Le criptovalute sono nate da un sogno anarchico: quello di sottrarsi alla dittatura delle banche e più in generale, alle maglie delle regole. Proprio l’assenza delle regole che ne ha rappresentato, almeno inizialmente, il fattore propulsivo, rischia tuttavia di diventare il maggiore punto di debolezza delle criptovalute, traducendosi in un vuoto di tutela per i piccoli risparmiatori: da qui la risposta regolatoria che gli ordinamenti stanno cercando di sviluppare per tutelare gli investitori più esposti sulla frontiera dell’innovazione.
Cryptocurrencies from anarchy towards the need for rules. – Cryptocurrencies were born from an anarchist dream: to escape the dictatorship of the banks and more generally, the links of the rules. However, the absence of the rules that represented, at least initially, the driving factor, risks becoming the greatest weakness of cryptocurrencies, resulting in a lack of protection for small savers: hence the regulatory response that the legal systems are trying to develop to protect the investors most exposed on the frontier of innovation.
Sommario:1. Del disallineamento tra economia e diritto: il sogno “anarchico” delle criptovalute “nate per sottrarsi alle maglie delle regole”. – 2. Le valute virtuali e la nuova “fiducia” nella tecnologia blockchain. – 3. L’assenza di regole: fattore propulsivo o punto debole delle criptovalute?. – 4. L’esplosione delle criptovalute e le analogie con la “bolla dei tulipani”. – 5. I vuoti di tutela per gli utilizzatori delle criptovalute. – 6. Il nuovo far west e la necessità delle regole sulla frontiera dell’innovazione tecnologica.
1. Nella sua relazione Francesco Pepe ha posto l’accento sul “disallineamento” causato dalla diversa velocità con la quale, soprattutto nel nostro tempo, si muovono l’economia da un lato e il mondo delle regole, anche tributarie, dall’altro. E nella relazione è stata sottolineata l’inversione di tendenza, quello che lui ha definito «il ribaltamento etico» che l’innovazione digitale potrebbe indurre sulla funzione fiscale; funzione fiscale che – se vuole “proteggere” i contribuenti più deboli – dovrebbe essere potenziata, non indebolita, così da far riacquisire agli ordinamenti nazionali – anche ipotizzando forme di cessione della sovranità fiscale a livello sovranazionale – quella sovranità che è stata via via erosa dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione dell’economia.
Sotto questo profilo, Francesco Pepe prospetta un parallelismo interessante tra il microcosmo delle criptoattività e il macrocosmo della fiscalità internazionale, sottolineando il minimo comune denominatore di questi mondi: e cioè l’aver innescato la reazione dei sistemi giuridici a fenomeni inizialmente percepiti come estranei al sistema delle regole vigenti, non sussumibili sotto di esse, ma al tempo stesso bisognosi di una regolamentazione proprio in quanto è di immediata percezione l’ingiustizia che deriverebbe da un’assenza di regolamentazione[1]. Nel settore tributario, la rivisitazione dell’impianto normativo appare ancor più necessaria che in altri settori, vista la difficoltà di ricorrere all’analogia[2] e il frequente ricorso a tecniche e strumenti interpretativi di soft e hard law[3]. Il tema delle regole nel nuovo mondo nel quale ci muoviamo e degli effetti che il disallineamento tra economia e diritto[4] può produrre è un tema del quale mi occupo da qualche anno, da quando scrivevo del disallineamento tra un diritto legato ai territori e alle sovranità nazionali e un’economia che dai territori nazionali si era ormai affrancata[5], in una modalità che temo essere arrivata a un punto di non ritorno: non è forse un caso che di fronte ai “supercontribuenti”[6], cioè alle imprese del digitale, si prospettino regole fiscali anch’esse dirette ad operare al di sopra dei territori degli Stati nazionali[7]. Il mondo delle criptovalute – oggetto di questa sezione del webinar odierno – esaspera, se possibile, il citato disallineamento tra economia e diritto e, a ben guardare, fa un passo ulteriore proprio perché ha fatto pensare, almeno inizialmente, alla possibilità di sottrarsi alle maglie delle regole: potremmo quasi dire che è nato proprio con questa finalità.
2. Cercando di affrontare il mondo delle criptovalute nel modo più semplice possibile, conviene partire dalla definizione base di criptovaluta, come la troviamo delineata nella sezione “Educazione finanziaria” del sito della Consob: valuta “virtuale”, valuta “nascosta” nata dall’applicazione della tecnologia digitale al settore finanziario.
La tecnologia digitale, favorita dalla crittografia – cioè dall’applicazione di metodi elaborati da scienze complesse e funzionali a rendere un certo messaggio comprensibile solo alle persone che siano autorizzate a leggerlo – e dall’evoluzione della rete Internet ha condotto all’emersione di valute criptate – dunque nascoste – proprio perché visibili e utilizzabili solo conoscendo le chiavi di accesso, cioè i necessari codici informatici.
Sono valute generate esclusivamente per via telematica, sono algoritmi informatici, non valute fisiche: lo stesso linguaggio ha dovuto adattarsi alla loro “inconsistenza” fisica, parlando appunto di valute virtuali, collocate in portafogli digitali (gli e-wallet).
Certamente, le criptovalute sono frutto di un processo di astrazione, ma un’astrazione che non è poi così estranea alla nostra tradizionale economia monetaria: il denaro in natura non esiste, è solo una convenzione umana nata per favorire i commerci. Anche le nostre monete, a pensarci bene, sono o sono diventate un’astrazione[8]. I nostri biglietti cartacei da 50 o 100 euro sono solo pezzi di carta privi di un valore intrinseco, che i soggetti dai quali acquistiamo beni e servizi accettano perché sanno che saranno a loro volta accettati dai soggetti dai quali loro stessi acquisteranno beni e servizi. Quella che noi utilizziamo oggi è dunque una moneta “fiduciaria”, e tutti gli scambi commerciali si basano su questa fiducia. Il denaro è una casa di carte che, per funzionare come mezzo di scambio, si regge su un elemento immateriale: la fiducia diffusa, la fiducia collettiva. Fiducia diffusa che a sua volta si radica sulla stabilità della moneta, sulla regolarità degli scambi, sulla protezione dei risparmi degli investitori.
Anche la moneta elettronica è espressione della convenzionalità del denaro. Se le parti di una certa transazione sono d’accordo, possono acquistare beni e servizi utilizzando non la tradizionale moneta a corso legale, ma scambiandosi criptovalute in modalità peer to peer (cioè direttamente tra due dispositivi, senza necessità di un istituto emittente o di intermediari). Ci sono criptovalute – come il bitcoin – che rappresentano addirittura monete virtuali “bidirezionali” nel senso che possono essere convertite con le principali valute ufficiali, mentre altre criptovalute sono “unidirezionali”.
Queste monete virtuali non sono più emesse e regolate dalle banche centrali, ma sono generalmente prodotte e distribuite dall’ente emittente attraverso una sorta di “estrazione”, un processo chiamato “mining” che non viene controllato da un’Autorità centralizzata[9]: la fiducia nelle criptovalute si basa sulla tecnologia che ne è alla base, la tecnologia blockchain[10], che consente di proteggere le informazioni relative alle transazioni, memorizzandole e raggruppandole in una sequenza di “blocchi” (da qui il termine blockchain) collegati tra loro per via crittografica. Viene così creata una registrazione in ordine cronologico e non modificabile di tutte le transazioni effettuate fino a quel momento. La tecnologia dei registri distribuiti (DLT/blockchain) consiste in un registro elettronico condiviso i cui dati sono protetti sia tramite tecniche crittografiche sia attraverso la c.d. “ridondanza” (copie delle stesse informazioni possono essere validate e archiviate presso tutti i partecipanti attivi al registro).La finanza è da tempo oggetto di un processo di contaminazione con la tecnologia al punto di essere divenuta immateriale quasi per definizione: da tempo i titoli hanno cessato di esistere in senso fisico; gli stessi luoghi delle contrattazioni borsistiche di un tempo (Wall Street o Palazzo Mezzanotte per restare in Italia) hanno ormai solo un valore simbolico. Le contrattazioni avvengono oggi in via telematica, fuori dai “mercati delle grida” di un tempo, e molti di noi gestiscono oramai il proprio conto corrente e le proprie operazioni bancarie attraverso l’e-banking. Ma se questo processo di contaminazione ha inizialmente visto la tecnologia al servizio dell’operatività di tipo tradizionale, il Fintech si muove ormai lungo un sentiero inverso: non è più la finanza che usa la tecnologia, ma è “la tecnologia che si fa finanza”[11].Le criptovalute però non funzionano esattamente come le monete aventi corso legale. Intanto, sono estremamente più volatili [12] al punto di poter essere soggette, anche nell’ambito di una stessa giornata, a oscillazioni tanto rapide quanto violente; e questa loro volatilità rende certamente più complesso utilizzarle come moneta di scambio, cioè fissare in criptovalute il prezzo di beni e servizi. Ma una cosa è certa: più vengono e verranno utilizzate per pagare beni e servizi, più il loro valore aumenterà. E aumenterà perché il numero di unità di criptovalute che può essere prodotto è limitato: dunque più aumenta il numero delle transazioni in criptovalute, più aumenta il loro valore. In questa sede non intendo soffermarmi sulla blockchain, cioè sulla modalità tecnica della produzione delle criptovalute e sulle piattaforme nelle quali avviene la loro circolazione. Mi limito a interrogarmi sull’utilità delle criptovalute rispetto alle valute tradizionali e dunque a chiedermi se davvero le criptovalute rappresentino soluzioni capaci di trasformare il sistema finanziario rendendolo maggiormente efficiente o se piuttosto – in contrapposizione all’ethos di cui parla Francesco Pepe, quale criterio per valutare positivamente le azioni delle comunità politiche organizzate a condizione che perseguano il “bene comune” – rappresentino solo il prodotto di una tecnologia che non ha alcuna funzione sociale positiva e che sta arricchendo pochi operatori a danno di molti piccoli risparmiatori, desiderosi di partecipare a una finanza “disintermediata” ma estremamente vulnerabili perché inconsapevoli dei rischi che si corrono in assenza di regole[13].
3. Il tema al quale voglio accennare prescinde dal tentativo di aprire la scatola nera delle criptovalute per verificare se esse possano, e con quali cautele, essere ricondotte alle categorie concettuali che conosciamo, anche ai fini fiscali: questo è il tema delle successive relazioni di Daniela Conte e Maria Cristina Pierro. Il tema sul quale mi voglio soffermare, anche in esito alla relazione di Francesco Pepe, è più generale: il mondo delle criptovalute, oggi ancora largamente deregolamentato, rispetta le finalità di pubblico interesse che gli ordinamenti devono tutelare o è proprio l’assenza di regole, che ha rappresentato, almeno inizialmente, il fattore propulsivo delle criptovalute, ad essere diventato il loro maggior punto di debolezza?
I bitcoin sono nati come una promessa di democraticità, uno strumento di investimento “anarchico”[14] e alternativo, in grado di sottrarsi al controllo degli Stati e accessibile a tutti, al di fuori delle maglie degli intermediari finanziari tradizionali. Non tutti hanno un conto online o una carta di credito; e non è un caso che l’entusiasmo per le criptovalute abbia caratterizzato proprio i giovani e, negli USA, le minoranze etniche (afroamericani e ispanici), sicuri di poter così bypassare un sistema finanziario dal quale si sentivano esclusi[15]. Le criptovalute possono essere spese e incassate da chiunque, ovunque e in ogni momento, senza bisogno di una banca e senza bisogno di un governo; è questo che le ha rese rivoluzionarie.E nell’esplosione delle criptovalute – la criptomania che ha colpito milioni di investitori, anche piccoli, negli ultimi anni – può aver giocato anche un elemento psicologico, quello che gli inglesi chiamano “fear of missing out”: la paura di rimanere tagliati fuori da qualcosa che tutti considerano un successo, la paura di essere meno furbi degli altri.
4. Proprio l’elemento psicologico che contraddistingue l’acquisto di criptovalute con l’unica finalità di rivenderle ad un prezzo maggiorato[16] ha richiamato alla mia mente la follia dei tulipani, la prima bolla speculativa della storia[17]. Brevemente, per chi non conoscesse questa storia, ricordo che all’inizio del ‘600 i tulipani – che derivano il loro nome dal turco “Tullband” che significa copricapo, turbante – vennero introdotti segretamente dall’Oriente nei Paesi Bassi, diventando in breve tempo una forma di investimento molto ambita e redditizia non solo per le classi più agiate del Paese. Non a caso nelle nature morte fiamminghe di Bruegel troviamo spesso raffigurati dei tulipani: nell’Amsterdam del ‘600 le classi medie che non potevano permettersi di comprare i bulbi più pregiati appendevano alle loro pareti quadri con nature morte di tulipani per partecipare in qualche modo al possesso del bene che a all’epoca era diventato un vero e proprio status symbol. Chi non poteva permettersi l’acquisto dei bulbi, ingaggiava un pittore per ritrarre i tulipani e rendere immortale una fioritura altrimenti destinata a durare poco più di una settimana.I Paesi Bassi all’epoca erano nel loro secolo d’oro. Erano diventati l’emporium mundi, il luogo del commercio internazionale del mondo di allora: la compagnia olandese delle Indie orientali faceva affari importanti e quando dall’Oriente, dai giardini di Istanbul, arrivarono nel porto di Rotterdam i primi tulipani, nacque la moda e la corsa irrazionale all’acquisto dei bulbi di questi fiori. I tulipani erano diversi da ogni altro fiore conosciuto, avevano forme esotiche e colori diversi e più decisi degli altri fiori allora conosciuti[18]; nacque e si sviluppò così, curiosamente proprio in un Paese calvinista, quello che fu chiamato windhandel, “il commercio del vento”, l’acquisto di bulbi non ancora esistenti, che venivano venduti con mesi di anticipo sui loro raccolti. La produzione dei bulbi di tulipano, specie quelli più rari, richiedeva un processo di coltivazione (corrispondente al “mining” delle criptovalute odierne) piuttosto lento; e proprio perché non era possibile coltivarne tanti e velocemente, i bulbi – veri e propri incubatori di un bene futuro – crescevano di valore nel tempo. L’offerta costante di fronte a una domanda in forte crescita ne faceva salire il prezzo; e, in attesa della fioritura, i coltivatori vendevano a caro prezzo anche il raccolto della stagione successiva prima ancora che fosse realizzato, stipulando inconsapevolmente i primi contratti derivati, una sorta di futures sui tulipani. Quasi nessuno in realtà vedeva fiorire i tulipani, quel che si comprava e si vedeva più volte nella stessa giornata era il diritto a possedere un certo bulbo a una certa data futura. Gli storici ci dicono che un bulbo di tulipano poteva valere fino a 15 volte il salario di un contadino, 8 maiali grassi, 4 buoi grassi, 12 pecore grasse, 24 tonnellate di grano, 48 tonnellate di segale, 2 botti di vino. Nei matrimoni poteva essere accettato, quale dote della futura sposa, anche un solo bulbo. Il bulbo di tulipano più famoso, il Semper Augustus[19] (ai bulbi venivano attribuiti nomi di grandi condottieri) fu quotato 6.000 fiorini (l’equivalente di qualcosa come 60 mila euro di oggi) laddove pochi anni dopo Rembrandt avrebbe venduto il suo quadro più celebre[20] per 1.650 fiorini.Fu una follia collettiva; tutti si convinsero che la passione per i tulipani sarebbe durata per sempre, che ogni corte imperiale, che i ricchi di tutta Europa avrebbero pagato qualunque prezzo per poter avere i preziosi bulbi coltivati in Olanda. Nessuno voleva perdersi l’affare del secolo; persone di ogni ceto arrivarono a vendere le loro proprietà per investire tutti i loro averi nei bulbi di tulipano. In un noto dipinto di Bruegel il giovane[21], conservato nel Frans Hals Museum ad Haarlem, gli investitori nella bolla dei tulipani vengono non a caso raffigurati come scimmie vestite in abiti lussuosi, pieni di denaro ma evidentemente dotati di poco raziocinio, se pronti ad investire tutti i loro averi in un bene così effimero. La bolla dei tulipani scoppiò quando nel 1637 per la prima volta un’asta andò deserta. I prezzi dei bulbi scesero rovinosamente e molti investitori persero tutto quello che possedevano, dal giorno alla notte vennero bruciate intere fortune. La storia di questo tracollo, ricostruita da un professore di economia, Earl Thompson, sembra fu la seguente: il Parlamento olandese ratificò la decisione della Gilda dei fioristi che annunciava che tutti i contratti di futures stipulati oltre una certa data valevano come contratti di opzione: quindi gli acquirenti dei futures avrebbero potuto evitare di acquistare i tulipani e rinunciare al contratto pagando una piccola penale. Chi comprava non era più obbligato a saldare prima di avere in mano il tulipano. Nessuno onorò i contratti e la bolla all’improvviso scoppiò.
Dovremmo chiederci se anche oggi, nell’attuale momento di grande innovazione, con le criptovalute non rischiamo una bolla finanziaria analoga, suscettibile anche di contagiare i settori regolamentati del mondo finanziario; quello che è stato definito “l’inverno delle cripto” [22]. In effetti, ciò che emerge dall’innovazione finanziaria può diventare arma di speculazione, può generare e ha generato eccessi; il problema, però, non è solo la gestione e il controllo dell’innovazione in sé, ma anche la leva finanziaria, cioè l’enorme quantità di finanziamenti resasi disponibile per effetto della promessa di democraticità che le criptovalute si portavano dietro, per la smania di investimento che ha fatto emergere quasi una sorta di ossessione per questo prodotto.
5. Le criptovalute sono nate, come già sottolineato, con la promessa di eliminare la “dittatura delle banche”, l’intermediazione di un sistema bancario e finanziario da molti considerato “parassitario” e comunque percepito come distante. I servizi bancari hanno tempi e costi ben definiti; con le DLT è invece possibile fare transazioni anche transfrontaliere in qualsiasi momento, quasi istantaneamente (sono registrate in un nuovo “blocco” della blockchain tipicamente entro 20-30 minuti) e a costi minimi, ignorando distanze e confini. I bitcoin sono “globali” e meno soggetti ai rischi dell’inflazione monetaria, perché l’algoritmo che li produce non è in mano a un governo che potrebbe essere tentato di stampare moneta per pagare i propri debiti. Pensando alla fiducia come elemento fondativo della moneta[23], questa non sarebbe necessaria, secondo i sostenitori delle criptovalute, per far funzionare il sistema della blockchain. Ogni transazione in bitcoin è registrata e condivisa da tutti i “nodi”: dunque non si sarebbe bisogno di fiducia tra computer per far funzionare il sistema[24]. Anzi, potremmo dire che le criptovalute si basano proprio sulla sfiducia nel sistema bancario e nella sua regolamentazione per fidarsi, piuttosto, degli algoritmi.
Eppure, anche le criptovalute, coma già accennato, sono sottoposte a enormi oscillazioni di valore proprio perché́ la fiducia del pubblico può variare; e può variare anche per un tweet o per i rumors di una nuova e più penetrante regolamentazione. Pensiamo a quanto accaduto nel maggio 2021, quando il bitcoin, la criptovaluta più famosa, è arrivata a perdere il 40% del suo valore in un solo giorno, perchè Elon Musk annunciò che non avrebbe più accettato bitcoin per l’acquisto delle Tesla.
Le monete delle banche centrali offrono livelli di garanzia e stabilità molto più alti; le banche centrali sono più credibili quanto a tutela del valore della moneta e di rispetto della privacy.
Gli utilizzatori delle criptovalute rischiano invece vuoti di tutela; possono trovarsi esposti sia a condotte fraudolente, sia alla cessazione dell’attività della piattaforma presso la quale vengono custoditi gli e-wallet. Queste piattaforme “saltano” gli intermediari e operano in assenza di obblighi informativi e regole di trasparenza: a differenza degli intermediari autorizzati, non sono tenute a garantire la qualità del servizio, non devono rispettare procedure di controllo interno e gestione dei rischi; quindi, sono esse stesse esposte alle frodi e al cybercrime[25]; non danno garanzie di poter convertire i bitcoin e le altre criptovalute in moneta ufficiale a prezzi di mercato.
Quanto alla sicurezza delle criptovalute contro l’hackeraggio basti pensare che qualsiasi sito consiglia di tenerle non in un “portafoglio caldo”, cioè ad esempio in una App del cellulare connessa ad internet, ma in un “portafoglio freddo”, cioè su un PC offline o su una chiavetta USB, che è più sicuro in termini di sicurezza online, ma diventa più vulnerabile a danni o furti perché è un dispositivo fisico trasportabile.
Oltre al rischio dell’hackeraggio delle piattaforme, gli individui che investono in criptovalute rischiano anche in altri modi. Chi investe in bitcoin ne è il custode unico. Se muore o dimentica la chiave privata di accesso, o perde il cellulare con il “wallet” dove sono custoditi i bitcoin, li perde. Si stima che il 20% dei bitcoin estratti siano andati persi per sempre.
Per proteggere gli investitori, le DLT devono garantire continuità del servizio, resistenza agli attacchi informatici, capacità di registrare numeri crescente di operazioni senza significativo peggioramento dei tempi e della qualità del servizio, efficienza dal punto di vista economico e ambientale (“coltivare” criptovalute è piuttosto costoso, il mining richiede un forte consumo di energia).
Ma allora cosa possiamo concludere? I problemi emergenti dalla crescente diffusione delle criptovalute sono di due tipi: se esse diventano forme di pagamento al pari delle monete tradizionali si pone un problema di stabilità monetaria e di controllo da parte delle banche centrali; se invece rappresentano una forma di investimento, si pone un problema di tutela del risparmio.
E, a questo punto, il mondo delle criptovalute sembra aver tradito il sogno dei suoi creatori di affidarsi all’autoregolamentazione, se è vero che si è sviluppato in modo molto diverso da quello immaginato e rivendicato dai suoi fondatori. Oggi la stragrande maggioranza delle transazioni delle criptovalute viene effettuata “off-chain”, cioè fuori dalle blockchain e un ruolo fondamentale negli scambi e nella custodia delle criptovalute la giocano proprio quegli intermediari e quei mercati, che nella originaria visione utopica dovevano scomparire.
6. Le criptovalute sono dunque tornate proprio su quei mercati da cui garantivano di voler sfuggire, e questo perché, molto semplicemente, i mercati tradizionali si sono rivelati più̀ convenienti: richiedono meno competenze; sprecano molta meno energia per effettuare le transazioni; permettono di trovare più̀ facilmente controparti interessate agli acquisti e alle vendite. I mercati centralizzati, come gli intermediari (middle man), aiutano anche gli scambi perché́ inducono – o almeno dovrebbero indurre – fiducia nelle controparti e nei processi di negoziazione. Acquirenti e venditori che non si conoscono si affidano ai mercati per operare le loro transazioni perché́ li ritengono più̀ capaci di selezionare controparti affidabili. I grossi mercati centralizzati dovrebbero offrire sicurezza e garantire il monitoraggio sulla regolarità delle operazioni e sulla custodia degli asset.
Allora le regole servono: ma la rivoluzione del Fintech pone un problema. I prodotti non sono quasi mai riconducibili alle tradizionali categorie economiche e giuridiche della regolamentazione; spesso i soggetti che li offrono non sono fisicamente collocabili in un luogo, ma esistono solo sul web. Chi può controllare, con quali strumenti, in base a quali poteri giurisdizionali? I protagonisti del Fintech sostengono di non essere riconducibili ad alcuna delle categorie della normativa tradizionale e dunque ritengono che le Autorità non abbiano poteri per intervenire. Oggi nel Fintech gli investitori sono costretti ad agire a proprio rischio e pericolo: il principio è ancora il caveat emptor del diritto romano; è il compratore il primo a dover stare in guardia, a controllare quel che compra[26].
Le Autorità mondiali – banche centrali e organi di vigilanza sui mercati – hanno inizialmente scelto la strada di non porre ostacoli all’innovazione e di essere neutrali rispetto alle tecnologie. Hanno perferito giocare di rimessa, intervenendo solo quando i nuovi prodotti ricadevano nelle regole della finanza tradizionale o quando venivano violate delle norme.
Oggi però, davanti al rischio di un ricorso predatorio ai cripto-asset favorito dall’assenza di una regolamentazione internazionale, gli ordinamenti stanno cercando di sviluppare risposte regolatorie efficaci, anche perché, vista l’interconnessione col sistema finanziario tradizionale, la veloce evoluzione dei mercati dei cripto-asset e le dimensioni della relativa capitalizzazione arrivano a minacciare la stabilità finanziaria globale[27]. Tuttavia, non è semplice inquadrare questi meccanismi nella regolamentazione esistente[28], perché «la rilevanza della componente tecnologica e degli stessi fornitori di tecnologia realizza una sorta di “governance algoritmica” che scardina gli schemi di governo tradizionali»[29]. Inoltre, come correttamente osservato[30], i fornitori di tecnologia non sono più, come in passato, necessariamente compresi nel perimetro di applicazione delle norme affidate alla competenza delle Autorità di settore. Come sottolineato dalla Banca d’Italia[31], oggi le cripto-attività non sono soggette alle norme in materia di trasparenza dei prodotti bancari, dei servizi di pagamento e dei servizi di investimento e sono sprovviste di specifiche protezioni. E attenzione: quando crescono le connessioni tra la finanza tradizionale e quella che si avvale di tecnologie decentralizzate, si creano certamente nuove opportunità di business, ma anche maggiori occasioni di contagio tra i due ecosistemi.
Emerge dunque un deficit di potere regolamentare: le sfide poste dall’innovazione tecnologica vanno affrontate integrando l’approccio normativo tradizionale per ricomprendere i fenomeni finanziari innovativi al di fuori del tradizionale perimetro di regolamentazione e sorveglianza e dunque per ricomprendere anche i fornitori dell’infrastruttura tecnologica – in considerazione della loro specifica attività e non solo in ragione della possibile relazione con operatori vigilati – tra i soggetti destinatari di indicazioni e best practices, in un quadro di riferimento che contempli anche la c.d. “soft regulation”.
È importante che gli investitori siano consapevoli del rischio di perdita anche totale del capitale investito, di frodi ed errori e della mancanza di forme di tutela a loro disposizione. È importante che comprendano che vi sono criptoattività totalmente prive di valore intrinseco, non assistite da diritti di rimborso e non idonee a svolgere una funzione di pagamento o di investimento proprio in virtù della loro natura altamente rischiosa. La clientela più esposta, e dunque da proteggere, è rappresentata proprio dai piccoli investitori, il mondo maggiormente attratto dalla disintermediazione offerta dalle criptovalute e al tempo stesso maggiormente esposto ai rischi di pubblicità ingannevole, effettuata anche tramite i social media e gli influencers, e alle proposte di investimento che garantiscono elevati rendimenti. Chi non è in possesso delle nozioni di base per accedere a forme di risparmio rischiose può trovarsi a perdere i propri risparmi con la stessa velocità e violenza di una slot machine.
Il mercato delle criptovalute potrebbe generare lo stesso tipo di disuguaglianze tuttora generate dai mercati finanziari, dove è dimostrata l’esistenza di un nesso causale tra reddito e rendimento sugli investimenti[32]. Ecco perché è importante regolare questo nuovo mercato: un nuovo assetto di regole, fatto anche di soft regulation, dovrebbe servire a tutelare gli investitori più esposti sulla frontiera più veloce dell’innovazione, il nuovo far west che si apre oltre la linea di confine delle norme esistenti[33].
(*) Testo, con l’aggiunta delle note, della relazione svolta dall’Autrice al webinar “In-Visibili: poteri, dati e modelli di business nella digitalizzazione tributaria”, organizzato dall’Università degli Studi di Torino e svoltosi il 14 aprile 2023.
[1] Sui diversi atteggiamenti assunti di fronte alle realtà cripto valutarie dal legislatore, incerto se isolarle, cioè ignorarle, regolarle in modo specifico o integrarle nella normativa vigente attraverso un processo di adattamento cfr. Caponera A. – Gola C., Aspetti economici e regolamentari delle “cripto-attività”, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), Banca d’Italia, 484/2019, 5 ss. Per il settore tributario si veda Del Federico L., La digital economy ed il sistema tributario: considerazioni introduttive, in Del Federico L. – Ricci C., La Digital economy nel sistema tributario italiano ed europeo, Padova, 2015, 7.
[2] Cfr. da ultimo Fransoni G. (a cura di), L’analogia nel diritto tributario, Bari, 2020.
[3] Sulla reazione del sistema europeo e, in particolare, dell’’ordinamento tributario italiano alla diffusione delle criptovalute e delle criptoattività cfr. Capaccioli S., Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Milano, 2015; Id., Cripto-attività, cripto-valute ed IVA, in Ragucci G. (a cura di), Fisco digitale. Cripto-attività, protezione dei dati, controlli algoritmici, Torino, 2023, 33 ss.; Mignarri E., Bitcoin e criptovalute: il trattamento fiscale delle valute virtuali, in Bancaria, 2018, 7/8, 56 ss.; Giorgi S., Cripto-attività tra “polimorfismo” e dubbi qualificatori in materia fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, XI, 499 ss.; Salvini L., La dimensione valutaria dell’economia digitale: le criptovalute, in Carpentieri L. (a cura di), Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, 165 ss.; Pierro M.C., La qualificazione giuridica e il trattamento fiscale delle criptovalute, in Riv. dir. trib., 2020, 2, I, 103 ss.; Id., Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rass. trib., 2022, 3, 574 ss.; Id., Le cripto-attività e l’imposizione diretta dopo la legge di bilancio 2023, in Ragucci G. (a cura di), Fisco digitale. Cripto-attività, protezione dei dati, controlli algoritmici, cit., 25 ss.; Escalar G., Il regime fiscale dei redditi delle criptovalute conseguiti dai privati, in Corr. trib., 2021, 10, 835 ss.; Iaia R., Imponibilità e disciplina delle operazioni di cambio e pagamento con criptomonete nel sistema europeo dell’IVA, in Riv. dir. trib., 2021, 4, I, 273 ss.; Mastellone P., Redditi derivanti da operazioni in criptovalute: profili di fiscalità sostanziale e adempimenti dichiarativi dei contribuenti, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, VIII, 870 ss.; Leo M., La necessità di regole più chiare sulla tassazione delle criptovalute, in Corr. trib., 2022, 10, 867 ss.; Funari A., Osservazioni (de iure condendo) in tema di tassazione diretta delle criptovalute, in Giur. imp., 2022, 4, 74 ss.
[4] Cfr. Uricchio A.F., Le frontiere dell’imposizione tra evoluzione tecnologica e nuovi assetti istituzionali, Bari, 2010; Carpentieri L. – Micossi S. – P. Parascandolo P., Tassazione d’impresa ed economia digitale, Note e Studi (Assonime), 2019, 6.
[5] Sia consentito rinviare, anche per più ampi riferimenti bibliografici, a Carpentieri L., La crisi del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese multinazionali, in Riv. dir. trib., 2018, 4, I, 383 ss.; Id., (a cura di), Profili fiscali dell’economia digitale, cit.; Id., La deriva dei territori e le nuove vie per il coordinamento della tassazione societaria, in Riv. trim. dir. trib., 2022, 1, 7 ss.; Giovannini A., Territorio invisibile e capacità contributiva nella digital economy, in Riv. dir. trib., 2022, 5, I, 497 ss.
[6] Cfr. Ammannati L., I “signori” nell’era dell’algoritmo, in Dir. pubbl., 2021, 2, 381 ss.; Di Gaspare G., Poteri privati e Corporation nella globalizzazione, in Dir. pubbl., 2021, 2, 847 ss.
[7] Cfr. Cipollina S., Terzo millennio, post globalizzazione e stabile organizzazione. Quale tassazione per i GAFA?, in Mastroiacovo V. – Melis G. (a cura di), I limiti dimensionali della capacità contributiva nella digital economy, Atti del Convegno Il diritto costituzionale tributario nella prospettiva del terzo millennio, Torino, 2022, 201 ss.
[8] Almeno da quando è stato abbandonato il c.d. Gold standard, sistema finanziario e monetario per la regolamentazione dell’economia mondiale, nato in Inghilterra nell’800 con l’affermazione del capitalismo e unicamente legato all’oro. Il Gold standard, che ha regolato le relazioni economiche internazionali dal 1870 al 1914, prevedeva un rapporto preciso tra valuta in circolazione e oro immagazzinato e introduceva un rapporto di cambi fissi tra le diverse valute nazionali; venne abbandonato con la Prima guerra mondiale, quando molti Paesi, a causa dell’eccessiva emissione di denaro per le spese di guerra e della scarsità dell’oro, si trovarono in difficoltà nel garantire la diretta corrispondenza tra quantità d’oro detenuta e banconote in circolazione.
[9] Nel 2008 Satoshi Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, in www.bitcoin.org evidenziava: «What is needed is an electronic payment system based on cryptographjc proof instead of trust, allowing any two willing parties to transact directly with each other without the need for a trusted third party».
[10] La blockchain è la tecnologia che affida un determinato processo all’algoritmo. L’algoritmo governa una rete di computer tra loro indipendenti che, validando a maggioranza una determinata operazione attraverso la risoluzione di altri algoritmi, aggiunge un blocco indelebile alla catena registrata su tutti i computer che partecipano all’operazione di validazione. Sul funzionamento della blockchain e della tecnologia dei registri distribuiti (cd. Distributed Ledger Technology, DLT) sia consentito rinviare a Garavaglia R., Finalità, funzionamento e tipologia di utilizzi delle Blockchain, in Maimeri F. – Mancini M. (a cura di), Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento tra PSD 2, criptovalute e rivoluzione digitale, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, settembre 2019, 87, 163 ss.
[11] In questo senso Ghidini G. – Girino E., Criptovalute, criptoattività, regole e concorrenza: la ricerca imperfetta di un equilibrio perfetto, in Falce V. (a cura di), Financial Innovation tra disintermediazione e mercato, Torino, 2021, 63 ss.; Capriglione F., Le criptoattività tra innovazione tecnologica ed esigenze regolamentari, in Riv. trim. dir. econ., 2022, 3, I, 225 ss.
[12] Su questo aspetto cfr. Caponera A. – Gola C.,, Aspetti economici e regolamentari, cit., 12-13.
[13] Cfr. Boeri T. – Perotti R., Frodi, furti e crac improvvisi. Il grande bluff delle criptovalute, in La Repubblica, 30 gennaio 2023.
[14] Sul tema cfr. Dahlberg L., Cyberlibertarianism, in Oxford Research Encyclopedia of Communication, New York, 2017.
[15] Nel settembre 2021 El Salvador è stato il primo Paese a riconoscere al bitcoin valore di moneta a corso legale quale mezzo di pagamento (unitamente al dollaro USA), seguito poi dalla Repubblica Centrafricana.
[16] «Un gioco d’azzardo mascherato da bene di investimento» che ha determinato la bolla speculativa di un’intera generazione; così Donato L., Cripto-asset e banche. Rischi per la stabilità finanziaria e regolamentazione, in Bancaria, 2023, 5.
[17] La vicenda è descritta, tra le altre, da Mackay C., nel suo testo Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds, Richard Bentley ed., London, 1841, spesso citato come il miglior libro mai scritto sulla psicologia del mercato. Sulla bolla dei tulipani, prima bolla speculativa documentata, v. anche Dash M., Tulipomania: The Story of the World’s Most Coveted Flower and the Extraordinary Passions It Aroused, Crown ed., 2001 e Goldgar A., Tulipmania: Money, Honor and Knowledge in the Dutch Golden Age, University Chicago Press, 2007.
[18] A metà dell’800 Alessandro Dumas scriverà un romanzo intitolato Il tulipano nero, basato proprio sulla “bolla” dei tulipani: la storia di un medico che investe enormi somme di denaro per riuscire ad ottenere l’impossibile tulipano nero, per il quale la città di Harleem offriva un ricchissimo premio di centomila fiorini.
[19] Riprodotto dal pittore Franciscus De Geest nel florilegio Hortus Amoenissimus, un manoscritto costituito da duecento pagine di fiori acquarellati pubblicato nel 1668.
[20]La milizia civica del capitano Frans Banning Cocq, più conosciuto col nome di Ronda di notte.
[21] A Satire of Tulip Mania, c. 1640. Nella tela si vedono investitori, venditori e compratori di tulipani, rappresentati come scimmie vestite con abiti olandesi tipici del XVII secolo, che consultano le liste dei tulipani rari, scambiano e contano denaro, pesano i bulbi e firmano contratti di vendita. Sulla destra è rappresentata una scimmia che urina sui tulipani appena sfioriti e che dunque hanno perduto ogni valore.
[22] Cfr. Donato L., Cripto-asset e banche. Rischi per la stabilità finanziaria e regolamentazione, cit.
[23] È vero che anche le monete tradizionali sono sostenute dalla fiducia collettiva e che, se questa fiducia venisse meno, potrebbero non essere più accettate nelle rispettive giurisdizioni. L’ultima volta che ciò è accaduto, almeno in parte, in un Paese industrializzato, è durante l’iperinflazione tedesca degli anni ‘20, quando molte transazioni avvenivano in dollari: chi poteva evitava di essere pagato in marchi, monete che perdevano valore di ora in ora (un dollaro “costava” un milione di marchi). È il fenomeno della dollarizzazione: gli abitanti di un Paese utilizzano la valuta emessa da uno Stato straniero in parallelo o in sostituzione della propria. Oggi è comune a diverse economie sudamericane (Ecuador, Panama, El Salvador) e si verifica in periodi di altissima inflazione, evenienza che tutte le banche centrali delle economie avanzate del dopoguerra sono riuscite ad evitare.
[24] Come osservato da Cipollone P., Crypto-assets e questioni legate alla digitalizzazione della finanza, in Astrid Rassegna, 2022, 16, «le distributed ledger technologies offrono agli utilizzatori la possibilità di interagire tra loro anche in assenza di fiducia reciproca e senza il coinvolgimento di intermediari; ne derivano maggiore efficienza, minori costi e tempi di esecuzione ma, al contempo, una evidente difficoltà nel riportare a modelli “diffusi” e “disintermediati” paradigmi tradizionali che si basano su attività e soggetti tipizzati (si pensi alla governance o alla disciplina delle responsabilità)».
[25] Mt. Gox, sito giapponese per lo scambio di criptovalute nato nel 2010 e che nel 2014 era arrivato a gestire oltre il 70% di tutte le transazioni in bitcoin al mondo, ha dovuto chiudere dopo essere stato hackerato con perdite per 450 milioni di dollari che hanno azzerato i conti di migliaia di utenti ignari. Nel 2022 gli hackers hanno rubato la criptovaluta di Binance, il più importante exchange di criptovalute al mondo, per un equivalente di 570 milioni di dollari; si sono inseriti nei pertugi aperti quando si trasferiscono le cripto tra una blockchain e l’altra percorrendo un “ponte” che collega due diverse catene. È ancora del novembre 2022 il crollo di Ftx, secondo exchange al mondo di criptovalute con sede alle Bahamas e oltre un milione di utenti.
[26] È questa la situazione che ha portato Gary Gensler (presidente della Securities and Exchange Commission) ad affermare che le criptovalute sono l’odierno “wild west”.
[27] Anche il Fondo Monetario internazionale ha in più occasioni sottolineato i rischi associati all’utilizzo dei bitcoin per la stabilità finanziaria e la protezione dei piccoli risparmiatori, accusando le criptovalute di calamitare risorse dai Paesi emergenti destabilizzandoli; v. FMI, Crypto, Corruption and Capital Controls: Cross-Country Correlations, Working Paper, marzo 2022. Sul tema altresì Donato L., Cripto-asset e banche. Rischi per la stabilità finanziaria e regolamentazione, cit.
[28] Un chiaro esempio emerge dall’esame delle disposizioni della nostra Legge di Bilancio per il 2023 che hanno tentato di dare una definizione normativa di cripto attività e di disegnarne il regime fiscale. Non è questa la sede per trattare compiutamente il tema, ma numerose sono le criticità già sollevate dalla dottrina in ordine a questa nuova disciplina fiscale.
[29] Così la Comunicazione della Banca d’Italia in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività, giugno 2022.
[30] Cfr. Cipollone P., Crypto-assets e questioni legate alla digitalizzazione della finanza, cit.
[31] V. Comunicazione citata nella precedente nota 20.
[32] Cfr. Fagereng A. – Guiso L. – Malacrino D. – Pistaferri L., Heterogeneity and Persistence in Returns to Wealth, Econometrica, Gennaio 2020, 115 ss.
[33] Cfr. Panetta F., Crypto dominos: the bursting crypto bubbles and the destiny of digital finance, London Business School, dicembre 2022.
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