Prime considerazioni e spunti sulla nuova residenza fiscale delle società (in una prospettiva anche sovranazionale)
Di Alessandro Savorana e Fabrizio Vismara
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Abstract
Il D.Lgs. n. 209/2023, modificando il comma 3 dell’art. 73 del Testo Unico sulle imposte dirette ha fissato nuovi criteri di collegamento per le società di capitali e gli enti con il territorio dello Stato, al fine di determinarne la residenza fiscale. Rispetto ai previgenti presupposti, la situazione non pare essere migliorata né esce rafforzata la certezza giuridica, permanendo l’indeterminatezza interpretativa.
Il quadro rimane confuso, anche perché appare ancora disorganico il contesto internazionale. L’OCSE non ha mai voluto (o potuto) assumere una posizione decisa, marcando con chiarezza le condizioni e i sottostanti elementi di fatto dai quali evincere la residenza delle società o enti. Le stesse giurisdizioni degli Stati declinano in modo differente i presupposti di residenza, con effetti sull’interpretazione dei Trattati nei casi di dual residence.
L’analisi muove da una verifica della residenza fiscale nel contesto internazionale e dell’Unione Europea, per poi affrontare gli effetti delle modifiche apportate alla disposizione interna domestica, traendo la conclusione che, sussistendone le condizioni, non può escludersi la compresenza di una sede di direzione della controllante in uno Stato, quale fulcro decisionale limitato alle operazioni di maggiore rilevanza, e la sede della controllata in un altro Stato ove è svolta in via principale la gestione operativa day-by-day, senza che quest’ultima possa essere attratta all’ordinamento tributario italiano. Resta che il modello di corporategovernance giocherà un ruolo cruciale nell’analisi concreta, semplificando o complicando l’individuazione della residenza.
First considerations and insights on the new tax residence of companies (also from a supranational perspective) – The Legislative Decree no. 209/2023, by amending paragraph 3 of article 73 of the Consolidated Text on Direct Taxes, has established new connecting criteria for companies and entities with the territory of the State, in order to determine their tax residence. Compared to the previous assumptions, the situation does not seem to have improved, nor does legal certainty appear to have been strengthened, as interpretive uncertainty persists.
The framework remains confused, also because the international context still appears disorganized. The OECD has never wanted (or been able) to take a decisive position, clearly defining the conditions and underlying factual elements from which to ascertain the residence of companies or entities. The jurisdictions of States also interpret the prerequisites for residence differently, affecting the interpretation of treaties in cases of dual residence.
The analysis begins with an examination of tax residence in the international and European Union context, before addressing the effects of changes made to domestic internal provisions. It concludes that, if the conditions are met, the coexistence of a headquarters of the controlling company in one State, acting as a limited decision-making center for only the most significant operations, and the headquarters of the subsidiary in another State, where day-to-day operational management is primarily conducted, without the latter being subject to the Italian tax system. It remains that the corporate governance model will play a crucial role in the concrete analysis, either simplifying or complicating the identification of residence.
Sommario:1. Premessa. – 2. La residenza delle società e degli enti in ambito internazionale. Gli indirizzi OCSE. – 2.1.(Segue). La supremazia dei Trattati e del diritto unionale. – 3. I requisiti di sostanza economica per le giurisdizioni a bassa fiscalità. – 4. I criteri domestici individuati dal nuovo comma 3 dell’art. 73 TUIR: premessa. – 4.1. (Segue). La sede legale. – 4.2. (Segue). La direzione effettiva. – 4.3. (Segue). Il day-by-day management. – 5. Effetti dei nuovi criteri di residenza nei casi di esterovestizione e CFC. – 6. Rilievi conclusivi.
1. L’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 209/2023 modifica il comma 3 dell’art. 73 TUIR fissando nuovi criteri di collegamento per le società di capitali e gli enti con il territorio dello Stato, al fine di determinarne la residenza fiscale. Con contenuto in sostanza a “specchio”, il comma 2 dello stesso articolo sancisce, invece, i criteri per la residenza fiscale delle società di persone[1].
La revisione si colloca nell’attuazione dell’art. 3, comma 1, lett. c) della legge delega 9 agosto 2023, n. 111, nel «[…] provvedere alla revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni».
Per effetto delle modifiche in esame, si considerano residenti a fini IRES le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Di conseguenza, il concetto di “sede dell’amministrazione” e quello di “oggetto principale” sono sostituiti dalla “sede di direzione effettiva” e dalla “gestione ordinaria in via principale”. Residua il criterio della sede legale che, se nelle intenzioni del legislatore assume carattere formale ed elemento di continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma, è comunque in grado di fondare il collegamento personale all’imposizione delle società e degli enti (cfr., Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 209/2023, 2).
La Relazione illustrativa al decreto motiva la riformulazione del comma 3 dell’art. 73 «[…] con l’obiettivo di assicurare maggiore certezza giuridica, tenendo anche conto delle prassi internazionali e dei criteri per la definizione della residenza previsti dalle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni».
Sempre dalla stessa Relazione, si ricava l’ulteriore giustificazione che «I criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” esprimono la ratio della novella legislativa, sottolineando la rilevanza degli aspetti di natura fattuale in relazione al collegamento personale all’imposizione del reddito e realizzando un approccio che lo amplia e rafforza la certezza del diritto».
In realtà questo rafforzamento della certezza giuridica appare opinabile, a causa dei presupposti, spesso dissimili, adottati dagli altri Stati in ambito internazionale. Rispetto al recente passato, infatti, non pare scorgersi una migliore qualificazione della residenza fiscale che rimuova l’incertezza interpretativa.
In particolare, per gli enti e le società italiane, che sono posizionate o intendono proiettarsi sull’estero, il perimetro applicativo della norma si prospetta per certi aspetti più incerto. Il modello di governance giocherà un ruolo cruciale nell’analisi concreta, semplificando o complicando l’individuazione della residenza.
2. Nel Modello di Convenzione OCSE del 2017[2], la residenza convenzionale delle persone giuridiche è imperniata, primariamente, sulla sede della direzione effettiva (Place of effective management, acronimo “PoEM”) o altro criterio analogo, sia pur tenendo in considerazione, in caso di controversia, anche il luogo di costituzione della legal entity e di qualsiasi altro elemento pertinente (art. 4 del Modello OCSE).
Peraltro, nel vigente Modello non vi è più alcun riferimento alla tie-breaker rule, esistente nel comma 3 dell’art. 4 anteriore e ora prevista solo per le persone fisiche, e il PoEM non è più menzionato all’art. 8 (Navigazione marittima ed aerea).
In caso di contrasto sul luogo di residenza, come sopra anticipato il nuovo comma 3 dell’art. 4 prevede che le Autorità competenti faranno del loro meglio per determinare di comune accordo la residenza convenzionale con particolare riguardo a: a) sede di direzione effettiva, b) al luogo in cui è registrata o è stata originariamente costituita e c) ogni altro elemento pertinente.
Resta però che nella recente versione del 2017 il Place of effective management è un termine che rimane indefinito, e neppure codificato, tanto dalla Convenzione quanto dal Commentario.
In precedenza, dal 2000 al 2008 il Commentario definiva il PoEM quale «luogo in cui vengono sostanzialmente prese le decisioni chiave gestionali e commerciali necessarie per lo svolgimento dell’attività dell’entità nel suo complesso. Il PoEM sarà ordinariamente il luogo in cui la persona o il gruppo di persone più anziane (ad esempio un CdA) prende le decisioni»[3].La versione del Commentario sino al 2014 indicava invece il PoEM come «il luogo in cui vengono sostanzialmente prese le principali decisioni gestionali e commerciali necessarie per la conduzione dell’attività dell’entità nel suo complesso. Tutti i fatti e le circostanze rilevanti devono essere esaminati per determinare il PoEM. Un’entità può avere più di una sede di gestione ma può avere un solo PoEM alla volta».
Il fatto che nel 2017 Modello e Commentario si astengano da una definizione precisa, quantomeno evoluta, lascia intuire le difficoltà incontrate in sede internazionale nel marcare un framework di riferimento convenzionale sulla residenza di un soggetto giuridico.
Questa costante indeterminatezza nel tempo è sostanzialmente da ascriversi al fatto che l’individuazione del PoEM è sempre stata contraddistinta da margini di opinabilità, non solo per quanto attiene all’accertamento delle circostanze di fatto, ma anche in ragione dell’ambiguo significato sul piano teorico, spesso influenzato anche delle disposizioni di diritto interno dei vari Stati (cfr. Cimaz O., La residenza fiscale delle società e la convenzione multilaterale, in dirittobancario.it, 21 dicembre 2022).
Con una semplificazione estrema, si può affermare che: (i) i Paesi di common law (UK, Australia, India, South Africa ad eccezione degli USA) intendono il PoEM come il luogo ove vengono prese le decisioni strategiche delle società (central management e control); (ii) i Paesi di civil law intendono il PoEM come il luogo ove viene gestito il day to day delle società; (iii) l’Italia, a seguito del nuovo comma 3 dell’art. 73 TUIR, adotta entrambi i criteri.
Le difficoltà nell’individuare univocamente il PoEM in ragione delle divergenti caratteristiche degli ordinamenti societari degli Stati legati tra loro da una Convenzione contro le doppie imposizioni, siano essi di common o civil law, non si limitano peraltro all’assenza di un univoco orientamento dell’OCSE al riguardo, ma risultano amplificate dagli svariati modelli di governance applicabili all’interno di ciascuno Stato, tra cui, ad esempio, l’adozione di un single o dual board (Cimaz O., op. cit., nota 6).
A rendere maggiormente complesso il quadro, vi sono poi le regole di governance. Le decisioni chiave nella gestione della società, specie nei gruppi multinazionali[4], possono essere influenzate dai soci e in maggior modo laddove il funzionamento della società non richiede strutture complesse o attività quotidiane come, ad esempio, nelle società holding.
Una possibile indicazione interpretativa, seppur non esaustiva, può ricavarsi al par. 24.1 del Commentario 2017 in relazione al comma 3 dell’art. 4. In caso di “conflict of dual tax residence”, infatti, sono esplicitati i fattori che le Autorità competenti dovrebbero prendere in considerazione[5] per decretare lo Stato di residenza fiscale della società quali:
il luogo in cui solitamente si tengono le riunioni del consiglio di amministrazione o di un equivalente organo di gestione;
dove il direttore generale e altri dirigenti senior svolgono usualmente le proprie attività;
il luogo in cui abitualmente avviene la gestione quotidiana della società;
dove ha sede la direzione generale della società;
quali leggi nazionali regolano lo status legale della società;
dove sono tenuti e conservati i libri e le registrazioni contabili;
la valutazione se l’attribuzione di residenza in un Paese non determini un uso improprio della Convenzione.
Si tratta a ben vedere di uno scrutinio case by case considerando plurimi elementi, che però potrebbe non risolvere la controversia[6]. Gli Stati, infatti, non sono vincolati a raggiungere un accordo comportante la limitazione alla propria potestà impositiva, il che avrebbe un impatto significativamente negativo per il contribuente.
La situazione di incertezza in merito alla determinazione della residenza di un soggetto giuridico non appare peraltro destinata a progredire anche con l’entrata in forza del MLI[7].
L’istituto della procedura amichevole (Mutual Agreement Procedure – MAP) di cui all’art. 25 del Modello OCSE di Convezione 2017, previsto dall’articolo 4[8] per risolvere le situazioni di doppia residenza fiscale, non solo è facoltativo, ma ha formato oggetto di riserva da parte dell’Italia, così come da parte di numerosi altri Stati che non hanno manifestato l’intenzione, o assunto la decisione, di ricorrere alla MAP quale unica regola per risolvere i conflitti di residenza degli enti societari. È verosimile ipotizzare che l’Italia in sede di ratifica elimini la riserva, se si considera che nelle ultime Convenzioni siglate ha seguito il nuovo art. 4 par. 3 (vedi Convenzioni con Giamaica, Uruguay, Bulgaria e Colombia): sarebbe incoerente mantenere un doppio criterio.
Va inoltre osservato che, anche in questo caso, in assenza di accordo il contribuente non avrà diritto ad alcuno sgravio o esenzione fiscale prevista dalla Convenzione, salvo nella misura in cui ciò sia stato convenuto dalle Autorità competenti degli Stati, con le modalità da loro concordate[9].
In contrapposizione al PoEM, l’art. 29 del Modello OCSE del 2017 (par. 149 del Commentario), con riferimento alla clausola di LOB estesa[10], consente agli Stati di considerare quale “sede principale di gestione e controllo” di un’azienda se: «Gli executives officers[11] e i dirigenti senior della società o entità esercitano la responsabilità quotidiana per una maggiore parte delle decisioni strategiche, finanziarie e operative per la società o entità e per le sue controllate dirette e indirette, e il personale dell’entità svolge una maggiore parte delle attività quotidiane necessarie per la preparazione e l’adozione di tali decisioni, a) nello Stato contraente rispetto a qualsiasi altro Stato; e b) rispetto ai dipendenti di qualsiasi altra società o entità».
Ciò attiene alla definizione del day-by-day management.
L’adozione del testo dell’art. 29 nel Trattato dipende da come gli Stati contraenti decidono di attuare la loro intenzione comune riflessa nel preambolo della Convenzione e incorporata nello standard minimo del Progetto dell’OCSE/G20 BEPS: a questo proposito, il termine “primary place of management and control” è criterio ben distinto dal concetto di “place of effective management” che veniva utilizzato prima del 2017. Il concetto di “primary place of management and control“, si riferisce al luogo in cui viene esercitata la responsabilità quotidiana per la gestione della società o entità (e delle sue controllate dirette e indirette).
Appare corretto rilevare che il luogo principale di gestione e controllo di un’azienda debba essere inteso come il luogo situato nello Stato di residenza di quest’ultima solo se, in base a puntuale suddivisione, i dirigenti aziendali e i dipendenti senior esecutivi esercitano la responsabilità quotidiana per la maggiore parte delle decisioni strategiche, finanziarie e operative per l’azienda e per le sue controllate dirette e indirette, e il personale che supporta tale gestione nella preparazione e nella presa di tali decisioni svolge la maggior parte delle attività quotidiane necessarie in questo Stato, rispetto all’altro Stato che ha siglato il Trattato o a qualsiasi terzo Stato[12].
Si tratta, a ben vedere, di un’analisi complessa, da condurre caso per caso e s’impernia sull’esame quali-quantitativo sia delle deleghe di poteri che consentono ai manager la gestione dell’attività societaria, sia della struttura organizzativa a supporto del management.
In tale articolato contesto, pare davvero difficile valutare in positivo l’affermazione contenuta nella Relazione illustrativa che le modifiche apportate al comma 3 dell’art. 73 assicurano «[…] maggiore certezza giuridica, tenendo anche conto delle prassi internazionali e dei criteri per la definizione della residenza previsti dalle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni».
Così come nel previgente testo, anche nell’attuale, a nostro parere, restano significative difficoltà interpretative e applicative poiché l’esame resta comunque ancorato a situazioni fattuali e, dunque, oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione finanziaria, fermo restando che incombe a quest’ultima l’onere della prova (sul punto cfr. CGUE: 17 luglio 1997 causa C-28/95, A. Leur-Bloem; 1° dicembre 2022, causa C-512/21, Aquila Part Prod Com SA).
Difficoltà, è bene dirlo, che non riguardano solo l’Italia, ma tutte le giurisdizioni con le quali il nostro Paese abbia concluso un Trattato contro le doppie imposizioni.
Può, dunque, verificarsi il caso in cui una società estera possa in prima analisi considerarsi residente nel proprio Stato secondo la legislazione ivi vigente e anche in conformità alla norma del Trattato; cionondimeno, la medesima società potrebbe considerarsi residente anche in Italia. Vale peraltro anche la regola inversa, sicché anche una società ritenuta residente in Italia secondo i nuovi criteri dell’art. 73 TUIR potrebbe allo stesso tempo essere considerata residente anche in altro Stato estero, ove ad esempio si riscontri, in presenza di una normativa estera simile alla nostra, che essa ha la direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale in tale altra giurisdizione.
Sono pertanto evidenti i rischi di sovrapposizione del potere impositivo ove le regole del Trattato vigente con l’Italia non pongano regole certe, o interpretate uniformemente, per risolvere il conflitto di residenza fiscale.
2.1. Va ricordato che gli indirizzi del Commentario OCSE al Modello di Convenzioni contro le doppie imposizioni non hanno valore normativo, ma costituiscono solo una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti. Il Commentario, seppur possa essere d’ausilio all’interprete nella disamina della fattispecie, non è vincolante giuridicamente (da ultimo, Cass., sez. V, 4 settembre 2023 n. 25690), quale “fonte del diritto internazionale”, per cui occorre sempre e comunque riferirsi al testo del Trattato[13]. E l’art. 117 Cost. prevede, notoriamente, l’obbligo per il nostro legislatore di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali.
Va poi richiamato il primato del diritto unionale anche rispetto ai Trattati internazionali contro le doppie imposizioni (Savorana A. – Vismara F., Convenzione multilaterale con presunzione sull’abuso, in Il Sole 24 Ore, 4 novembre 2021). In linea generale, laddove la circostanza interessi due Stati membri dell’Unione, come ha statuito la Corte di Giustizia UE prevale il principio unionale (cfr. Corte di Giustizia UE: C-3/91 del 10 novembre 1992, Exportur SA; C-235/87 del 27 settembre 1988, Matteucci), rilevando nel caso come «le disposizioni di una convenzione, stipulata successivamente al 1° gennaio 1958 da uno Stato membro con un altro Stato membro, non potessero applicarsi, a partire dall’adesione di questo secondo Stato alla Comunità, nei rapporti fra gli stessi Stati qualora si rivelassero in contrasto con le norme del Trattato». Tale principio si ricava anche dall’art. 351 TFUE, che fa salvi, a determinate condizioni, i diritti e gli obblighi derivanti da Trattati conclusi anteriormente alla conclusione dei Trattati UE.
Le norme unionali prevalgono anche laddove la circostanza interessi uno Stato dell’Unione e un Paese terzo con il quale sia stata conclusa una Convenzione bilaterale. Nella sentenza sul caso Gottardo (Corte di Giustizia UE C-55/00 del 15 gennaio 2002), la Corte UE ha precisato infatti che «nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri […] devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario. Il fatto che i paesi terzi, dal canto loro, non siano tenuti al rispetto di alcun obbligo derivante dal diritto comunitario è irrilevante a questo proposito».
Dal quadro delineato deriva che il disposto del comma 3 dell’art. 73 TUIR (e allo stesso modo i nuovi comma 5-bis dello stesso art. 73 e l’art. 5, comma 3, lett. d, TUIR) incontrerà dei limiti applicativi in ragione, per un verso, delle disposizioni pattizie previste nei Trattati conclusi dall’Italia; e, per altro verso, dei principi unionali, e in particolare della libertà di stabilimento, che prevalgono anche sui tax treaties.
A quest’ultimo proposito è opportuno evidenziare che, il diritto unionale non disciplina i presupposti in ordine alla residenza fiscale delle società e degli enti, ma affronta indirettamente il tema sotto un profilo più ampio e concreto.
Infatti, la libertà di stabilimento, in forza degli artt. da 49 a 55 TFUE (ex artt. da 43 a 48 e 294 del TCE), salvaguarda da ogni forma di discriminazione le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’Amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione, del pari garantendo le possibilità offerte dal Trattato: tale libertà è imperniata sul riconoscimento alle imprese comunitarie del diritto di accedere alla costituzione e alla gestione di attività imprenditoriali, anche tramite un’agenzia o una succursale, in un altro Stato UE alle stesse condizioni definite dalla legislazione del Paese membro di insediamento.
Tuttavia, va precisato che nessuno può avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto europeo (CGUE, 9 marzo 1999 C-212/97, Centros, punto 24), atteso che il principio del divieto delle pratiche abusive costituisce parimenti un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione indipendentemente dalla questione se i diritti e i vantaggi oggetto dell’abuso trovino il loro fondamento nei Trattati, in un Regolamento o in una Direttiva (da ultimo le c.d. sentenze danesi, CGUE causa C-115/16, causa C-116/16, causa C-117/16, causa C-118/16, causa C-119/16 e causa C-299/16 tutte del 26 febbraio 2019).
Quanto alla giurisprudenza unionale in tema di residenza delle società, nel caso Eurofood IFSC Ltd (CGUE, 2 maggio 2006, causa C‑341/04)[14] la Corte ha delineato la nozione di “centro degli interessi principali”.
In particolare, il giudice del rinvio chiedeva quale fosse, nel caso di una società madre e della sua controllata aventi le rispettive sedi statutarie in due diversi Stati membri, l’elemento determinante per identificare il centro degli interessi principali della controllata, ma soprattutto a chi spettava vincere la presunzione prevista dal Regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, il quale prevede per le società e le persone giuridiche il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria[15].
La Corte sancì che il “centro degli interessi principali” di una società deve essere individuato in base a criteri al tempo stesso obiettivi e verificabili dai terzi, per cui la presunzione a favore della sede statutaria può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria. Ciò potrebbe in particolare valere per una società “fantasma”, la quale non svolgesse alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui si trova la sua sede sociale.
Per contro, quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, il semplice fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente per superare la presunzione. Per cui laddove la società controllata, «esercita in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato membro dove è situata la sua sede statutaria, i requisiti di trasparenza e riconoscibilità sono per definizione soddisfatti»[16].
Nel successivo arresto sul caso Cadbury Schweppes (CGUE, 12 settembre 2006, causa C-196/049)[17], la Corte marcò in termini più concreti il concetto di centro degli interessi principali, introducendo fattori di sostanza materiale ed economica che consentivano di individuare «un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento», constatazione che deve poggiare su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, «al livello di presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature»[18].
Non è un caso che questo principio di sostanza materiale ed economica sia stato ripreso nella Direttiva ATAD I del 2016 (art. 7, lett. a), par. 2, Direttiva UE 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016)[19].
Infine, con la sentenza Planzer (CGUE, 28 giugno 2007, causa C‑73/06)[20], la Corte entra ancora più nel dettaglio.
Da un lato, indebolisce la prevalenza di certificato rilasciato da una Amministrazione finanziaria di uno Stato membro quale prova irrefutabile della residenza fiscale di una società, in quanto non preclude all’Amministrazione tributaria di un altro Stato membro di contestarla, qualora quest’ultima nutra dubbi, sulla reale sede dell’attività economica, o ad un centro di attività stabile, a partire dal quale la legal entity svolge le sue operazioni. Da altro lato, afferma che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. In tal senso, possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, la tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie, giungendo alla conclusione che la sede dell’attività economica di una società è il luogo ove vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale di tale società e ove sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima (punti da 59 a 63 sentenza Planzer, cit.).
Da quanto precede possiamo trarre qualche riflessione conclusiva.
Sia nell’ambito dei Trattati contro le doppie imposizioni, sia in quello del diritto unionale, l’accertamento della residenza fiscale si attua attraverso una analisi “case by case” e non potrebbe essere altrimenti. La prevalenza delle norme pattizie internazionali rispetto a quelle domestiche, queste ultime applicabili solo in assenza di Convenzione e comunque per enti o società non residenti nella UE, resta comunque improntata a una variabile valutativa degli elementi di fatto diritto.
A livello unionale, l’evoluzione giurisprudenziale è attualmente incardinata su un fattore predominate, cioè sul luogo di stabilimento della società o di altra entità (agenzie/succursali) al fine di fruire dei vantaggi, delle opportunità e delle garanzie assicurate dalle norme primarie e secondarie dei Trattati UE (purché, ovviamente, non ne abusino), che può o meno coincidere con la sede formale, ma che però deve essere sorretta dai seguenti elementi di fatto:
esercizio in modo abituale della gestione dei suoi interessi, riconoscibile da terzi e in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria;
essere un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive, supportata da una struttura materiale e organizzativa concreta;
e, infine, nello stesso luogo sia posta la direzione generale ove sono adottate le decisioni essenziali e svolte le funzioni di amministrazione centrale.
In termini effettivi, a livello unionale il criterio di residenza prevalente, in relazione al principio di libertà di stabilimento, pare più prossimo al “day-by-day management”, rispetto a quello della sede statuaria o della direzione effettiva, atteso che il concetto di “luogo” va interpretato quale place ove sono svolte in materia ricorrente i principali indirizzi di gestione operativa[21] della legal entity.
3. Altri elementi utili per individuare la residenza fiscale di una società possono anche trarsi dal quadro inclusivo BEPS 5, in relazione ai requisiti di sostanza economica delle attività svolte in giurisdizioni fiscali a bassa fiscalità.
Originariamente introdotto nel 1998, questo criterio non risulta essere stato concretamente applicato fino a pochi anni fa.
Recentemente, i requisiti sostanziali delle attività nei regimi preferenziali sono stati elevati a scopo primario al fine di contrastare la pratica di “parcheggiare” il reddito, soprattutto derivante da attività considerate geograficamente più mobili (headquarters, financing centres, banking, shipping, insurance, IP), in una giurisdizione fiscale a ridotta o nulla tassazione senza che le funzioni di corebusiness siano state intraprese dalla stessa entità aziendale[22].
In estrema sintesi i requisiti, in presenza dei quali può dirsi che un’entità rivela una propria sostanza economica, sono i seguenti:
numero adeguato di dipendenti (residenti) con le specifiche qualificazioni, strutture fisiche (uffici) per gestire tali attività all’interno della giurisdizione, tenuta della contabilità e dei conti correnti bancari (parte in outsourcing);
meccanismo efficace di compliance amministrativa della società e della giurisdizione di residenza;
evidenza che il processo decisionale avviene all’interno della giurisdizione in contrapposizione a decisioni periodiche prese da componenti del Consiglio di Amministrazione non residenti.
In questo caso, il day-by-day management appare dirimente rispetto alla mera direzione effettiva nel senso che, se nella giurisdizione in cui è collocata (a fiscalità privilegiata o meno), la società possa dimostrare una sufficiente autonomia decisionale e disporre di adeguate strutture, pur se si avvalesse di alcuni servizi in outsourcing, la residenza fiscale non dovrebbe poter essere contestata.
4. Nella riformulazione del comma 3 dell’art. 73 TUIR, si considerano ora residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato:
la sede legale (già presente nella previgente versione);
la sede della direzione effettiva,
la gestione ordinaria in via principale (management day by day).
In relazione alla sede della direzione effettiva, la norma precisa che deve intendersi «[…] la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”, mentre la gestione ordinaria in via principale quale “[…] continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso».
Sostanzialmente, nulla muta invece per: (i) gli organismi di investimento collettivo del risparmio, che si considerano residenti se istituti in Italia; (ii) i trust e gli istituti aventi analogo, con la presunzione di residenza, fatta salva la prova contraria, se istituiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata[23].
Rispetto alla previgente versione sono sostituiti i criteri attinenti alla sede dell’amministrazione[24] e all’oggetto principale dell’attività (per un primo, generale commento sulla nuova disciplina, v. Della Valle E., Revisione dei criteri di residenza fiscale di società, in il fisco, 2024, 5, 434 ss.).
L’abbandono dell’oggetto principale dell’attività merita alcune osservazioni.
In primo luogo, da un punto di vista sostanziale (con riferimento all’attività svolta in concreto), questo criterio appare superato in tutti quei casi ove una società estera (controllata in maggioranza da soggetti esteri) investa prevalentemente o meno il suo patrimonio in asset nel territorio italiano. Qui si applicheranno, eventualmente e ricorrendone i presupposti, i criteri della direzione effettiva o del day-by-day management[25], ma viene comunque a cessare la presunzione che attribuiva la residenza per mero collegamento al territorio dell’oggetto principale degli investimenti effettuati.
In seconda istanza, restando invariati i commi 4 e 5 dell’art. 73 TUIR, in parte il criterio sopravvive per gli enti non residenti e, sebbene indirettamente, nelle fattispecie di esterovestizione (artt. 5-bis, 5-ter e 5-quater TUIR), in quanto luogo ove si trovano gli asset (partecipazioni) tanto da farne presumere la sede dell’amministrazione (cfr. circ. 4 agosto 2006, n. 28/E, par. 8), oggi sede di direzione effettiva o della gestione ordinaria in via principale.
4.1. La Relazione illustrativa precisa che il criterio della “sede legale” ha carattere formale e rappresenta un elemento di necessaria continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma.
Si tratta di un criterio che da solo può validare la residenza fiscale di una società. Peraltro, solo in alcuni Trattati (cfr. quelli con Giappone, Turchia e Cina) la sede legale (o centrale) assurge tra gli elementi da prendere in considerazione per determinare la residenza di un soggetto diverso da una persona fisica.
La sede legale sopravvive senza però tenere conto delle possibili implicazioni relative al recepimento della Direttiva UE 2019/2121, da parte del D.Lgs. 2 marzo 2023, n. 19 e, in particolare, all’introduzione dell’art. 2510-bis c.c.
Atteso che il nuovo art. 2510-bis c.c. fa espresso riferimento alla (sola) sede statutaria, il trasferimento della “direzione effettiva” all’estero, oltre a non soggiacere alle norme in materia di “trasformazione transfrontaliera”, non comporterebbe il mutamento della legge applicabile. Ciò a patto che lo Stato ove si vuole porre la direzione effettiva assuma quale criterio di collegamento legale quello dell’incorporazione e non quello della sede.
In questo caso, il criterio fiscale della sede legale potrebbe essere oggetto di controversia, in quanto – a ragione – dovrebbe prevalere quello dello Stato in cui è posta la direzione effettiva.
4.2. L’Italia ha concluso 100 Trattati contro le doppie imposizioni, che coprono 106 giurisdizioni[26], ove il criterio della sede direzione effettiva prevale[27] ed è il primo elemento da prendere in considerazione per dirimere situazioni di doppia residenza fiscale. Occorre però precisare che nelle più recenti Convenzioni stipulate dall’Italia[28], la tie breaker rule é sostituita dall’accordo tra le Amministrazioni finanziarie[29], laddove il criterio della sede di direzione effettiva è semplicemente uno dei possibili criteri di esame, non esistendo inoltre alcuna gerarchia neanche il primo. Questo passaggio per le imprese è estremamente pregiudizievole in quanto significa passare da un criterio direttamente applicabile, la vecchia tie breaker rule, ad uno nuovo che prevede appunto un’intesa tra le Amministrazioni fiscali e, dunque, presenta un maggior profilo di aleatorietà nell’essere raggiunta.
La definizione adottata dalla norma interna trova applicazione nei confronti di soggetti che operano in giurisdizioni non coperte da Trattato[30], mentre per gli Stati coperti da Convenzione, la determinazione della residenza fiscale dovrà essere scrutinata alla luce delle disposizioni pattizie, prestando attenzione ai precetti legislativi sulla residenza fissati dalle altre giurisdizioni, nonché, per i paesi Stati membri dell’UE, prestando osservanza ai principi unionali.
La sede di direzione può essere individuata, in sintesi, nel luogo dove è effettivamente e prevalentemente diretta la società, cioè dove l’organo amministrativo assume le decisioni operative gestionali e strategiche (c.d. keydecision-maker) nel loro complesso, non rilevando le linee guida e gli obiettivi di politica aziendale impartite dal socio di controllo, né la supervisione o l’attività di monitoraggio della gestione da parte dello stesso.
L’ininfluenza delle decisioni degli shareholders, purché ovviamente diverse da quelle aventi contenuto di gestione (attività gestoria de facto), costituisce una novità positiva rispetto al passato, volta ad evitare commistioni e fraintendimenti sulla reale gestione della società. Si accetta, dunque, che il socio di controllo abbia piani su ciò che vuole che l’impresa faccia e che gli amministratori siano di norma disposti a seguire le sue indicazioni.
Sotto un primo profilo, la norma sembrerebbe favorire i gruppi (anche holding) allorché si limitino ad esercitare la supervisione o l’attività di monitoraggio delle controllate, sia pur delineandone gli indirizzi di politica aziendale. D’altra parte, non si può comprimere l’interesse del socio di controllo a una efficace verifica del raggiungimento degli obiettivi programmati e osservazione dello sviluppo e crescita di valore dei suoi investimenti.
Tuttavia, si prospetta nei fatti una linea molto sottile tra un organo amministrativo che agisce sulle proposte e raccomandazioni del socio di controllo, ma che continua comunque a esercitare la propria autorità, rispetto a quello “guidato” dallo stesso socio in modo tale da usurparne la funzione, di fatto esautorandone l’autorità. In breve, se gli amministratori si limitano a ratificare le decisioni del socio di controllo, la società potrebbe essere considerata fiscalmente residente nel luogo in cui il controllo è effettivamente esercitato[31].
In ordine al concetto di “sede”, si deve fare riferimento al luogo “fisico” nel quale una società è gestita e controllata centralmente, in cui sono congiuntamente adottate le strategie e le decisioni finali che la vincolano[32]. Nella generalità dei casi sarà il luogo in cui gli amministratori s’incontrano per gestire l’attività della società, cioè dove si svolgono le riunioni di consiglio (ove presente).
Tuttavia, il luogo in cui gli amministratori si riuniscono è rilevante solo se è anche la “sede” di direzione effettiva, ovvero il luogo in cui tali decisioni sono attuate su indirizzo dell’organo di gestione, fermo restando che se il più alto livello di controllo è nelle mani di un presidente o di un amministratore delegato e il consiglio semplicemente ne “approva” le decisioni, la sede di direzione effettiva della società sarà il luogo (domicilio) di quest’ultima, che di fatto si sostituisce al consiglio ed esercita il controllo sulla società.
Va quindi posta attenzione alle cariche, reali funzioni e deleghe conferite agli amministratori (anche plurisocietari), in particolar modo negli organi di gestione delle controllate, segnatamente all’attività di gestione svolta in concreto. Anche se sotto un profilo civilistico la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e di essa ne sono responsabili, in materia fiscale il confine risulta più labile, dovendosi osservare in quale misura gli atti di gestione siano influenzati o condizionati da scelte del socio controllante mediate gli amministratori delle controllate.
Del pari va considerato che “esautorare” o “comprimere”, di fatto, l’organo amministrativo nella gestione di una legal entity controllata travolge anche il criterio del day-by-day management, che viene ad essere svuotato di contenuto e consente all’Amministrazione di individuare nello Stato del socio controllante la residenza fiscale della controllata.
Anticipando qui le nostre conclusioni, ben può coesistere una sede di direzione in uno Stato e una gestione operativa in un altro Stato purché la seconda non sia solo “apparente o fantasma”.
Le regole di governance assumono pertanto un ruolo fondamentale perché non si può certo pensare che nell’ambito dei gruppi, amministratori e dirigenti delle controllate siamo completamente liberi di decidere, a propria discrezione, le operazioni da attuare.
Sarà, pertanto, cruciale che sia assicurata all’organo amministrativo della controllata, in via prevalente, la corrente gestione operativa dell’impresa (il c.d. day-by-day management), fermo restando il normale confronto con la controllante prima di assumere alcune decisioni di rilievo, nonché di attuarle, quali ad esempio: (i) operazioni con significativi livelli di assunzione del rischio, (ii) le operazioni straordinarie, (iii) le operazioni di maggiore rilevanza quali-quantitativamente individuate in relazione alle dimensioni dell’impresa.
Le riflessioni appena esposte valgono naturalmente sia per le società estere che controllano una società italiana, sia per le controllanti nazionali di società localizzate in altre giurisdizioni.
Corre segnalare un profilo di criticità. Nei gruppi multinazionali la società di vertice, o altra a ciò deputata, svolge compiti di regia verso le controllate. Come è stato osservato (nell’ambito del commento di Della Valle E., La sede di direzione è rilevante per le società, in Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2023), la nuova nozione di sede di direzione effettiva non elimina del tutto, sotto questo profilo, il rischio di un corto circuito tra normativa civilistica (attività di direzione e coordinamento artt. 2497 ss. c.c.) e fiscale
In merito al profilo civilistico, nell’attività di direzione e coordinamento si dà rilievo all’esercizio effettivo e attuale del potere gestorio da parte della società che esercita in modo continuativo la direzione nei confronti della controllata: per cui, mentre l’attività di coordinamento realizza un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, estesa all’insieme delle società, l’attività di direzione individua una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali (cfr. Tribunale di Torino, 14 luglio 2023, n. 3063/2023; Tribunale di Roma, 21 giugno 2023, n. 9936/2023; Tribunale di Napoli, 26 settembre 2022, n. 8387/2022).
Il chiarimento contenuto nella Relazione illustrativa per cui, ai fini della direzione effettiva «non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi», dovrebbe però essere sufficiente ad escludere la rilevanza dell’attività di direzione, e questo tanto nei confronti delle società controllanti estere quanto per i gruppi italiani che detengono partecipate in altre giurisdizioni (si condivide, sul punto, la conclusione in tale senso di Della Valle E., op. ult. cit., nota 52).
Si può ritenere che le disposizioni civilistiche in esame non aggiungano o tolgano nulla agli indirizzi, giurisprudenziali e di prassi: il mero fatto che sussista un’attività di direzione e coordinamento non costituisce, di per sé, un elemento di contemporanea corrispondenza della residenza fiscale. Il punto centrale è che l’art. 2497 c.c. è posto a garanzia dei soci di minoranza delle controllate e dei terzi avverso una violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società.
Infatti, l’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità quando sia esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. Il secondo comma della norma prevede, inoltre, una responsabilità solidale in capo a chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Risultano pertanto dirimenti gli elementi fattuali, desumibili dalla governance in concreto attuata, che possono costituire indizi sulla reale sede effettiva della società.
Qualora si sconfini nell’imprimere unità di indirizzo e di azione alle diverse imprese aggregate, attraverso un flusso costante di istruzioni che la società controllante impartisce alla controllata su modalità gestionali, è probabile che si sia in presenza di una sede di direzione effettiva collocata nel nostro territorio, sia di una capogruppo estera sia di controllate estere detenute da una capogruppo italiana.
Ma allorquando la società controllata agisce ed esercita in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato dove è situata, elementi che soddisfano i requisiti di trasparenza e riconoscibilità, e il suo organo amministrativo dispone di idonei poteri per esercitare in autonomia la gestione, non può prevalere – in ambito tributario – il dettato civilistico di direzione (soprattutto) e coordinamento.
Permane, comunque, un fattore di incertezza interpretativa che si rileva nel primo alinea del comma 3, laddove la previsione in esame pare riservare l’aggettivo “principale” alla sola gestione ordinaria[33].
Malgrado la Relazione illustrativa ritenga che per entrambi i criteri “sede di direzione” e “gestione ordinaria” vada fatta una lettura combinata in quanto, pur operando disgiuntamente, «la duplice inclusione persegue anche l’obiettivo di escludere alla radice indebiti ampliamenti ad ulteriori criteri di natura sostanziale», in realtà nella medesima relazione il concetto di “principale” è serbato solo per motivare l’allineamento a quell’orientamento di altri Paesi europei «che lo impiegano per stabilire il collegamento personale all’imposizione nei casi in cui vi è un effettivo radicamento della persona giuridica sul territorio, ma sorgono incertezze interpretative in merito al luogo di direzione effettiva». In altri termini, l’espressione «“in via principale” consente di evitare un eccessivo allargamento del collegamento personale all’imposizione quando solo una parte di tali attività si svolge nel territorio dello Stato e quindi può, se del caso, esistere una stabile organizzazione».
Qui può nascere un tema delicato laddove la capogruppo estera (o chi per essa) per prassi consolidata dia continui indirizzi di gestione a tutte le controllate del gruppo indipendentemente dal luogo di stabilimento, con effetto moltiplicatore delle controversie in tema di dual residence[34].
In definitiva, determinare la residenza in Italia di un gruppo estero che in prevalenza opera in più Stati, e ove l’investimento nel nostro territorio rappresenti in minor parte il valore degli investimenti complessivi, suscita più di una criticità.
4.3. Il terzo criterio introdotto al comma 3 della previsione in commento riguarda il cd. day to day management, tradotto «nel continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso in via principale».
Si tratta di una disposizione di “chiusura”, alternativa laddove non sia possibile individuare la sede di direzione effettiva, quale criterio accessorio (più che “analogo”) secondo il Commentario OCSE del 2017, ma mai codificato nel merito.
La gestione quotidiana di un’azienda in via principale appare importante sotto l’aspetto tributario poiché attribuisce rilevanza all’autonomia di amministratori e di dirigenti che, in un dato luogo, esercitano la responsabilità quotidiana della maggiore parte delle decisioni operative (commerciali e finanziarie), di società o entità strutturalmente organizzate.
Sotto questo profilo, il criterio potrebbe essere considerato un “safe harbour” soprattutto per i nostri gruppi nell’ambito del monitoraggio delle proprie controllate estere.
Ferme restando le attenzioni e criticità già evidenziate nel paragrafo precedente in merito alla sede di direzione effettiva, laddove la società controllata disponga di sufficienti elementi di sostanza materiale e i country manager di idonei poteri e autorità nel prendere e attuare decisioni indipendenti sulle operazioni correnti, appare per vero difficile che possa essere fatto valere un principio di “attrazione” della residenza nello Stato in cui è ubicata la controllante.
In definitiva, anche se per alcune operazioni di particolare rilevanza il confronto con la casa madre appare procedura di prassi scontata nel concreto, l’esistenza di un centro autonomo operativo rileva a prescindere purché, nella sostanza, gli atti relativi alla gestione ordinaria, attinente al normale funzionamento della società nel suo complesso, siano ad esso collegati.
Sarebbe stato probabilmente preferibile che il dettato normativo includesse anche il riferimento al “centro vitale degli interessi”[35], di matrice comunitaria (centre of main interests), criterio maggiormente aderente alla realtà in un contesto e scenario economico internazionale in continua evoluzione, al fine di evitare possibili controversie di dual residence.
Un aspetto di criticità riguarda, invece, la fattispecie di quelle società che svolgono servizi generali accentrati (e relativi service agreements) prestati alle partecipate. Il tema si pone soprattutto per la capogruppo italiana (o sua entità controllata a ciò deputata sempre residente in Italia), per i servizi svolti a favore delle controllate estere[36].
Qui il punto sarà comprendere come la prassi dell’Amministrazione finanziaria intenderà interpretare la norma, tenuto conto che normalmente queste entità svolgono attività, generalmente a basso valore aggiunto, a favore di tutto il gruppo, sotto le indicazioni e procedure che provengono dalla casa madre. Invero, sarebbe davvero poco ragionevole declinare e presumere una residenza fiscale nel nostro territorio delle società che, in outsourcing, ricevono questi servizi al fine di ottimizzare e contenere a livello adeguato i costi di gestione. Ciò che dovrebbe apparire preminente è la struttura operativa in loco, volta a promuovere e commercializzare prodotti e servizi, dotata di una struttura adeguata al proprio “business purpose”, cioè allo scopo o finalità aziendale di un’attività imprenditoriale, con effettivo radicamento della persona giuridica sul territorio.
Come indicato nella Relazione illustrativa allo schema di decreto, il criterio è volto anche a individuare la residenza fiscale di una società laddove sorgano incertezze interpretative in merito al luogo di direzione effettiva. Il caso può essere rappresentato da una apparente sede legale posta in uno Stato, ma priva di sostanza economica e materiale, rispetto al luogo dove è effettivamente svolta la conduzione degli affari generali.
Qui occorre porre particolare attenzione nell’evitare che la norma trascenda la sua corretta applicazione.
La questione può investire le c.d. “strutture leggere” e le holding, siano esse “statiche, dinamiche, miste”.
Se, come esplicitato nella Relazione, le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte dei soci (di controllo) sono da considerarsi diverse dalla direzione effettiva e dalla gestione amministrativa corrente, allo stesso modo questo principio deve valere per evitare una forza di attrazione della residenza nello Stato italiano di queste entità. In definitiva, l’esame andrà posto nel verificare se queste entità giuridiche sono società “schermo” o “fantasma”, cioè “costruzioni artificiose” costituite per sottrarsi indebitamente all’imposizione in uno Stato o per fruire indebitamente di un vantaggio fiscale (cfr. CGUE, 2 maggio 2006, causa C-341/04, Eurofood IFSC; 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes plc; 26 febbraio 2019, causa C-135/17, X GmbH).
La riforma va, dunque, intesa nella direzione di dare marcata importanza allo Stato in cui effettivamente sono individuati i centri nevralgici della conduzione societaria, evitando allargamenti indebiti e pericolosi che minerebbero le fondamenta della certezza del diritto.
5. Il fenomeno dell’esterovestizione (spesso confuso con quello di “eterodirezione”) si verifica quando una società simula di essere residente all’estero per non essere assoggettata al regime tributario italiano.
Questo comportamento viene disciplinato dai commi 5-bis, ter e quater dell’art. 73 TUIR, il quale prevede una presunzione per cui la società si considera residente in Italia, salvo che fornisca prova contraria (per un inquadramento, cfr. Zanotti N., Gli incerti confini dell’esterovestizione nell’economia globalizzata, Pisa, 2020; Arginelli P., Contributo all’inquadramento dogmatico del fenomeno della esterovestizione societaria in ambito tributario, in Dir. prat. trib. int., 2021, 2, 699 ss.).
Il nuovo comma 5-bis dell’art. 73 TUIR, modificato dal comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 209/2023, non rinvia, come nel previgente testo, ai criteri di collegamento territoriale (ex sede dell’amministrazione), risolvendosi in una presunzione per il solo fatto che la legal entity estera controlli anche una sola entità italiana laddove:
sia controllata, direttamente o indirettamente, da soci residenti in Italia, o
la stessa sia amministrata da un organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti nel territorio dello Stato.
Manca, infatti, un rinvio esplicito ai criteri di cui comma 3, che viene richiamato dalla Relazione illustrativa ma non nella norma[37].
A parte ciò, la modifica nulla innova rispetto alla precedente disposizione per cui i nuovi criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria rilevano, presuntivamente, in presenza delle condizioni indicate dal comma 5-bis che assurgono ad elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi, se si considera che nella circ. n. 28/E/2006 l’Agenzia delle Entrate precisava che la norma «solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi».
Vero è che la prova contraria potrà essere data in funzione della direzione effettiva o del day-by-day management, ma qui sembra sopravvivere la presunzione incardinata sulla vecchia definizone della prevalenza dell’oggetto principale, intesa quale collegamento al territorio di beni posseduti, in specie partecipazioni situate in Italia controllate da una legal entity estera a sua volta controllata da soci fiscalmente residenti sul territorio italiano ovvero amministrata – in prevalenza di numero – da persone anch’esse residenti ai fini fiscali in Italia[38].
Va però detto che a contenere la presunzione (tutta da verificare in sede di controllo) in relazione alla “sede”, torna utile il passaggio della Relazione illustrativa secondo la quale non rilevano le linee guida e gli obiettivi di politica aziendale impartite dal socio di controllo, né la supervisione o l’attività di monitoraggio della gestione da parte dello stesso. Per cui, ove la controllata estera provi una propria sostanza materiale ed economica e l’esistenza di country managers autonomi nelle decisioni e nell’attuazione delle operazioni della gestione corrente, la prova contraria sarà soddisfatta, anche se le linee generali e gli obiettivi di politica aziendale promanano dai soci di controllo fiscalmente residenti.
Più delicata, invece, appare la posizione degli amministratori residenti. Al di là del fatto che la presunzione opera persino quando gli amministratori residenti in Italia non abbiano alcun potere gestorio, condizione che esplica effetti anche nei riguardi di società controllate da soggetti esteri, appare indicativo che la disposizione domestica tende a considerare questa “prevalenza” quale indizio – presuntivo – dell’esistenza di un presidio di “blocco” o “vincolo” all’autonomia degli amministratori o dirigenti preposti alla gestione corrente. D’altra parte, come abbiamo illustrato, mutuando dalla prassi internazionale questa considerazione trova un suo fondamento laddove la governace societaria sia costruita nel senso di limitare significativamente l’indipendenza dell’organo amministrativo e le deleghe di poteri solo apparentemente conferite, ma di fatto subordinate ad essere esercitate solo dietro impulso, diretto o indiretto, del socio di controllo.
Sotto altro profilo, va rimarcato che le norme in tema di residenza fiscale costituiscono interesse prevalente per lo Stato italiano laddove l’Amministrazione finanziaria individui in Italia una sede della direzione o della gestione ordinaria in via principale della controllata estera ai fini di una maggiore tassazione, peraltro su base worldwide.
In forza dell’art. 3 D.Lgs. n. 209/2023, il nuovo comma 4-ter dell’art. 167 TUIR, consente al soggetto controllante residente di applicare – nel rispetto degli artt. 7 e 8 della Direttiva ATAD I (UE) 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016 – un’imposta sostituiva del 15% sull’utile contabile netto dell’esercizio derivante dalla controllata estera CFC, calcolato senza tenere conto delle imposte che hanno concorso a determinare detto valore, della svalutazione di attivi e degli accantonamenti a fondi rischi[39].
Senza entrare nello specifico delle disposizioni sulle società controllate estere, nell’ambito del presente lavoro va evidenziato il richiamo al rispetto della Direttiva ATAD là dove prevede che la disciplina «non si applica se la società controllata estera svolge un’attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante e fatti pertinenti» (art. 7, par. 2). Per cui si potrebbe verificare il caso che la controllante italiana, malgrado la piena autonomia operativa della sua controllata o stabile organizzazione estera, decida, per semplificare la sua compliance ovvero per opportunità o convenienza, di optare per l’imposta sostitutiva.
Sotto questo profilo si ritiene che l’opzione non sia praticabile se la controllata estera è un’entità che integra i requisiti di sostanza materiale ed economica.
Ma il punto critico è un altro.
Il collegamento con i nuovi criteri di residenza porta a osservare che le discipline su residenza fiscale e società estere controllate hanno un’applicazione fra loro alternativa. In altri termini, le norme in materia di CFC partono dal presupposto che il contribuente non consideri la società estera che realizza passive income come entità giuridicamente ed economicamente pienamente autonoma. Considerazione, questa, che innesta una valutazione fattuale in merito sia ai requisiti di sostanza economica, sia dei nuovi criteri di residenza.
In concreto, non dovrebbero sorgere particolari problemi finché si ricade nella tassazione ordinaria per trasparenza almeno del 24% del reddito della controllata estera. Ma se il fine è quello di contrarre la base imponibile e fruire della più vantaggiosa imposta sostitutiva, non può essere escluso che l’Amministrazione finanziaria indaghi e verifichi se il contribuente, in alternativa, abbia inteso avvalersi indebitamente dell’istituto applicando un’imposizione più mite ovvero se sia in Italia la sede di direzione effettiva della constituent entity.
Ne risulta, comunque, uno smaccato corto circuito tra i nuovi criteri di residenza fiscale e le disposizioni CFC, poiché, a nostro avviso, i primi incidono profondamente sulle seconde.
6. Come affermato in premessa, i nuovi criteri per determinare la residenza fiscale delle società e degli enti non appaiono migliorare né rafforzare la certezza giuridica rispetto al passato, non colmando l’indeterminatezza interpretativa.
Il quadro rimane confuso, anche perché è disorganico il contesto internazionale. L’OCSE non ha mai voluto (o potuto) assumere una posizione decisa, marcando con chiarezza le condizioni e i sottostanti elementi di fatto dai quali evincere la residenza delle società o enti. Le stesse giurisdizioni degli Stati declinano in modo differente i presupposti di residenza.
Le difficoltà aumentano per il fatto che nei Trattati conclusi dall’Italia i criteri del PoEM e del day-by-day management, quest’ultimo preso in considerazione come criterio analogo e alternativo, impongono una convergenza interpretativa delle loro definizioni da parte delle competenti Autorità fiscali nei casi di dual residence, in assenza della quale il contribuente viene esposto a sorte incerta.
Probabilmente era da preferirsi il solo criterio del “primary place of management and control” in contrapposizione al “place of effective management”, cioè il luogo dove l’attività è svolta giorno per giorno per la gestione della società, assicurando l’indipendenza degli amministratori, rispetto al luogo dove è posta la sede della casa madre che generalmente adotta solo le decisioni più importanti.
L’unica vera novità positiva rispetto al passato, se verrà confermato l’indirizzo espresso nella Relazione illustrativa, risiede nell’ininfluenza delle decisioni del socio di controllo, purché ovviamente diverse da quelle aventi contenuto di gestione, che può evitare equivoci sul luogo dove la società viene effettivamente gestita.
Altra indicazione d’interesse, che si evince ancora dalla Relazione, è una razionale lettura combinata dei due criteri che, unitamente alla prima, consente di ritenere che il criterio del day-by-day management appaia molto più dirimente e incisivo, in quanto rispecchia sotto un profilo di business purpose la coincidenza di tutti gli elementi (manageriali, organizzativi, materiali di un’azienda) per la definizione di residenza fiscale. Il fatto che la controllante delinei la strategia poi applicata dalla controllata in un dato territorio o adotti le decisioni più rilevanti non costituisce motivo sufficiente a ritenere quest’ultima anch’essa residente in Italia.
In sintesi, si potrà avere la compresenza di una sede di direzione in uno Stato quale fulcro decisionale limitato però alle sole operazioni di maggiore rilevanza, e in un altro Stato una sede ove è svolta in via principale la gestione ordinaria, senza che quest’ultima sia attratta all’ordinamento tributario italiano.
Beninteso, la società dove viene svolta in via principale la gestione ordinaria dovrà avere una struttura adeguata in termini di personale, locali e attrezzature e allo stesso tempo salvaguardata e affidata all’organo amministrativo, mediante adeguati poteri, l’amministrazione, a prescindere dal fatto, come già detto, che determinate operazioni di maggiore rilevanza quali-quantitativamente individuate in relazione ai rischi e alle dimensioni dell’impresa, siano comunque sottoposte al vaglio e approvazione del socio controllante.
In questa prospettiva, come anticipato in premessa, il modello di governance giocherà un ruolo cruciale nell’analisi concreta, semplificando o complicando l’individuazione della residenza.
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[1] Il presente lavoro s’incentrerà sulle società ed enti soggetti a IRES, anche se le osservazioni e riflessioni possono ritenersi egualmente sovrapponibili anche per le società di persone, fatto sempre salvo quanto disposto dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Il D.Lgs. n. 209/2023 in esame non prende posizione in ordine alla razionalizzazione dei criteri di qualificazione fiscale interna delle partnership, assumendo la loro natura fiscale di entità trasparente od opaca così come prevista nello Stato di costituzione o di residenza fiscale, senza quindi declinare l’art. 6, comma 1, lett. h) della legge delega n. 111/2023.
[2] Dalla pubblicazione della prima versione nel 1992, il Modello di Convenzione OCSE è stato aggiornato 10 volte (nel 1994, 1995, 1997, 2000, 2002, 2005, 2008, 2010, 2014 e 2017). L’ultimo aggiornamento, adottato nel 2017, comprendeva un gran numero di modifiche legate al progetto dell’OCSE/G20 sull’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS) e, in particolare, le Relazioni finali sulle Azioni 2, 6, 7 e 142 elaborate nell’ambito di tale progetto. Prima del 1992, il Comitato fiscale OCSE preparò quattro Relazioni intermedie, prima di presentare nel 1963 la sua Relazione finale intitolata “Progetto di Convenzione contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio”, successivamente revisionata nella versione del 1977.
[3] L’Italia aveva posto un’osservazione al Commentario non aderendo all’interpretazione riguardante la “persona o gruppo di persone più anziane” come unico criterio per identificare il PoEM. A suo parere, nella determinazione del PoEM va tenuto conto anche del “luogo in cui viene esercitata l’attività principale e sostanziale dell’ente”. Nel 2008 ha modificato l’osservazione togliendo la prima frase rimanendo ferma sul criterio del luogo di esercizio in concreto dell’attività, quale estensione del concetto di oggetto principale.
[4] Osserva acutamente Cimaz O. (op. cit.) che le complessità di gestione di gruppi societari di vaste dimensioni, unitamente allo sviluppo tecnologico, permette ormai l’assunzione di decisioni chiave da parte di soggetti a ciò delegati (CEO, CFO, COO), o di comitati esecutivi di managers, i quali operano anche in luoghi diversi, rendendo anche difficilmente determinabile l’individuazione di un PoEM in modo univoco.
[5] Il punto 24.5 del Commentario prevede che gli Stati che vogliono mantenere il criterio del PoEM ante 2017, trovando un accordo sulla sua interpretazione, prevedendo un paragrafo ad hoc. «States that agree on how the concept of a PoEM should be interpreted are free to include […] States also consider that this rule can be interpreted in a way that prevents it from being abused».
[6] Peraltro, già nel lontano 1987 l’Avvocato Generale Marco Darmon, nelle sue conclusioni al caso Daily Mail and General Trust avanti la Corte di Giustizia UE (causa 81/87 del 27 settembre 1988), ai punti 7 e 8 faceva notare la difficoltà di circoscrivere la nozione di amministrazione centrale (direzione effettiva), che implica necessariamente la considerazione di un insieme di fattori. Al primo posto vi figurano il luogo di riunione dei dirigenti della società e quello, di norma coincidente, ove è decisa la politica generale della società stessa. In talune ipotesi, però, è possibile che questi fattori non siano né esclusivi né decisivi. «[…] È possibile, ad esempio, che si debba tener conto della residenza dei principali dirigenti, del luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili, dello svolgimento principale delle attività finanziarie e, specialmente, bancarie. È un elenco che non può essere considerato esaustivo. Per di più, questi elementi possono pesare diversamente a seconda che si tratti, ad esempio, di una società di produzione o di investimento». Inoltre, anche quando designa il luogo di riunione del consiglio d’ amministrazione, essa non basta a fornire un soddisfacente criterio di collegamento. «[…] Si è potuto constatare che col progresso dei mezzi di comunicazione, non è più necessario organizzare riunioni formali del consiglio d’amministrazione. Il telefono, il telex e la telecopiatrice consentono ad ogni amministratore di esporre il proprio punto di vista e di partecipare ad una decisione senza una presenza fisica in un luogo determinato. Le riunioni del consiglio cui ogni amministratore parteciperà per televisione stanno per entrare nella vita quotidiana delle società. Il consiglio d’amministrazione può del resto riunirsi in un luogo scelto arbitrariamente, senza alcun reale rapporto con il centro decisionale della società. Il luogo di riunione del consiglio d’ amministrazione non può dunque costituire il solo criterio per individuare, sempre e con certezza, la sede dell’amministrazione centrale. Tale individuazione non può risultare da una valutazione giuridicamente formale, senza tener conto di una pluralità di elementi di fatto decisivi, la cui rispettiva portata potrebbe variare secondo il tipo di società in causa».
[7]Multilateral Convention to Implement Tax Treaty Related Measures to Prevent BEPS, firmata a Parigi il 7 giugno 2017 da 102 Paesi, ed entrata in vigore il 1° luglio 2018. L’Italia ha siglato la Convezione ma, ad oggi, è uno dei pochi Stati a non averla ancora ratificata.
[8] L’art. 4 MLI va a modificare, integrandolo, l’art. 4 delle Convenzioni in vigore, fermo restando che si tratta di una disposizione che non obbliga gli Stati a recepirla nei propri Covered Tax Agreements. Il MLI re-introduce nella sostanza la tie breaker rule al fine di determinare la residenza fiscale delle persone giuridiche.
[9] Alcuni Autori (cfr. Cimaz O., op. cit.) hanno rilevato le difficoltà di ricorrere alla procedura arbitrale che figura, del resto, tra le misure previste nella parte VI della MLI per risolvere le controversie, le quali non abbiano trovato soluzione mediante la procedura amichevole. Il ricorso alla procedura arbitrale trova peraltro un ostacolo non solo negli Stati che, in conformità alla MLI, adottano la procedura amichevole quale unica tie-breaker rule, ma anche, come nei Trattati meno recenti stipulati dall’Italia, in quelli che continuano ad attribuire prevalenza alla PoEM; per quanto riguarda l’Italia, infatti, la riserva formulata dall’Italia all’art. 28 della MLI esclude dagli scopi della nuova procedura arbitrale proprio i casi di doppia residenza, ancorché potenzialmente risolvibili in funzione del criterio della PoEM.
[10] La clausola antiabuso LOB rende disponibili i benefici convenzionali solo a quelle società che soddisfano determinati requisiti in termini di forma legale, proprietà, attività svolte (tolto grassetto e messo sottolineato), ovvero elementi che testimonino uno stretto legame tra l’entità e il Paese rispetto al quale si chiede l’applicazione dei benefici convenzionali. La LOB prevede un’applicazione a step, laddove il mancato soddisfacimento di una condizione fa sì che si debba andare avanti per vagliare tutte le altre, fino alla negazione dei benefici convenzionali qualora nessuna delle condizioni previste sia applicabile.
[11] Con “executive officers” ci si riferisce ai dirigenti o funzionari che occupano posizioni di responsabilità e autorità all’interno di un’azienda. Solitamente, gli executive officers sono coinvolti nelle decisioni strategiche e manageriali chiave e svolgono un ruolo significativo nella guida e nella gestione delle attività aziendali.
[12] Il test riguarda quindi l’insieme delle attività delle persone rilevanti per vedere dove tali attività vengono svolte. Nella maggior parte dei casi, sarà una condizione necessaria, ma non sufficiente, che i manager e altri dirigenti di alto livello siano normalmente nello Stato contraente di cui l’azienda è residente.
[13] Per completezza si rammenta che l’art. 31 della Convenzione di Vienna sull’interpretazione dei Trattati, postula tre principi: ogni trattato deve essere interpretato secondo buona fede; la presunzione per cui il significato che le parti hanno voluto attribuire a un determinato termine coincide con il significato ordinario dello stesso; il significato ordinario deve essere ricercato all’interno del contesto del trattato e alla luce sia del suo scopo sia del suo oggetto.
[14] Nel caso Eurofood, procedimento incentrato nell’ambito del Regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, la Corte è stata chiamata a stabilire il sistema di determinazione della competenza dei giudici degli Stati membri posto in essere dal già menzionato regolamento. Il concetto di riconoscibilità è stato poi ripreso nella sentenza Cadbury Schweppes.
[15] Tale Regolamento è stato sostituito dal vigente Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione).
[16] Un aspetto intrinseco del concetto di «centro degli interessi principali» è l’esistenza delle realtà funzionali in grado di sostituire criteri meramente formali, da cui ne deriva che: «Qualunque soggetto che cerchi di vincere la presunzione […] deve comunque dimostrare che gli elementi addotti soddisfano i requisiti di trasparenza e riconoscibilità» (punti 122 e 123 delle Conclusioni dell’Avv. Generale Jocobs nella causa Eurofood IFSC, cit.).
[17] Nella causa Cadbury Schweppes, il procedimento verteva nel valutare la compatibilità con il diritto comunitario della legislazione nazionale UK relativa alle “società controllate estere”. La legislazione CFC-UK, infatti, intendeva contrastare la prassi di società aventi sede nel Regno Unito di trasferire i propri utili imponibili a società loro controllate stabilite in altri Stati dove vige un livello d’imposizione inferiore a quello del Regno Unito.
[18] Come nel caso Eurofood, se la verifica di questi elementi portasse a constatare che la società corrisponde a un’installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, questa dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio. Potrebbe essere questo il caso, in particolare, di una società «fantasma» o «schermo» (punto 68 della causa Cadbury Schweppes).
[19] In tema di CFC la norma «non si applica se la società controllata estera svolge un’attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante e fatti pertinenti».
[20] In questa causa, oggetto della controversia verteva sulla dell’attestazione rilasciata dall’Amministrazione di uno Stato membro, valido a provare in maniera irrefutabile la residenza fiscale della società.
[21] La gestione operativa di un’azienda è costituita da tutti quei processi aziendali che concernono la sua missione principale, gli obiettivi, i suoi prodotti, i suoi servizi, il suo impatto sulla realtà circostante.
[22] Nell’ottobre 2019, nell’ambito del quadro inclusivo BEPS 5, l’OCSE ha pubblicato ulteriori Linee Guida sullo scambio spontaneo d’informazioni raccolte da giurisdizioni fiscali privilegiate ai sensi dello standard delineato dall’FHTP (Forum on Harmful Tax Practices). Gli scambi forniscono dati chiave sulla sostanza e sulle attività delle entità nelle giurisdizioni privilegiate in cui risiedono, consentendo anche alle Amministrazioni fiscali di effettuare valutazioni del rischio in merito ai prezzi di trasferimento e altre pratiche volte all’erosione della base imponibile e al trasferimento degli utili. Per un aggiornamento sulle Harmful Tax Practices: www.oecd.org/tax/beps/beps-actions/action5.
[23] In continuità con la disposizione vigente, viene mantenuta la presunzione di residenza per i trust e gli istituti di analogo istituiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano, con la possibilità per il contribuente di fornire la prova della effettiva residenza nello Stato o territorio estero. Viene altresì mantenuta la disposizione antielusiva che prevede la presunzione di residenza in Italia, salvo la prova contraria, per i trust istituiti in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente in Italia effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
[24] Un curioso difetto di coordinamento è ravvisabile all’interno dello stesso D.Lgs. n. 209/2023 laddove, a proposito della trasposizione delle regole sulla GloBe minimum tax, all’art. 12 si fa ancora riferimento alla sede dell’amministrazione in contrapposizione ai nuovi criteri introdotti nello stesso decreto all’art. 2, mentre la Direttiva 2022/2523 (art. 4) fa perno sulla sede di direzione.
[25] Fatta sempre salva l’emersione di elementi che presuppongano l’esistenza di una stabile organizzazione.
[26] Il Trattato con la ex Jugoslavia si applica attualmente a Bosnia Herzegovina, Serbia e Montenegro, mentre quello con l’ex Unione sovietica a Kirghizistan e Tagikistan.
[27] Ad esempio, per determinare la residenza delle società, oltre alla sede di direzione, nel Trattato con l’Irlanda rileva la sede di direzione effettiva e (congiunta) di controllo; nel Trattato con il Giappone, va considerato altresì il luogo in cui è posto l’ufficio principale; altri ancora prevedono quale criterio anche il luogo di costituzione o di creazione della legal entity (Bielorussia, Cile, Canada, Stati Uniti, Mongolia, Ucraina, Lituania, Russia, Kazakhistan).
[28] Si tratta delle Convenzioni con il Canada, Cile, Colombia, Giamaica, Hong Kong, Romania, Panama, Uruguay.
[29] Esempio, nella Convenzione con il Canada la clausola è la seguente «Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, le autorità competenti degli Stati contraenti faranno del loro meglio per risolvere la questione di comune accordo con particolare riguardo alla sede della sua direzione effettiva, al luogo in cui essa è stata costituita o creata e ad ogni altro elemento pertinente».
[30] In totale 99 Stati. Gli Stati del mondo, infatti, sono in totale 205, di cui 195 riconosciuti “sovrani”, 8 Stati semi o non riconosciuti e 2 Stati in libera associazione.
[31] Significative limitazioni alla discrezionalità degli amministratori a favore dei soci di controllo porterebbero a presumere che questi ultimi controllino la società e, pertanto, che il luogo dove la società è considerata gestita e controllata è il domicilio dei soci. Se la sede di direzione effettiva di una società è esercitata al di fuori delle riunioni dell’organo amministrativo, dunque da parte di altri soggetti, o in altri momenti e luoghi, le sedi di questi eventi possono determinare anche la residenza fiscale della società.
[32] Ad esempio: strategia aziendale; pianificazione finanziaria e budget; principali decisioni operative; operazioni di finanza straordinaria; se la società deve continuare l’attività esistente, diversificarsi, o riorganizzarsi; continuare o meno a svolgere la sua attività.
[33] Che così recita: «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale».
[34] Peraltro, la stessa fattispecie può, a specchio, verificarsi anche alla capogruppo con sede in Italia che detengono partecipate in altre giurisdizioni, con il rischio di un effetto a catena in ordine all’attrazione della loro residenza fiscale.
[35] Nello specifico, sarebbe stata preferibile questa impostazione nel primo periodo del comma 3: «[…] o la gestione ordinaria nel luogo ove, in via principale, è situato il centro vitale degli interessi» quale più obiettivo riferimento al luogo ove le relazioni economiche sono più strette, cioè laddove la società esercita in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato dove è situata.
[36] In via non esaustiva, i servizi possono riguardare attività di assistenza e supporto tecnico; attività di assistenza amministrativa in campo legale, contabile e fiscale; attività di marketing; la fornitura di servizi di ricerca e sviluppo; la gestione della tesoreria.
[37] Infatti, al comma 5-bis, alinea, le parole: «Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa» sono sostituite dalle seguenti: «Salvo prova contraria, si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato le società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa».
[38] Alcune criticità si potrebbero verificare in ordine alla residenza degli amministratori, in relazione ai nuovi criteri statuti per la residenza delle persone fisiche dall’art. 1 D.Lgs. n. 209/2023, che ha modificato l’art. 2, comma 2, TUIR.
[39] Ai sensi del successivo comma 4-quater, l’opzione è esercitabile a condizione che i bilanci di esercizio siano oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione dei soggetti controllati non residenti, i cui esiti sono utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato.
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