumento di incentivo a supporto del rischio di impresa in un settore che per sua natura necessita di alti investimenti a fronte di risultati più delle volte difficilmente prevedibili ex ante. La necessaria formalizzazione dei processi di rendicontazione ed il coinvolgimento dei professionisti nella procedura di istruttoria, svolgono un’ulteriore funzione di incentivo alla strutturazione di adeguati assetti organizzativi e contabili in un settore spesso caratterizzato da strutture poco formalizzate. Tale bassa formalizzazione, soprattutto per i player di minori dimensioni, spesso comporta una maggiore difficoltà nella valutazione dell’economicità d’impresa e nell’accesso a misure di incentivo similari a quella in oggetto.

Tuttavia, come rilevato nel corso dell’articolo rimangono ancora aperte diverse questioni in merito all’interpretazione del dettato normativo, il che potrebbe comportare un effetto deterrente all’impiego della misura. Tale effetto sarebbe dovuto in particolare all’incertezza derivante da un’attività accertativa postuma alla fruizione del credito attivata dall’Agenzia delle Entrate. A tal proposito, vista la valutazione preventiva dei presupposti sostanziali da parte del Ministero della Cultura, l’attività di accertamento dovrebbe essere preclusa e resterebbe al più circoscritta alle modalità di fruizione ed utilizzo del credito di imposta o al rispetto della condizione di reinvestimento. Qualora l’Agenzia delle Entrate avesse invece il potere di accertamento in ordine all’an del beneficio fiscale, le imprese fruitrici verserebbero in una situazione di incertezza che non favorirebbe certamente il pieno sviluppo dell’agevolazione. Si auspica, da ultimo, che il Legislatore intervenga in maniera mirata sulle criticità evidenziate nel presente contributo.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Annunziata F. – Conso A., NFT in Musica, Milano, 2022

Coppola P., Il fisco come leva ed acceleratore delle politiche di sviluppo, Padova, 2016

Crovato F., La deduzione dei costi per “attività di ricerca” nel reddito di impresa, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, IX, 355 ss.

Dagnino A., Agevolazioni fiscali e potestà normativa, Padova, 2008

Falsitta G. – Moschetti F., I costi di ricerca scientifica nell’evoluzione del concetto di inerenza, Milano, 1988

Fichera F., Gli aiuti fiscali nell’ordinamento comunitario, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 1998, 1, I, 84 ss.

Fichera F., Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992

Giorgi S., I beni immateriali nel sistema del reddito d’impresa, Torino, 2020

Leone F., La fiscalità di vantaggio tramite il regime del credito d’imposta per ricerca e sviluppo, in Crovato F. (a cura di), La fiscalità del food and beverage, Rimini, 2021, 289 ss.

Marino G., Note brevi sull’evoluzione del divieto di aiuti di stato e sostenibilità dei sistemi fiscali, in Riv. dir. trib., 2018, 4, I, 393 ss.

Quattrocchi A., Gli aiuti di stato nel diritto tributario, Milano, 2020

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , ,