Riordino della disciplina di contrasto dell’evasione di iva e accise sulla cessione di carburanti

Di Antonio Felice Uricchio -

Abstract (*)

Contributo dell’Autore, mediante Audizione svolta in data 20 febbraio 2024, all’indagine conoscitiva avviata dalla Commissione VI-Finanze della Camera dei Deputati sui fenomeni di evasione dell’IVA e delle accise nel settore della distribuzione dei carburanti.

Reorganising the discipline of combating VAT and excise duty evasion on fuel supplies. – Author’s contribution, through a hearing held on 20 February 2024, to the fact-finding investigation launched by the VI-Finance Commission of the Chamber of Deputies on the phenomena of VAT and excise duty evasion in the fuel distribution sector.

 

 

Sommario: 1. Introduzione sulla natura delle componenti fiscali dei prodotti energetici, storia ed evoluzione del “peso fiscale” in Italia in rapporto al sistema regolamentare e alla disciplina erounitaria. – 2. Tax gap e tax expenditures, analisi dei fenomeni tra gettito teorico e gettito reale nella prospettiva di una transizione energetica sostenibile, rischi e opportunità. – 3. I reati e le condotte illecite nel settore del commercio. Analisi, incidenza, prospettive e rimedi (normativi e fiscali) alla luce dello sviluppo tecnologico e della I.A., anche in considerazione del possibile ruolo dei supercalcolatori nel contrasto e nella lotta alle criminalità organizzate e alle condotte illecite. – 4. Effettività dei processi di digitalizzazione nel controllo della filiera a garanzia del gettito nonché a vantaggio della trasparenza verso i consumatori con l’introduzione dello scontrino fiscale parlante. – 5. La delega per la riforma fiscale contenuta nella L. 9 agosto 2023, n. 111: l’art. 12 come opportunità da non perdere, per la riforma strutturale del prelievo sui prodotti energetici (tutti) anche in funzione di una transizione ecologica economicamente sostenibile, proposte, rischi, opportunità: ridisegnare le regole. – 6. Ulteriori necessità di approfondimento in materia fiscale e tributaria per comprendere i punti di criticità della normativa vigente, il ruolo delle Autorità di controllo e finanziarie, del sistema bancario, la garanzia della leale collaborazione con gli ordini professionali.

1. Le accise costituiscono un prelievo armonizzato volto a colpire beni e servizi di larghissimo consumo e di forte indotto quali l’energia elettrica, il gas o i trasporti.

Nel processo di armonizzazione europea le accise scontano, tuttavia, una contraddizione connessa alla loro stessa natura essendo al contempo oggetto di armonizzazione a livello unionale ma anche strumento fondamentale della fiscalità interna di ogni Stato membro e di entrata nel bilancio di ogni Paese.

Per l’Italia, esse rappresentano il terzo grande prelievo in termini di gettito dopo le imposte dirette e l’IVA (pari ad oltre 35 miliardi di euro per i soli prodotti energetici).

L’assetto normativo è stato delineato da una serie di Direttive di riorganizzazione e razionalizzazione dell’intera materia stratificatesi nel tempo fino all’emanazione, prima, della Direttiva 2003/96/CE[1], recepita in Italia con D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26[2].

La prima delle due Direttive dianzi citate ha ampliato il campo dei “prodotti sottoposti” ad accisa, sostituendo categoria degli “oli minerali” con quella più ampia costituita dai “prodotti energetici” (oli vegetali, alcol metilico, carbone, lignite, coke e gas naturale) per i quali sono stati fissati, per la prima volta, livelli minimi comunitari di imposizione, al fine di consentire di ridurre anche le attuali differenze esistenti fra livelli nazionali di tassazione.

La Direttiva armonizza a livello europeo anche la tassazione dell’energia elettrica e così anche quella del carbone e del coke di petrolio; ciò significa che tali prodotti, già previsti in Italia come prodotti soggetti ad accisa non armonizzata diventano soggetti ad accisa armonizzata; viene, inoltre, prevista dalla medesima Direttiva la sostituzione della precedente denominazione di “Gas metano” con quella di “Gas naturale”; oltre a ciò, viene espressamente indicata l’esclusione dal campo di applicazione del tributo per alcuni impieghi (processi elettrolitici, metallurgici, mineralogici) di prodotti energetici (c.d. “fuori campo”), sebbene destinati a carburazione o combustione, facendo salvo però per tali prodotti l’applicazione delle disposizioni relative alla circolazione degli stessi.

Anche la Direttiva n. 2008/118/CE ha portato grandi cambiamenti nel regime della circolazione intracomunitaria di prodotti sottoposti ad accisa e nell’individuazione di nuovi soggetti obbligati al pagamento dell’imposta (ed alla prestazione della relativa garanzia), i quali si affiancano alla figura già prevista del titolare del deposito fiscale, essi sono: il depositario autorizzato e lo speditore[3]. Recepita in Italia dal D.Lgs. 29 marzo 2010, n. 48[4].

Essa è stata trasfusa in una nuova Direttiva (UE) 2020/262 del Consiglio del 19 dicembre 2019 in G.U. UE L 58 del 27 febbraio 2020, con efficacia al 13 febbraio 2023. L’emanazione di una nuova Direttiva (di rifusione e riordino del testo) corrisponde, da un lato, a motivi di chiarezza dovuti alle modifiche intervenute nel tempo e, dall’altro, ad esigenze di consentire alla Commissione UE competenze delegate e di esecuzione conformemente agli artt. 290 e 291 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) introdotte a seguito della Conferenza intergovernativa di Lisbona.

Come chiarito, «le condizioni per la riscossione delle accise su prodotti contemplati dalla direttiva 2008/118/CE devono rimanere armonizzate al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno». Inoltre, la Direttiva reputa «opportuno specificare i prodotti sottoposti ad accisa ai quali si applica la stessa direttiva e fare riferimento a tal fine alle direttive del Consiglio 92/83/Cee, 92/84/Cee, 2003/96/CE e 2011/64/UE».

Essa precisa, altresì, che «i prodotti sottoposti ad accisa possono essere oggetto di altre imposte indirette aventi finalità specifiche», ma in tali casi «al fine di non compromettere l’utile effetto delle norme dell’Unione relative alle imposte indirette, gli Stati membri dovrebbero rispettare taluni elementi essenziali di tali norme». Nel dare attuazione alla Direttiva citata è stato adottato il D.Lgs. 5 novembre 2021, n. 180 che reca per la prima volta una definizione di “evento imponibile”, del tutto assente in passato. Esso poi segna l’allineamento delle accise alle procedure doganali, con riguardo alle quali il Parlamento UE con decisione 15 gennaio 2020, n. 2020/262, ha sancito nuove regole per garantire l’efficacia dei controlli informatici sulla circolazione e tempi più ridotti in dogana per i prodotti sottoposti ad accisa.

La disciplina interna, contenuta nel «Testo Unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui Consumi» (TUA), emanato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (in Suppl. ord. alla G.U. 29 novembre, n. 279) ha riordinato una serie di disposizioni normative, non coordinate tra loro, che si erano andate fino ad allora stratificando nel tempo, realizzando così l’obiettivo di coordinamento e di armonizzazione in materia di accise a seguito della realizzazione del mercato unico interno. Il TUA nel corso degli anni è stato più volte modificato per rispondere alle necessarie esigenze dettate dal processo di integrazione europeo ed alle nuove regole emerse dal nuovo mercato. Si pensi, infatti, all’ampliamento dei soggetti obbligati, alle proroghe sulle agevolazioni degli oli minerali e e del Gas di Petrolio Liquefatto, meglio noto con l’acronimo di GPL, alle modifiche apportate ai termini di pagamento, nonché all’introduzione di un contributo ecologico ed ambientale.

2. Come è noto, il livello di tassazione dei prodotti energetici è tra le più elevate d’Europa (siamo il paese con la tassazione sulla benzina più elevata tra i 27 membri dell’Unione Europea, e il secondo per quanto riguarda il gasolio dopo i Paesi Bassi). Oltre agli effetti economici su produzione e consumo, appare evidente come l’alta tassazione rende particolarmente conveniente l’evasione, il contrabbando ed altre pratiche illecite che consentano di offrire al consumatore finale condizioni alla pompa più convenienti.

In questo contesto, accanto a interventi sulla misura del prelievo, particolare rilievo assume la proposta di Direttiva 14 luglio 2021, n. 563 final che ridefinisce il quadro normativo dell’Unione in materia di tassazione dei prodotti energetici, la quale segna un cambio di prospettiva[5] in aderenza con il quadro clima energia[6] e con il programma “FIT 55”, adottando una scala di aliquote in base alle prestazioni ambientali dei diversi prodotti energetici. La riforma muove dalla profonda evoluzione delle tecnologie nella produzione, stoccaggio e erogazione di energia e conseguente della profonda trasformazione dei mercati dell’energia. La proposta di Direttiva abbandona, quindi, l’apparente neutralità dei meccanismi di tassazione (di fatto incentivanti il consumo di combustibili fossili), sostituendo il modello di prelievo in base al volume con quello del contenuto energetico. Proprio la modulazione delle aliquote, da disporre con gradualità in modo da evitare effetti devastanti nella economia, rappresenta la strada maestra per perseguire l’obiettivo di emissioni zero, apprezzando la stretta compenetrazione tra transizione energetica e politiche ambientali. Ciò darà luogo a una profonda semplificazione della struttura fiscale, raggruppando i prodotti energetici, adoperati come carburanti per motori o combustibili per riscaldamento, e classificandoli secondo le loro prestazioni ambientali, peraltro definite in relazione a quanto stabilito nel documento sul Green deal europeo e le proposte “FIT 55”. Secondo tale modulazione, le aliquote più elevate potranno applicarsi ai combustibili su base fossile convenzionali (trasporti) e per famiglie, mentre aliquote minori (2/3 di quelle massime) per combustibili meno dannosi (GPL e idrogeno di origine fossile) e ancora per biocarburanti tradizionali. Le aliquote più ridotte possono trovare applicazione per biocarburanti avanzati, a bioliquidi, ai biogas e all’idrogeno da fonti rinnovabili. Fondamentale in questa modifica di prospettiva è il concetto di “prestazioni ambientali”, definito avendo riguardo alle caratteristiche specifiche dei diversi prodotti anche alla luce dell’’evoluzione tecnologia e coerentemente con le altre proposte del pacchetto “Fit for 55” (revisione dell’EU ETS e nuova Direttiva sulle energie rinnovabili II).

A tale manovra sulle aliquote dovrà accompagnarsi un insieme di incentivi per le produzioni di energia a emissioni zero che dovrà consentire di rendere conveniente per imprese e persino per singoli consumatori, la scelta di energie pulite anche al fine di tenere conto di esigenze specifiche.

In questo senso, viene chiarito che “livelli minimi diversi di tassazione” dovrebbero essere stabiliti per i carburanti per motori per il trasporto[7], per i carburanti per motori utilizzati per finalità meritorie (ad esempio nel settore primario), per i combustibili per riscaldamento e per l’elettricità ovvero per famiglie in condizione di difficoltà economica.(il tutto secondo una definizione armonizzata dell’UE di vulnerabilità che potrebbe consentire anche l’esenzione di 10 anni dalla data di entrata in vigore della Direttiva ex art. 17, lett. c). Per quanto riguarda determinati settori (lavori agricoli, orticoli o di acquacoltura nonché silvicoltura), sarebbero applicabili riduzioni del livello di tassazione non inferiori ai valori minimi per i prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento e per l’elettricità (cfr. art. 17, lett. d). Conformemente agli obiettivi della proposta, non dovrebbe essere operata, invece, alcuna distinzione tra l’uso commerciale e non commerciale del gasolio come carburante per motori e l’uso commerciale e non commerciale di combustibili per riscaldamento ed elettricità. In questo senso, la nuova Direttiva valorizza la natura ambientale delle accise, non a caso definite verdi, a cui dovranno aggiungersi green premium, vale dire bonus per l’utilizzo diretto di mini impianti di produzione e stoccaggio di energie verdi nel luogo stesso di utilizzo (si pensi al geotermico a bassa entalpia, al minieolico, a mono impianti di energia solare e di idrogeno). Allo stesso tempo, i green premium potrebbero essere concessi anche per infrastrutture e strumenti diffusi di stoccaggio delle energie pulite (tendenzialmente intermittenti) quali batteri di flusso di nuova generazione, sistemi di accumulo termico, stoccando il calore generato di giorno o durante i periodi di irraggiamento per convertirlo in energia quando occorra, ecc.

Dosando strumenti fiscali impositivi su combustibili fossili e incentivi green, le politiche fiscali possono rivelarsi efficaci se opportunamente inserite e coordinate a una pianificazione energetica di carattere strategico che assuma con consapevolezza una finalizzazione ambientale e valoriale.

3. Come si evince dalle esperienze applicative, il settore della distribuzione di carburanti, risulta essere caratterizzato da diffusi fenomeni di non assolvimento delle imposte (IVA e accise)[8], come anche risulta dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, oltre che sulla base delle attività di indagini di Guardia di Finanza e diverse Procure. Diverse sono le pratiche illecite messe in atto da operatori interni e esteri; oltre a contrabbando, false fatturazione e coinvolgimento o interposizione di soggetti che operano a nero o che agiscono come cartiere, sono diffusi acquisto di prodotti ad aliquota agevolata o esenti immessi o lavorati in modo illecito, miscelazioni fraudolente di prodotti petroliferi diversi. L’utilizzo di nuove tecnologie di controllo (satellitare, droni, microchip o altri strumenti istallati sui mezzi di trasporto) e soprattutto di incrocio dei dati anche tramite intelligenze artificiali appaiono particolarmente preziosi. Efficaci si sono rivelati alcuni interventi come l’eliminazione delle lettere di intento e l’introduzione del meccanismo dell’IVA anticipata (L. n. 205/2017) e soprattutto la dematerializzazione e telematizzazione dei libretti agricoli, la fatturazione elettronica la tracciabilità dei movimenti ecc.

Tali strumenti possono essere potenziati sia attraverso l’intelligenza artificiale sia attraverso la tracciabilità dei pagamenti (da incrociare anche con fatture e scontrini elettronici) e possono rivelarsi in grado di contrastare soprattutto l’introduzione clandestina di prodotti energetici e le frodi.

Al riguardo si ritiene che il potenziamento degli strumenti di controllo lungo tutta la filiera, dall’origine al consumatore, come peraltro richiesto dai Soggetti ascoltati nelle precedenti audizioni di questa Commissione, sia oggi una prospettiva tecnologicamente percorribile e di facile attuazione, al fine di prevenire le condotte illecite, In tal senso potrebbe rivelarsi utile alla Commissione Finanze l’ascolto di quei centri nazionali dotati di elevata potenza di calcolo nonché dei centri di ricerca e sviluppo dei sistemi misurazione e controllo.

4. Come sopra detto, gli strumenti adoperati negli ultimi anni hanno dimostrato l’efficacia dei più recenti obblighi introdotti dal legislatore in materia di immissione in consumo di carburanti e inducono a proseguire nel percorso avviato e a, ulteriormente, potenziare le attività di verifica e gli strumenti di tracciabilità[9].

Sulla possibile introduzione dello scontrino fiscale parlante, come peraltro auspicata da taluni degli auditi a vantaggio della trasparenza verso i consumatori, che esponga nel dettaglio quanto corrisposto all’Erario per gli acquisti di prodotti energetici presso i punti vendita della filiera di distribuzione al dettaglio, si ritiene che i sistemi di pagamento elettronico, verso i quali dovrebbe migrare l’intero settore, già consentano tale opportunità che contribuirebbe in maniera positiva al contrasto dei fenomeni illeciti.

In particolare l’E-das ha contribuito al contenimento dei flussi illeciti e impropri e delle frodi mentre lo speciale regime abilitativo per i traders previsto dalla Legge finanziaria del 2018 ha consentito di controllare l’immissione in consumo dal deposito fiscale o l’estrazione dal deposito di un destinatario registrato al versamento dell’IVA.

5. Tra gli interventi in corso di adozione, particolare rilievo assume l’art. 12 della legge delega n. 111/2023 che rende più concreta la prospettiva della transizione energetica dando attuazione alla Direttiva 2018/2002, recante «un quadro comune di misure per promuovere l’efficienza energetica nell’Unione al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi principali dell’Unione in materia di efficienza energetica del 20% per il 2020 e il conseguimento dell’obiettivo principale in materia di efficienza energetica di almeno il 32,5% per il 2030» (art. 1, par. 1).

Sembra avvicinarsi una più ampia armonizzazione delle accise verdi e degli strumenti di fiscalità ambientali, magari estendendo esperienze virtuose come quelle dei Paesi scandinavi (Svezia e Finlandia) ovvero di Francia e Irlanda. In questo senso, si veda il documento della Commissione europea dell’11 dicembre 2019, n. 640 (European Green Deal), nel quale viene ribadito il ruolo cruciale delle accise nella transizione verso una crescita europea più verde e più sostenibile ed il rispetto degli obiettivi climatici da assumere fino al 2050.

L’art. 12, valorizzando l’efficacia ambientale, pone le basi per un parziale riordino di aliquote e agevolazioni (soprattutto sugli incentivi ambientalmente dannosi, ovviamente tenendo conto dell’impatto economico), graduando il prelievo e riducendo il tax gap. In questa prospettiva, si potrebbe assumere a modello l’ordinamento francese, ove si è affermato un peculiare modello di cc.dd. accise mobili le quali consentono di ridurre il prelievo sui prodotti energetici, anche in chiave di tutela del potere di acquisto del consumatore, qualora vi sia un incremento dei prezzi che consenta al gettito IVA di controbilanciare un’eventuale riduzione delle accise tenendo conto anche di effetti incentivanti verso prodotti energetici più ambientalmente sostenibili.

La legge delega non prende posizione in merito ad un profilo tradizionalmente dibattuto, ma non prescritto a livello unionale: l’inclusione delle accise nella base imponibile IVA. Tale elemento non è previsto da tutti gli Stati membri in relazione ai prodotti energetici: al riguardo si potrebbe ipotizzare una combinazione di istituti di fiscalità agevolativa che non passi solamente dalla riduzione delle aliquote delle accise, ma sia sinergico con l’esclusione di talune accise dalla correlativa base imponibile ai fini IVA.

Ad oggi, detta esclusione è rimessa ad un’interpretazione giurisprudenziale che distingue in base all’obbligatorietà o meno della rivalsa, di fatto disinnescando l’effetto incentivante (o deterrente), collegato evidentemente all’intero carico fiscale sostenuto dal soggetto inciso.

6. Come evidenziato, la transizione energetica può esser efficacemente perseguita non solo adoperando con particolare attenzione lo strumento delle accise ma anche pensando a modelli di prelievo da sperimentare sempre nell’ottica funzionale già chiarita.

In questa prospettiva, il confronto con le esperienze straniere può offrire spunti interessanti arricchendo lo strumentario fiscale al fine rendere il sistema impositivo più ricco e meglio rispondente al modello della transizione energetica valorizzando ed ai principi di responsabilità individuale e sociale. Tra le varie esperienze, va ricordata quella tedesca che conosce una rigogliosa congerie di tributi ambientali: “tassa ecologica” tedesca (Ökosteuer), che assoggetta a tassazione il consumo di energia da fonte non rinnovabile (c.d. Stromsteuer), l’imposta sul petrolio (Mineralölsteuer), quella sulle acque reflue e sugli scarichi delle acque, e (in alcuni Länder) un contributo per l’utilizzo dell’acqua (c.d. Wasserentnahmeentgelt o anche Wasserpfennig), contributi per rifiuti e acque di scarico di natura comunale (Abfall – und l) e il tributo compensativo sull’impatto sulla natura (naturschutzrechtlichen Ausgleichsabgaben). I Paesi scandinavi hanno poi maturato una ricca esperienza in materia: la Svezia, dove da tempo si applica una carbon tax, utilizza un tributo sulla congestione urbana, per ridurre le immissioni nocive provocate dal traffico veicolare a benzina o diesel; la Danimarca fa ricorso alla tassa sull’elettricità, sul carburante calcolata attraverso i chilometri percorsi, i diritti di utenza stradale per le strade più trafficate , il tributo sulle emissioni di gas serra; la Finlandia che per prima ha introdotto in Europa la carbon tax.

Invero, proprio l’Unione Europea, a più riprese, ha sollecitato i Paesi membri a dotarsi di c.d. carbon tax, da applicare sul consumo di combustibili fossili in base alle emissioni di anidride carbonica immaginata nel libro bianco di Delors del 1993, intitolato “Growth, Competitiveness, Employment: the Challenges and Ways Forward, into the 21 st Century”, dove si evidenzia la capacità della tassazione ambientale sull’energia di tutelare l’ambiente, nella prospettiva di disincentivare il ricorso alle risorse fossili per la combustione e incentivare le fonti energetiche alternative. La mancata adesione di alcuni Paesi membri ha bloccato il processo, rimettendo i singoli Stati la scelta di dotarsi di tale strumento di prelievo. Nel sistema italiano la carbon tax è stata istituita con L. n. 448/1998, al fine di ridurre le emissioni di gas serra, poi essa è stata abrogata dal D.Lgs. n. 26/2007, nell’angolazione di dar luce al processo di armonizzazione europea intrapreso dalla Direttiva 2003/96/CE.

La L. 23 dicembre 1998, n. 448 coerentemente con gli obiettivi indicati dal Protocollo di Kyoto, tassava i prodotti energetici in relazione alla quantità di anidride carbonica da essi generata, nell’intento promuovere l’uso di prodotti a minore impatto ambientale, destinando parte delle maggiori entrate provenienti dalla tassazione al finanziamento delle attività volte all’efficienza energetica e al consolidamento delle fonti rinnovabili. L’assorbimento della carbon tax nel più generale modello delle accise, appartiene tuttavia all’esperienza di alcuni Paesi, come il nostro, mentre altri hanno continuato ad adoperare tale strumento di prelievo, sia pure ciclicamente. La preoccupazione di un aumento dei costi su taluni consumi, soprattutto di carburante fossile, in assenza di una solida politica energetica orientata al potenziamento delle energie alternative, potesse produrre effetti dannosi sull’economia, ha indotto a rinunciare a tale modello di prelievo. Anzi, a seguito delle recenti vicende belliche e delle conseguenti speculazioni, con i vari “decreti aiuti”, è stata disposta una riduzione delle accise su benzina e diesel anche per contenere spinte inflazionistiche.

Le esperienze largamente positive di alcuni Paesi, quali Finlandia, Svezia, Danimarca, in cui l’introduzione della carbon tax è stata accompagnata da riduzione di altre imposte e soprattutto da politiche per la mobilità sostenibile e per stimolare l’utilizzo di energie pulite, dimostra come lo strumento possa essere utile. La mancata attuazione dell’art. 15 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, ha precluso la reintroduzione della carbon tax, il cui gettito avrebbe dovuto «essere destinato prioritariamente alla revisione del sistema di finanziamento delle fonti rinnovabili».

Evidente è che la eventuale istituzione introduzione di una carbon tax dovrebbe differenziarsi dal sistema delle accise, anche per evitare duplicazione di prelievo, anche soprattutto per la declinazione ambientale impressa dalle ultime Direttive citate.

Invero, una rinnovata carbon tax potrebbe generare opportune sinergie tra investimenti pubblici e investimenti privati e manifestando la sua capacità di innestare un circolo virtuoso tra sostenibilità e decarbonizzazione. Si pensi ad esempio alla possibilità di tassare imprese che ricorrono ancora al carbone, lasciando esenti quelle che transitano verso altre energie pulite ovvero quelle che si dotano di impianti di cattura “sul posto” dell’anidride carbonica prodotta anche attraverso una più diffusa e consapevole simbiosi industriale.

Nella sperimentazione di nuovi modelli di prelievo, particolare rilievo assume la recente approvazione della proposta da parte del Parlamento e del Consiglio del Regolamento europeo COM (2021) 564 final, del 14 luglio del 2021 in materia di Carbon Border Adjustment Mechanism (in sigla CBAM)[10]. Come chiarito dalla relazione di accompagnamento, la disciplina proposta intende contrastare il fenomeno del c.d. carbon leakage, vale a dire la rilocalizzazione al di fuori del territorio europeo delle emissioni di carbonio altrimenti gravate dal meccanismo di riduzione di emissioni adottato dall’Unione Europea nel 2005 e denominato Emission Trading System (ETS).

Invero, nella prospettiva della decarbonizzazione, l’esercizio della potestà impositiva va riconsiderato in modo più coraggioso e ciò richiede politiche unionali e nazionali protese alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio nonché politiche nazionali a sostegno delle fonti rinnovabili elettriche, con precipuo riguardo al settore industriale, fulcro della decarbonizzazione. In questo senso si esprime anche il Piano per la transizione ecologica secondo cui «le tappe della decarbonizzazione italiana sono scandite dagli impegni europei: “net zero” al 2050 e riduzione del 55% al 2030 delle emissioni di CO2 (rispetto al 1990), con obiettivi nazionali per il 2030 che verranno proposti dalla Commissione europea nel luglio 2021 nell’ambito del pacchetto di proposte “Fit for 55” […] Se si considera la tappa intermedia del 2030 diventa quindi necessario rivedere gli obiettivi stabiliti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) solo alla fine del 2019. Sulla base dei modelli raccomandati dalla Commissione europea, il precedente obiettivo di diminuzione delle emissioni di CO2 si era tradotto nel PNIEC in una riduzione del 37% per l’Italia, che andava già oltre il -31% assegnato dall’Ue, con un passaggio da 520 milioni di tonnellate emesse nel 1990 a 328 milioni fissati per il 2030 (di cui 216 dai settori ETS e 109 da quelli non ETS). Ora, in attesa delle revisioni delle direttive comunitarie, dal nuovo obiettivo europeo del 55% deriva una riduzione delle emissioni nazionali del 51%, che porta il target 2030 intorno a quota 256 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Anche con queste ipotesi preliminari ne risulta uno scenario molto sfidante per l’Italia: i consumi energetici dovranno scendere ancora, con una riduzione dell’8% rispetto al precedente PNIEC (la riduzione di energia primaria passerà dal 43 al 45%, così come calcolata rispetto allo scenario energetico base europeo Primes 2007) da ottenere nei comparti a maggior potenziale di risparmio energetico come residenziale e trasporti, grazie anche alle misure avviate con il PNRR. Uno sforzo significativo è richiesto sul versante delle energie rinnovabili, con un incremento della capacità installata almeno del 15% rispetto al PNIEC (pari a un aumento del 60% nel paragone con la situazione degli anni dal 2015 al 2018). In parallelo si assisterà a una contrazione ulteriore del peso delle fonti fossili. All’interno di questo nuovo quadro al 2030, e comprendendo gli sviluppi della produzione di idrogeno verde prevista dal PNRR e dall’avvio della Strategia Nazionale sull’Idrogeno, l’apporto delle energie rinnovabili al mix di energia elettrica dovrà salire sopra quota 70% rispetto al 55% previsto dal precedente PNIEC.88 Va considerato inoltre che gli obiettivi comunitari saranno incorporati nel corso del 2021 in una Legge Europea sul Clima, che dovrà contenere anche gli strumenti per poterne misurare il rispetto e i progressi sulla base di dati condivisi».

In considerazione di quanto sopra, nel ribadire alla Commissione la mia personale disponibilità ad ogni ulteriore approfondimento, anche in ragione dell’attuazione dell’articolo 12 della delega fiscale, ritengo sarebbe auspicabile aprire il positivo ascolto da parte di questa Commissione, avviato con questa indagine conoscitiva, anche ai rappresentanti di quelle professioni maggiormente coinvolte nei processi fiscali e tributari con specifico riferimento al commercio dei carburanti e dei prodotti energetici.

* Audizione dell’Autore dinanzi alla Commissione VI – Finanze della Camera dei Deputati (20 febbraio 2024).

[1] La Direttiva 27 ottobre 2003, n. 2003/96/CE, c.d. “energy taxation”, introduce importanti principi in materia di tassazione dell’energia, ampliando il novero dei prodotti, diversi dagli oli minerali, da sottoporre al regime armonizzato delle accise, tra cui, in aggiunta ai derivati del petrolio, sono stati annoverati anche il carbon fossile ed il coke di carbone e di petrolio, nonché gli oli di origine vegetale: Finalità della Direttiva è la riduzione delle emissioni di anidride carbonica allo scopo di ottenere positivi effetti ambiente, incentivare un uso più efficiente dell’energia, in modo da ridurre la dipendenza derivante dalla sua importazioni. Per perseguire tali obiettivi si ritiene incidere ulteriormente sulla divergenza delle aliquote applicate dagli Stati membri sui prodotti in questione, ricalibrando i livelli minimi, in maniera da attenuare i conseguenti effetti distorsivi sulla concorrenza, estendendo la tassazione armonizzata ai prodotti energetici diversi dagli oli minerali ed all’energia elettrica e di fissare livelli minimi comunitari di imposizione più appropriati. Tra le principali novità, vi è l’ampliamento del campo di applicazione della citata Direttiva 92/12/CEE e l’abrogazione delle Direttive 92/81/CEE e 92/82/CEE, con la sostituzione, nell’ambito dei prodotti sottoposti ad accisa, della categoria degli “oli minerali” con una ben più estesa categoria costituita dai “prodotti energetici”, legata alla capacità di produrre calore o movimento in relazione al suo contenuto energetico piuttosto che alle sue caratteristiche merceologiche. Inoltre, a tale categoria viene aggiunta l’elettricità per la quale si applica oggi l’accisa in sostituzione della previgente imposta erariale di consumo (non armonizzata).

[2] Il D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, nel recepire la Direttiva 2003/96/CE del Consiglio, dando attuazione alla delega di cui alla L. 18 aprile 2005, n. 62, c.d. “Legge comunitaria 2004”, con l’art. 21 D.Lgs. n. 504/1995, amplia il novero dei “Prodotti sottoposti ad accisa”, facendo riferimento alla categoria dei prodotti energetici, nei quali sono inclusi gli oli vegetali, l’alcole metilico, i prodotti di cui al codice 3824 90 99 (di cui fa parte il biodiesel), il carbone, la lignite, il coke, il gas naturale. In attuazione della facoltà di sottoporre a tassazione i citati prodotti per motivi di politica ambientale, il comma 9 del nuovo art. 21 del TUA stabilisce che, in linea generale, tutti i prodotti energetici di cui al comma 1 del medesimo articolo destinati alla produzione di energia elettrica siano sottoposti ad accisa con l’applicazione delle aliquote previste nella tabella A allegata al TUA.

[3] La Direttiva 2018/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva 2012/27/UE «stabilisce un quadro comune di misure per promuovere l’efficienza energetica nell’Unione al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi principali dell’Unione in materia di efficienza energetica del 20% per il 2020 e il conseguimento dell’obiettivo principale in materia di efficienza energetica di almeno il 32,5% per il 2030». La protezione della qualità dell’ambiente è anche oggetto della COM (2018) 773 final, intitolata “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”, in cui si denota come l’energia assume un’importanza capitale nella transizione verso un’economia a zero emissioni nette di gas serra e che, nella prospettiva di operare tale transizione, si dovrebbero sfruttare al massimo i benefici provenienti dall’efficienza energetica, che dovrebbe assumere un ruolo primario nell’azzeramento delle emissioni entro il 2050, si dovrebbero diffondere al massimo le energie rinnovabili, nell’ottica di avere un sistema energetico in cui si dovrà ricavare l’energia primaria soprattutto da fonti rinnovabili

[4] Il decreto attuativo della Direttiva 2008/118/CE del Consiglio, emanato in forza della delega conferita dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, c.d. “Legge comunitaria 2008”, semplifica le procedure e accresce la trasparenza negli scambi intracomunitari, introducendo per la circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo il sistema informatizzato per i movimenti ed i controlli dei prodotti soggetti ad accisa (“EMCS”).

[5] Come chiarito nel preambolo della Direttiva, «la nuova riforma punta a riallineare la tassazione energetica agli obiettivi di politica verde della Ue, con incentivi per l’efficienza energetica, le fonti energetiche meno inquinanti e le tecnologie più pulite. Inoltre, come già nella direttiva attuale, a monte della revisione viene mantenuto l’obiettivo di garantire un’equa concorrenza fiscale tra gli operatori nel mercato dell’energia. Lo scopo è inoltre quello di incoraggiare gli Stati membri ad aumentare le proprie entrate da imposte di tipo ecologico, che la Commissione valuta meno dannose per la crescita rispetto all’imposizione sul lavoro. Secondo il Taxation Trends in the European Union 2021, pubblicato lo scorso giugno e che riporta i dati relativi al 201S, le entrate derivanti dalla tassazione ambientale rappresentano il 5,S% del gettito fiscale riscosso complessivamente nell’Ue». In ambito nazionale s veda il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, che ha recepito la Direttiva 2001/77/CE, e in seguito con il D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, che ha recepito la Direttiva del 2009, come legge quadro in tema di fonti energetiche. Cfr. Santi R., Energia e ambiente, in Caravita B. – Cassetti L. – Morrone A. (a cura di), Diritto dell’ambiente, Bologna 2016, 245.

[6] Essa fissa tre principali obiettivi da raggiungere entro il 2030: la diminuzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, la quota almeno del 27% di energia rinnovabile, il miglioramento almeno del 27% dell’efficienza energetica.

[7] Cfr. Relazione alla proposta di Direttiva, secondo cui «fatti salvi gli accordi internazionali relativi all’aviazione, si dovrebbero tassare i prodotti energetici e l’elettricità forniti per la navigazione aerea intra-UE (ad eccezione di quelli forniti per i voli esclusivamente cargo) e per la navigazione intra-UE per via d’acqua, compresa la pesca (cfr. articoli 14 e 15). Un livello diverso di tassazione sarebbe applicabile all’uso dei prodotti energetici e dell’elettricità per l’aviazione non d’affari e per i voli non da diporto intra-UE. I prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per l’aviazione d’affari e i voli da diporto intra-UE dovrebbero essere soggetti ai livelli standard di tassazione applicabili ai carburanti per motori e all’elettricità negli Stati membri. Al fine di assicurare un’attuazione agevole delle disposizioni concernenti l’aviazione non d’affari e i voli non da diporto intra-UE, i livelli minimi di tassazione per l’uso del carburante per motori verrebbero raggiunti nel corso di un periodo transitorio di dieci anni, mentre i carburanti alternativi sostenibili (compresi i biocarburanti e i biogas sostenibili, i carburanti a basse emissioni di carbonio, i biocarburanti e i biogas sostenibili avanzati, nonché i carburanti rinnovabili di origine non biologica) e l’elettricità sostenibile avrebbero un’aliquota minima pari a zero per dieci anni. I prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per la navigazione aerea intra-UE per il trasporto di sole merci dovrebbero essere esenti con la possibilità per uno Stato membro di tassare tali carburanti per i voli nazionali esclusivamente cargo o in virtù di accordi bilaterali o multilaterali conclusi con altri Stati membri. Per la navigazione aerea extra-UE, fatti salvi gli obblighi internazionali, gli Stati membri possono esentare o applicare gli stessi livelli di tassazione della navigazione aerea intra-UE, a seconda del tipo di volo. Per quanto riguarda la navigazione per via d’acqua, considerando il rischio del rifornimento di carburante al di fuori dell’UE, un diverso livello di tassazione sarebbe applicabile all’uso dei prodotti energetici e dell’elettricità per i servizi regolari di navigazione marittima e per vie navigabili interne intra-UE (da un porto UE a un altro porto UE), la pesca e il trasporto di merci. I prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per la restante navigazione per via d’acqua intra-UE (compresa tra l’altro la navigazione con imbarcazioni private da diporto) dovrebbero essere soggetti ai livelli standard di tassazione applicabili ai carburanti per motori e all’elettricità negli Stati membri».

[8] Tra tutte si veda la memoria di Unione energie per la mobilità – UNEM, del 25 ottobre 2023, che elenca i fenomeni di evasione delle imposte (IVA e accise) in risposta alla domanda «1.1) In base alla Vostra esperienza, come si configurano tali condotte illecite?».

[9] Al riguardo si vedano domande nello schema sottoposto dalla Commissione agli auditi e le loro risposte, con particolare riguardo alla memoria resa dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti – Assoutenti nella Seduta della Commissione del 6 febbraio 2024.

[10] Come chiarito nel preambolo della Direttiva, «pur non essendo una misura di natura fiscale, ma di tipo commerciale, lo Cbam, acronimo di carbon border adjustement mechanism, è una novità del pacchetto Fit for 55 che attraverso una disciplina di carattere ambientale andrà a inserire una nuova voce di risorse proprie nel bilancio dell’Ue. Il sistema si traduce in italiano come meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e punta a pareggiare il prezzo del carbonio dei prodotti fabbricati all’interno dell’Ue e quelli importati. Il meccanismo applicherà lo stesso costo del carbonio a cui sono soggette le produzioni europee per la loro quota di gas serra emessi alle importazioni di determinati prodotti (al momento acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio ed energia elettrica, ma con la prospettiva di un futuro allargamento ad altri beni) provenienti da Paesi extra Ue che non impongono costi ambientali sulle emissioni analoghi a quelli europei. Lo scopo è ristabilire una parità di costi tra le produzioni extra Ue e quelle interne e neutralizzare la convenienza a delocalizzare le produzioni inquinanti verso Paesi con normative ambientali meno rigorose. Il meccanismo si affiancherà e si coordinerà col sistema europeo dello scambio delle emissioni, anch’esso interessato da una revisione nell’ambito del pacchetto Fit for 55».

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