L’appalto di servizi, tra criticità tributarie e possibili rimedi

Di Simone Francesco Cociani -

Abstract (*)

L’Autore esamina le principali questioni tributarie sostanziali che si pongono a seguito della riqualificazione del contratto di appalto di servizi, pur in presenza di prestazioni effettivamente svolte e di imposte regolarmente versate.

The procurement of services, between tax issues and possible remedies – The Author examines the main tax issues which arise following the requalification of the service procurement contract, despite the presence of services actually carried out and taxes regularly paid.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Sull’indeducibilità dei corrispettivi del contratto di appalto ai fini delle imposte sui redditi. – 3. Sull’indetraibilità dell’IVA, pagata in via di rivalsa, sui corrispettivi del contratto di appalto. – 4. Sull’onere della prova in relazione alla contestata indetraibilità dell’IVA.

1. Il frequente ricorso all’appalto di servizi, quale modalità di organizzazione del lavoro, ha favorito l’emergere di alcune criticità.

L’impiego di tale contratto, infatti, talvolta dà luogo a censure, tanto nella dimensione giuslavoristica, quanto nella dimensione tributaria, con ciò che ne consegue in termini di sanzioni, sia amministrative che penali.

Più in particolare, quanto alle conseguenze dell’improprio ricorso al contratto di appalto di servizi, è possibile osservare che la relativa condotta può dar luogo, sotto il profilo del diritto del lavoro, all’inquadramento del rapporto contrattuale alle dipendenze del datore di lavoro c.d. “sostanziale” (di recente, Cass., sez. lav., 22 novembre 2023, n. 32412, in Mass. Giust. civ., 2024), mentre, sotto il profilo tributario, non di rado si assiste alla contestazione di illeciti fiscali – per lo più in termini di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti – in ragione della ritenuta inconsistenza giuridica del rapporto contrattuale stipulato (di recente, Cass., sez. III, 5 ottobre 2021, n. 40560, in Giur. comm., 2022, 4, 836, con nota di D’Altilia L., Il reato di dichiarazione fraudolenta per operazioni “soggettivamente” inesistenti: un discutibile caso di assimilazione della prova penale a quella civile).

Ciò premesso, si ritiene opportuno dar conto dei principali risvolti tributari sostanziali derivanti dal ritenuto improprio ricorso al contratto di appalto di servizi, ancorché le relative prestazioni risultino effettivamente svolte e le relative imposte regolarmente versate (per una più approfondita disamina, anche nella dimensione processuale, sia consentito rinviare a Cociani S.F., Profili tributari della riqualificazione dell’appalto di servizi, in AmbienteDiritto.it, 2024, 1, 1-29, ove riferimenti).

Tuttavia, prima di entrare in medias res, è necessario osservare che la giurisprudenza penale-tributaria ricostruisce l’accennata fattispecie, tendenzialmente, alla stregua di operazioni soggettivamente inesistenti (Cass., sez. III, 27 gennaio 2022, n. 16302, in Guida dir., 2022, 20; Cass., sez. III, 2 febbraio 2022, n. 11633, in CED Cass. pen., 2022) ovvero, più di recente, in termini di operazioni – sotto il profilo giuridico – oggettivamente inesistenti (Cass., sez. III, 28 ottobre 2022, n. 45114, in Cass. pen., 2023, 1714), in ogni caso, in entrambe le ipotesi configurando il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (al riguardo, senza pretesa di esaustività, si vedano: Musco E. – Ardito F., Diritto penale tributario, IV ed., Bologna, 2021, 135 ss.; Basso E.D. – Viglione A., Diritto penale tributario, Torino, 2021, 39 ss.; Aldrovandi P., La nozione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” nel “diritto vivente” ed il “nuovo volto” del diritto penale tributario, in Ind. pen., 2012, 2, 229 ss.; Soana G.L., I reati tributari, Milano, 2018, 97 ss.; Lanzi A. – Aldrovandi P., Diritto penale tributario, Milano, 2017, 187 ss.; Ruta G., La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in Bricchetti R. – Veneziani P., a cura di, I reati tributari, in Palazzo F. – Paliero C.E. [dir.], Trattato teorico pratico di diritto penale, Torino, 2017, 183 ss.; Di Vetta G., I reati di dichiarazione fraudolenta, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario, I, Diritto penale e processuale, Milano, 2016, 524 ss.; Imperato L., I delitti in materia di dichiarazione. Commento agli artt. 1 e 2 d. lgs. 74/2000 mod. d.lgs. 158/2025, in Caraccioli I., a cura di, I nuovi reati tributari, Milano, 2016, 55 ss.; Corucci E., Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in Giarda A. – Perini A. – Varraso G., La nuova giustizia penale tributaria, Padova, 2016, 189 ss.).

Nella prospettiva tributaria, tali differenti ricostruzioni danno luogo a conseguenze diverse fra loro.

Difatti, come noto, la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, presupponendo l’effettiva realizzazione del negozio, dà luogo, in capo al committente, alla (sola) indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto relativa ai corrispettivi (effettivamente pagati), sebbene in relazione ad operazioni (ritenute) poste in essere da altro soggetto, diverso da quello che ha emesso la fattura (Cass., sez. V, 30 ottobre 2013, n. 2446; Cass., sez. V, 18 giugno 2014, n. 13800, in Mass. Giust. civ., 2014; Cass., sez. V, 5 aprile 2022, n. 11020, in Mass. Giust. civ., 2022; Cass., sez. III, 1° giugno 2016, n. 53907, in Cass. pen., 2017, 2419).

Diversamente, la contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, ancorché limitatamente alla sola dimensione giuridica, nella misura in cui nega l’effettiva realizzazione dell’operazione, dà luogo, in capo all’appaltante, non solo all’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto relativamente ai corrispettivi ma, anche, all’indeducibilità, ai fini delle imposte sui redditi (e dell’IRAP), dei relativi componenti reddituali, stante il ritenuto difetto del requisito della certezza quanto all’esistenza della spesa (Cass., sez. III, 28 ottobre 2022, n. 45114, in Cass. pen., 2023, 1714).

Più in particolare, secondo quest’ultima ricostruzione, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, in quanto “mascherato” da contratto di appalto di servizi, non potrebbe che essere ritenuto giuridicamente inesistente, potendo il lavoratore impiegato sulla base del contratto vietato agire in giudizio per vedersi riconosciuto il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo (il committente), con la conseguenza che – sotto il profilo tributario – verrebbero così a mancare i requisiti di “certezza”, “determinatezza”, ovvero “determinabilità” dei costi e da ciò, in definitiva, deriverebbe l’irrilevanza degli stessi costi ai fini delle imposte sui redditi (e dell’IRAP).

In altri termini, la descritta (ri)qualificazione del rapporto negoziale, in sede penale-tributaria attuata facendo leva sui criteri di valutazione del contratto di appalto propri della disciplina giuslavoristica, consentirebbe di ritenere oggettivamente inesistente – ancorché solamente dal punto di vista giuridico – la prestazione documentata a cui le parti abbiano in precedenza dato effettivo seguito (in termini critici rispetto all’orientamento giurisprudenziale in discorso, di recente, Aldrovandi P. – Flora G., Frode fiscale e contratti di appalto simulati: verso un diritto penale “totale”?, in Rass. trib., 2023, 1, 9 ss.; Dell’Osso A.M., Appaltante, datore di lavoro, evasore fiscale: fluidità dei ruoli nella giurisprudenza penal-tributaria, in Riv. dir. trib., 2023, 4, III, 67 ss.).

Circa le conseguenze di tale (ri)qualificazione, è appena il caso di osservare che, fermi restando gli effetti sopra richiamati in relazione alle dimensioni giuslavoristica e amministrativo-tributaria, in sede penale, ben possono verificarsi effetti patrimoniali ulteriori, derivanti dall’applicazione delle norme che prevedono la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001 (di recente, Severino P., Sistema sanzionatorio tributario e responsabilità degli enti, in Riv. dir. trib., 2023, 6, III, 139 ss.), nonché la misura dell’obbligatoria confisca (Cociani S.F., Le confische tributarie: tra sanzione, funzione riscossiva, populismo fiscale e diritti fondamentali del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 4, I, 803 ss.), con tutto quanto discende in termini di proporzionalità della complessiva risposta dell’ordinamento (per tutti, Viganò F., La proporzionalità della pena. Profili penali e costituzionali, Torino, 2021). E, difatti, il complessivo carico sanzionatorio, a determinate condizioni rilevante anche in termini di violazione del principio del ne bis in idem, pare senz’altro sproporzionato (al riguardo, di recente, Tripodi A.F., Ne bis in idem europeo e doppi binari punitivi. Profili di sostenibilità del cumulo sanzionatorio nel quadro dell’ordinamento multilivello, Torino, 2023), tanto è vero che ciò ha in passato indotto la Procura della Repubblica di Milano a disporre l’archiviazione della posizione dell’ente (cfr. Procura della Repubblica di Milano, decreto di archiviazione 9 novembre 2022, su cui Scoletta M., Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari, in Sist. pen., 28 novembre 2022).

2. In ogni caso, enucleate le principali criticità tributarie – di carattere sostanziale – derivanti dalla (ri)qualificazione del contratto di appalto di servizi, è ora possibile prospettarne il superamento nei termini di seguito descritti.

Anzitutto, quanto alla (in)deducibilità dei corrispettivi ai fini delle imposte sui redditi, è possibile osservare che, sebbene il contratto di appalto di servizi possa essere dichiarato inesistente in una dimensione giuridica (rectius: giuslavoristica), ciò non significa che, in una dimensione storico-naturalistica, i costi relativi al contratto di somministrazione di manodopera debbano essere considerati relativi ad operazioni in tutto o in parte (oggettivamente, ovvero soggettivamente) inesistenti (Dell’Osso A.M., Appaltante, datore di lavoro, evasore fiscale: fluidità dei ruoli nella giurisprudenza penal-tributaria, cit., 76 ss.); talché, per quanto in questa sede più interessa, ovvero sotto il profilo tributario, ciò non implica che i medesimi costi – ai fini delle imposte sui redditi – debbano essere considerati indeducibili perché non inerenti, indeterminati, ovvero indeterminabili. Difatti, quanto a quest’ultimo aspetto, tali costi potranno essere determinati sulla base delle previsioni contrattuali applicabili, specialmente ove i corrispettivi siano stati effettivamente versati, sebbene in favore dell’appaltatore.

Peraltro, è da escludere che le parti del contratto di appalto di servizi – specialmente in una prospettiva tributaria – volessero porre in essere un contratto civilisticamente inesistente (o anche solo inefficace) che, quindi, come tale, avrebbe determinato l’indeducibilità dei relativi corrispettivi che, al contrario, tralasciando il caso in cui il contratto non abbia avuto effettiva esecuzione, si assume essere stati effettivamente corrisposti.

Sicché, la (ri)qualificazione del contratto di appalto di servizi in contratto di somministrazione di manodopera, pregiudiziale per incardinare il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore della manodopera (ovvero l’appaltante che ha già sostenuto i corrispettivi delle prestazioni dedotte in tale contratto), non sembra impedire di giungere all’esatta determinazione degli oneri relativi alle prestazioni di lavoro svolte, con la conseguenza che tali oneri, sotto il profilo tributario, non possono che risultare inerenti (Cass., sez. V, 20 gennaio 2020, n. 1290 e Cass., sez. V, 11 gennaio 2018, n. 450, in Giur. comm., 2019, 333), nonché caratterizzati da quegli ulteriori requisiti di certezza e precisione necessari al riconoscimento della deducibilità in sede tributaria.

D’altro canto, poiché l’art. 109, comma 4, D.P.R. n. 917/1986, ammette espressamente la deducibilità del c.d. “costi neri” (purché risultanti da elementi certi e precisi, nonché correlati a ricavi imponibili), allora risulterebbe irragionevole che i costi (inerenti, certi, determinati e afferenti a ricavi imponibili) fossero considerati indeducibili solo perché derivanti da operazioni ritenute giuridicamente inesistenti (nella prospettiva del diritto del lavoro).

Ancora, pure in giurisprudenza, è ormai acclarato che, in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, L. n. 537/1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, D.L. n. 16/2012, conv. in L. n. 44/2012, sono deducibili i costi e le spese delle operazioni inesistenti, per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi e spese siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ovvero siano relativi a beni o servizi che risultino direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo accertato dall’A.G.O. (Bagarotto E.M., La disciplina dei “costi da reato” e la deducibilità dei componenti reddituali derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, in Fregni M.C. – Giovannini A. – Logozzo M. – Pierro M. – Sammartino S. – Sartori N., a cura di, Studi in memoria di Francesco Tesauro, Tomo III, Padova, 2023, 159 ss.; Beghin M., L’interpretazione adeguatrice naufraga nelle perigliose acque del paradiso fiscale, in Riv. dir. trib., 2011, 4, II, 207; Tabet G., In tema di indeducibilità del “costo-compenso” corrisposto a soggetto interposto, in Rass. trib., 2014, 1, 171; Selicato P., L’indeducibilità dei costi da reato: tra sanzione impropria e principio di inerenza, in Riv. guard. fin., 2013, 3, 667; Fransoni G., La disciplina dei costi da reato: vizi di merito e problemi di metodo, in Rass. trib., 2015, 2, 447; Tesauro F., Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, in Corr. trib., 2012, 6, 429).

In altri termini, se anche i costi derivanti da reato risultano deducibili ai fini delle imposte sui redditi, a fortiori, i costi – effettivamente sostenuti – a fronte dei corrispettivi di cui al contratto di appalto di servizi (ancorché illegittimo sotto il profilo giuslavoristico), non dovrebbero essere considerati indeducibili una volta dimostrata l’inerenza, la competenza, la certezza e la determinatezza o la determinabilità dell’entità degli stessi.

Opinare diversamente significherebbe consentire una tassazione – ai fini delle imposte dirette – di un reddito lordo, dal quale si vorrebbe escludere il concorso alla relativa determinazione – nella dimensione tributaria – di costi inerenti, certi e determinati/determinabili, derivanti dalle prestazioni di lavoro svolte dal personale dipendente in tale attività d’impresa impiegato, in contrasto con il principio di capacità contributiva.

3. Quanto alla (in)detraibilità dell’IVA, pagata in via di rivalsa, sui corrispettivi del contratto di appalto di servizi, tanto nel caso di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, quanto nel caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti sotto il solo profilo giuridico, al committente si nega il diritto alla detrazione dell’imposta sulla base della giurisprudenza unionale (per un recente esame, in chiave sistematica, si veda Baboro R., La disciplina del recupero dell’IVA “non dovuta” nella prospettiva europea e nazionale, in Rass. trib., 2023, 3, in partic. 526 ss., ove riferimenti alla giurisprudenza).

Al riguardo, però, nelle ipotesi in cui il corrispettivo sia stato effettivamente erogato (e dunque sia nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti che nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti sotto il profilo giuridico), il disconoscimento del diritto alla detrazione in parola non si fonda sul riscontro di una vera e propria finzione, né si fonda sulla circostanza che tutto o parte del corrispettivo sia stato retrocesso al committente, bensì si fonda (unicamente) sull’elemento soggettivo costituito dalla mancata diligenza del committente che, in ipotesi, avrebbe dovuto avvedersi della illegittimità dell’appalto e, dunque, non avrebbe dovuto detrarre l’IVA addebitata in rivalsa dal fornitore (appaltatore), perché riferita ad un’operazione soggettivamente, ovvero, sotto il solo profilo giuridico, oggettivamente inesistente.

Peraltro, nel caso di specie, sembra che l’“inesistenza” della veste giuridica utilizzata, e quindi (oltre all’esistenza del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000) la conseguente indetraibilità del tributo, venga a dipendere non già dal pagamento di una passività naturalisticamente inesistente ma, in ipotesi, da un abuso della forma contrattuale da cui conseguirebbe un qualche risparmio contributivo e previdenziale.

Inoltre, nella prospettiva penale che, invero, costituisce la premessa logica per l’affermazione dell’indetraibilità del tributo, è appena il caso di osservare che l’abuso del diritto è stato espressamente ritenuto irrilevante ai fini dello ius terribile a mente dell’art. 10-bis, comma 13, L. 27 luglio 2000, n. 212 (al riguardo, senza pretesa di esaustività, Flick G.M., Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, in Giur. comm., 2011, 4, 465 ss.; Flora G., Perché l’elusione fiscale non può costituire reato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 4, 865 ss.; Mucciarelli F., Abuso del diritto, elusione fiscale e fattispecie incriminatrici, in Maisto G., a cura di, Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 402 ss.; Perini A., La tipicità inafferrabile, ovvero elusione fiscale, “abuso del diritto” e norme penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2013, 3, 731 ss.; Lanzi A., I riflessi penali dell’elusione, Aa.Vv., Studi in onore di Franco Coppi, Torino, 2011, 489 ss.; Consolo G., Il problema della rilevanza penale delle condotte elusive/abusive e la codificazione della soluzione della non punibilità, in Glendi C. – Consolo C. – Contrino A., a cura di, Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, 64, ss.).

In altri termini, nell’ipotesi in considerazione, l’illecito non riguarda in alcun modo il bene o servizio acquistato, e nemmeno l’attività. L’illecito, semmai, riguarderebbe la dimensione interpretativa della norma fiscale e, prima ancora, di quella giuslavoristica, così presupponendo l’esistenza di una tutela penale del diritto del lavoro per il tramite del diritto tributario (in termini generali, Caraccioli I., Tutela penale del diritto di imposizione fiscale, Bologna, 1992).

Pertanto, non sembra consentito applicare il principio sull’indetraibilità dell’IVA, ovvero la norma sull’indeducibilità, ai fini delle imposte sui redditi, del costo costituito dall’IVA affermata indetraibile, in relazione alle attività illecite allorquando l’illecito – sotto il profilo logico – segua l’attività (effettivamente) posta in essere dalle parti, nel senso che l’illecito è contestato sulla base di una qualificazione giuridica (avente ad oggetto un’attività di per sé lecita) elaborata – per giunta nella sola prospettiva giuslavoristica – in un momento logicamente successivo rispetto all’effettivo compimento – dal punto di vista storico-naturalistico – dell’attività stessa.

Cionondimeno, secondo la prospettiva giurisprudenziale in questa sede scrutinata, il committente (appaltante) non potrebbe detrarre l’imposta indicata in fattura, anche quando il fornitore (appaltatore) abbia regolarmente versato l’IVA dovuta sui corrispettivi incassati e, dunque, pure quando quest’ultimo non si sarebbe in alcun modo appropriato dell’imposta perché, come già osservato, anche a considerare l’operazione inesistente (e dunque anche a considerare l’imposta non esigibile in capo all’appaltatore “fittizio”), a mente dell’art. 21, comma 7, D.P.R. n. 633/1973, l’IVA è comunque dovuta per l’intero ammontare indicato in fattura.

Conseguentemente, a ben vedere, tale risultato porta a negare il diritto alla detrazione dell’IVA rispetto ad un’imposta effettivamente corrisposta, solamente in ragione della soggettiva (e spesso presunta) negligenza del committente che – secondo una certa giurisprudenza – non poteva non sapere che il contratto di appalto sottostante costituiva strumento per ottenere un (abusivo) risparmio in termini (non già d’imposte, ma) di retribuzioni e contributi previdenziali e assistenziali (cfr. Peruzza D., L’indetraibilità dell’IVA per il committente che “sapeva o avrebbe dovuto sapere”, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 3, 769 ss.; Menti F., La perdita del diritto di detrarre l’IVA da parte di chi sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, in Dir. prat. trib., 2013, 2, 289 ss.; Scrimieri F., Onere della prova “complesso” nelle frodi IVA di natura soggettiva, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 317 ss.; Marcheselli A., Grande la confusione sotto il cielo. Provocazioni – scandalose – sul dilagare del concetto di “frode” nel diritto penale tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2 settembre 2023, in partic. 6-7).

Ancora, quanto all’inesistenza soggettiva, ovvero alla oggettiva inesistenza giuridica, entrambe le fattispecie, per definizione, presuppongono che l’operazione – sotto il profilo storico-naturalistico – sia effettivamente avvenuta tra le parti, di cui almeno una sia meramente apparente (sebbene ritenuta tale solo all’esito di un giudizio di diritto fondato su moduli propri del diritto del lavoro), talché è possibile osservare che l’emittente la fattura (ovvero l’appaltatore) dovrebbe nascondere il reale prestatore del servizio che, per parte sua, dovrebbe porre in essere il comportamento evasivo, ma, in tal caso, ove il reale prestatore del servizio sia l’insieme dei singoli lavoratori persone fisiche (che soggetti IVA non sono), è possibile convenire che questi non evadono alcunché.

Inoltre, nel caso di reale prestatore del servizio qualificabile come soggetto IVA (ad esempio, cooperativa di lavoro), nemmeno quest’ultimo risulterebbe aver introitato ed evaso il tributo perché l’imposta è comunque fatturata e addebitata in rivalsa solo dal fornitore apparente, ovvero l’appaltatore (ad esempio, società consortile cui partecipano le singole cooperative di lavoro).

Infine, nel caso in cui la falsità (di cui all’inesistenza dell’operazione) riguardi il solo prestatore il servizio (appaltatore), il committente (appaltante), che è reale, evaderebbe l’imposta solo nel caso in cui dalla persona del prestatore del servizio (appaltatore) dipenda il diritto di dedurre o detrarre, ovvero solo se l’aliquota dell’imposta o la percentuale di deduzione dipendano dal medesimo prestatore (come peraltro riconosciuto dalla stessa giurisprudenza in caso di prestazioni esenti, anche perché assoggettate al regime dell’inversione contabile). Tuttavia, qualora il prestatore (supposto) fittizio (ad esempio, appaltatore società consortile), schermi dei soggetti societari (ad esempio, cooperative di lavoro) che, in quanto soggetti IVA, avrebbero comunque addebitato ad imposta – con aliquota ordinaria – la relativa prestazione, l’evasione non parrebbe sussistere.

Pertanto, se non ricorrono le condizioni patologiche poco sopra richiamate (diritto alla detrazione, aliquota, ovvero percentuale di detrazione, tutte dipendenti dalle caratteristiche soggettive del prestatore), ovvero nel caso di imposta addebitata e riscossa ma non anche regolarmente versata, come in effetti non sembrano ricorrere nelle ipotesi di cui al presente contributo, il committente che acquista il servizio dalla parte fittizia (appaltatore) non agisce per evadere i tributi.

Sicché, non parrebbe sussistere il reato di cui all’art. 2 più volte richiamato, fondamentalmente perché difetta l’elemento soggettivo, necessario alla configurazione della struttura della fattispecie. Ciononostante, si nega il diritto alla detrazione in capo al committente (appaltante) solo perché – sulla base della normativa giuslavoristica – è possibile ricostruire come il rapporto di lavoro sia intercorso direttamente con i lavoratori persone fisiche, senza il tramite della società appaltatrice.

In definitiva, sul punto, pare che la natura dell’illecito sia frutto di una logica autoreferenziale, nel senso che l’illecito viene ritenuto sussistente sulla base di una qualificazione elaborata nella dimensione giuslavoristica che, a sua volta, viene ritenuta capace di costituire il presupposto per la contestazione di un reato penale-tributario, invero, come si è già osservato, andando oltre i confini della relativa fattispecie legale a suo tempo prevista dal legislatore penale-tributario (in tal senso Marcheselli A., op. cit., 7-8 ma, anche, specie per quanto concerne il difetto dell’elemento soggettivo, Aldrovandi P. – Flora G., Frode fiscale e contratti di appalto simulati: verso un diritto penale “totale”?, cit., 9 ss.).

4. Volendo ora approfondire il tema, più propriamente tributario, relativo alla contestazione dell’indetraibilità dell’IVA sul presupposto della (ritenuta) soggettiva inesistenza dell’appaltatore, ovvero della oggettiva inesistenza giuridica del contratto di appalto di servizi, e ciò anche a prescindere dalla questione della proporzionalità della complessiva reazione dell’ordinamento nell’ipotesi in cui non sia configurabile un effettivo danno erariale (su cui, di recente, Manca M., Operazioni inesistenti: detrazione IVA, rilevanza del danno erariale e proporzionalità del regime sanzionatorio attuale [ricostruzione alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità ed eurounitaria], in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, X, 389 ss.), è possibile svolgere le seguenti brevi considerazioni in tema di onere della prova.

Anzitutto, nelle ipotesi in esame, ove non si discute dell’effettività delle operazioni e dell’inerenza delle stesse, ma, piuttosto, della provenienza (solo formale) della fattura da parte di soggetto passivo ai fini IVA del tutto reale (e non fittizio) che – solo in una dimensione giuridica – non avrebbe svolto la relativa prestazione, invece, posta in essere da altro soggetto, effettivo fornitore, non si può far a meno di osservare che il diniego della detrazione ha l’effetto di alterare il normale funzionamento del tributo, a sua volta fondato sul principio di neutralità dell’imposta.

In ogni caso, la richiesta del pagamento del tributo (supposto indetraibile), non può che fondarsi su di una prova che l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di fornire (in questi termini, anche di recente, Corte Giust., 11 gennaio 2024, causa C-537/22, Global Ink Trade Kft e contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága), superando così la prospettazione dal contribuente fornita sulla base della fattura emessa (in tema, Tesauro F., Appunti sulle frodi carosello, in Giur. it., 2011, 5, 1213) e, ciò, tanto più oggi, anche sulla base della previsione di cui al comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 (su cui, da ultimo, Ficari V., Modifiche normative ed onere della prova tra procedimento e processo tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 603 ss.).

Pertanto, se da una parte è vero che la mera regolarità formale della fattura e delle scritture non è sufficiente per il contribuente a dimostrare l’esistenza delle operazioni, è altrettanto vero che la regolarità della fattura lascia presumere la verità di quanto in essa rappresentato e, dunque, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA che, peraltro, rappresenta un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA (Colantonio A., Operazioni soggettivamente inesistenti, indebita detrazione iva ed onere della prova: l’Amministrazione finanziaria deve provare anche la “malafede” del soggetto, in Dir. prat. trib., 2019, 2, 838 ss.).

Sicché, in presenza di regolari fatture, l’amministrazione deve provare il difetto delle condizioni oggettive e soggettive per la detrazione, ovvero l’inesistenza soggettiva (ovvero oggettiva) dell’operazione e la malafede del contribuente che sapeva, o avrebbe dovuto sapere, di aver preso parte ad un’operazione fraudolenta (in argomento, Giovanardi A., Le frodi IVA. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, 10 ss.).

Al riguardo, se pure la prova della fittizietà del prestatore del servizio (appaltatore) può anche essere data attraverso il ricorso a presunzioni semplici, valorizzando, ad esempio, l’inesistenza di una struttura operativa adeguata – anche se, nel caso di specie, l’appaltatore risulta effettivamente dotato del personale che costituisce l’elemento principale del contratto di appalto (Randazzo F., Solidarietà del cessionario nel pagamento dell’IVA [art. 60-bis, D.P.R. n. 633/1972] ed il principio di neutralità del tributo negli scritti del prof. Tesauro, in Studi in memoria di Francesco Tesauro, cit., 539 ss.) – occorre altresì che sia data la prova dell’elemento soggettivo, ovvero della consapevolezza, in capo al committente il servizio (appaltante), della fittizietà del fornitore.

A tal fine, non pare sufficiente affermare che il committente, quanto meno, avrebbe dovuto sapere che l’operazione posta in essere poteva costituire una frode, specie allorquando il prestatore abbia comunque provveduto al versamento dell’IVA (Marziali V., Limiti al diritto di detrazione dell’IVA. Spunti di riflessioni sulla base di recenti pronunce giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 3, 784 ss.). Difatti, criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alle circostanze del caso concreto – beninteso per la tipologia di operazioni oggetto del presente contributo – privano di rilevanza elementi (talvolta valorizzati in giurisprudenza) quali, ad esempio: i) l’insussistenza di una concreta organizzazione; ii) l’assenza di una adeguata dotazione di personale; iii) l’irregolarità della contabilità e dei pagamenti anche quanto alle loro inusuali modalità; iv) la presenza di benefici dalla rivendita dei servizi; v) la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali.

D’altra parte, come pure osservato in giurisprudenza, se si ritenessero sufficienti anche pochi indizi, non gravi, non precisi e non concordanti, perché possa integrarsi la presunzione semplice di conoscenza o conoscibilità della frode, gli operatori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari, con grave nocumento per i traffici commerciali e quindi per l’economia in generale (così Cass., sez. VI, 12 ottobre 2021, n. 27745).

Sicché il criterio di giudizio fondato sul presupposto “non poteva non sapere” appare inservibile allo scopo prima richiamato. Difatti, anche un operatore particolarmente accorto non avrebbe potuto avvedersi (beninteso solamente in una dimensione giuridica) della soggettiva inesistenza dell’appaltatore che, nei casi che in questa sede rilevano, non avrebbe potuto svolgere alcuna attività senza la necessaria dotazione di mezzi e, soprattutto, di personale.

Sotto quest’ultimo profilo, è poi appena il caso di osservare che la Corte di Giustizia afferma che il grado di consapevolezza e di diligenza del soggetto deve essere apprezzato assumendo come criterio guida quello della ragionevolezza, attraverso una valutazione delle circostanze oggettive presenti nella fattispecie concreta e che, in ogni caso, non si può esigere che il soggetto coinvolto ponga in essere controlli di natura fiscale e non fiscale sulla controparte dell’operazione. La Corte di Lussemburgo, quindi, richiede un grado di diligenza legato alle circostanze del caso concreto, insistendo molto, per salvaguardare il principio di neutralità che governa la materia, sul legittimo affidamento delle parti in ordine alla correttezza e legittimità dell’operazione (Buonocore A. – Gratteri T., Le operazioni soggettivamente inesistenti: giurisprudenza sui profili fiscali e dialogo tra Corti, in MEF – Tax Justice DF, luglio 2021, 33).

Pertanto, in mancanza della prova dell’assenza di buona fede, al committente incolpevole (appaltante) non potrà essere negato il diritto alla detrazione dell’imposta (Cass., sez. I, 23 marzo 2018, n. 28298; Cass., sez. V, 11 marzo 2015, n. 28683; Cass., sez. V, 10 giugno 2011, n. 12802, in Mass. Giust. civ., 2011, 887).

In ogni caso, nell’ipotesi di affermata indetraibilità dell’IVA in capo al committente (appaltante), il tributo indetraibile finirebbe per assumere la veste di “onere accessorio” rispetto al servizio acquistato e, come tale, risulterebbe deducibile ai fini delle imposte sui redditi.

(*) Il presente contributo è dedicato al ricordo di Ivo Caraccioli.

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