Il punto su … La nuova residenza fiscale delle persone fisiche
Di Francesco Nicolosi
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A. L’art. 1 D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 (c.d. Decreto fiscalità internazionale) ha ridefinito i criteri di radicamento in Italia della residenza fiscale delle persone fisiche di cui all’art. 2, comma 2, TUIR, in attuazione (almeno formale) della Legge delega n. 111/2023 di riforma del sistema tributario, che incaricava il Governo a «provvedere alla revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche […] come criterio di collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni» (cfr. art. 3, comma 1, lett. c).
Quelle apportate sono modifiche sostanziali e potenzialmente idonee ad incidere nella vita dei contribuenti “in entrata” e “in uscita” dal territorio dello Stato italiano e dalla sua sfera di sovranità impositiva. Esse, inoltre, avranno importanti ricadute nell’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Le novità in questione sono in vigore a partire dal 1° gennaio 2024.
B. Prima di analizzare le predette novità, è utile soffermarsi brevemente sulla nozione di residenza fiscale nel Modello OCSE, posto che la novellata nozione interna si troverà a fare i conti, in caso di sussistenza di una doppia residenza fiscale, con la normativa convenzionale, se – come accade nella maggior parte dei casi – esiste un Trattato fiscale in vigore con l’altro Stato cui l’individuo è personalmente collegato.
Il Modello OCSE non contiene una propria autonoma definizione di “residenza fiscale”, ma si limita a statuire, al paragrafo 1 dell’art. 4, che «For the purposes of this Convention, the term ‘resident of a Contracting State’ means any person who, under the laws of that State, is liable to tax therein by reason of his domicile, residence, place of management or any other criterion of a similar nature […]. This term, however, does not include any person who is liable to tax in that State in respect only of income from sources in that State or capital situated therein»: il Modello OCSE richiama, in sintesi, i concetti di residenza e domicilio propri della legislazione interna.
Il paragrafo 2 del medesimo art. 4 individua, poi, i criteri deputati a risolvere i conflitti di residenza fiscale (c.d. tie breaker rules), che sono i seguenti: i) il Paese in cui il soggetto dispone di un’abitazione permanente (permanent home available to him); ii) laddove il soggetto disponga di un abitazione permanente in entrambi gli Stati, il Paese in cui le sue “personal and economic relations are closer”, ossia dove può dirsi sussistente il suo “centro degli interessi vitali” (letteralmente, “centre of vital interests” o “CIV”); iii) quindi, nel Paese in cui è situata la sua dimora abituale (habitual abode); iv) infine, nel Paese di cui ha la nazionalità. Nell’impossibilità di determinare la residenza in base ai predetti criteri è previsto un accordo tra Stati.
Anche in ambito convenzionale, il concetto che ha determinato maggiori criticità è il center of vital interest (“CVI”), assimilabile nei fatti a quello di domicilio di matrice interna di cui all’art. 43 c.c.
Il paragrafo 15 del Commentario localizza il CIV nel luogo ove «the personal and economic relations of the individual are closer», essendo ricomprese in tali relazioni «his family and social relations, his occupations, his political, cultural or other activities, his place of business, the place from which he administers his property, etc.».
Anche con riferimento al CIV, così com’è accaduto per la nozione interna di domicilio civilistico, è sorto un intenso dibattito sulla prevalenza o meno degli elementi economici o personali ai fini dell’applicazione della regola, in conseguenza anche del passaggio del Commentario ove si fa afferma che «The circumstances must be examined as a whole, but it is nevertheless obvious that considerations based on the personal acts of the individual must receive special attention»: da sempre ci si è posti il problema se tale inciso dovesse essere considerato come una sorte di propensione per gli interessi di natura personale, da far prevalere, in caso di conflitto di residenza, su quelli di natura economica.
La dottrina è divisa sul punto.
Alcuni Autori tendono ad escludere la prevalenza dei criteri di natura personale, ritenendo che il termine personal acts faccia riferimento ai comportamenti del contribuente e, dunque, che esso popssa riferirsi, letteralmente, sia ad elementi personali che economici (cfr. Baker P., The expression “Centre of vital interests” in Art 4(2) of the OECD Model Convention, in Maisto G., a cura di, Residence of individuals under tax treaties and EC Law, IBFD, 2010, 179). Altri Autori, pur riconoscendo che nella nozione di CIV occorra tenere conto sia di interessi personali che economici, ritengono che il Commentario esprima una sorta di preferenza per gli aspetti personali (cfr. Vogel K., Klaus vogel on Double Taxation Conventions, Hague-London-Boston, 2017, 251).
Per i fautori della prima tesi, la norma avrebbe come fine quello di attribuire maggiori rilievo agli elementi che dipendono da una scelta esplicita e consapevole del contribuente, riducendo tuttavia al minimo l’importanza di fattori arbitrariamente manipolabili dal contribuente per localizzare la propria residenza in un dato luogo (ad esempio, l’ottenimento di una patente o la stipulazione di una assicurazione sanitaria). Maggiore importanza dovrebbe essere, invece, attribuita a fattori che non risultano facilmente ed arbitrariamente manipolabili, come, ad esempio, la famiglia e lo svolgimento di un lavoro stabile.
C. Passando alla normativa interna – e senza indugiare sui requisiti previsti ai fini della residenza fiscale prima della riforma in esame, in quanto già diffusamente sviscerati dalla dottrina, dalla prassi e dalla giurisprudenza, nelle varie e ondivaghe prese di posizione che sono note agli operatori del settore –, il novellato art. 2, comma 2, TUIR, prevede adesso che: «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del Codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente».
I menzionati criteri, tra loro alternativi, devono sussistere in capo al soggetto, in continuità con la disciplina previgente, «per la maggior parte del periodo d’imposta», che va calcolato tenendo conto anche delle frazioni di giorno.
Le novità rilevanti attengono ai seguenti profili:
l’espressa attribuzione di rilevanza alle «frazioni di giorno» nello stabilire se il contribuente è residente in Italia per la maggior parte del periodo di imposta;
l’introduzione, quale criterio di collegamento, della mera presenza nel territorio dello Stato (la norma considera residenti nel territorio dello Stato coloro che, per la maggior parte del periodo di imposta «sono ivi presenti»);
la definizione del domicilio, come il luogo ove sono incardinate le «relazioni personali e familiari della persona»;
l’eliminazione del criterio di collegamento rappresentato dall’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta; tale criterio non perde tuttavia totalmente di rilevanza: rileva quale elemento per presumere la residenza in Italia, ferma restando la facoltà di prova contraria del contribuente.
B.1. Iniziando dalla prima novità, si prevede ora in modo espresso che nel valutare se un soggetto è residente in Italia, per la maggior parte del periodo di imposta, occorra attribuire rilievo anche alle frazioni di giorno in cui questi è residente in Italia.
La questione assume rilievo specialmente nei casi di soggetti con elevata mobilità che nel corso dell’anno trascorrono, spesso, brevissimi periodi in Italia. Ciò accade con particolare frequenza per le persone fisiche localizzate negli Stati confinanti con l’Italia, quali Montecarlo, Francia, Svizzera, Austria.
A livello teorico, si pone il problema di stabilire il significato del termine “frazione di giorno”, e in particolare se ai fini del computo dei 183 giorni, il concetto di “frazione” menzionato dalla norma rilevi di per sé come giorno intero o se di essa occorra tenere conto per valutare se la sussistenza complessiva dei 183 giorni in Italia.
In base alla prima interpretazione, una visita di due ore in Italia rappresenterebbe di per sé un giorno intero (nell’ambito del conteggio dei 183 giorni). In base alla seconda, tale frazione dovrebbe essere conteggiata insieme ad altre frazioni al fine di verificare se, complessivamente, il soggetto abbia trascorso un giorno in Italia (semplificando, per trascorrere un giorno in Italia occorrerebbero due “mezze giornate”).
Ragioni di efficienza e praticità nell’applicazione della norma inducono a optare per la prima soluzione, anche se la seconda soluzione sarebbe maggiormente rappresentativa del rapporto del soggetto con il territorio italiano.
B.2. L’art. 2 prevede, adesso, quale criterio di radicamento della residenza fiscale in Italia la mera presenza nel territorio dello Stato.
Questo criterio è assolutamente inedito e suscita molteplici riflessioni.
In primo luogo, a quanto ci risulta, esso non è conforme ai principi adottati in ambito OCSE e alla prassi internazionale. Come tale, la norma in esame potrebbe contrastare con i principi adottati nella legge delega per la riforma del sistema fiscale (L. n. 111/2023), che – come noto – poneva al legislatore delegato l’obiettivo di una tendenziale uniformazione tra i criteri di residenza dettati dalla disciplina nazionale e le disposizioni internazionali.
In secondo luogo, esso induce a chiedersi se la mera presenza fisica nel territorio dello Stato, a prescindere dall’esistenza di rapporti più profondi con il territorio, sia un elemento idoneo a fondare il concorso alla spesa pubblica su base worldwide. Sembra, infatti, che fondare la tassazione fiscale su base mondiale in ragione di un legame così labile con il territorio italiano possa essere ritenuto conforme all’art. 53 Cost.
Infine, esso suscita particolari riflessioni in merito se lo si pone al cospetto dei Trattati fiscali stipulati dall’Italia, considerato che la tie breaker rule dell’art. 4 trova applicazione solo nei confronti dei soggetti residenti in entrambi gli Stati in base al domicilio, alla residenza e “ad ogni altro criterio di natura analoga”.
Il criterio della mera presenza, che è diverso dal domicilio e dalla residenza, può essere considerato quantomeno, un “criterio di natura analoga”? Se la risposta a tale domanda fosse negativa, i conflitti di residenza dallo stesso creati non potrebbero trovare soluzione nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, posto che esse non potrebbero trovare applicazione in radica.
Invero, il problema non dovrebbe sussistere se è vero che, secondo la dottrina internazionale di settore, ai fini convenzionali possono essere assimilati al domicilio e alla residenza tutti i criteri di collegamento che non determinano la tassazione solo per i redditi prodotti in un dato territorio: in questo caso, infatti, anche un criterio come la mera presenza fisica dovrebbe permettere l’accesso alle Convenzioni, in quanto idoneo a fondare la tassazione interna per i redditi prodotti su base mondiale (cfr. Dirkis M., “The expression “liable to tax by reason fo his domicile, residence”; undert art. 4 (1) of the OECD Model Convention, in Maisto G., a cura di, Residence of individuals under tax treaties and EC Law,op. cit., 1999). Non mancano tuttavia autorevoli Autori secondo cui l’applicazione della Convenzione sarebbe subordinata all’esistenza di un legame significativo con il territorio dello Stato (cfr. Vogel K., op. cit., 288). Secondo la dottrina da ultimo citata, infatti, l’assenza di un criterio che presupponga un legame effettivo con lo Stato, potrebbe portare al limite a far coincidere la nozione di residenza con quella di liable to tax ed aumentare le ipotesi di conflitto tra lo Stato della fonte e quello della residenza.
Ad ogni modo, ipotizzando che, come probabile, il criterio in esame venga ritenuto idoneo ad accedere alla Convenzioni, nella maggioranza dei casi l’applicazione del criterio in esame determinerà un conflitto di residenza con lo Stato ove sono localizzate il domicilio o la residenza, che la maggior parte degli Stati utilizza come criteri sostanziali per radicare la residenza fiscale nel proprio territorio.
Ora, se si considera l’ordine e il contenuto delle tie breaker rules (abitazione permanente; luogo nel quale le relazioni personali ed economiche della persona sono più strette [centro degli interessi vitali]; se non si può determinare lo Stato contraente ove si colloca il centro dei suoi interessi vitali, o se la persona non dispone di un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, luogo in cui soggiorna abitualmente; nazionalità; accordo tra i due Stati), è verosimile che, ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria italiana giungerà ad affermare la residenza fiscale del soggetto in Italia in base alla mera presenza fisica, i criteri previsti dalla tie breaker rule collocheranno la residenza ai fini convenzionali nell’altro Stato, con la conseguenza che il criterio della presenza fisica risulterà sempre recessivo.
Al contrario, il criterio in questione assumerà notevole rilevanza nei rapporti con Paesi – il cui numero è, invero, molto limitato – con i quali l’Italia non ha concluso una Convenzione contro le doppie imposizioni.
B.3. Procedendo con la terza novità, in base alla nuova formulazione dell’art. 2, TUIR, «per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona»:questa nuova definizione di domicilio, totalmente sganciata da quello civilistico di cui all’art. 43 c.c., suscita molteplici perplessità
In primo luogo, non è così pacifico che tale scelta rappresenti un avvicinamento alla migliore prassi internazionale, se si considera che – come si è già visto al paragrafo B) – solo una parte della dottrina internazionale di settore interpreta il paragrafo 15 dell’art. 4 come un indice di preferenza per gli aspetti di natura personale.
In secondo luogo, non è affatto univoco cosa debba intendersi per “relazioni personali e familiari della persona”, e come le stesse debbano essere ponderate nelle varie situazioni che potrebbero formare oggetto di indagine.
E infatti, nell’attuale contesto sociale le articolazioni familiari possono raggiungere livelli di complessità tali da rendere difficile comprendere il luogo di localizzazione degli interessi personali. Si pensi, ad esempio, a coloro che convivono stabilmente all’estero assieme al coniuge “di seconde nozze”, ma i cui figli nati dal primo matrimonio risiedono in Italia assieme al primo coniuge. Può darsi, inoltre, che un soggetto stia formando una nuova famiglia, ma abbia ancora legami con la precedente. La questione può essere ulteriormente complicata laddove vi siano figli di diverse età alcuni ancora presenti presso la famiglia e altri che studiano all’estero: ci si potrebbe poi chiedere a quale legame personale dare maggior peso tra il giovane nuovo compagno (o compagna) e i figli che studiano all’estero. Un altro esempio è quello del “cervello in fuga” che si trasferisce all’estero ma la cui famiglia di origine continua a permanere in Italia. Gli esempi, paradossali, potrebbero continuare numerosi. Resta naturalmente inteso che, in aderenza con quanto affermato dalla più autorevole dottrina internazionale (cfr. Baker P., op. cit., 179) dovrebbero escludersi, quali relazioni personali rilevanti ai fini della residenza, i rapporti privi di un livello di minimo di stabilità e oggettività, quali le amicizie e le conoscenze.
Non tutti prevedibili sono gli effetti pratici che la disposizione in esame avrà in sede di applicazione dei Trattati contro le doppie imposizioni.
In alcuni casi, la norma potrebbe rappresentare un importante strumento per risolvere ab origine i casi di doppia imposizione; in altri casi essa potrebbe determinare l’insorgenza di conflitti. Molto dipenderà anche dall’interpretazione che, in caso di conflitto di residenza, verrà data dall’altro Stato contraente.
Si ipotizzi il caso di un cittadino italiano che lavora all’estero ma mantiene la famiglia in Italia. In tale ipotesi, il criterio in esame dovrebbe determinare l’attrazione della residenza in Italia. Se si verifica un fenomeno di doppia imposizione e dovesse essere applicato quale tie breaker rule il domicilio, in base ai criteri elaborati in ambito OCSE esso dovrebbe collocare la residenza convenzionale in Italia laddove entrambi gli Stati attribuiscano al paragrafo 15 il significato di prevalenza degli interessi personali. Non si genererebbe in tal caso alcun conflitto. Laddove invece lo Stato estero dovesse ritenere che gli interessi personali non siano di per sé prevalenti, permarrebbe il conflitto e si passerebbe, con ogni probabilità, al criterio della dimora abituale.
Si immagini, al contrario, il caso di uno straniero che viene a lavorare in Italia e che mantiene la famiglia all’estero, ma ogni fine settimana torna dalla propria famiglia. E che in Italia è localizzato il proprio luogo di lavoro, dispone di un appartamento e la maggior parte dei propri redditi proviene dall’Italia. Attualmente, non dovrebbe essere possibile per l’Agenzia delle Entrate considerare esistente in Italia il domicilio e, dunque, radicare per tale via la residenza fiscale in Italia della predetta persona, senza neanche l’intervento delle c.d. tie breaker rules.
B.4. L’ultima novità in tema di residenza fiscale interna riguarda l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, che, a prescindere dagli altri criteri di collegamento personale, è idoneo da solo, pur avendo natura meramente formale, a radicare la residenza fiscale in Italia e ad attrarre quivi a tassazione i redditi redditi worldwide del contribuente, a prescindere dall’esistenza di un collegamento sostanziale con il territorio dello Stato. Si pensi, ad esempio, ai casi vagliati dalla giurisprudenza di legittimità di soggetti che si erano trasferiti effettivamente all’estero, dimenticando di cancellarsi dall’anagrafe dei residenti e di iscriversi all’AIRE.
Pur non essendo prevista da alcuna disposizione, la giurisprudenza di legittimità – sostituendosi al legislatore fiscale – ha sempre attribuito all’iscrizione anagrafica natura di presunzione assoluta di esistenza in Italia della residenza fiscale.
Nella nuova disposizione riformata è stato adesso prevista in modo espresso la natura presuntiva di residenza in Italia dell’iscrizione anagrafica, ma nella forma della presunzione relativa, con conseguente possibilità per il contribuente di dimostrare che, in realtà, la residenza effettiva si colloca all’estero.
La soluzione adottata dal legislatore della riforma è certamente apprezzabile, ponendo fine a un’aberrazione giuridica (una presunzione assoluta introdotta dalla giurisprudenza) e tributaria (la tassazione worldwide in Italia di soggetti privi di qualsivoglia collegamento di carattere sostanziale con il territorio dello Stato), ma forse sarebbe meglio eliminare tale criterio formale di collegamento, che risulta ormai anacronistico.
E infatti, l’attrazione della residenza in Italia in base all’iscrizione all’anagrafe conduce normalmente a un conflitto di residenza che va risolto in base alle c.d. tie breaker rules, se esiste una Convenzione contro la doppia imposizione vigente. Le suddette tie breaker rules non contemplano l’iscrizione all’anagrafe quale criterio di collegamento. Ciò significa che nella maggior parte dei casi il criterio dell’iscrizione all’anagrafe risulta recessivo rispetto al domicilio, alla dimora abituale, all’abitazione permanente.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Baker P., The expression “Centre of vital interests” in Art 4(2) of the OECD Model Convention, in Maisto G. (a cura di), Residence of individuals under tax treaties and EC Law, IBFD, 2010, 179 ss.
Dirkis M., “The expression “liable to tax by reason fo his domicile, residence”; undert art. 4 (1) of the OECD Model Convention, in Maisto G. (a cura di), Residence of individuals under tax treaties and EC Law, IBFD, 2010, 1999 ss.
Vogel K., Klaus vogel on Double Taxation Conventions, Hague-London-Boston, 2017, 251 ss.
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