LA FARMACIA DEI SANI, LABORATORIO DI IGIENE GIURIDICA – Chiarezza e sinteticità degli atti tra penne stilografiche, copia e incolla e intelligenza artificiale: Italo Calvino per la difesa del Lògos del diritto

Di Alberto Marcheselli -

Abstract (*)

Alcune riflessioni sull’impatto della tecnologia sul linguaggio giuridico. La possibile profilassi contro gli errori di sistema.

Some reflections on the impact of technology on legal language. Possible prophylaxis against system errors.

Sommario: 1. Il diritto come Lògos. 2. La tecnologia come opportunità e come rischio: memoria di massa e cervelli all’ammasso. 3. Copincollando verso l’Abisso. 4. Neoluddismo informatico o pacifica convivenza. 5. La Statistica come reparto frodi della Matematica. 6. I talismani di Italo Calvino per il diritto del Terzo Millennio.

Tempo di lettura: infinito, con noia e barba.

1. Oggi la prendiamo alta e parliamo, non di casi e questioni, ma di diritto, lingua e tecnologia: siete pertanto avvertiti e potete interrompere la lettura prima che sia troppo tardi.

Il diritto tributario, come tutto il diritto, come tutte le discipline umane, è un Lògos. Cioè, secondo la mirabile sintesi della cultura greca, un discorsopensiero

Non gli si può predicare verità, ma utilità a regolare giustamente il vivere sociale.

Il valore del diritto, la sua bontà, deriva, allora, dall’allineamento del discorso a un pensiero coerente e proporzionato.

La sua peculiarità, rispetto ad altre discipline, è, tuttavia, che esso regola le cose della vita comune e utilizza in gran parte il linguaggio naturale.

Cioè, ha un forte rischio di inesattezza.

Questo rischio non può essere più di tanto eliminato con l’uso di tecnicismi specialistici, proprio perché il diritto regola la vita di tutti. Se esso usasse un linguaggio astratto, una neolingua tecnica, non svolgerebbe la sua funzione.

Sarebbe una lingua equivalente a quella delle gride di Manzoni: il pessimo diritto del ‘600, lo strumento del sopruso. Oppure, una lingua magica.

Ancora una volta, evocando Manzoni, verrebbe a proposito la caustica risposta del giovane Renzo Tramaglino: “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”

Il diritto incomprensibile al fruttivendolo, al medico, al pizzaiolo, è cattivo diritto.

La fisica incomprensibile al macellaio può, comunque, essere buona fisica.

Ma, proprio perché è immerso nella vita quotidiana, il diritto potrebbe esserne travolto.

L’oggetto delle mie riflessioni sarà allora articolato in due fasi.

La prima parte la dedicherò al contributo della tecnologia al Lògos del diritto in genere, e tributario in particolare.

La seconda parte a qualche considerazione sulla tecnica stilistica del linguaggio del diritto.

2. Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito a due grossi impatti della tecnologia sul linguaggio giuridico, che fanno da apripista all’arrivo della Intelligenza Artificiale.

Si tratta dell’informatica, che, in mano ai non informatici, è pericolosa, come il bisturi del proctologo in mano a una scimmia.

E, visto che il diritto metabolizza lentamente, mi occuperò di strumenti informatici assolutamente elementari e già del passato preistorico, in termini tecnologici.

Il primo impatto ha trasportato nel mondo dei legulei il paradosso ben rappresentato da Jorge Luis Borges nella Carta dell’impero. In quel vertiginoso racconto, estratto da Storia universale dell’infamia, si inventano dei cartografi talmente scrupolosi da aver realizzato una carta in scala 1:1, grande esattamente come l’impero, che rappresenta in modo completo ed esatto.

Perfettamente completa, ma completamente inutile.

L’informatica, nel diritto, ha prodotto un danno iniziale simile. A fronte di una capacità di memorizzazione dei dati pressoché infinita, si è pensato a – e si è rimasti sedotti da – l’idea di un diritto che esaurisca tutta la casistica, come la Mappa dell’Impero, appunto.

Intanto, a livello legislativo.

E se ne è avuto un esempio strutturale mirabile, a me sembra, nel Testo Unico delle Imposte sui redditi, che, come si rileva in tante norme (ad esempio, in materia di redditi di capitale), ha ritenuto di poter prevedere espressamente tutti i casi di imponibilità e, conseguentemente, di introdurre tendenzialmente il principio di tassatività.

Con ciò non cogliendo che le forme contrattuali e di realizzazione e circolazione della ricchezza non sono come gli animali della zoologia (prima della genetica, a essere precisi): sono le pressoché infinite combinazioni che l’autonomia privata può escogitare.

Quindi, non si possono prevedere tutte a priori.

Ne scaturiscono due gravi conseguenze.

Il primo danno è che non tutte le ipotesi equivalenti vengono tassate, e quindi si crea ingiustizia.

Il secondo danno è che, abituandosi agli elenchi, si perdono di vista le categorie concettuali: una sorta di analfabetismo di ritorno, da informatica.

Per inciso, è stata questa la ragione che ha reso necessario introdurre il contrasto dell’ abuso del diritto, che altro non è che un modo di recuperare le lacune di un diritto esasperatamente casistico, invece che operando sulle regole, inseguendo le condotte di chi sfrutta le lacune.

Un tentativo, insomma, di rimettere a posto ciò che è rimasto fuori dall’armadio… ma quando nel frattempo si sono buttati via i cassetti dove mettere le cose e, non solo, si è quasi dimenticato come costruirli.

Il modo corretto di usare la memoria informatica sarebbe stato, invece, mi sembra, prevedere la definizione della categoria e, poi, quanti esempi si vuole.

3. Il secondo prodotto base dell’informatica (informatica per dummies, quale il sottoscritto) che vogliamo considerare è il copia e incolla.

In proposito, mi sovviene una osservazione dell’etologo Konrad Lorenz, che confrontava il comportamento della gracula e dello scimpanzé.

Il corvo, con tutto ciò che trova, tenta di fare solo una cosa, il nido.

Lo scimpanzé, più evoluto, con ogni cosa tenta di fare tutto, e questa sperimentazione spinta è la ragione del successo dei primati.

L’Uomo, ugualmente, prova inizialmente a usare tutto per tutto.

Così ha fatto con il copia e incolla, utilizzandolo sia dove è utile (nelle parti ripetitive), sia nella parti dove è potenzialmente dannoso: nelle parti di ragionamento.

L’errore è grave: equivale a quello di un fisico che ricopiasse non solo la descrizione della preparazione dell’esperimento, ma smettesse di osservare lo svolgimento dell’esperimento e copiasse i risultati e le analisi dei precedenti.

Questo è, esattamente, il risultato dell’utilizzo del copia e incolla nelle motivazioni sugli accertamenti dei fatti, per esempio.

E, come sempre, dal sonno della ragione nascono mostri.

Cioè, regole apocrife (perché non approvate da nessuno) e insensate.

L’esempio cui ricorro spesso (e cui ho già fatto ripetuto ricorso anche su questa Rivista) sono le famigerate presunzioni giurisprudenziali: ad esempio il caso, mai sufficientemente esecrato, della tassazione dei redditi evasi dai soci delle piccole società.

Si tratta di una questione specifica del diritto tributario, ma si può spiegare agevolmente con una metafora potabile anche per non addetti ai lavori, di cui mi avvalgo spesso.

È, in effetti, come il calcio di rigore.

Si parte osservando che, se si calcia un rigore, le probabilità di goal sono elevate.

Poi si analizza meglio, dicendo che, se la palla è diretta in porta con sufficiente forza e il portiere non la prende (né è intercettata da un cormorano di passaggio), è gol.

Poi si arriva a dire che, se il tiro è diretto in porta, è gol, a meno che il portiere dimostri di averla presa.

E, a furia di copiare parti di testo senza pensare, l’enunciato diventa che è gol se il portiere non si tuffa.

Ma ciò è manifestamente assurdo… e se il tiro era fuori? E se nessuno ha tirato?

Di copia e incolla in copia e incolla, la regola diventa che è gol tutte le volte che il portiere non si tuffa.

Esattamente lo stesso in materia tributaria: si è arrivati ad affermare, negli avvisi di accertamento e, talvolta anche in qualche sentenza, che i soci evadono le loro imposte personali se non dimostrano una diversa destinazione della evasione della società. Già, ma se l’evasione della società era realizzata tramite costi veri ma indeducibili? I soci mica possono essersi arricchiti… non c’era niente da distribuire…

Copiando e incollando, il giurista rischia di perdere il senso (e il senno), annegato in un mare di brodo confuso e riscaldato, perché si è rimasti passivi rispetto allo strumento e il manovratore è divenuto manovrato.

4. Beninteso, ciò non vuol dire opporsi alla informatica: sarebbe, oggi, come opporsi alla introduzione della scrittura, 2000 e passa anni fa.

E c’era chi si lamentava della scrittura eh: anche questo amo ricordarlo, ma Platone nel Fedro faceva dire, dal Faraone all’inventore della scrittura, che la scrittura sarebbe stata una sciagura, perché avrebbe reso l’uomo meno intelligente.

Non è andata così, anzi, e speriamo che per l’informatica sia lo stesso.

Certo, occorre della cautela, anche perché, insegnano gli studi di neuropsichiatria, nella lettura a video si attivano aree dell’encefalo completamente diverse da quelle che si attivano nella lettura su carta. La lettura a monitor favorisce la metonimia più che la metafora: la libera associazione emotiva, più che la deduzione o induzione logica.

Un mio anziano presidente, anche senza frequentare i neuropsichiatri, proponeva, come correttivo, una soluzione neoluddista: “Per scrivere la sentenza scrivi con la penna stilografica, che così vai lento e sei costretto a capire e, facendo fatica, economizzi le parole”.

Non è necessario arrivare a questo, credo (ed è anche velleitario: il progresso è – fortunatamente – inarrestabile).

Occorre, però, prudenza, specie con la Intelligenza Artificiale alle porte.

Esaurite le critiche, la pars destruens, vediamo se è possibile una pars construens: visto che siamo in Farmacia, proviamo a indicare, ancora una volta, una profilassi, che potrebbe svolgersi lungo due direttrici igieniche.

5. La prima linea di igiene giuridica riguarda l’uso della “tecnologia linguistica”: riservarla alle parti ripetitive e descrittive e non a quelle di ragionamento: se ho capito bene (mi frusteranno gli informatici), almeno per ora le forme più diffuse di Intelligenza Artificiale sono pur sempre una sorta di Stupidità Velocissima, cioè abilità a individuare i nessi statisticamente rilevanti tra i lemmi, senza collegarli a concetti né esprimere giudizi e valutazioni.

In altri termini, il Cretino Superveloce è bravo a fare statistiche sul lògos a livello di discorso, ma il pensiero non c’è, c’è una mirabile imitazione, spesso in modo apparentemente efficiente, dell’output di un pensiero.

Ma, Houston, abbiamo un problema, quello della qualità del data entry.

Il materiale con cui addestrare la AI è in linguaggio naturale, per definizione estremamente ambiguo.

E, soprattutto, la statistica rileva le quantità, ma, nelle c.d. scienze sociali non è affatto detto che la ricorrenza statisticamente cospicua di uno stilema linguistico corrisponda alla sua qualità (logica e sostanziale).

Una cosa ripetuta tante volte nelle relazioni sociali non è detto sia quella corretta, può, anzi, spesso è, essere un errore, facile, ripetuto: in questa materia la statistica è il Reparto Frodi della Matematica.

Molto spesso la qualità della scrittura giuridica è elitaria, non intercettabile a peso.

Ciò a differenza che nella fisica: dalla ripetizione di una osservazione obiettiva dei fenomeni induco una legge naturale, dagli errori diffusissimi desumo solo che la la mamma degli stupidi è spesso in stato interessante.

Dalla ripetizione di un discorso giuridico, quindi, non desumo normalmente la sua esattezza o giustezza, anzi, molto spesso è l’esatto contrario, come si è visto sperimentalmente appena sopra quanto alle società a ristretta base. Giusto a proposito, Frank Zappa sbeffeggiava la statistica usando l’argomento scatologico della dieta delle mosche: “mangiate cacca, le mosche la mangiano e sono miliardi, non possono sbagliare!”

Nelle scienze naturali o fisico matematiche è tutto un altro discorso: la ricorrenza di un certo risultato – oggettivabile – di un esperimento espresso in linguaggio non naturale (ad esempio fisico/matematico) lo rafforza.

C’è, insomma, mi pare, una barriera difficilmente valicabile tra le scienze “dure” e il loro giudizio di verità/probabilità, da un lato, e le scienze umane, che sono un altro mondo.

Non è lo stesso lògos, né come discorso, né come pensiero.

6. La seconda profilassi concerne, invece, la linguistica umana.

Può essere utile affidarsi, allora, a dei preziosi medicamenti suggeriti da Italo Calvino, di cui si è di recente celebrato il centenario della nascita.

Intanto, ricordando che, nel 1981, richiesto di individuare delle scialuppe di salvataggio per gli intellettuali del 2000, ammonì era bene che egli sapesse far le pulizie, cucinare e cucire, ma non perché sarebbe mancata la relativa professionalità, ma per non dimenticare che le basi di qualsiasi cultura sono sempre materiali. Combattere l’astrattezza, come grande pericolo del Terzo Millennio.

I giuristi, che manovrano parole e concetti, sono, in fondo, degli umili operai intellettuali e se ne potrebbero giovare.

Ma, poi, di Calvino si devono – ovviamente – considerare le 5 più una, citatissime, Lezioni Americane.

Il diritto ha, infatti, estremo bisogno di quei sei talismani.

La leggerezza: poiché il diritto serve a tutti, deve essere portato da tutti, e si porta meglio se è leggero. Un linguaggio semplice ma non semplicistico, lieve ma non banale.

La semplicità è, però, difficile (si raggiunge con l’esercizio e la piena comprensione). Non a caso gli attori comici sono, se vogliono, eccellenti attori drammatici, ma non viceversa (qualcuno ricorda Jerry Lewis in Re per una Notte?).

La rapidità: un racconto è sempre una operazione sulla durata. Anche gli atti processuali: usano e abusano del tempo e della capacitò di attenzione del lettore. Assistiamo quasi a un paradosso: i giornali, la letteratura, il cinema si evolvono verso la brevità (addirittura indicando preventivamente la durata della lettura degli articoli, on line), la scrittura giuridica verso la prolissità, come una cucina nella quale si cucinano pentoloni di minestrone sempre più grossi e stantii.

Il disprezzo della lunghezza in quanto tale è un male, e l’imposizione di una misura unica eccessivo, ma anche l’anarchia della brodosità è un gravissimo difetto.

La regola dovrebbe essere quella della musica: è questione di RITMO e di DINAMICA, non di lunghezza. Ci vuole una cadenza e uno sviluppo gradevole. Poi, certo, c’è il Wagner della Tetralogia (lunghissima) o quello della Elegia (che dura poco più di un minuto): ma con ritmo e dinamica sempre di capolavori si tratta. Al buon cuoco, più che imporre di cucinare in una sola pentola, devi chiedere di cucinare pasti digeribili e saporiti, a seconda del tipo di portata e occasione.

Anche la rapidità nasconde lo stesso paradosso della leggerezza: essa si raggiunge… lentamente (costa tempo capire e solo chi ha capito sa esser veloce nel dire).

L’esattezza. Precisione del lessico e immagini incisive e memorabili. La puntuale corrispondenza di parole a concetti delimitati e nitidi è, evidentemente il sale del buon diritto e null’altro occorre aggiungere.

La visibilità. Cioè, la capacità di visualizzare i concetti, riuscire a rappresentarli diversamente, e più efficacemente. Il linguaggio giuridico si può giovare, a piene mani, della potenza delle metafore (e ne abbiamo fatto un uso indegno poco fa, parlando di rigori nel calcio, invece che di evasione del socio).

La molteplicità. Il buon giurista è allievo di Guglielmo di Ockham: coglie le differenze, ma non le moltiplica: è il senso profondo dell’art. 3 della Costituzione: disciplina uguale di casi uguali, e diversa di casi diversi. Dove “uguale” non significa identico, ma equivalente.

Il cattivo giurista pensa che il diritto sia fare distinguo, compresi quelli capziosi. È la tecnica di Azzeccagarbugli. Eh, no, significa cogliere uguaglianza e differenze delle forme e delle strutture portanti. Quella che gli psicologi chiamano intelligenza della Gestalt.

E poi, per ultima, la dote più preziosa, la consistency, che Calvino non poté descrivere, perché morì prima.

La consistenza è il riassunto, in una parola, di come deve essere il buon diritto: solido, compatto, robusto, denso, stabile, equilibrato, coeso, concreto.

Per chiudere la riflessione con un gioco di parole e uno slogan, insomma, possiamo dire: “il diritto consiste di consistenza, che è la base essenziale del ben vivere sociale”.

Difendiamolo dall’assalto delle …allegre scimmie armate di bisturi.

(*) Testo utilizzato come base per la relazione tenuta il 20 aprile 2024 al Convegno Principi di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti”, organizzato da Accademia della Crusca e Unione delle Camere degli Avvocati Tributaristi, in Firenze, Villa Medicea di Castello.

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