Prime riflessioni sulla possibilità – post riforma fiscale – di modificare, integrare o sostituire la motivazione dei provvedimenti tributari
Di Stefano Zagà
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Abstract
La delega per la riforma fiscale include tra i principi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente anche quello di “rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi”. Si tratta di verificare se le scelte del legislatore delegato sotto questo profilo abbiamo effettivamente comportato un miglioramento rispetto alla disciplina previgente, caratterizzata dal divieto di modifica e/o integrazione in sede contenziosa della motivazione del provvedimento impugnato.
First reflections on the possibility – post tax reform – of amending, supplementing or replacing the reasoning of tax measures – The law on the tax reform includes amid the specific principles for revising the Taxpayers’ Statute of Rights, also the principle of “strengthening the obligation to state reasons for tax acts”. The question is whether the choices made by the delegated legislator in this respect shall determine a real improvement over the previous discipline, which was characterized by the prohibition of amendment and/or integration during the proceedings before the judge of the grounds of the contested measure.
Sommario:1. Considerazioni preliminari. – 2. Il divieto di modifica e/o integrazione della motivazione secondo la Suprema Corte. – 3. Profili di criticità delle novità introdotte in attuazione della delega fiscale. – 4. Conclusioni.
1. La delega per la riforma fiscale (L. 9 agosto 2023, n. 111), in quanto finalizzata alla “revisione del sistema tributario” anche nelle sue discipline procedimentale e processuale (art. 1 L. n. 111/2023), include tra i principi e i criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente quello di «rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa» (art. 4, comma 1, lett. a), L. n. 111/2023).
Il legislatore delegato ne ha dato attuazione modificando significativamente la norma statutaria (art. 7 L. 27 luglio 2000, n. 212) che si occupa in via generale di quest’obbligo, nonché aggiungendo ulteriori regole normative che indirettamente lo riguardano (in specie, art. 9-bis L. n. 212/2000).
È interessante verificare “a caldo” se le scelte del Governo risultino effettivamente migliorative (recte “rafforzative”) rispetto al quadro normativo e interpretativo previgente e, come tali, conformi al principio di delega.
A questo fine va ricordato come la Suprema Corte ormai da tempo si sia espressa in modo piuttosto univoco su due profili – uno sostanziale e l’altro processuale – strettamente connessi: quello relativo all’individuazione del minimum di motivazione richiesto ai fini della legittimità del provvedimento con cui viene per la prima volta formulata una pretesa tributaria e/o sanzionatoria nei confronti del contribuente (cfr., ex multis., Cass., 7 settembre 2018, n. 21851) e quello (conseguente) relativo alla (im)possibilità di modificarla e/o integrala in sede giudiziale oppure, prima ancora, in sede amministrativa (nell’esercizio del potere di autotutela).
Quanto al primo profilo è stato più volte chiarito (cfr., ex multis, Cass., 31 luglio 2020, nn. 16480 e 16481; Cass., 26 marzo 2014, n. 7056; Cass., 12 luglio 2006, n. 15842; Cass., 27 novembre 2006, n. 25064; Cass., 30 ottobre 2009, n. 23009) come la “sufficienza” della motivazione dell’atto impugnato debba essere valutata dal giudice di merito sulla base di un giudizio effettuato non ex post (alla luce della “compiutezza” della difesa svolta dal contribuente desunta dal contenuto del ricorso introduttivo), ma ex ante, basato, cioè, esclusivamente sulla oggettiva idoneità degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa.
Pertanto, la motivazione deve essere adeguata, rigorosa, coerente e non contraddittoria, dovendosi escludere la legittimità dell’atto anche quando la stessa si risolva nell’esposizione di una “pluralità” di ragioni giustificative della pretesa erariale, perché non in grado di garantire le esigenze, da un lato, di “ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità” che in via generale devono connotare l’agire pubblico (ex art. 97 Cost.) e, dall’altro, di “comprensibilità” del “percorso decisionale dell’autorità” (ex artt. 24 e 103 Cost.) che è specificamente richiesta per gli atti dell’Amministrazione finanziaria a carattere ablatorio (cfr. Cass., ord. 17 maggio 2023, n. 13620), ossia per quelli (di natura provvedimentale) che rappresentano delle manifestazioni di autorità in grado di incidere nella sfera giuridica e patrimoniale del destinatario.
Si è discusso (cfr, tra gli altri, Califano C., La motivazione degli atti tributari. Studi preliminari, Bologna, 2008, 366 – 367; Miceli R., La motivazione degli atti tributari, in Fantozzi A. – Fedele A., a cura di, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 296 ss.; Tesauro F., Le invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 19, 1448) sulla natura formale o sostanziale del vizio di motivazione che può inficiare i provvedimenti tributari, al punto da condurre la giurisprudenza di legittimità ad una (poco ortodossa) soluzione “di compromesso”, qualificandolo come di “vizio di frontiera” (Cass., 25 gennaio 2022, n. 2039), pur nell’assunto (indiscutibile) che è solo attraverso l’iter motivazionale che può emergere il contenuto dispositivo dell’atto. Così facendo, per questa specifica “imperfezione” degli atti tributari è stato possibile “disattivare” l’operatività della regola (generale) amministrativa che dispone il “depotenziamento” dei vizi formali e procedimentali non in grado di incidere sul contenuto del provvedimento vincolato (art. 21-septies L. 7 agosto 1990, n. 241).
La natura del difetto di motivazione, peraltro, assume rilevanza anche ai fini dell’esercizio del potere di autotutela sostitutiva. Difatti, se non vi sono mai stati dubbi sulla sua utilizzabilità per rimediare in via amministrativa a imperfezioni formali che possono inficiare i provvedimenti tributari, si ritiene invece alquanto discutibile – per incompatibilità con il principio dell’unicità dell’accertamento e, in particolare, con la disciplina dell’accertamento integrativo (Perrone A., Riflessioni critiche sul collegamento fra autotutela “sostitutiva” e principio di “perennità” dell’azione impositiva, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, IV, 133 ss.) – il suo utilizzo al fine di rimediare a vizi sostanziali che non conducono, con l’emissione del provvedimento sostitutivo, ad una riduzione della pretesa erariale inizialmente formulata (in quello annullato), ma ad una sua conferma sulla base di differenti ragioni giustificative o, più spesso, ad un suo incremento, a seguito di una diversa valutazione fattuale e giuridica di fatti che erano già nella sfera di conoscibilità dell’Amministrazione finanziaria. Tanto è vero che le criticità in chiave sistematica poste dall’autotutela sostitutiva in peius hanno indotto da ultimo la stessa Corte di Cassazione a richiedere l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite (Cass., ord. interlocutoria 1° dicembre 2023, n. 33665). Tuttavia, nelle more è già intervenuto il legislatore delegato, il quale, in attuazione della delega per la riforma fiscale, ha introdotto una regolamentazione dell’istituto (art. 9-bis L. n. 212/2000), che – come si dirà a breve – suscita non poche perplessità.
2. Strettamente connesso al profilo sostanziale poc’anzi ricordato è quello (conseguente) di natura più squisitamente processuale, ossia il divieto – tanto per l’Amministrazione finanziaria quanto per il giudice tributario – di modificare e/o integrare in sede processuale la giustificazione motivazionale della pretesa erariale così come formulata nel provvedimento impugnato.
In tal senso la Suprema Corte ha ripetutamente affermato (cfr., tra le tante, Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21719; Cass., 5 maggio 2010, n. 10802; Cass., 28 gennaio 2010, n. 1825; Cass., 30 novembre 2009, n. 25197; Cass., 5 giugno 2002, n. 8114; Cass., 27 ottobre 1995, n. 11222; Cass., 18 giugno 1998, n. 6065; Cass., sez. trib., 6 luglio 2012, n. 11370; Cass., sez. trib., 7 maggio 2014, n. 9810; Cass., sez. trib., 4 aprile 2014, n. 7961; Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; si veda anche Corte cost., 16 aprile 2014, n. 98) il principio di diritto «secondo cui le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo non possono essere mutate nella successiva sede contenziosa provocata dall’impugnativa del contribuente, e ciò a presidio del diritto di difesa di quest’ultimo, giacché una tale modifica o estensione della motivazione violerebbero l’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212» (Cass., 11 gennaio 2024, n. 1126).
In verità, questo principio non si ricava solo dalla norma statutaria (art. 7 L. n. 212/2000) che stabilisce in via generale l’obbligo di motivazione per gli atti dell’Amministrazione finanziaria (peraltro, ora in larga parte riscritta dal legislatore delegato), ma anche (e soprattutto) da quelle disposizioni settoriali (ad esempio, artt. 52, comma 2-bis, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131; 42, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; 56, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; ecc.) che, prevedendo (anche post riforma fiscale) la sanzione espressa dell’annullabilità (impropriamente denominata “nullità”) del provvedimento per difetto di motivazione, sono di per sé perfettamente in grado di chiudere le porte a qualsiasi forma di “sanatoria” processuale del vizio.
A queste si aggiungono, in piena coerenza, le disposizioni processuali (artt. 99, 112 e 115 c.p.c., a cui rinvia l’art. 1, comma 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992) che qualificano il giudizio tributario come “dispositivo” in punto di allegazione dei fatti rilevanti per la decisione della controversia. Vigendo il principio della domanda e della corrispondenza tra il “chiesto e il pronunciato”, solo alle parti spetta il potere di circoscrivere i fatti rilevanti per la decisione: all’Amministrazione finanziaria attraverso la motivazione dell’atto impugnato e al contribuente mediante i motivi di ricorso (cfr., tra gli altri, Muleo S., Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla materia del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, 2, 506 ss.; Lupi R., Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette ed all’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, 2, I, 299 ss.).
Pertanto, i fatti costitutivi della pretesa erariale devono essere solo quelli indicati in motivazione, non più modificabili e/o integrabili in sede processuale, neppure su iniziativa del giudice (cfr., ex multis, Corte cost., 29 marzo 2007, n. 109), al quale è fatto divieto di “sanare” eventuali illegittimità (formali e/o sostanziali) del provvedimento impugnato.
3. Quello appena descritto rappresenta un quadro interpretativo abbastanza pacifico in seno alla giurisprudenza di legittimità, tanto da potersi considerare diritto vivente. In effetti, anche in quelle (poche) pronunce in cui ha assunto una posizione “meno rigorosa” sul tema, la Suprema Corte non si è mai spinta fino al punto di riconoscere all’Amministrazione finanziaria il potere di “intervenire” in corso di causa sulla motivazione dell’atto impugnato, ammettendo in alcuni casi soltanto la possibilità di un’“illustrazione postuma” delle ragioni della pretesa erariale, ma giammai una loro effettiva “integrazione” (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28560).
Tutt’al più, l’unico profilo di incertezza ha riguardato la (in)sussistenza dell’obbligo di indicazione dei mezzi di prova già nella motivazione dell’atto. Tant’è vero che la legge delega sul punto è stata alquanto dettagliata, vincolando il legislatore delegato ad un intervento che mirasse, in via generale, a rafforzare ancora di più (rispetto al dato normativo previgente appena descritto) l’obbligo di motivazione degli atti impositivi e – sempre in quest’ottica, ma più specificatamente – che estendesse il perimetro motivazionale anche alla indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa erariale e di cui l’Amministrazione finanziaria si avvarrà nell’eventuale giudizio di impugnazione (art. 7, comma 1, L. n. 212/2000).
In ragione di ciò, il legislatore delegato è intervenuto sullo Statuto dei diritti del contribuente (“trasformato” nel “codice” dei principi generali dell’azione amministrativa in ambito tributario), introducendo delle nuove regole normative che necessitano di essere confrontate con quelle previgenti, al fine di verificare – come anticipato – il rispetto del principio specifico di delega.
Se, da un lato, viene ora espressamente chiarito – recependo, in verità, una soluzione interpretativa già prospettabile rispetto al dato normativo previgente (cfr., tra gli altri, Gallo F., Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., 2001, 4, 1088 ss.; Cipolla G.M., La prova tra procedimento e processo, Padova, 2005, 294 ss.) – che nella giustificazione motivazionale della pretesa erariale formulata nel provvedimento tributario devono essere indicati, a pena di annullabilità, oltre ai presupposti e alle ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione, anche i mezzi di prova di cui l’Amministrazione finanziaria si avvarrà nell’eventuale giudizio di impugnazione (art. 7, comma 1, L. n. 212/2000); tuttavia, dall’altro, si stabilisce che i fatti e i mezzi di prova indicati nella motivazione (i primi, peraltro, funzionali a delimitare il thema decidendum) «non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze» (art. 7, comma 1-bis, L. n. 212/2000).
La prima parte di quest’ultima disposizione fissa una regola generale che non aggiunge nulla rispetto al passato, nel senso che pure ante riforma (come poc’anzi ricordato) vigeva il divieto per l’Amministrazione finanziaria e per il giudice di integrare, modificare o sostituire la motivazione del provvedimento impugnato.
È la seconda parte che invece presenta un carattere indubbiamente “innovativo”, in quanto introduce per la prima volta un’eccezione a questa regola generale, permettendo all’Amministrazione finanziaria di potervi derogare mediante la successiva emissione di un (non meglio definito) ulteriore atto, purché ne sussistano i presupposti per l’emissione, e sempre che non sia già decaduta dall’esercizio del potere impositivo.
Si tratta, invero, di una previsione poco chiara, soprattutto se letta in combinato con quella contenuta nella disposizione successiva (art. 9-bis L. n. 212/2000) che, per i soli tributi periodici, codifica il principio dell’unicità dell’accertamento, facendo salve soltanto le eccezioni previste da discipline speciali, ovvero (ragionevolmente) quella dell’accertamento parziale e dell’accertamento integrativo, nonché quella dell’autotutela sostituiva, che viene ora espressamente ammessa solo per rimediare a vizi formali e procedurali dell’atto, ma non anche a vizi sostanziali.
Peraltro, pure la formulazione di questo principio desta perplessità, quantomeno sotto due profili. Anzitutto, appare poco ragionevole che l’accertamento debba essere «unico» solo per i tributi periodici e non anche per quelli istantanei. In secondo luogo, è certamente apprezzabile l’implicito riconoscimento normativo del divieto di autotutela sostitutiva in peius, con la conseguenza che il futuro pronunciamento delle Sezioni Unite sul tema (di cui si è detto in precedenza) non potrà che riguardare la disciplina ante riforma. Lo è meno, invece, la tecnica legislativa con cui è stato realizzato questo risultato, perché, stando alla formulazione letterale, sembrerebbe essere precluso il ricorso all’autotutela sostitutiva per “emendare” l’atto da vizi sostanziali in ogni ipotesi, quindi anche quando si traduca in una reformatio in melius (ossia nell’emissione di un provvedimento di annullamento parziale). È tuttavia evidente come quest’ultima opzione, del tutto incoerente in chiave sistematica, andrebbe esclusa già in via interpretativa.
Ad ogni modo, ritornando alla questione in esame, non chiaro come l’Amministrazione finanziaria possa modificare, integrare o sostituire i fatti e i mezzi di prova indicati nella motivazione del provvedimento già notificato al destinatario.
Difatti, l’ulteriore atto a cui fa riferimento la disposizione statutaria (art. 7, comma 1-bis, L. n. 212/2000) non può essere l’accertamento integrativo (Donatelli S., L’avviso di accertamento tributario integrativo e modificativo, Torino, 2013, passim). Quest’ultimo assolve a una specifica funzione, che è quella di consentire all’Amministrazione finanziaria di integrare o modificare in aumento un primo avviso di accertamento a condizione che sia dimostrata la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi non conoscibili quando quest’ultimo è stato emesso. Qui invece si discute della possibilità di “correggere” la motivazione di un provvedimento tributario già notificato al destinatario, intervenendo sui fatti costitutivi della pretesa erariale e sui relativi mezzi di prova ivi già indicati (rectius “cristallizzati” ex art. 7, comma 1, L. n. 212/2000), a prescindere da quando sia sorta questa esigenza.
L’ulteriore atto non può neppure essere quello che segue ad un accertamento parziale (Basilavecchia M., L’ accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988, passim), perché non ha la funzione di “correggere” il primo, ma di “completarlo”, accertando nuova materia imponibile.
A fronte di ciò una ragionevole ipotesi ricostruttiva, de iure condito, dovrebbe partire dalla (già citata) nuova norma statutaria (art. 9-bis L. n. 212/2000) che codifica il principio dell’“unicità” dell’accertamento per i tributi periodici (e, prima ancora, il divieto di autotutela sostitutiva limitatamente ai vizi sostanziali dell’atto), la quale esordisce facendo salve tutte quelle specifiche disposizioni che stabiliscono qualcosa di diverso. Tra queste eccezioni normative andrebbe ricompresa anche la disposizione statutaria (art. 7, comma 1-bis, L. n. 212/2000) che permette all’Amministrazione finanziaria di “correggere” in qualsiasi momento (sempre che non siano maturate decadenze) la motivazione del provvedimento tributario notificato al destinatario mediante l’emissione di un ulteriore atto. Quanto invece al modus operandi,si è dell’avviso che siano ipotizzabili essenzialmente due opzioni interpretative.
Si potrebbe sostenere che l’ulteriore atto a cui fa riferimento la norma rappresenti un nuovo strumento, per ora solo indicato, privo di regolamentazione di dettaglio. L’alternativa (più ragionevole) è quella di ritenere che questo rappresenti, nella sostanza, una peculiare forma di autotutela sostitutiva, da ammettersi: i) riconducendo (in modo improprio per quanto detto prima) il vizio di motivazione tra quelli di tipo formale, così da rientrare nell’“ordinario” perimetro applicativo della nuova disciplina statutaria dell’istituto (art. 9-bis L. n. 212/2000); ii) oppure, dopo aver (preferibilmente) assunto la natura per lo più sostanziale del difetto di motivazione, qualificando l’ulteriore atto come un’eccezione normativa – consentita dall’incipit dell’art. 9-bis L. 212/2000 – al divieto di autotutela sostitutiva per vizi diversi da quelli meramente formali e procedurali.
4. In conclusione, il quadro normativo e interpretativo che allo stato attuale emerge dalla lettura delle novità introdotte sul tema dal legislatore delegato, se confrontato con il diritto vivente ante riforma fiscale, conduce ad una inevitabile conclusione: a differenza di quest’ultimo, la nuova disciplina – in modo “innovativo” – permette ora all’Amministrazione finanziaria (ma non al giudice) di modificare, integrare o, addirittura, sostituire la motivazione del provvedimento tributario già notificato al destinatario, anche in sede contenziosa (vista la formulazione “aperta” della disposizione), mediante l’emissione di un “ulteriore atto”, sia pure a condizione che non siano maturare decadenze.
Ma se così è, è di tutta evidenza come il legislatore delegato abbia scelto una soluzione normativa che (rispetto al passato) “indebolisce”, invece di “rafforzare”, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, ponendosi, quindi, in contrasto con il principio specifico di delega (art. 4, comma 1, lett. a), L. n. 111/2023).
Per di più, traducendosi di fatto nel potere dell’Amministrazione finanziaria di “rimediare” ex post al (id est di “sanare” il) difetto di motivazione del provvedimento già notificato al destinatario, la nuova disciplina crea un’antinomia con tutte quelle disposizioni settoriali che prevedono espressamente la sanzione dell’annullabilità per questo vizio.
A ciò va aggiunto il (criticabile) corollario processuale per cui in questo modo viene indirettamente riconosciuta all’Amministrazione finanziaria la possibilità di modificare in corso di causa il thema decidendum, che in questo modo non sarà più ancorato – relativamente alle allegazioni della parte pubblica – ai soli fatti indicati nella motivazione “originaria” dell’atto impugnato.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Basilavecchia M., L’ accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988
Califano C., La motivazione degli atti tributari. Studi preliminari, Bologna, 2008
Cipolla G.M., La prova tra procedimento e processo, Padova, 2005, 294 ss.
Donatelli S., L’avviso di accertamento tributario integrativo e modificativo, Torino, 2013
Gallo F., Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., 2001,4, 1088 ss.
Lupi R., Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette ed all’Iva, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, 2, I, 274 ss.
Miceli R., La motivazione degli atti tributari, in Fantozzi A. – Fedele A. (a cura di), Lo Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 296 ss.
Muleo S., Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla materia del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, 2, 506 ss.
Perrone A., Riflessioni critiche sul collegamento fra autotutela “sostitutiva” e principio di “perennità” dell’azione impositiva, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, IV, 133 ss.
Tesauro F., Le invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 19, 1445 ss.
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