La (vana) ricerca di un equilibrio fra entità della sanzione ed effettivo disvalore dell’illecito: riflessioni a margine della Risposta ad interpello n. 450/2023
Di Giovanna Petrillo
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Abstract
Con la Risposta ad interpello n. 450/ 2023 l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al rapporto fra omessa dichiarazione IVA e versamento integrale delle relative imposte ai fini della definizione dei criteri di calcolo della sanzione applicabile. Il discutibile orientamento manifestato dall’Agenzia offre significativi spunti di riflessione riguardo al delicato equilibrio fra l’entitità della sanzione e l’effettivo disvalore della condotta illecita alla luce della rilevanza del criterio di proporzionalità.
The (vain) search for a balance between the size of the penalty and the gravity of the offense: reflections on the ruling no. 450 of 2023. – With the ruling no. 450 of 2023 the Italian Tax Authorities explains the relationship between failure to declare VAT and full payment of the related taxes for the purposes of calculating the applicable penalty. The questionable answer invites us to reflect on the isseus involved a balance between the size of the penalty and the gravity of the offense in view of the importance of the criterion of proportionality.
Sommario: 1. Il caso oggetto dell’interpello. – 2. Le direttrici argomentative dell’esegesi amministrativa. – 3. La soluzione offerta dall’Agenzia: una prospettiva distonica rispetto al requisito di proporzionalità della sanzione.
1. Nel caso vagliato, l’Agenzia è stata chiamata a rispondere al quesito posto da una società estera, dal 2023 identificata tramite rappresentante fiscale, che avendo effettuato operazioni imponibili in Italia sino dal 2016 (intermediazioni per vendite di immobili sul territorio nazionale), senza adempiere agli obblighi IVA, chiedeva indicazioni per la regolarizzazione delle violazioni commesse. L’Agenzia affronta una pluralità di aspetti che appare opportuno enunciare in sequenza cronologica.
In primo luogo, in base alla disciplina IVA, l’istante avrebbe dovuto addebitare l’imposta sul valore aggiunto italiana per i servizi relativi agli immobili situati in Italia resi a clienti privati e a soggetti passivi non stabiliti nello Stato. Tuttavia, la società riferisce che, contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, dal 2016 e fino dalla sua registrazione ai fini IVA, non ha dichiarato le suddette prestazioni. In merito l’Agenzia dopo aver ricordato la valenza fondamentale, per il funzionamento del sistema IVA, del meccanismo della “rivalsa” e richiamate le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia europea, precisa che il prezzo concordato o incassato, per il servizio reso, inizialmente non fatturato, va considerato, in via generale, comprensivo dell’imposta se il cessionario/committente non può beneficiare della relativa detrazione, e al netto dell’IVA se il cessionario/committente può applicare la detrazione, in generale quando il cessionario/committente è un soggetto passivo d’imposta. L’Agenzia chiarisce tuttavia che non può fornire ulteriori indicazioni non avendo ricevuto dalla società informazioni specifiche sulla tipologia dei clienti destinatari dei servizi che l’istante vuole ora fatturare in sede di ravvedimento.
Nel documento in commento vengono poi richiamate le sanzioni previste per la violazione degli obblighi contabili, confermando la previsione di un’unica penalità per le scritture/documenti che non sono tenuti e poi conservati nel rispetto della legge. Per regolarizzare la propria posizione anche ai fini della contabilità la società dovrà, quindi, istituire i libri e i registri necessari ed emettere le fatture per le operazioni effettuate, con contestuale versamento della sanzione prevista dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, ridotta ai sensi del ravvedimento per ciascun periodo d’imposta sanato e non una sola volta per tutte le violazioni compiute.
L’Agenzia specifica ulteriormente che, in merito alla tardiva dichiarazione di inizio o variazione attività, seppur spontanea, la violazione è sempre sanzionabile, in base all’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997, e può essere ridotta a un quinto del minimo se la dichiarazione è presentata entro 30 giorni dall’invito dell’Ufficio a regolarizzare. Per evitare tale esito è tuttavia possibile (come esplicitato con la Risposta n. 86/2020) avvalersi del ravvedimento operoso.
Fermo quanto esposto, il profilo maggiormente degno di nota emerso dalla Risposta riguarda il rapporto fra omessa dichiarazione IVA e versamento integrale delle relative imposte ai fini della definizione dei criteri di calcolo della sanzione applicabile.
Sul punto, l’Agenzia dopo aver premesso che l’autoliquidazione di tributi ed imposte unitamente alla presentazione della dichiarazione annuale costituisce il cardine su cui si fonda il sistema fiscale italiano ed il connesso apparato di controllo evidenzia «come in caso di omessa presentazione della dichiarazione il versamento integrale delle relative imposte comporta l’applicazione della sanzione fissa di cui all’articolo 5 comma 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ( euro 250 ovvero 200 qualora la dichiarazione anche se omessa sia presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e comunque prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza) solo nell’ipotesi in cui detto versamento sia stato effettuato entro il termine di cui agli articoli 8 commi 1 e 6 nonché 2 comma 7 del D.p.r. 22 luglio 1998 n. 322 (ovvero entro 90 giorni dalla scadenza del termine ordinariamente previsto per la presentazione della dichiarazione). Pertanto, scaduto il suddetto termine anche ove sia riscontrato il versamento del debito d’imposta da parte del contribuente deve applicarsi la sanzione proporzionale di cui all’articolo 5 comma uno del D.lgs. n.471del 1997 (dal 120 al 240% dell’ammontare dell’imposta dovuta con un minimo di euro 250 ovvero dal 60 al 120% dell’ammontare delle imposte dovute con un minimo di euro 200 se la dichiarazione omessa è presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo e comunque prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza). Nei limiti segnalati, la sanzione prevista dall’articolo 13 del D.lgs. n. 471 del 1997 può dirsi quindi assorbita da quella del precedente articolo cinque». Resta fermo, sottolinea l’Agenzia, che l’Ufficio in sede di eventuale controllo non solo terrà comunque conto delle somme spontaneamente versate a titolo di sanzioni – versamento che non trova alcun ostacolo normativo – ma potrà fare applicazione degli artt. 7, comma 4 e 12 D.Lgs. n. 472/1997.
2. Dalla disamina della Risposta ad interpello in commento emergono due principali direttrici che hanno guidato l’orientamento dell’Agenzia. La prima, rappresentata dal disallineamento dal portato della circ. n. 54/E/2022, la seconda (verosimilmente assorbente) integrata dal richiamo alla nota pronuncia del Giudice delle leggi (Corte cost., sent. 17 marzo 2023, n. 46) in punto di applicazione del principio di proporzionalità alle sanzioni amministrative tributarie.
In merito al primo aspetto, come detto, l’Agenzia muta decisamente il proprio orientamento espresso con la circ. n. 54/E/2002 – documento di prassi peraltro richiamato dal contribuente nella formulazione della stessa istanza di interpello- ritenendo, in sostanza, che nell’ipotesi in cui è appurata la mancata presentazione della dichiarazione non più ravvedibile per l’avvenuto decorso dei 90 giorni rispetto alla scadenza ordinaria si applicherà la sanzione proporzionale sull’imposta emergente dalla dichiarazione ultra tardiva ancorché versata ad opera del contribuente attraverso il ravvedimento operoso. Sarà comunque possibile, chiarisce l’Amministrazione finanziaria, valutare in vista di una possibile riduzione della sanzione (che rimane comunque determinata su base proporzionale) il comportamento del contribuente.
Diversamente con la richiamata circ. n. 54/E/2002 – a fronte di uno specifico quesito riferito all’ipotesi in cui un contribuente procedeva al versamento delle imposte entro i termini di cui all’art. 13, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 472/1997 senza tuttavia sanare la violazione relativa all’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi – l’Agenzia aveva compiutamente affermato che le violazioni di omesso versamento e di omessa dichiarazione costituiscono due fattispecie distinte e separate.
Muovendo da un quadro normativo immutato nella ratio di fondo, si era, dunque, chiarito che «riguardo alla violazione relativa all’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi qualora l’imposta accertata dall’ufficio sia stata completamente versata dal contribuente e dunque non sono dovute maggiori imposte rispetto a quelle già versate si applica la sanzione di cui all’articolo 1 del D.Lgs. n. 471/ 1997 aumentabile fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili ciò in quanto per imposta dovuta si ritiene che debba intendersi la differenza tra l’imposta accertata e quella versata a qualsiasi titolo». In definitiva, il trattamento delle due violazioni veniva operato considerando la rilevanza del pagamento del tributo a prescindere dalle modalità di effettuazione dello stesso ed a condizione, stante la normativa vigente, che non fosse iniziata una qualsivoglia attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Da tanto discende che solo nel momento in cui in sede di accertamento risulti una maggiore imposta, determinata dalla differenza tra quanto emergente dalla dichiarazione ancorché ultratardiva e quanto rilevabile dall’Amministrazione finanziaria, può essere applicata la sanzione proporzionale.
In base alle poco convincenti affermazioni dell’Amministrazione finanziaria esposte nella Risposta in commento, invece, la violazione legata all’omessa dichiarazione non oggetto di sanatoria risulterà sostanzialmente sganciata dall’effettuazione del versamento delle somme dovute. Inoltre risulterà abbastanza complesso definire la concreta applicazione della sanzione fissa se non nei limiti indicati dall’Amministrazione finanziaria ossia quando il versamento delle imposte sia stato effettuato entro il termine massimo di validità della dichiarazione, considerando come, nel caso rappresentato dal contribuente istante, la dichiarazione era comunque omessa ma presentata entro i termini della dichiarazione successiva.
Fermo quanto esposto, l’ulteriore e forse più significativo passaggio argomentativo che emerge nella Risposta è rappresentato dal richiamo alla citata pronuncia della Corte costituzionale n. 46/2023 rientrante, come si dirà, nel novero di quelle interpretative di rigetto con le quali la Corte pur giungendo ad una dichiarazione di infondatezza al contempo produce un’opzione ermeneutica della disposizione impugnata idonea a salvarla alla incostituzionalità (fra i primi commenti alla pronuncia si veda, senza pretese di esaustività, Coppa D., I principi di proporzionalità e di offensività nell’interpretazione [poco] costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, 614 ss.; Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. trib., 2023, 8/9, 749 ss.).
Nella questione sottoposta al vaglio della Consulta (che presentando evidenti analogie con il caso in esame è opportuno richiamare nei suoi elementi di fondo) a fronte dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale da parte della società consolidante – la quale tuttavia aveva presentato la propria dichiarazione così come anche le società consolidate – l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto all’erogazione della sanzione prevista dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 commisurandola all’intero ammontare delle imposte accertate nonostante l’avvenuto versamento effettuato anteriormente all’inizio della fase accertativa avvalendosi del ravvedimento operoso. L’Agenzia, ritenendo invalido il ravvedimento a fronte di dichiarazione omessa, aveva comminato sanzioni pari al 120% delle imposte accertate. Il giudice rimettente, nel condividere le argomentazioni della società ricorrente, constata i profili eccessivi della risposta sanzionatoria sottolineando in particolare come l’avvenuto versamento delle imposte in una fase anteriore all’accertamento sembra deporre a favore dell’attenuazione della gravità del comportamento colpito dalla sanzione. Sotto ulteriore e connesso aspetto, viene altresì sollevata questione di legittimità costituzionale anche con riferimento alla norma che disciplina il ravvedimento operoso, perché irragionevole nella parte in cui esclude dalla possibilità di fruire del ravvedimento il contribuente che pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione fiscale abbia provveduto spontaneamente al versamento delle imposte dovute. Detta seconda questione è stata tuttavia ritenuta inammissibile posto che il giudice rimettente non era chiamato a fare applicazione del richiamato istituto in giudizio.
Orbene, venendo agli aspetti maggiormente funzionali alla presente indagine, la Corte costituzionale dichiara infondata la questione di commisurare la sanzione per omessa dichiarazione all’importo residuo delle imposte da versare proponendo tuttavia una lettura costituzionalmente orientata dei commi 1 e 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 472/1997.
Sul punto, proseguendo nel suo percorso argomentativo, che è opportuno richiamare per poi riflettere sull’impatto della pronuncia riguardo alla Risposta in commento, la Corte – dopo aver riaffermato che il principio di proporzionalità trova fondamento nell’art. 3 Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla singola violazione – ritiene che il problema della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in questione sollevato dal rimettente esiste realmente e va risolto sulla scorta di un interpretazione costituzionalmente orientata dei commi 1 e 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 472/1997 in base alla quale si può giungere ad un abbattimento della sanzione fino alla metà del minimo edittale e più in generale a mitigare l’applicazione di sanzioni non rispettose del principio di proporzionalità quando inflitte a contribuenti che non rilevano un chiaro intento evasivo. Tale possibilità di ridurre le sanzioni fino a dimezzarle, chiarisce la Consulta, si pone come «una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni» che «strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano».
Peraltro, la riduzione nei sensi indicati, si precisa nella pronuncia, può essere operata tanto da parte dell’Agenzia delle Entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo quanto ad opera del giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo.
Sulla scorta di queste indicazioni, l’Agenzia delle Entrate, sovverte completamente il principio espresso con la circ. n. 54/E/2002. Il che produce un duplice effetto distorsivo. Il primo si traduce nella mancata certezza di tenere ben distinta l’offensività della condotta di chi omette la presentazione della dichiarazione al fine di evadere il pagamento delle imposte da quella di chi, pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi, paga spontaneamente le imposte pur senza un previo accertamento fiscale. Il secondo si risolve in un tendenziale disincentivo all’adempimento tardivo, ma spontaneo, del pagamento delle imposte. Pertanto, se bisogna ritenere – in considerazione dei più recenti modelli normativi- l’attuazione della tax compliance e la concreta definizione di un sistema sanzionatorio informato al postulato di proporzionalità criteri fondanti dei moderni sistemi fiscali la Risposta dell’Agenzia non pare abbia colto nel segno.
3. Come esposto, le conclusioni raggiunte dall’Agenzia delineano un quadro estremamente disomogeneo teso a coordinare in modo forzato rispetto al dato letterale delle norme due elementi tra loro diversi e non sovrapponibili: da una parte l’eventuale accertamento di una maggiore imposta rispetto a quanto versato dal contribuente e dall’altro la previsione di una sanzione fissa per la specifica violazione dichiarativa in assenza di una maggiore imposta. Il tutto riservando alla discrezionalità dell’Ufficio l’applicazione di una sanzione su un tributo che è già stato completamente versato.
La soluzione proposta non appare pertanto convincente. Se da un lato infatti è pienamente condivisibile che vi sia una sanzione che svolga la funzione di deterrenza rispetto alla violazione legata alla mancata presentazione della dichiarazione, di contro è del tutto evidente che detta violazione non può essere posta sullo stesso piano, quantomeno in linea di principio, con il comportamento del contribuente che in ogni caso ha assolto il tributo anche accedendo ad istituti espressamente disciplinati dall’ordinamento quali il ravvedimento operoso. Inoltre l’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 472/1997 sebbene interpretato in combinato disposto con il comma primo, al fine di valorizzare i criteri di determinazione della sanzione, da solo non può garantire la conformità ai parametri di proporzionalità e ragionevolezza del sistema sanzionatorio dovendo la possibilità di ridurre le sanzioni irrogabili inserirsi nell’ambito di un sistema sanzionatorio di per sé stesso proporzionato (in tal senso, v. Borgia C., La vis espansiva del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria in materia tributaria: note a margine della sentenza della Corte Costituzionale numero 46 del 2023, in Riv. tel. dir. trib., 28 novembre 2023).
Al di là delle indicazioni interpretative fornite dalla Consulta e richiamate dall’Amministrazione finanziaria nella Risposta è pertanto fondamentale una rivisitazione del sistema del resto espressamente contemplata dall’art. 20 L. 9 agosto 2023, n. 111 (per puntuali considerazioni in merito, si veda Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 502) volta alla definizione di un apparato sanzionatorio informato al principio di proporzionalità in rapporto all’effettivo disvalore della violazione realizzata (in argomento diffusamente, cfr. Montanari F., La dimensione multilivello delle sanzioni tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione, in Riv. dir. trib., 2014, 4, I, 41 ss.; per ampi spunti di riflessione riguardo alla revisione del sistema sanzionatorio in materia tributaria si veda ampiamente Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.; Sammartino S., La riforma della disciplina delle sanzioni amministrative in materia tributaria, in Rass. trib., 2022, 1, 274 ss.).
Ferma restando l’esigenza di un intervento riformatore, la Risposta in commento sollecita comunque una riflessione sulla vera e propria esistenza di un autonomo “diritto” ad un trattamento punitivo proporzionato il cui esercizio non può essere rimesso alla “discrezionalità” dell’Ufficio su cui ricadrebbe, nell’interpretazione rappresentata, la scelta di informare il trattamento sanzionatorio alla logica di proporzionalità.
La soluzione individuata appare infatti affidata alla contingenza e alla sensibilità dell’Amministrazione finanziaria nella misura in cui la dosimetria dell’ordinamento rispetto all’illecito fiscale risulta essere in buona parte attribuita alla sfera di responsabilità della stessa Amministrazione finanziaria tradizionalmente incline invece all’attuazione di percorsi punitivi caratterizzati da un sostanziale automatismo (in tal senso Di Siena M., La proporzionalità della sanzione tributaria in una recente sentenza penale. Amnesie applicative circa il principio di specialità e spunti interpretativi nelle more della prossima riforma tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 21 dicembre 2023). Si tratta in definitiva di un assetto che oltre a non implementare la compliance determina un compromesso al ribasso rispetto ad una effettiva applicazione del postulato di proporzionalità.
Ecco allora che si palesa il disallineamento dal criterio di proporzionalità utilizzato in una accezione “cardinale” che vuole la quantificazione della pena pecuniaria ancorata ad un equo bilanciamento fra l’interesse perseguito con l’applicazione della misura sanzionatoria e l’oppressione della sfera soggettiva e personale del destinatario della stessa indipendentemente dall’importanza dell’interesse pubblico tutelato integrato, nella Risposta in questione, dal valore della dichiarazione in un sistema di fiscalità di massa all’interno del quale la sua fedele compilazione e tempestiva presentazione costituisce un passaggio fondamentale in vista dell’adempimento di un dovere inderogabile di solidarietà (per ampie riflessioni in ordine alle due diverse accezioni del principio di proporzionalità utilizzate dalla Corte costituzionale ossia “proporzionalità ordinale” e proporzionalità “cardinale” si veda Severa F., La proporzionalità delle sanzioni amministrative nella giurisprudenza costituzionale: questioni di sostanza e questioni di processo, in Consulta online, 2023, fasc. II).
Seguendo questa impostazione, la valorizzazione dell’interesse a garantire la piena efficacia dei controlli fiscali – il cui svolgimento risulterebbe ostacolato dall’atteggiamento non collaborativo in cui si traduce il mancato adempimento dell’obbligo di presentazione della dichiarazione – corre il rischio in un ambito estremamente delicato quale quello sanzionatorio di “sbilanciare” gli interessi in gioco in una direzione poco garantistica per i contribuenti e ciò ancor più alla luce del portato della giurisprudenza unionale.
Come ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria, infatti, una applicazione chiara e specifica del principio di proporzionalità attiene in primo luogo alla valutazione dell’adeguatezza della sanzione, che implica in sostanza una valutazione del rapporto fra il mezzo impiegato ed il fine che si intende perseguire in termini di congruità; in secondo luogo alla sua necessarietà che si risolve nell’obbligo di scelta per la soluzione che, nella fattispecie concreta, determini il raggiungimento dell’obiettivo attraverso il minimo sacrificio degli interessi confliggenti; infine alla proporzionalità in senso stretto, la quale richiede che la misura adottata dai pubblici poteri non debba essere tale da gravare in maniera eccessiva sull’interessato e da risultargli per questo intollerabile. Da tanto discende che qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che inconvenienti causati dalla stessa non devono risultare sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sul tema si veda, per puntuali considerazioni riguardo il contenuto del principio di proporzionalità delle sanzioni e la sua autonomia definitoria attraverso l’esame della giurisprudenza europea ed interna, Salvati A., Lineamenti definitori del principio di proporzionalità delle sanzioni, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, VI, 284 ss.).
Il rilievo dell’interesse pubblico perseguito deve essere, pertanto, contemperato con l’esigenza che la misura della sanzione ed il disvalore da essa espresso non ecceda mai in modo irragionevole il disvalore espresso dal fatto dovendo la severità della sanzione essere adeguata alla gravità delle violazioni in considerazione non solo degli elementi costitutivi di un’infrazione e delle norme relative all’importo delle sanzioni, ma anche degli elementi di cui si può tenere conto per la fissazione dell’importo della sanzione.
Evidentemente una sproporzione tra fatto e sanzione emerge nella Risposta all’interpello. E tanto tenendo presente che la commisurazione della sanzione prospettata, con il suo dato afflittivo, diverge dallo schema che la vuole legata nella sua concreta determinazione ad una proporzionata relazione con il fatto commesso, risultando l’enfatizzazione di ogni elemento di natura teleologica che infici tale schema evidentemente distonica rispetto al ruolo di cardine del sistema sanzionatorio rappresentato dal principio di proporzionalità. (n.d.r. forma faticosa).
Alla luce delle considerazioni espresse, pare dunque che per uno strano fenomeno di eterogenesi dei fini l’Agenzia nell’affermato intento di adeguarsi alla pronuncia della Corte costituzionale n. 46 /2023, superando quanto compiutamente affermato con la circ. n. 54/E/2002, finisce per prospettare sul piano dell’effettività un quadro sanzionatorio non conforme allo stesso principio di proporzionalità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Borgia C., La vis espansiva del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria in materia tributaria: note a margine della sentenza della Corte Costituzionale, n. 46/2023, in Riv. tel. dir. trib., 28 novembre 2023
Coppa D., I principi di proporzionalità e di offensività nell’interpretazione (poco) costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, 614 ss.
Cordeiro Guerra R., Adeguamento delle sanzioni punitive al principio di proporzionalità e coperture finanziarie: un evidente corto circuito giuridico, in Riv. tel. dir. trib., 28 ottobre 2023
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Di Siena M., La proporzionalità della sanzione tributaria in una recente sentenza penale. Amnesie applicative circa il principio di specialità e spunti interpretativi nelle more della prossima riforma tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 21 dicembre 2023
Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.
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Severa F., La proporzionalità delle sanzioni amministrative nella giurisprudenza costituzionale: questioni di sostanza e questioni di processo, in Consulta online, 2023, fasc. II
Viganò F., La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021
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Diritti dell’interessato.
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Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
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Il Titolare del trattamento dei dati personali, relativi a persone identificate o identificabili trattati a seguito della consultazione del nostro sito, è Pacini Editore Srl, che ha sede legale in via Gherardesca 1, 56121 Pisa.
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Comunicazione dei dati
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Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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