Profili critici del recupero automatizzato dei crediti di imposta

Di Alessandro Zuccarello -

Abstract

L’orientamento costante della Corte di Cassazione ammette che il recupero dei crediti di imposta indebitamente compensati dal contribuente possa avvenire anche in sede di riliquidazione della dichiarazione. Senonché, la Suprema Corte esclude che in tali ipotesi il contribuente possa accedere alla definizione agevolata delle sanzioni.

Critical aspects on the automated recovery of tax credits – The unfaltering orientation of the Court of Cassation allows the recovery of wrongly compensated tax credits by the automated settlement of tax returns. However, in such cases the Supreme Court forbids the taxpayers to use the assisted settlement of sanctions.

Sommario: 1. Il caso deciso. – 2. Il recupero dei crediti di imposta nelle liquidazioni delle dichiarazioni. – 3. (Segue) Il trattamento sanzionatorio applicabile alla luce della distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti. – 4. I presupposti della definizione agevolata delle sanzioni.

1. L’ordinanza della Cassazione n. 29152 del 19 ottobre 2023 suscita interesse non già per l’apparato motivazionale – decisamente stringato – ma per le peculiarità del caso che ne è oggetto. In particolare, essa riguarda il disconoscimento ed il recupero di crediti di imposta per mezzo della liquidazione delle dichiarazioni, di cui all’art. 36-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; il che non è di per sé significativo, dal momento che assai spesso i crediti di imposta, o più precisamente l’impiego che ne fa il contribuente, finiscono nelle maglie dei controlli automatizzati delle dichiarazioni.

Nella pronunzia in commento è in gioco una iscrizione a ruolo, ex art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973, per il recupero di crediti di imposta utilizzati dal contribuente nei modelli di versamento F24, ma, tuttavia, non indicati nel quadro RU della dichiarazione. Ad avviso della Cassazione, trattandosi di una irregolarità individuabile in virtù di un mero riscontro cartolare, il recupero del credito sarebbe possibile in questa sede, donde vengono rigettate, in linea con alcuni precedenti, le contestazioni del contribuente. Neppure trovano accoglimento le contestazioni del contribuente «relativamente alla riduzione delle sanzioni» (il virgolettato è tratto dall’ordinanza in commento).

Molteplici sono i temi lambiti dall’ordinanza, ma nel presente lavoro si concentrerà l’attenzione solamente su alcuni di essi. In primo luogo si cercheranno di mettere a fuoco i presupposti ed i limiti del disconoscimento automatizzato di crediti di imposta. In secondo luogo, si ritiene opportuno tentare di inquadrare quale sia il regime sanzionatorio applicabile alle illegittime compensazioni intercettate nell’ambito dei controlli cartolari. In terzo luogo, e quale naturale evoluzione del discorso, si presterà attenzione all’accesso alla definizione agevolata delle sanzioni.

2. Come si è anticipato, è indispensabile verificare, anzitutto, se sia ammesso ed a quali condizioni il recupero dei crediti di imposta tramite iscrizione a ruolo ex art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973. Ora, detti crediti determinano in vario modo l’abbattimento del debito di imposta ed il loro utilizzo illegittimo genera l’esigenza di recuperare un importo corrispondente all’ammontare del credito utilizzato. Si tratta di imporre una prestazione al contribuente e tale imposizione avviene secondo vari schemi predisposti dal legislatore. Attualmente, risaltano l’avviso di accertamento ex art. 41-bis D.P.R. n. 600/1973, che, fra l’altro, può essere emesso per accertare il reddito o il maggior reddito imponibile derivanti da «esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti»; allo stesso scopo è specificamente preordinato l’atto di recupero dei crediti di imposta, previsto originariamente dall’art. 1, comma 421, L. 30 dicembre 2004, n. 311 e disciplinato ora dall’art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 (introdotto dall’art. 1, D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13).

Ma a ben vedere agli istituti appena elencati è possibile aggiungere anche i c.d. controlli cartolari delle dichiarazioni, ossia le liquidazioni, di cui agli artt. 36-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ed il controllo formale di cui all’art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973. Il tenore letterale degli enunciati sembrerebbe di per sé decisivo al riguardo: l’art. 36-bis, comma 2, lett. e), prevede che gli Uffici possano «ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni»; l’art. 36-ter, comma 2, lett. d), prevede invece che gli Uffici possano «determinare i crediti di imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti».

Muovendo da una prospettiva più ampia, non limitata al dato testuale, l’attitudine dei controlli cartolari a correggere anche l’impiego dei crediti di imposta, deriva dalla loro più generale tendenza a sostituirsi all’accertamento, sia pure entro un perimetro ben determinato dalle disposizioni normative da ultimo menzionate (diversi Autori riconducono i controlli cartolari alla attività di accertamento, si vedano ad esempio, Gaffuri F., Considerazioni sull’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1981, 1, 532; Schiavolin R., Limiti di applicabilità dell’art. 36-bis D.P.R. 600/1973, in GT Riv. giur. trib., 1994, 12, 1165 ss.; Russo P., Il problema dei termini per la liquidazione delle imposte dovute in base alla liquidazione ai sensi dell’art. 36-bis, in Rass. trib., 1995, 6, 1018; Fransoni G., Considerazioni su accertamenti “generali”, accertamenti parziali, controlli formali e liquidazione della dichiarazione alla luce della L. n. 311/2004, in Riv. dir. trib., 2005, 6, I, 600; Zagà S., Le discipline del contraddittorio nei procedimenti di «controllo cartolare» delle dichiarazioni, in Dir. prat. trib., 2015, 6, I, 857; La Rosa S., Principi di diritto tributario, Torino, 2020, 339 ss.). In particolare, nelle liquidazioni possono realizzarsi solamente le correzioni che emergano ad esempio dal confronto fra i dati contenuti nella dichiarazione e puntuali previsioni normative ovvero gli elementi in possesso dell’Anagrafe tributaria, e da tale confronto potranno scaturire solamente le specifiche correzioni puntualmente elencate dagli artt. 36-bis e 54-bis (sul punto cfr. di recente Zuccarello A., Algoritmi e automatismi nei controlli delle dichiarazioni: profili problematici, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, III, 118).

Naturalmente, anche le correzioni dei crediti di imposta saranno costrette entro i medesimi limiti; la giurisprudenza ha infatti subordinato «la legittimità del disconoscimento automatizzato al carattere meramente cartolare ed avalutativo del disconoscimento del credito di imposta; potendo, quest’ultimo, appunto dipendere sia da una valutazione giuridica ed accertativa di inesistenza ovvero non compensabilità del credito (ipotesi nella quale il controllo automatizzato non è ammesso), sia dal riscontro puramente obbiettivo della dichiarazione (ipotesi nella quale esso è invece consentito)» (il virgolettato è tratto da Cass., 16 novembre 2018, n. 29582). In base all’art. 36-bis potranno essere corretti gli errori materiali o di calcolo o ancora potrebbe essere rilevato l’impiego di crediti di imposta avvenuto misura superiore alla soglia puntualmente stabilita dalla legge. In questi casi ciò che viene corretto è un errore commesso dal contribuente nella compilazione della dichiarazione.

Tuttavia, possono anche esserci casi più complessi, ne è un esempio il caso deciso dall’ordinanza n. 29152/2023 che qui si commenta. Qui era in gioco il recupero di un credito di imposta utilizzato dal contribuente nei modelli di versamento F24 ma non indicato nel corrispondente quadro della dichiarazione (rigo RU15, colonna 1, del Modello Unico di dichiarazione per il 2005). È evidente che in questo caso non v’è un errore che affigge il dichiarato, ma l’irregolarità rilevata dal sistema informatico, ex art. 36-bis, per la Corte di Cassazione è certamente riconducibile entro il perimetro delle liquidazioni.

Riannodandosi ad alcuni precedenti (vengono citate Cass. n. 29582/2018 cit.; Id. 10 dicembre 2021, n. 39331 ma allo stesso filone appartengono anche altre pronunzie, si veda ad esempio, Cass., 3 aprile 2023, n. 9151), la Cassazione ha affermato che nel caso di specie era «legittimo il disconoscimento del credito di imposta operato a seguito di controllo automatizzato, ai sensi dell’art. 36- bis d.P.R. n.600/1973 […]» giacché fondato proprio su un riscontro obbiettivo dei dati formali della dichiarazione dei redditi.

Tale ragionamento risulta condivisibile nel suo risultato ma è comunque opportuno cercare di metterne fuoco il fondamento normativo. In sede di liquidazione ex art. 36-bis non solo si consentono le correzioni del dichiarato di cui si è detto ma è consentito anche il controllo dei versamenti operati dal contribuente. L’articolo appena citato, al comma 2, lett. f), prevede che gli Uffici possano «controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta». Ebbene, detta disposizione riguarda certamente i casi in cui dalla verifica automatizzata non risultino essere stati effettuati i versamenti per il debito di imposta dichiarato dal contribuente, ma possono esserci anche casi più complessi. Dal momento che l’art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, ha introdotto la possibilità di utilizzare i crediti risultanti dalle dichiarazioni in compensazione di obblighi di versamento, tali compensazioni possono ricadere entro il perimetro delle liquidazioni (non è possibile dare atto in questa sede di tutte le questioni che si agitano intorno alla compensazione appena riferita, si intende comunque fare cenno ad alcune posizioni dottrinali circa la natura di tale istituto: secondo parte della dottrina cfr. Russo P., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 154 ss. tale istituto si differenzierebbe in modo rilevante dalla compensazione civilistica; altri ritengono che il termine compensazione vada qui inteso nella accezione civilistica cfr. Basilavecchia M., Situazioni creditorie del contribuente e attuazione del tributo. Dalla detrazione al rimborso nell’imposta sul valore aggiunto, Pescara, 2000, 85; altri ancora ne prospettano l’accostamento alla delegazione civilistica cfr. Messina S.M., La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, 50 ss.; ma valorizza lo schema della delegazione anche Girelli G., La compensazione tributaria, Milano, 2010, 176 ss.). Ed è proprio questo ciò che è avvenuto nel caso deciso dalla Cassazione nell’ordinanza in commento; qui l’irregolarità consisteva nel disallineamento fra le compensazioni effettuate nei modelli di versamento presentati dal contribuente ed il contenuto della dichiarazione. In casi di questo genere, l’iscrizione a ruolo ex art. 36-bis non è finalizzata al mero recupero di importi non versati ma implica l’esclusione della compensazione. Tale esclusione non determina il venir meno degli effetti della compensazione, piuttosto si procederà al recupero di un importo corrispondente a quello delle somme indebitamente compensate (già Fedele A., L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 10, I, 886, osservava che «l’eventuale accertamento dell’insussistenza del credito opposto in compensazione dal contribuente, che, a rigore, dovrebbe determinare un’azione per il recupero dell’imposta da quest’ultimo originariamente dovuta, parrebbe invece legittimare la riscossione di una somma corrispondente al credito rivelatosi insussistente, ma a titolo di pagamento del tributo […] rispetto al quale il contribuente ha affermato la sussistenza del credito»).

Sono gli ulteriori passaggi del ragionamento della Cassazione a non convincere chi scrive, ed è proprio su questi passaggi che si incentreranno le considerazioni che ci si appresta a svolgere.

Già in sede di merito, il contribuente aveva contestato il mancato invio della comunicazione di irregolarità all’esito del controllo cartolare; tale contestazione, accolta dai giudici di secondo grado, non viene accolta dalla Suprema Corte. Quest’ultima, infatti, riprende quanto affermato da un precedente (viene citata Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344), e sostiene che la «notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione del c.d. “avviso bonario” ex art. 36-bis, comma 3, d.P.R. n.600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; né il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, l. n.212 del 2000, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione […]». E sempre sulla scia di altri precedenti si esclude la possibilità di accedere alla definizione agevolata delle sanzioni dato che essa sarebbe consentita solo ove sussistano i presupposti per l’invio della comunicazione di irregolarità (vengono citate Cass., 6 luglio 2016, n.13759; Id. 29 dicembre 2016, n. 27315 e Id. 30 giugno 2021, n. 18405).

L’analisi che ci si appresta a svolgere richiede anzitutto che sia esaminato il profilo del trattamento sanzionatorio applicabile alle illegittime compensazioni dei crediti di imposta, rilevate in sede di controlli cartolari.

3. Punto di partenza del discorso è l’art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 197, n. 471, che prevede diverse fattispecie sanzionatorie; considerate nel loro insieme esse delineano la valutazione operata dall’ordinamento sul tema delle illegittime compensazioni dei crediti di imposta (la dottrina ha considerato la fattispecie quale «uno dei termini, col soggetto valutante, dell’atto di valutazione», cfr. Cataudella A., Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, in particolare 932 ss. Ad avviso dell’A. citato, gli effetti giuridici rinvengono la loro fonte nell’ordinamento e, dunque, trovano la loro ragione nella «valutazione concreta del fatto da parte dell’ordinamento»). Si precisa, tuttavia, che l’analisi che ci si appresta a svolgere riguarda le disposizioni normative applicate dalla Cassazione nell’ordinanza in commento; siffatte disposizioni saranno verosimilmente revisionate nel quadro della riforma tributaria avviata dalla L. 9 agosto 2023, n. 111.

In passato, l’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, disciplinava esclusivamente le sanzioni per “ritardati od omessi versamenti diretti”, il cui trattamento sanzionatorio era (ed è ancora) pari al 30% degli importi non versati. Il primo comma della medesima previsione normativa, disponeva, altresì: «identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633», dunque, alla iscrizione a ruolo in base ai controlli cartolari si accompagnava l’applicazione delle sanzioni previste per il caso di omesso versamento, indipendentemente dalla specifica irregolarità rilevata. In assenza di altre previsioni normative specifiche la giurisprudenza ha ritenuto generalmente applicabile alle indebite compensazioni il medesimo trattamento sanzionatorio previsto per gli omesi versamenti posto che le indebite compensazioni determinano l’abbattimento degli obblighi di versamento (cfr. Cass., 15 aprile 2011, n. 8681; Id. 26 ottobre 2012, n. 18369; Id. 20 novembre 2015, n. 23755; 4 aprile 2018, n. 8247; Id. 17 marzo 2021, n. 7436; Id. 3 giugno 2021, n. 15392).

Con il passare del tempo il trattamento sanzionatorio previsto per le indebite compensazioni si è fatto via via più specifico, infatti l’art. 27, comma 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ha previsto che «l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi». E la stessa disposizione (al comma 16) ha altresì disposto che l’atto di recupero di crediti inesistenti debba «essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo».

Successivamente, il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha abrogato la disposizione dell’art. 27, comma 18, ed ha specificato ulteriormente i trattamenti sanzionatori novellando l’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997. Il comma 4 di quest’ultimo articolo prevede ora: «nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato», il successivo comma 5 prevede invece che «nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» (enfasi aggiunta).

È appena il caso di precisare che la distinzione fra le due fattispecie sanzionatorie, “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti”, è stata oggetto di vivo dibattito in dottrina ed in giurisprudenza. La dottrina ha più volte rimarcato l’esigenza di tenere distinte le due fattispecie (cfr. per tutti Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti di imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., 2021, 4, in particolare 1537 ss.; Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti di imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. dir. trib., 2022, 3, I, in particolare 219 ss.), invece, la giurisprudenza ha talvolta respinto la distinzione fra crediti inesistenti e crediti non spettanti (cfr. Cass., 21 aprile 2017, n. 10112; Id. 2 agosto 2017, n. 19237; Id. 30 ottobre 2020, n. 24093; Id. 13 gennaio 2021, n. 354; Id. 29 agosto 2022, n. 25436; Id. 25 ottobre 2022, n. 31419). Ma un diverso filone giurisprudenziale ha accolto la distinzione (si veda ad esempio, Cass., 16 novembre 2021, n. 34443, commentata da Letizia L., Crediti di imposta “inesistenti” o non spettanti”: la Corte di cassazione precisa le differenze qualificatorie, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, VII, 839 nello stesso senso si vedano le coeve nn. 34444 e 34445 commentate da Albano A., La compensazione di crediti “inesistenti” e “non spettanti”: regime sanzionatorio e profili processuali, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, VII, 245. Persistendo il contrasto interpretativo, con due ordinanze della Cassazione 8 febbraio 2023, n. 3784 e 2 dicembre 2022, n. 35536, è stata rimessa la questione alle Sezioni Unite che si sono pronunciate con le sentenze citate nel prosieguo. Le ordinanze di rimessione sono state commentate da Campanella F., La rilevanza della differenziazione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” ai fini procedimentali e sanzionatori, in attesa delle Sezioni Unite della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, VI, 273 ss.). Infine, le Sezioni Unite hanno composto il conflitto giurisprudenziale con le recenti sentenze 11 dicembre 2023 nn. 34419 e 34452, che hanno accolto la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, seguendo la strada tracciata dal secondo dei due orientamenti riportati.

Il processo di riforma che si è tratteggiato in precedenza non ha tuttavia scalfito il regime sanzionatorio previsto per gli importi iscritti a ruolo in base ai controlli cartolari delle dichiarazioni. In aggiunta alle modifiche dei commi 4 e 5, il D.Lgs. n. 158/2015 ha espunto dall’art. 13, comma 1, la previsione che estendeva le sanzioni per omesso versamento ai controlli cartolari, ma, contestualmente, ha anche fatto confluire la medesima previsione nel comma 2 del medesimo articolo, a mente del quale: «la sanzione di cui al comma 1 si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» (enfasi aggiunta). Dunque, la sanzione per omesso versamento, ex art. 13, comma 2, si continuerà ad applicare a tutte le iscrizioni a ruolo in base ai controlli cartolari delle dichiarazioni, indipendentemente dalla specifica irregolarità riscontrata. Al netto delle differenze testuali è evidente che l’enunciato normativo da ultimo riportato ha una portata essenzialmente corrispondente a quella della disposizione previgente, anzi, lo scorporamento dal comma 1 sembra esprimere la volontà di conferire maggiore autonomia (o anche specificità) al trattamento sanzionatorio.

Le considerazioni svolte consentono di leggere con maggiore consapevolezza la prospettiva delle Sezioni Unite, in particolare laddove affermano che la non rilevabilità della inesistenza del credito in sede di controllo cartolare della dichiarazione non è «un elemento che si aggiunge, in funzione delimitativa, alla definizione di credito inesistente ma partecipa alla costituzione della stessa nozione di credito inesistente» (in questi termini si esprime Cass., Sez. Un., n. 34419/2023 cit.). A ben vedere, in sede di liquidazione potrebbe essere rilevata anche l’assenza dei presupposti costitutivi del credito (art. 13, comma 5), così come l’utilizzo in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità normativamente previste (art. 13, comma 4,). E ciò è ammesso anche dalle Sezioni Unite, ove hanno affermato che «non importa che il credito sia carente di elementi costitutivi o sia “non reale” se tale inesistenza è agevolmente rilevabile, restando la vicenda in tale ipotesi, soggetta al regime giuridico ordinario e meno afflittivo» (il virgolettato è tratto da Cass., Sez. Un., n. 34419/2023 cit.). Allora, se è vero che, ex art. 13, comma 2, alle iscrizioni a ruolo conseguenti ai controlli cartolari si applicano in ogni caso le sanzioni per omesso versamento, ove una indebita compensazione sia stata ivi rilevata, non potrà applicarsi la sanzione di cui al comma 5 dell’art. 13, e neppure quella di cui al comma 4 (e la clausola «salva l’applicazione di disposizioni speciali» ivi prevista, avvalora tale ricostruzione), ancorché equivalente a quella prevista dal comma 2: le indebite compensazioni rilevabili nei controlli cartolari delle dichiarazioni saranno assoggettate comunque al trattamento sanzionatorio speciale di cui all’art. 13, comma 2.

Tuttavia, sembra che nei testi licenziati in questi giorni dal Governo, ma non ancora pubblicati, sia prevista una riforma delle definizioni di credito inesistente e credito non spettante contenute nell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997 e da tali modifiche potrebbero discendere una serie di problemi che potrebbero indurre a rivisitare alcune conclusioni del presente lavoro rispetto all’itinerario procedimentale percorribile ed alla tipologia di sanzioni applicabili.

4. Come si è detto in precedenza, ultimo passaggio dell’indagine è la definizione agevolata delle sanzioni. Ora, l’ordinanza n. 29152/2023 distingue da un lato l’obbligo di attivazione del contradditorio, che per la Corte sarebbe necessario solo nelle ipotesi di cui all’art. 6, comma 5, L. 212/2000, dall’altro l’invio della comunicazione di irregolarità, che sarebbe dovuta ex art. 36-bis solo ove dalle liquidazioni emerga un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione; e la Corte ritiene altresì che la definizione agevolata delle sanzioni non sia ammessa ove la comunicazione di irregolarità non sia dovuta (vengono citate Cass. n. 13759/2016, cit.; Id. n. 27315/2016, cit.; n. 18405/2021 cit. ma sul punto si vedano anche Cass., 10 giugno 2015, n. 12023; Id. 4 aprile 2023, n. 9248; Id. 8 febbraio 2023, n. 3802). Si tratta di una prospettiva non condivisibile sia per la visione del contraddittorio fatta propria dalla Corte, sia per l’esclusione della possibilità di accedere alla definizione agevolata delle sanzioni.

Il tema del contraddittorio fuoriesce dal perimetro del presente lavoro; su di esso sarebbe necessaria una indagine specifica che tenga conto anche delle recenti innovazioni normative (l’art. 1, comma 1, lett. e), D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 ha introdotto nella L. 20 luglio 2000, n. 212 l’art. 6-bis, comma 2, in forza del quale «non sussiste il diritto al contraddittorio ai sensi del presente articolo per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze […]»).

Con riferimento alla definizione agevolata delle sanzioni è appena il caso di osservare che è apprezzabile la prospettiva della Cassazione ove scinde la definizione agevolata delle sanzioni dalla attivazione del contraddittorio; una breve indagine storica contribuirà a rendere più chiaro il punto.

L’art. 2, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 prevede la riduzione ad un terzo delle sanzioni ordinariamente applicabili, nel caso in cui il pagamento venga eseguito «entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 degli articoli 36 bis e 54 bis […]». E come ha dimostrato la dottrina, l’art. 17, comma 3, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a mente del quale alle sanzioni per omesso versamento «in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista nel comma 2 e nell’articolo 16, comma 3» non varrebbe ad escludere la possibilità di accedere alla definizione agevolata prevista dall’art. 2, comma 2, appena menzionato (cfr. Fransoni G., Considerazioni su accertamenti “generali”, accertamenti parziali, controlli formali e liquidazione della dichiarazione alla luce della L. n. 311/2004, cit., 591 ss.; Carinci A., La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, 193 ss.; Guidara A., Definizione agevolata e sanzioni per omesso versamento di tributi, in Dir. prat. trib., 2017, 3, II, 1290 ss.).

Ora, è necessario mettere in chiaro che la disposizione dell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997, è precedente allo Statuto dei diritti del contribuente, e nel corso degli anni ha mantenuto essenzialmente invariata la sua portata. Originariamente, l’articolo citato prevedeva: «l’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dai commi 3 dei predetti articoli 36-bis e 54-bis, con le modalità indicate nell’articolo 19 del decreto legislativo 9/07/1997, n.241, concernente le modalità di versamento mediante delega. In tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo». Siffatta disposizione andava riferita al testo degli artt. 36-bis e 54-bis risultanti dalla riforma di cui alla L. n. 241/1997 che, allora, non prevedevano che il contribuente potesse richiedere chiarimenti in seguito alla comunicazione di irregolarità, il cui invio era comunque previsto. È solo dopo l’entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente che venne introdotta la possibilità di attivare il contraddittorio all’esito delle liquidazioni, sia pure ad iniziativa del contribuente. Infatti, gli artt. 1 e 2 L. 26 gennaio 2001, n. 32 hanno introdotto, al comma 3 sia dell’art. 36-bis sia dell’art. 54-bis, la previsione per cui «qualora a seguito della comunicazione il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all’amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione». Ma non è qui che si è fermato l’intervento di modifica del 2001.

Il legislatore è intervenuto contestualmente sull’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997, per adeguarlo alla previsione del contraddittorio negli artt. 36-bis e 54-bis. Difatti, l’art. 3 L. n. 32/2001 ha inserito nel comma 2 citato, la previsione per cui la definizione agevolata sia consentita anche entro trenta giorni dal ricevimento «della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta». In pratica, il legislatore, con l’intervento appena menzionato, ha inteso garantire che la definizione agevolata fosse consentita anche ove gli Uffici avessero rideterminato in autotutela la pretesa, in seguito alla possibile attivazione del contraddittorio, frattanto introdotta. Per il resto null’altro è stato rimaneggiato nella disposizione, sicché sembra possibile affermare che la definizione agevolata prevista dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997, sin dalla sua origine, non sia stata inscindibilmente legata all’attivazione del contraddittorio, che al tempo della sua introduzione non era previsto entro le procedure di liquidazione.

La Cassazione pare aver colto il profilo appena riferito, ma esclude comunque la possibilità di accedere alla definizione agevolata delle sanzioni data l’assenza dei presupposti per l’invio della comunicazione di irregolarità. Ebbene, sia l’art. 36-bis, sia l’art. 54-bis al comma 3 prevedono che la comunicazione di irregolarità debba essere inviata «quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione […]». Il significato che la Corte sembra avere attribuito all’enunciato è quello per cui solo in presenza di irregolarità che affliggano la dichiarazione sia necessario l’invio della comunicazione preventiva, di conseguenza, ragionando a contrario, ove la dichiarazione non presenti irregolarità la comunicazione preventiva non sarà dovuta e la definizione agevolata delle sanzioni non sarà ammessa. Tuttavia, come si è cercato di dimostrare in precedenza, in sede di liquidazione possono essere rilevate anche irregolarità che non affliggono la dichiarazione e che, oltretutto, sono diverse (e più complesse) dalla mera rilevazione del mancato versamento di importi dovuti in base alla dichiarazione. Ci si riferisce, in particolare, alle correzioni automatizzate dell’impiego dei crediti di imposta compensati; qui, come hanno precisato le stesse Sezioni Unite nelle sentenze nn. 34419 e 34452 del 2023, potrebbe essere rilevata finanche l’assenza dei presupposti costitutivi del credito. Le considerazioni appena svolte sollecitano una interpretazione dell’art. 36- bis, comma 3, che renda necessario l’invio della comunicazione di irregolarità anche nelle ipotesi di disconoscimento automatizzato di crediti di imposta; del resto, in quest’ultimo caso grazie alla comunicazione di irregolarità il contribuente potrebbe presentare i propri chiarimenti, o quantomeno accedere alla definizione agevolata delle sanzioni di cui all’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997 oltre che alla possibilità di pagare in più soluzioni prevista dall’art. 3-bis del medesimo testo normativo. In ogni caso resta il fatto che i recuperi dei crediti di imposta nell’ambito dei controlli cartolari rimarrebbero assoggettati, per questa via, ad un trattamento deteriore rispetto a quelli effettuati con apposito atto di recupero, dato che, secondo l’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, attualmente in vigore, nel caso di recupero di crediti non spettanti è ammessa la definizione agevolata di cui agli artt. 16, comma 3, e 17, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997. E si tenga conto che secondo il nuovo art. 38-bis, coma 1, lett. b), D.P.R. n. 600/1973, siffatta definizione agevolata è ammessa sia nel caso di recupero di crediti non spettanti, sia nel caso di recupero di crediti inesistenti, anche se quest’ultima disposizione andrà coordinata con le modifiche che dovrebbero essere apportate alla disciplina delle sanzioni.

Conclusivamente, si ritiene che nel caso di specie avrebbe dovuto esser consentito al contribuente, dato il mancato invio della comunicazione preventiva, quantomeno la possibilità di «pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella di pagamento», seguendo la strada tracciata da Cass., 12 febbraio 2013, n. 3366, da cui è tratto il virgolettato, e d’altronde in questo senso si era pronunciato il giudice di secondo grado.

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