La frode nella riscossione coattiva delle imposte e nella transazione fiscale: un confronto costruttivo tra fattispecie differenti

Di Angelo Giammarini e Margherita Saccà -

Abstract (*)

Il presente contributo si occupa delle fattispecie criminose che configurano il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte che, pur riguardando la fase di esazione dei tributi, toccano ambiti ontologicamente differenti.

Si tratta della più diffusa frode nella riscossione coattiva delle imposte, al centro di un ampio dibattito accademico nonché della condotta meno conosciuta di frode nella transazione fiscale1.

Fraud in the forced collection of taxes and in tax transactions: a constructive comparison between different cases – This contribution deals with the criminal cases that constitute the crime of fraudulent evasion of the payment of taxes which, although they concern the tax collection phase, concern ontologically different areas.

This is the most widespread fraud in the forced collection of taxes, at the center of a wide academic debate as well as the least known form of fraud in tax transactions.

Sommario:1. Un confronto tra attuale e precedente versione della disciplina normativa. 2. Le peculiari accezioni della condotta criminosa. Il riferimento paradigmatico delle alienazioni simulate. 3. I tentativi di delimitazione delle condotte che configurano gli altri atti fraudolenti. 4. Altre questioni cruciali per il perfezionamento della fattispecie. – La frode nella transazione fiscale. 5. I tratti salienti dell’ipotesi fraudolenta. 6. Spunti di riflessione sull’autore della condotta fraudolenta. 7. I rapporti con le fattispecie affini. 8. Conclusioni.

1. Le frequenti condotte di sottrazione illecita del patrimonio alle procedure esecutive fiscali hanno indotto il legislatore a prevedere una specifica ipotesi fraudolenta che, nel corso degli anni, ha subito profondi mutamenti.

La finalità perseguita è quella di «evitare che il contribuente si sottragga al dovere di concorrere alle spese pubbliche» attraverso il depauperamento del proprio patrimonio che, nella fase del pagamento delle imposte, rappresenta la generica garanzia fornita dall’obbligato alle ragioni dell’Erario (Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2018, n. 10161, in il fisco, 2018, 14).

Il precedente diretto della norma in esame era la c.d. frode nell’esecuzione esattoriale che, ad onor del vero, non è mai stata in grado di tutelare efficacemente gli interessi erariali.

Infatti, il comportamento illecito era circoscritto in un momento temporale ben preciso, ovvero successivo all’avvio dell’attività ispettiva o dell’iscrizione a ruolo, e doveva cagionare, altresì, un danno effettivo per l’Erario, quale appunto l’esito infruttuoso della procedura della riscossione coattiva.

Le diversità strutturali con la vigente formulazione normativa appaiono, dunque, evidenti.

Il venir meno di ogni riferimento all’attività dell’Amministrazione finanziaria determina una profonda mutazione della natura e della struttura della fattispecie.

Attualmente, non è richiesto che la condotta criminosa comprometta, effettivamente, una procedura di esecuzione esattoriale, ma è sufficiente che sia semplicemente idonea a mettere in pericolo l’esito della stessa (cfr. Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2012, n. 45730; Id. 4 novembre 2020, n. 30723, in Quot. giur., 2020).

Si registra, quindi, un’anticipazione della soglia della tutela penale apprestata dalla norma che determina un’inevitabile dilatazione dell’ambito di applicazione della medesima.

Ciò posto, deve essere necessariamente effettuata una stretta interpretazione dei requisiti tipici della condotta, riferiti alle nozioni di simulazione e fraudolenza, per evitare un’indiscriminata applicazione della fattispecie, pena il possibile vulnus dei principi di carattere costituzionale.

Sul punto occorre operare un preciso e costante bilanciamento tra l’interesse dell’Amministrazione finanziaria, di vedere garantita la propria pretesa erariale, e le esigenze del contribuente, di poter disporre liberamente dei propri beni (cfr. Delfino A. – Fasano N., Sottrazione al pagamento delle imposte: il labile confine fra atti dispositivi legittimi e atti dispositivi fraudolenti, in il fisco, 2016, 21, 2048).

Inoltre, il bene giuridico tutelato dalla norma, secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, non è il diritto di credito dell’Erario ma, piuttosto, la generica garanzia offerta dai beni del contribuente (cfr. Aldrovandi P., Bene giuridico e principio di offensività nello specchio del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Riv. dir. trib., 2020, 3, 149).

Ciò determina la possibilità di configurare la fattispecie anche qualora «in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori» (Cass. pen., sez. III, 6 ottobre 2011, n. 36290).

2. Per la tipizzazione della condotta criminosa il legislatore ha utilizzato una tecnica che non può certo dirsi immune da critiche, poiché si riferisce a due comportamenti, tra loro alternativi, costituiti dalle alienazioni simulate, dalle forme più definite, e dagli atti fraudolenti, dai contorni più sfumati.

La prima modalità della condotta consiste, in linea di continuità con la disciplina civilistica, nel fittizio trasferimento della proprietà di un bene caratterizzato dalla divergenza tra la volontà dichiarata dalle parti e quella effettiva.

Sul punto non vi sono motivi per attribuire a tale comportamento un significato penalistico differente da quello civilistico (cfr. Vagnoli E., Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rass. trib., 2004, 4, 1317) e per la definizione dello stesso non è necessario ricorrere all’armamentario definitorio previsto nel sistema penale tributario.

In senso concorde si esprime anche la Suprema Corte ritenendo che «l’alienazione è “simulata”, ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, allorquando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti» (Cass. pen., sez. V, 10 febbraio 2022, n. 4957, in Norme & Tributi plus dir., Il Sole 24 Ore, 2022).

Altrettanto di interesse ai fini che occupano risulta la definizione elaborata da autorevole dottrina, secondo cui le alienazioni simulate rappresenterebbero tutte quelle operazioni comunque realizzate che non producono un reale trasferimento di proprietà, così da creare un decremento, soltanto apparente, della consistenza patrimoniale del contribuente (cfr. Lanzi A., Il flebile incrocio tra illuminismo, legalità e diritto penale dell’economia, in L’indice penale, 2016, 1, 1).

Inoltre nessun dubbio sussiste in merito alla possibilità di ricomprendere nei comportamenti della specie anche le donazioni, posto che la norma non pone limiti al titolo oneroso, ovvero gratuito, del trasferimento dei beni (cfr. Capolupo S., Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte tra interessi erariali e autonomia negoziale dei contribuenti, in il fisco, 2017, 47/48, 4541).

Più controversa è invece la questione legata alla riconducibilità delle alienazioni “effettive” nell’ambito di quelle “simulate”.

Un primo orientamento dottrinale, in aderenza con il tenore letterale della norma, esclude tout court la rilevanza dell’alienazione effettiva quand’anche la stessa sia idonea a diminuire la garanzia patrimoniale dell’Erario, poiché effettuata, ad esempio, a titolo gratuito ovvero con corrispettivo irrisorio o comunque inadeguato.

In questo contesto, gli atti di disposizione patrimoniale non idonei ad impedire, o sviare, la riscossione coattiva non sarebbero qualificabili come alienazioni simulate e di conseguenza la difesa delle ragioni erariali rimarrebbe affidata ai comuni strumenti civilistici fruibili dai creditori.

Secondo l’interpretazione di cui si tratta, la qualifica di atti simulati spetterebbe, ad esempio, ai contratti di compravendita, che in realtà celano vere e proprie donazioni, piuttosto che alle cessioni di beni a prezzi di mercato, nelle quali in realtà si annidano trasferimenti di modico valore.

La stessa ricostruzione aderisce, in seguito, ad una prospettiva più evoluta ritenendo che anche l’alienazione “effettiva” possa assumere rilevanza penale, purché venga posta in essere con particolari modalità idonee a rappresentare un concreto ostacolo per le iniziative di recupero erariali.

Si pensi, ad esempio, ad una vendita “frammentata” che, attraverso una serie di passaggi plurimi e successivi, consenta al bene di arrivare all’effettivo destinatario finale ovvero ancora al trasferimento di proprietà di un’immobile a cui faccia immediatamente seguito, in base ad una preventiva e criminosa intesa tra le parti, l’iscrizione di un’ipoteca a favore di un terzo in buona fede (cfr. Napoleoni V., I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano, 2000).

Altra parte della dottrina ritiene che il carattere simulato dell’alienazione, per dirsi tale, debba riferirsi al trasferimento in concreto del diritto di proprietà e non soltanto all’abuso del titolo o del corrispettivo del negozio giuridico (cfr. Aldovrandi P., Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 2001).

Per questo sarebbe irrilevante la donazione di un bene fatta apparire ai terzi come compravendita, poiché sarebbe simulato soltanto il titolo dell’atto e non anche la sostanza del medesimo, mentre assumerebbe rilievo la compravendita di un bene tesa ad occultare un comodato, poiché in questo caso risulterebbe svilito il contenuto tipico dell’atto.

Le alienazioni simulate rappresentano inoltre il trait d’union con l’altra tipologia comportamentale, ovvero gli altri atti fraudolenti, in relazione ai quali assumono un’importante valenza descrittiva e paradigmatica poiché contribuiscono a definirne i contenuti tipici (cfr. Dimaggio F., Il requisito della fraudolenza nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Rass. trib., 2021, 1, 213).

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ritiene che anche l’alienazione effettiva quando sia connotata da una componente artificiosa, tale da ostacolare l’azione recuperatoria dell’Erario, possa essere riconducibile alla categoria residuale, ed alternativa, degli altri atti fraudolenti (cfr. Cass. pen., sez. III, 21 febbraio 2020, n. 6926, secondo cui «ove il trasferimento sia effettivo, la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile atto fraudolento»; Id. 19 agosto 2019, n. 36217, in Quot. giur., 2019).

3. Gli altri atti fraudolenti, in ragione della formulazione estremamente generica, hanno impegnato dottrina e giurisprudenza nel tentativo di definirne l’ambito applicativo.

La parziale indeterminatezza da cui è affetta la peculiare accezione della condotta rappresenta la principale criticità della fattispecie, poiché pone oltremodo in tensione i principi di tassatività e determinatezza tipici della norma penale (cfr. Loconte S., Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: questioni irrisolte dalla giurisprudenza, in il fisco, 2022, 29, 2827).

In questo mutevole scenario, appare dubbia la riconducibilità della distruzione o dell’occultamento dei beni, potenzialmente assoggettabili alla procedura di riscossione coattiva, alla categoria degli altri atti fraudolenti.

Secondo alcuni autori questa eccezione si potrebbe agevolmente superare considerando la finalità perseguita da siffatti comportamenti, che assumerebbero rilievo penale soltanto qualora fossero preordinati a frustare le ragioni dell’Erario (cfr. Mancini A., Diritto penale tributario, Roma, 2023).

In disaccordo con questo indirizzo si pone altra parte della dottrina nel ritenere che «non possono invece essere ricondotti al concetto di “atti” quei comportamenti materiali (fatti), finalizzati a neutralizzare beni suscettibili di aggressione da parte dell’Erario (casi di occultamento o distruzione di beni mobili): è il caso del contribuente che occulta alcuni quadri di sua proprietà, affinché non siano oggetto di pignoramento nel corso di un accesso a causa di un debito tributario non rispettato.

Si ritiene debba pervenirsi a tale conclusione a seguito del confronto con quanto disposto dall’art. 388 del codice penale: in tale fattispecie infatti il legislatore ha previsto espressamente la punibilità degli “altri fatti fraudolenti”, dimostrando quindi la consapevolezza della differenza tra atti e fatti. Peraltro, voler ricondurre anche i comportamenti materiali al concetto di atti fraudolenti significherebbe attribuire alla predetta espressione un significato troppo ampio» (Zannotti R., Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, Rass. trib., 2001, 3, 771).

Secondo questo stesso orientamento dottrinale le attività di occultamento, essendo carenti di un’autentica dimensione fraudolenta, non determinerebbero un’apparente diminuzione patrimoniale ma, piuttosto, un effettivo decremento del valore del patrimonio del contribuente (cfr. Nannucci U., Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Nannucci U. – D’Avirro A., a cura di, La riforma del diritto penale tributario (d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), Padova, 2000; Aldrovandi P., Commento sub art. 11, in Caraccioli I. – Giarda A. – Lanzi A., Diritto e procedura penale tributaria, commentario al Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, Padova, 2001).

La giurisprudenza di legittimità ritiene invece che il dato letterale della norma imponga «di circoscrivere la nozione di “atti fraudolenti” soltanto a quelli di natura dispositiva, siano essi di natura materiale (sottrazione, distruzione, occultamento) o giuridica (creazione di diritti reali limitati di terzi, ad esempio)», e di conseguenza «non possono, dunque, rientrarvi l’omissione del deposito dei bilanci o della presentazione delle dichiarazioni fiscali, né l’occultamento della contabilità aziendale, ovvero le sole condotte che, nel caso specifico, escluderebbero, ratione temporis, la maturazione della prescrizione» (Cass. pen., sez. VI, 2 settembre 2021, n. 32694, in Quot. giur., 2021).

Secondo una diversa prospettiva, gli atti fraudolenti sarebbero quelli idonei «ad abbracciare l’intero universo degli atti che comportino un depauperamento “apparente” della garanzia patrimoniale» (Meoli M., Cass., sent. n. 14720 del 9 aprile 2008. Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Momento rilevante e nozione di alienazione simulata, in il fisco, 2008, 23, 4179).

Indubbiamente gli atti fraudolenti rappresentano una categoria dalle ampie possibilità interpretative nella quale può astrattamente essere ricompreso l’utilizzo distorto, ovvero l’abuso della causa tipica, di un ampio novero di istituti civilistici.

Per tali ragioni il rischio da scongiurare è quello di un’indiscriminata criminalizzazione degli ordinari strumenti di pianificazione societaria o patrimoniale (cfr. Dorigo S., I nuovi confini giurisprudenziali del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Dir. prat. trib., 2017, 4, I, 1577).

Nonostante ciò i tentativi di delimitazione del singolare comportamento si sono risolti, fino ad ora, in un vivace confronto giurisprudenziale, con la prospettazione sia di un ampliamento che di una restrizione della portata applicativa della norma (cfr. Formica P. – Rossomando P., Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte: verso una metamorfosi pan-penalizzante della fattispecie?, in il fisco, 2021, 38, 3642).

Un primo orientamento, che allarga le maglie della fattispecie, ravvisa la condotta di sottrazione fraudolenta ogni qualvolta si realizzino atti che possano diminuire la capacità patrimoniale del contribuente ed ostacolare l’interesse erariale alla riscossione dei tributi (cfr. Cass. pen., sez. III, 16 ottobre 2012, n. 40561, secondo cui «perché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato, “idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante – e non anche (per) l’effettiva verificazione di tale evento”». In senso conforme Cass. pen., sez. III, 4 luglio 2013, n. 28796; Id. 24 febbraio 2014, n. 8728; Id. 26 gennaio 2015, n. 3416; Id. sez. VI, 19 febbraio 2015, n. 7618).

In quest’ottica la rinuncia alla centralità dell’elemento fraudolento determina la rilevanza penale di qualsiasi atto dispositivo di per sé idoneo ad ostacolare l’attività di recupero dell’Amministrazione finanziaria.

Secondo un diverso orientamento, che contrae l’ambito applicativo della norma, l’atto fraudolento è quello connotato da «una componente di artificio, inganno o menzogna, che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio – o comunque rendendo più difficoltosa – l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario» (Cass. pen., sez. III, 3 luglio 2012, n. 25677; Id. 16 dicembre 2020, n. 35983, in Riv. trim. dir. pen. econom., 2021, 376. In senso conforme Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 15449; Id. 2 marzo 2018, n. 29636; Id. sez. IV, 27 novembre 2020, n. 33417).

In questa diversa prospettiva si recupera la valenza del requisito della fraudolenza, che, stavolta, assume una portata decisiva ed irrinunciabile.

Questa alternanza di pronunciamenti si riverbera sulle molteplici attività di disposizione patrimoniale che possono essere realizzate dai contribuenti, dai più semplici trasferimenti di denaro fino alle più complesse costituzioni dei trusts.

Nel dettaglio, è stata ravvisata la sussistenza della fattispecie criminosa nella condotta di un imprenditore che, in pendenza di un accertamento tributario, cartolarizzava le giacenze attive presenti sul conto corrente aziendale, mediante l’emissione di assegni circolari intestati alla stessa società, che venivano incassati soltanto in prossimità dei pagamenti ai fornitori, così da mantenere il saldo sempre prossimo allo zero (cfr. Magnelli F.M., Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: con la sentenza “Corona” la Cassazione marca i confini della fattispecie, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 6).

Tali atti sono stati ritenuti fraudolenti poiché idonei «a rappresentare una realtà non corrispondente al vero e a mettere a repentaglio o comunque ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario» (Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2020, n. 14217, in Dir. fond., 2020).

In realtà tale pronunciamento non considera la componente artificiosa ed ingannevole della condotta poiché, a ben vedere, il contribuente aveva mantenuto la titolarità della disponibilità finanziarie che, seppur incorporate nei titoli di credito, potevano essere pignorate dall’Agente della riscossione in caso dell’attivazione della procedura esecutiva.

Parimenti, ha assunto rilevanza penale il comportamento di un’imprenditrice che, svuotate le casse sociali attraverso sistematici trasferimenti di denaro su conti correnti, intestati a prestanomi, drenava le predette somme di denaro attraverso ulteriori bonifici su conti correnti accesi all’ estero ovvero tramite prelevamenti in contanti.

La Suprema Corte, più in particolare, ha ravvisato i profili fraudolenti degli atti dispositivi nell’esistenza di una fitta rete di prestanomi e nell’impossibilità di tracciamento del contante, che rappresentavano ai terzi una riduzione fittizia del patrimonio, comunque idonea ad ostacolare le azioni di recupero erariale (cfr. Cass. pen., sez. III, 3 maggio 2021, n. 16686 in Riv. trim. dir. pen. econom., 2021, 902).

Le richiamate divergenze giurisprudenziali emergono anche con riguardo al trust che, a causa del suo accentuato polimorfismo strutturale (cfr. Tassani T., I trusts nel sistema fiscale italiano, in Pisa, 2012), dovuto alla molteplicità delle forme ed all’eterogeneità delle finalità perseguite, necessità di ulteriori e più attente riflessioni.

Si tratta di uno strumento di per sé lecito che potrebbe diventare illecito se il contribuente decidesse di avvalersene pur essendo a conoscenza dell’esistenza di un debito tributario a suo carico.

Il trust si sostanzia nell’affidamento di determinati beni da parte del disponente (settlor) in favore del gestore (trustee) affinché questi li amministri, con una specifica finalità, e li attribuisca al termine del periodo, unitamente ai frutti prodotti, ai soggetti beneficiari (cfr. Loconte S., Il momento impositivo del trust “liquidatorio”, in il fisco, 2022, 45, 4353).

Con l’istituto in esame si realizza il tipico effetto segregativo in virtù del quale i beni costituti in trust rappresentano un patrimonio separato e autonomo rispetto a quello del disponente, del gestore e del beneficiario. Da ciò discende che la segregazione è altro rispetto al trasferimento della titolarità giuridica dei beni e che, di conseguenza, il trustee assume un diritto sul patrimonio conferito che è altro rispetto a quello di proprietà (Tassani T., La fiducia e il trust nel sistema fiscale italiano, in Studi urbinati, 2016, 66, 417).

Ciò posto, è stato qualificato come atto fraudolento la costituzione di un trust familiare, finalizzato a soddisfare i bisogni dei figli, sulla base di taluni elementi, ognuno espressione di un autonomo disvalore, quali la vicinanza tra disponente e trustee, l’inidoneità del trustee a ricoprire il proprio ruolo e le limitazioni ai poteri del gestore previste dall’atto istitutivo (cfr. Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 2015, n. 40534, in Trusts, 2016, 174).

Nel caso di specie risultava infatti che il disponente aveva nominato quale trustee il legale di fiducia, che lo aveva assistito nelle procedure di divorzio contro la ex moglie e per questo si è ritenuto non idoneo a garantire il fine del fondo di curare gli interessi di mantenimento della prole.

In base all’iter logico giuridico seguito in tale pronunciamento, lo scopo perseguito dal trust è stato ritenuto impossibile da conseguire sulla base di valutazioni ancorate al profilo soggettivo del gestore e non anche alla valutazione delle azioni concretamente svolte dal medesimo.

Tale circostanza fa intravedere un ampliamento improprio del campo d’azione della fattispecie della sottrazione fraudolenta, ancorando la possibile fraudolenza del trust ad alcuni dei tratti caratteristici della natura dell’istituto stesso; in particolare la vicinanza tra disponente e trustee, che è l’espressione del rapporto fiduciario che lega i due soggetti, non può essere letto di per sé come elemento di sospetto di un utilizzo fraudolento del fondo (cfr. Cesaroni L., Sugli indizi di un trust con finalità criminali, in Trusts, 2020, 4, 396).

Allo stesso modo i giudici di legittimità hanno ritenuto fraudolento il trust costituito dal liquidatore di una società, al fine di soddisfare le pretese dell’Erario e degli altri creditori sociali, nel quale confluiva l’intero patrimonio aziendale, attivo e passivo, che il disponente continuava ad amministrare ricoprendo anche il ruolo di trustee.

Orbene la natura artificiosa del comportamento illecito veniva ravvisata nella dichiarata finalità liquidatoria del trust, che, seppur prevista nell’atto istitutivo, risultava in realtà sviata, poiché non era accompagnata da comportamenti concludenti del disponente, tenuto conto dei mancati pagamenti delle somme dovute all’Erario nonché dell’assenza di comunicazioni in favore dei creditori.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha aderito a una diversa interpretazione, maggiormente rispettosa dello spirito della norma, affermando come gli atti fraudolenti consistono in un «comportamento che, sebbene formalmente lecito – come peraltro lo è l’alienazione di un bene – sia però caratterizzato da una componente di artificio o di inganno» (Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 15449, in il fisco, 2015, 1886).

Nello sham trust, o trust “ripugnante” per mutuare l’espressione utilizzata dal tribunale felsineo (cfr. Tribunale Bologna, sez. civ. I, 1° ottobre 2003, n. 4545), il compito dell’interprete è agevolato poiché la fraudolenza della condotta è già insita nella natura dell’istituto che risulta illecita ab origine (cfr. Di Amato A., Rilievo, sotto il profilo penale, della finalità nella istituzione di un trust, in Trusts, 2017, 6, 592).

Un trust di questo tipo si riduce, infatti, ad un «mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali» (Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2014, n. 46137, in il fisco, 2014, 45) e, di conseguenza, non produce l’effetto segregativo che gli è proprio, poiché il disponente perde solo apparentemente il controllo dei beni conferiti nel fondo.

Per questo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la costituzione del trust simulato, posta in essere in un momento successivo rispetto a quello della rituale notifica delle cartelle esattoriali (cfr. Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2018, n. 20862, in Trusts, 2018, 629), ovvero degli avvisi di accertamento (cfr. Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2022, n. 16540), è di per sé sufficiente, per la connotazione illecita dell’istituto, dunque, a integrare la condotta di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, poiché idonea a compromettere la buona riuscita della procedura di riscossione coattiva (cfr. Corasaniti G., L’effetto segregativo prodotto dal trust e la riscossione coattiva del tributo, in Trusts, 2020, settembre, 493).

Chiarito che gli indirizzi giurisprudenziali ammettono pacificamente la possibilità di inquadrare l’istituzione del trust quale possibile atto fraudolento (cfr. Caraccioli I., “Fondo patrimoniale” e “trust”/rischi penal-tributari, in Riv. dir. trib., 2016, 1, 162 ss.; Di Amato A., Rilievo, sotto il profilo penale, della finalità nella istituzione di un trust, cit.), occorre riflettere sulle capacità dell’azione revocatoria semplificata, prevista dall’art. 2929-bis c.c.2, di incidere sulla fattispecie criminosa (cfr. Damiano D., Atti dispositivi di beni in fondo patrimoniale e revocatoria semplificata ex art. 2929 bis c.c., in Notariato, 2018, 5, 517 ss.).

In virtù di tale istituto, il creditore pregiudicato da un atto del debitore, a titolo gratuito, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, relativo a beni immobili o mobili registrati, e compiuto successivamente all’insorgere del credito, può procedere direttamente all’esecuzione forzata, anche se non abbia ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, a condizione che sia munito di titolo esecutivo e trascriva il pignoramento entro un anno dalla data in cui è stato trascritto l’atto pregiudizievole (cfr. Miccoli G., Brevi riflessioni sull’art. 2929-bis c.c., in Rivista dell’esecuzione forzata, 2016, 3, 335 ss.).

Per quanto di specifico interesse l’Amministrazione finanziaria qualora risultasse pregiudicata dalla costituzione di un trust, che comporta l’apposizione dei vincoli di separazione e di destinazione sui beni ivi conferiti, potrebbe procedere, al ricorrere dei requisiti di legge, all’esecuzione forza sul patrimonio conferito nel fondo (cfr. Smaniotto E., L’art. 2929 bis c.c. espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito, in Immobili e proprietà, 2015, 10, 584 ss.).

Per questo la dottrina osserva che, in queste condizioni, potrebbe rimanere preclusa la configurazione dell’ipotesi fraudolenta in esame poiché «l’atto a titolo gratuito con il quale il debitore dispone dei propri beni, non sembrerebbe idoneo ex se a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva» (Denora B., Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, atti a titolo gratuito e rilevanza dell’art. 2929-bis cod. civ., in Riv. dir. trib., 2017, 1, VII, 77).

Tale indirizzo è in linea di massima condivisibile, poiché l’operatività dell’istituto riduce il pregiudizio dell’attività recuperatoria erariale, che potrà soddisfarsi direttamente sul patrimonio del debitore, e comporta la conseguente inoffensiva della condotta.

Sul punto non va tuttavia sottaciuto che tale effetto si vanifica, e quindi la fattispecie rimarrebbe configurabile, nel caso in cui il contribuente proponga opposizione all’esecuzione, ai sensi del terzo comma della disposizione in esame, poiché ciò comporta una successiva fase a cognizione piena e costituisce un ulteriore ostacolo per il concreto dipanarsi della procedura di esecuzione esattoriale.

4. La vigente formulazione della fattispecie incriminatrice ingenera, sul fronte interpretativo, diverse criticità tra le quali vi è sicuramente quella relativa alla collocazione temporale della condotta rispetto all’insorgere dell’obbligazione tributaria.

Un primo e più risalente indirizzo giurisprudenziale ammette la possibilità «dell’anticipazione della soglia di rilevanza penale della condotta, collocata in un momento nel quale l’obbligazione tributaria può non essere ancora sorta» a patto che, tuttavia, il giudice proceda ad «una stretta interpretazione dei requisiti della condotta, configurante reato unicamente laddove si sia in presenza di vendita simulata o di altri atti fraudolenti» idonei a porre in pericolo la pretesa tributaria (cfr. Cass. pen., sez. III, 1° aprile 2016, n. 13233, in Boll. trib., 2018, 9).

Un differente orientamento dei giudici di legittimità ritiene invece necessaria «l’esistenza, al momento della condotta illecita, di un debito verso l’Amministrazione finanziaria, sebbene non ancora precisamente determinato, ed eventualmente nemmeno oggetto di procedure di accertamento», purché sia di ammontare complessivo stimabile superiore alla soglia di punibilità e sia noto al contribuente (cfr. Cass. pen., sez. III, 19 marzo 2021, n. 10763, in Osservatorio reati tributari e riciclaggio. In senso conforme Cass. pen., sez. III, 20 aprile 2022, n. 15239 in Norme & Tributi plus dir., Il Sole 24 Ore, 2022; 8 agosto 2007, n. 32282, in il fisco, 2007).

La dottrina si discosta da queste tesi e sostiene l’indispensabilità della preesistenza del debito tributario rispetto alla condotta criminosa, di cui costituisce il presupposto (cfr. Soana G.L., I reati tributari, Milano, 2013), mentre non reputa necessaria una piena conoscenza della pendenza da parte dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della sua esistenza. (cfr. Di Vizio F., Il delitto di sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte ed i rapporti con i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di riciclaggio, Relazione svolta nell’ambito del Master di diritto tributario e di diritto penale-tributario, organizzato dal Centro di Diritto Penale Tributario e da Avvocatura Indipendente, Firenze 18 febbraio 2018, 14; Vagnoli E., op. cit., 1317).

A riguardo deve ritenersi preferibile la tesi secondo cui l’obbligazione tributaria deve sorgere in un momento precedente rispetto a quello in cui si realizza la condotta tipica ovvero, in altri termini, deve essersi quantomeno verificato il presupposto impositivo, senza la necessità che si sia concluso il periodo d’imposta.

Questo tema induce alla riflessione su un’altra questione, ovvero quella degli effetti dell’annullamento della pretesa erariale, da parte della Commissione tributaria, in seguito al compimento della condotta criminosa.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’annullamento dell’avviso di accertamento, intervenuto in sede tributaria, non possa «significare il venir meno del fumus del reato proprio perché da valutare, quest’ultimo, in funzione alla natura dell’illecito, che non richiede neppure una previa azione di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria e che si caratterizza semplicemente per il detrimento che le ragioni dell’Erario possono subire per effetto di condotte insidiose ed “oblique”», anche rispetto a pretese esercitabili ed in concreto non ancora esercitate (cfr. Cass. pen., sez. III, 1° aprile 2016, n. 13233, in Riv. giur. trib., 2016, 8-9).

In questa prospettiva rimarrebbe compromesso il profitto del reato, con conseguente impossibilità di mantenere il vincolo del sequestro qualora fosse stato apposto sui beni dell’agente (cfr. Cass. pen., sez. III, 28 settembre 2015, n. 39187, in il fisco, 2015, 39), che nel caso di specie non coincide con il debito tributario rimasto inadempiuto ma «con la somma di denaro o con l’attività patrimoniale, qualunque essa sia, la cui sottrazione all’Erario viene perseguita attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti» (Cass. pen., sez. V, 1° marzo 2019, n. 8850; Id. sez. V, 13 marzo 2019, n. 11261; Id. sez. III, 24 maggio 2021, n. 20371. In senso conforme Cass. pen., sez. II, 24 febbraio 2020, n. 7259).

Lo stesso va individuato, in altri termini, nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, che agisce per il recupero delle imposte evase (cfr. Scarcella A., Niente sequestro se il credito tributario è estinto, in il Quotidiano Giuridico, 31 marzo 2023).

Altra questione d’interesse è quella relativa alla valutazione dell’effettiva potenzialità lesiva dell’atto simulato o fraudolento.

In tal senso andrebbero posti a confronto il quantum del debito fiscale, il valore dell’atto dispositivo e, soprattutto, l’ammontare del patrimonio residuo facente capo al contribuente.

A ben vedere, infatti, se quest’ultimo risulta comunque capiente rispetto alla pretesa erariale, difficilmente potrà ritenersi integrata la fattispecie di cui si tratta poiché, a queste condizioni, l’efficacia della procedura di riscossione coattiva non è posta in pericolo.

Sul punto si segnala un orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accertamento dell’idoneità degli atti negoziali a rendere inefficace la riscossione coattiva non può prescindere dalla «valutazione dell’intero patrimonio del contribuente da rapportarsi alle pretese dell’Erario, ben suscettibili di essere infatti ugualmente garantite pur in presenza della realizzazione di atti simili» (Cass. pen., sez. III, 1° aprile 2016, n. 13233, in Boll. trib., 2018, 717).

Da ciò si desume l’impossibilità di configurare la fattispecie criminosa allorquando, pur in presenza di atti di dismissione patrimoniale, l’Amministrazione finanziaria possa comunque soddisfarsi sulla restante parte dei beni di cui il contribuente è rimasto titolare.

In senso favorevole a questa tesi si è espressa anche la dottrina secondo cui «il reato può integrarsi solo laddove l’atto dispositivo, attraverso una valutazione complessiva da compiersi ex ante (e cioè al momento del compimento dell’atto stesso) abbia inciso sul patrimonio dell’obbligato in maniera tale da renderlo incapiente rispetto al valore del debito verso l’Erario» (De Lia A., Brevi note a margine del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, tra torsioni ermeneutiche, utilizzo improprio dello strumento della confisca ed efficientismo esasperato, in Riv. dir. trib., 2018, 6, III, 67).

Tale impostazione amplia questa prospettiva ritenendo che la fattispecie non possa configurarsi neanche quando i beni del debitore, indipendentemente dall’atto di disposizione patrimoniale, risultino già di per sé di scarso valore oppure quando siano insufficienti ad assicurare una qualche prospettiva di soddisfacimento dell’Erario, come nei casi in cui siano già gravati da pignoramenti o ipoteche riferibili a debiti contratti nei periodi precedenti (cfr. Musco E. – Ardito F., Diritto penale tributario, Bologna, 2013).

Anche la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo conforme ritenendo che, trattandosi di una condotta criminosa che deve essere idonea a frustare la riscossione coattiva, l’eventuale carenza di presupposti per l’attivazione di tale procedura, come l’assenza o la scarsità del valore del patrimonio del contribuente, rende l’atto negoziale “sospetto” del tutto irrilevante (cfr. Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 3011, in Quot. giur., 2017).

Per tali ragioni non potranno considerarsi penalmente rilevanti quelle situazioni in cui il patrimonio residuo del contribuente, al netto degli atti dispositivi effettuati, sia comunque incapiente ed inidoneo a garantire la pretesa erariale.

L’interpretazione di cui sopra limita l’ambito di applicazione della norma, così garantendo, altresì, la libertà di iniziativa economica e scongiurando l’incriminazione di condotte pregiudizievoli solo in astratto degli interessi erariali (cfr. Mereu A., Il Trust autodichiarato e la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Dir. prat. trib., 2020, 5, 2289).

5. La condotta di frode nella transazione fiscale, introdotta con il decreto anticrisi del 20103, presenta talune peculiarità attinenti al profilo applicativo ed interpretativo che non sono trascurabili.

In primo luogo, è bene rilevare come il presupposto per la configurabilità dell’ipotesi fraudolenta in esame è l’instaurazione della procedura transattiva che, come è noto, si pone l’obiettivo di trovare una soluzione condivisa tra le imprese e l’Amministrazione finanziaria, al fine di contemperare gli interessi erariali con la salvaguardia della continuità aziendale e dei connessi livelli occupazionali, così da evitare la liquidazione giudiziale (cfr. Ciarcia A., Diritto della crisi d’impresa: le novità in tema di transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2021, 1, V, 162 ss.).

In questo contesto rileva la condotta sleale del contribuente, meramente dichiarativa, consistente nella presentazione di documentazione falsa tendente a rappresentare una situazione economica diversa da quella reale.

Dibattuto è il tema dell’applicabilità della fattispecie delittuosa in questione anche all’accertamento con adesione, quale istituto deflattivo del contenzioso, ed alla conciliazione giudiziale, quale accordo stipulato in costanza di una controversia tributaria.

In merito la dottrina maggioritaria ritiene che assuma rilevanza la sola transazione fiscale, poiché si tratta di uno strumento che interviene su un debito già consolidato ed oggetto di riscossione, secondo le finalità sottese alla norma e rivolte alla fase di esazione dei tributi (cfr. Santoriello C., Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e falso in transazione fiscale, in il fisco, 2011, 16, 2529).

Da ciò scaturisce un ambito di applicazione decisamente contenuto della fattispecie, poiché, in concreto, la procedura transattiva risulta circoscritta a specifici istituti, quali i concordati preventivi ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti, sotto la vigilanza ed il controllo del Giudice delegato, quest’ultimo affiancato anche dal professionista esterno, con qualifica di pubblico ufficiale, che ne garantisce la regolarità formale.

Sulla portata applicativa della norma è intervenuta anche la giurisprudenza di legittimità esprimendo orientamenti non sempre univoci. In particolare, secondo un’interpretazione estensiva, la fattispecie in questione sarebbe posta a presidio di tributi, eventualmente anche diversi dall’IVA e dalle imposte sui redditi (cfr. Cass. pen., sez. III, 2 settembre 2022, nn. 32331 e 32330, in il fisco, 2022, 4064); un’impostazione del tutto opposta sostiene che la medesima fattispecie si rivolgerebbe alla transazione fiscale avente ad oggetto esclusivamente le imposte indicate nell’incipit della disciplina penale tributaria (cfr. Cass. pen., sez. III, 29 marzo 2021, nn. 11795 e 11803).

Inoltre la condotta criminosa, che si concretizza nella fallace esposizione di elementi attivi o passivi fittizi, si articola in due momenti, il primo consistente nella formazione della documentazione falsa ed il secondo nella sua utilizzazione ai fini della presentazione della proposta transattiva (cfr. Monfreda N., Decreto anti-crisi (D.l. 31 maggio 2010, n. 78) – Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in il fisco, 2010, 29, 4644). Sul punto la Suprema Corte ha riconosciuto la natura istantanea della fattispecie, che si perfeziona solo con l’effettiva utilizzazione dei documenti recanti elementi non veritieri (cfr. Cass. pen., sez. III, 10 dicembre 2019, nn. 49890 e 49891).

Un’altra questione è quella di individuare la documentazione falsa, utilizzata per accedere alla transazione fiscale, che possa assumere rilievo ai fini del perfezionamento della fattispecie fraudolenta. Sul punto la dottrina ha operato un’automatica associazione con i documenti previsti dalla normativa civilistica di riferimento (cfr. Ingrassia A., Le diverse forme di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Brichetti R. – Veneziani P., a cura di, I reati tributari, Torino, 2017).

Ciò pare condivisibile, in linea di principio, ma bisogna ulteriormente precisare che in caso di sovrapproduzione documentale assume rilievo, ai fini del perfezionamento dell’ipotesi fraudolenta, tutto il carteggio presentato dal contribuente, quand’anche non strettamente necessario ai fini della presentazione della proposta transattiva.

L’ulteriore peculiarità, rispetto all’ipotesi delittuosa di cui al primo comma, è ravvisabile nel bene giuridico oggetto di tutela, che, secondo autorevole dottrina, è ravvisabile nella necessità di preservare la volontà dell’Amministrazione finanziaria, che, chiamata ad esprimersi sulla fattibilità della proposta transattiva, deve potersi basare su una prospettazione veritiera della situazione finanziaria e patrimoniale del contribuente (cfr. Monfreda N., op. cit., 4644).

Altro aspetto d’interesse, sotto il profilo della ragionevolezza, è ravvisabile nel superamento delle soglie di punibilità presenti soltanto per gli elementi passivi fittizi e non anche per quelli attivi.

Tuttavia essendo del tutto identica l’incidenza degli elementi attivi e passivi sulla rappresentazione della situazione fiscale del contribuente, pare immotivato ancorare la rilevanza penale della falsa indicazione degli elementi attivi a qualsiasi scostamento dalla realtà e relegare il mendacio sul passivo alle sole ipotesi conseguenti al superamento delle soglie (cfr. Santoriello C., op. cit., 2529; Corso P., Nuovo reato e nuova “aggravante” contro l’evasione fiscale, in Corr. trib., 2010, 33, 2738 ss.).

Su tale profilo la Corte di Cassazione ha avuto modo di osservare che la disparità di trattamento che il legislatore prevede per le due ipotesi non appare comprensibile da un punto di vista logico, in quanto l’effetto “falsificatore” che ne deriva ed il danno recato alla pretesa erariale è il medesimo (cfr. Cass., 3 agosto 2010, Relazione n. III/09/10 al Decreto Anticrisi – D.L. n. 78/2010).

Il profitto della fattispecie criminosa in esame coincide con l’imposta evasa, come accade per la maggior parte dei reati tributari, determinato quale differenziale tra l’imposta eventualmente versata in virtù della proposta transattiva, formatasi sulla scorta della documentazione falsa, e quella effettivamente dovuta all’Erario.

Nessun dubbio pare sussistere in merito all’applicazione della confisca per equivalente, all’ipotesi fraudolenta in esame, avuto riguardo alla formulazione letterale relativa alla misura ablativa introdotta dal legislatore con la riforma del 2015 nella normativa di settore.

6. Anche per la frode nella transazione fiscale l’autore dell’illecito assume una connotazione generica, a fronte della quale, tuttavia, la violazione risulta ascrivibile, esclusivamente, al soggetto legittimato alla presentazione della proposta transattiva ovvero l’imprenditore in stato di difficoltà economica.

Nella specifica ipotesi fraudolenta potrebbe, altresì, venire in rilievo anche il contributo fornito dal professionista, che supporta l’imprenditore nella redazione della documentazione posta a corredo della proposta transattiva.

Grava infatti sul consulente di parte il duplice onere di predisporre una relazione con cui attestare i crediti del cliente, di natura fiscale e previdenziale, e di esprimere valutazioni in merito alla convenienza economica della proposta transattiva rispetto al caso in cui il debitore sarebbe assoggettato alla liquidazione giudiziale.

Per tali ragioni, alcuni autori ritengono che il professionista, nelle sue vesti di attestatore della veridicità dei dati aziendali, possa essere considerato soggetto attivo del reato (cfr. Gennai S. – Traversi A., I delitti tributari. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2011).

Tale impostazione è difficilmente sostenibile. Invero la condotta del consulente, a seconda della tipicità dell’apporto dallo stesso fornito nella predisposizione dei documenti mendaci, potrebbe configurare il concorso dell’extraneus nel reato proprio (cfr. Gambogi G., La frode nella transazione fiscale: elementi costitutivi e criticità, in il fisco, 2013, 25, 3860).

Anche secondo questa tesi non rileverebbero tutte quelle ipotesi in cui l’apporto fornito dal professionista fosse minimo, ovvero non sufficiente a ravvisare la sua partecipazione a titolo di concorso; conseguentemente, rimarrebbero esclusi i casi in cui le valutazioni espresse dal professionista fossero state alterate, a sua insaputa, dallo stesso imprenditore.

7. In ultimo, pare doveroso fare cenno alle possibili interazioni riscontrabili tra la frode nella transazione fiscale e gli altri reati che presentano caratteri di affinità con la stessa.

Le prime correlazioni si registrano con i reati di falso, previsti dalla disciplina penale generale, che non possono risolversi nel senso del concorso tra reati ma debbono essere regolamentate facendo ricorso al principio di specialità in favore dell’ipotesi fraudolenta in esame.

L’ipotesi delittuosa presenta infatti una pluralità di elementi specializzanti tra i quali la categoria dei soggetti attivi, gli imprenditori, nonché l’oggetto su cui ricade la condotta di falso consistente nella documentazione prodotta ai fini della transazione fiscale, in nessun caso coincidente con le scritture private fittizie.

Ne consegue che, ricorrendo al principio di specialità in favore dell’ipotesi fraudolenta, si risolve ogni possibile intreccio con la disciplina della falsità in atti. Per tali motivi, sarebbe escluso il concorso tra i suddetti reati.

Situazione diversa si profila invece sul versante dei rapporti esistenti tra la fattispecie in esame e la truffa ai danni dello Stato, allorquando il reo, attraverso la produzione di documentazione falsa, riesca ad indurre in errore l’Erario e ad ottenere una rettifica in diminuzione dell’originaria pretesa impositiva.

Invero la dottrina maggioritaria ritiene che tra le due fattispecie non esista un rapporto di specialità, poiché il delitto di truffa ai danni dello Stato presenta taluni elementi di eterogeneità, quali l’induzione in errore della persona offesa, la presenza di atti di disposizione patrimoniale “illeciti” e la tutela di un peculiare bene giuridico, rappresentato dalla specifica diminuzione della porzione di patrimonio pubblico, per cui ben può configurarsi il concorso tra reati (cfr. Palma P., Novità legislative introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 in materia di reati fiscali, in il fisco, 2010, 44, 7141).

8. La frode nella riscossione delle imposte pone molteplici questioni problematiche, per la risoluzione delle quali si deve necessariamente far affidamento ai principi di rilevanza costituzionale che devono costantemente orientare l’attività dell’interprete.

Tuttavia, attese le incertezze che permangono in ordine alla corretta qualificazione degli “altri atti fraudolenti”, anche l’attività ermeneutica del giudicante, improntata ai predetti canoni, potrebbe non essere sufficiente per addivenire al loro esatto significato.

Tali incertezze qualificatorie potrebbero essere risolte soltanto con un intervento del legislatore, analogo a quello del 2015, con cui è stata introdotta la definizione di “mezzi fraudolenti”, teso a precisare le modalità della condotta, anche sulla scorta degli indirizzi espressi dalla giurisprudenza.

La frode nella transazione fiscale pone questioni diametralmente opposte, rispetto alle precedenti, poiché si inserisce nel peculiare contesto transattivo.

L’ipotesi fraudolenta rimane relegata in un ambito di nicchia che ne determina una scarsa applicazione pratica e, di conseguenza, un moderato dibattito dottrinale.

Per questo il legislatore dovrebbe intervenire sulla struttura della norma, conferendo a tale specifica fattispecie una diversa collocazione, nell’ambito della disciplina penale tributaria, disancorata da quella relativa alla sottrazione fraudolenta, che ne garantirebbe un’autonomia strutturale.

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(*) I paragrafi 1, 2, 3, 4 sono attribuibili al dott. Angelo Giammarini ed i paragrafi 5, 6 e 7 alla dott.ssa Margherita Saccà; il paragrafo 8 è il frutto di considerazioni comuni a entrambi gli Autori.

1 L’art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” recita testualmente: «1. È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.

2. È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni».

2 L’art. 2929-bis, comma 1, c.c., rubricato “Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”, recita testualmente: «Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa».

3 Il riferimento è al D.L. n. 78/2018, rubricato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, ed in particolare all’art. 29, comma 4, rubricato “Concentrazione della riscossione nell’accertamento”.

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