Revisione della L. n. 212/2000 ed effetti degli atti dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei coobbligati in solido

Di Andrea Fedele -

Abstract

Nel saggio si analizzano gli effetti dell’inserimento dell’art. 7-sexies, comma 3, nello Statuto del Contribuente (in attuazione della legge delega di riforma fiscale) in tema di coobbligati in solido alla luce anche del conflitto esistente nella giurisprudenza di legittimità.

Revision of Law no. 212/2000 and effects of the acts of the tax Administration towards jointly and severally liable parties. – The essay analyzes the effects of the new art. 7-sexies, paragraph 3, (implementing the tax reform enabling law) on the subject of jointly and severally liable parties also in light of the conflict existing in the legitimacy jurisprudence.

Sommario: 1. I punti fermi e le progressive incertezze in tema di coobbligazione solidale in materia tributaria, dopo la dichiarazione di incostituzionalità della c.d. supersolidarietà. – 2. Sulle ragioni che portano a escludere ogni efficacia interpretativa al terzo comma del nuovo art. 7-sexies dello Statuto. – 3. Il potenziale innovativo della disposizione: l’inapplicabilità della regola di cui all’art. 1310 c.c. alla coobbligazione solidale fra i soggetti tenuti al pagamento del tributo. – 4. Si esclude che, nell’intento del legislatore, ma anche in ragione della formulazione testuale, la disposizione costituisca principio generale e abbia valenza sistematica o, tanto meno, interpretativa. – 5. Sulle conseguenze del nuovo assetto per gli atti impositivi notificati prima e dopo l’entrata in vigore della novella: il permanere per i primi del conflitto interpretativo in ordine all’estensibilità dell’art. 1310 c.c. all’impedimento della decadenza.

1. Fra le modifiche apportate, in attuazione della legge delega n. 111/2023, allo Statuto dei diritti del contribuente si segnala una disposizione di notevole interesse: il comma 3 del nuovo art. 7-sexies, inserito dall’art. 1, comma 1, lett. g), D. Lgs. n. 219/2023, dispone: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, gli effetti della notificazione, ivi compresi quelli interruttivi, sospensivi o impeditivi, si producono solo nei confronti del destinatario e non si estendono ai terzi, ivi compresi i coobbligati».

Come è noto, dopo la dichiarazione di incostituzionalità della costruzione giurisprudenziale che considerava ciascun coobbligato in solido rappresentante ex lege degli altri (Corte cost. nn. 48/1968 e 139/1968), la giurisprudenza si è orientata a conformare la disciplina dei rapporti fra ente impositore e coobbligati in solido al pagamento del tributo a quella dettata, nel codice civile, dagli artt. 1292 e seguenti (cfr., ad esempio, Cass. Sez. Un., n. 2580/1973).

In particolare, sulla base di un suggerimento, originariamente assai cauto, della stessa Corte costituzionale, si ritenne di applicare alle obbligazioni tributarie l’art. 1310 c.c., che estende a tutti gli obbligati in solido gli effetti dell’interruzione della prescrizione conseguente ad un atto posto in essere nei confronti di uno solo di essi. Seguendo un’interpretazione assai discutibile (e contestata dalla maggioranza della dottrina), la Cassazione affermò che l’art. 1310 c.c. opera non solo con riguardo all’interruzione della prescrizione ma anche rispetto all’impedimento della decadenza – e, come è noto, a termini di decadenza è soggetta l’emanazione della maggior parte degli atti dell’Amministrazione finanziaria (per la conferma della legittimità della soluzione cfr. Corte cost. nn. 118/1969, 214/1974, 8/1975). Ai sensi dell’art. 2967 c.c., impedita la decadenza con la notifica ad uno dei coobbligati, si ritenne iniziasse a decorrere per tutti gli altri il termine ordinario di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c. (ferma restando l’operatività dell’art. 2945 c.c.).

In sostanza, questo orientamento giurisprudenziale forniva all’Amministrazione finanziaria, in luogo degli indubbi vantaggi a lei riconosciuti, in violazione dell’art. 24 Cost., dalla teoria della “supersolidarietà”, termini assai lunghi, dopo la notifica al primo, per reperire e compulsare gli altri coobbligati; era però evidente il pregiudizio così arrecato sia all’interesse dei contribuenti all’osservanza di termini certi, sia a quello, ordinamentale, alla rapidità ed efficienza dell’attività dell’Amministrazione, con compromissione di principi come la certezza del diritto, l’imparzialità ed il buon andamento dell’attività amministrativa (per una sintesi della vicenda giurisprudenziale cfr., da ultimo, Fedele A., Pluralità di obbligati al pagamento dell’imposta in relazione a fattispecie imponibili sostanzialmente unitarie: l’attualità del contributo di Augusto Fantozzi, in Aa.Vv. Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, Pisa, 2020, 3 ss.).

La giurisprudenza è rimasta ferma sulla soluzione così consolidata sino a quando, con due sentenze in materia di responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c., la Cassazione (Sez. 2, nn. 8288/2000 e 16945/2008) ha riconosciuto, con congrua motivazione, l’inestensibilità alla decadenza della regola di cui all’art. 1310 c.c.. In materia tributaria, la stessa Cassazione ha però mantenuto il precedente orientamento (cfr., ad esempio, Sez. V, n. 1463/2016) sino al dicembre 2017, quando la stessa Sez. V (n. 29045/2017) ha aderito al nuovo orientamento della Sez. 2; immediatamente (con ordinanza n. 2545/2018 – pronunziata appena otto giorni dopo la già citata sentenza n. 29845/2017) la Sez. 6 è però andata in contrario avviso, argomentando dalla “specialità della materia tributaria” (per una chiara esposizione della vicenda cfr. il contributo di Farri F., Decadenza dell’Amministrazione finanziaria e residui di supersolidarietà tributaria in Aa.Vv., Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, cit., 49 ss.). Sul conflitto così instaurato (per quanto problematico nelle motivazioni, giacché dalla “specialità” della materia dovrebbe a rigore desumersi l’inapplicabilità dell’art. 1310 c.c.) non sono intervenute le Sezioni Unite; era quindi prevedibile, se non auspicabile, un intervento legislativo di natura interpretativa.

2. La disposizione sopra riportata appare invece orientata, sia per la collocazione che per il contenuto testuale, ad escludere ogni efficacia interpretativa.

L’inserimento nel terzo comma del nuovo art. 7-sexies dello Statuto, intitolato «Vizi delle notificazioni», non trova, in realtà, una razionale giustificazione: l’effettuazione della notifica ad un coobbligato e non agli altri (“terzi” rispetto alla notifica), non implica alcun vizio della notificazione stessa, per sua natura rivolta ad un destinatario. Piuttosto, un profilo di non conformità al paradigma legale, potrebbe essere rilevato nei confronti dell’atto oggetto di notifica, del quale risulta carente una condizione di efficacia (che la carenza della notifica importi inefficacia di questi atti recettizi è comunque pacifico e risulta oggi testualmente dal comma secondo del medesimo articolo dello Statuto, relativo alla sua inesistenza, qui assunta come “vizio”).

Se però si intendesse valorizzare in questo senso la collocazione del testo in esame, si dovrebbe accettare una premessa, non esplicitata in giurisprudenza, ma di cui sono personalmente convinto: in virtù dei principi che regolano l’azione amministrativa, quando il concorso alle pubbliche spese è dovuto da più soggetti, in solido, in ragione di un unico presupposto del tributo, l’Amministrazione deve determinare contestualmente e nei confronti di ciascuno di essi, secondo la relazione con l’unico fatto, il contenuto della prestazione dovuta. In pratica, l’attività di controllo ed accertamento va svolta unitariamente nei confronti di tutti i coobbligati e deve concludersi con un unico atto che di ciascuno stabilisca il rapporto con la fattispecie imponibile in virtù del quale è tenuto in solido (questo modello di atto plurimo è già delineato in previsioni testuali: cfr. l’art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990). La necessaria unicità dell’atto ha evidenti implicazioni in termini di diritto di accesso agli atti e di partecipazione (artt. 1, comma 3-bis, e 6-bis Statuto), non incide sulla struttura della sua notificazione, per sua natura rivolta ad un unico soggetto, ma comporta l’integrazione dell’efficacia dell’atto stesso, in quanto recettizio, nei confronti dei singoli coobbligati via via che si perfezionano (a mio avviso nell’unico termine di decadenza) le procedure delle notifiche nei loro confronti. In tal modo (e rinviando a più approfondite considerazioni il più complesso tema della rilevanza della mancata considerazione di alcuno dei coobbligati in quanto “vizio” dell’atto) potrebbero dirsi soddisfatte le esigenze e tutelati i principi regolatori dell’attività amministrativa evocati sia dalla stessa Amministrazione (circ. 30 novembre 1968, n. 55/211778) sia dalla Corte costituzionale nelle numerose sentenze in argomento.

3. A questo punto, tornando al testo del comma 3 dell’art. 7-sexies dello Statuto, potrebbe dirsi che “gli effetti della notificazione” sono in realtà gli effetti dell’atto notificato, la cui efficacia è integrata dalla notificazione (utilizzando lo schema della fattispecie complessa a formazione soggettiva, l’atto è la componente che specifica l’effetto), e che i “terzi”, cui gli effetti non si “estendono”, sono tutti coloro (inclusi, ovviamente, i coobbligati) ai quali la notifica non è stata effettuata (si tratterebbe qui di totale carenza, non di mero “vizio” della stessa). Si precisa poi che «si producono solo nei confronti del destinatario e non si estendono» ad altri «ivi inclusi i coobbligati» tutti gli effetti (come si è detto, dell’atto notificato) «ivi compresi quelli interruttivi, sospensivi od impeditivi».

Il potenziale innovativo della disposizione in termini di efficacia normativa è soprattutto in quest’ultima precisazione: mentre è conforme ai principi (in particolare all’art. 24 Cost.) che gli effetti degli atti recettizi dell’Amministrazione si verifichino solo nei confronti dei soggetti cui sono notificati, l’art. 1310 c.c. prevede espressamente che gli atti interruttivi della prescrizione compiuti dal creditore nei confronti di uno dei creditori in solido “hanno effetto” riguardo agli altri ed appunto in ordine a tale previsione è nata la vicenda giurisprudenziale addietro accennata. Dunque, l’entrata in vigore del comma 3 del nuovo art. 7-sexies dello Statuto esclude totalmente l’applicazione della regola di cui all’art. 1310 c.c. alla coobbligazione solidale fra i soggetti tenuti al pagamento del tributo, innovando rispetto al “diritto vivente” che tale applicazione riteneva sistematicamente certa, essendo discussa solo l’operatività della regola anche rispetto alla decadenza.

4. Il legislatore era evidentemente interessato a sottolineare la natura innovativa e non interpretativa del suo intervento, così da evitare le conseguenze negative per l’ Amministrazione finanziaria in relazione agli atti in precedenza già notificati attinenti a rapporti non ancora definiti ed, in particolare, ai giudizi in corso. Si spiega così la scelta di non intervenire sul solo tema controverso dell’impedimento della decadenza, ma di precludere l’operatività stessa dell’unica norma del codice civile che prevede l’estensione ai coobbligati di effetti pregiudizievoli dell’atto compiuto dal creditore nei confronti di uno dei condebitori. L’espressa menzione della natura non retroattiva si prospetta come indice decisivo ed insieme conseguenza naturale dell’efficacia innovativa dell’intervento.

Piuttosto anomalo è invece l’inserimento della relativa formula «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione» nel testo del terzo comma dell’art. 7-sexies dello Statuto invece che nel comma 1 dell’art. 2 D.Lgs. n. 219/2023, ove sarebbe la sua collocazione naturale (e sono state inserite previsioni circa il momento dell’entrata in vigore di altre disposizioni del D.Lgs. medesimo).

Si è così creata una disposizione dello Statuto che include nel testo l’indicazione di un momento iniziale dell’efficacia, e ciò non si attaglia all’enunciazione di un “principio generale” dell’ordinamento tributario, attuativo delle norme costituzionali, dei principi unionali e della CEDU.

In effetti è proprio l’inserimento nello Statuto dei diritti del contribuente che risulta incongruo per questa disposizione, che sicuramente il legislatore non intendeva, per le ragioni già esposte, far assurgere a «criterio interpretativo della legislazione tributaria» (art. 1, comma 1, Statuto), in quanto tale tendenzialmente operativo anche per il passato.

Si deve quindi concludere che, nell’intento del legislatore ma anche in ragione della formulazione testuale, la disposizione stessa (come probabilmente altre nello Statuto) non costituisce principio generale e non ha valenza sistematica o, tanto meno, interpretativa. Di ciò si dovrà tener conto nel valutarne le implicazioni rispetto a temi più generali, come, ad esempio, l’applicabilità, in via diretta od analogica, delle norme del codice civile ai rapporti tributari o la pretesa “specialità” della relativa disciplina.

5. Dunque, a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 219/2023 (18 gennaio 2024) atti dell’accertamento o della riscossione dopo tale data notificati ad uno dei coobbligati in solido non impediscono la decadenza dell’Agenzia delle Entrate dal potere di emanare analoghi atti nei confronti degli altri e neppure interrompono termini di prescrizione eventualmente decorrenti nei rapporti con gli stessi; ciò anche se l’atto notificato è stato formato dall’Ufficio in data anteriore alla già indicata data di entrata in vigore.

Per gli atti notificati in precedenza la nuova disposizione non modifica in alcun modo il precedente assetto normativo, né può incidere sulla scelta tra i contrapposti orientamenti interpretativi. Infatti l’esplicita limitazione dell’efficacia normativa al futuro esclude, come si è detto, la valenza della norma come criterio interpretativo (criterio che risulterebbe comunque favorevole al contribuente, in quanto escluderebbe totalmente l’operatività dell’art. 1310 c.c.). Ma non può neppure ammettersi un ragionamento a contrario, che dalla nuova regola deduca la precedente vigenza della regola opposta, poiché in tal modo si attribuirebbe alla modifica dello Statuto una valenza interpretativa implicita, in violazione (o forse con elusione) del principio ribadito all’art. 1, comma 2, dello stesso Statuto, principio che sicuramente vale come criterio interpretativo, ancor più vincolante se riferito a porzione del medesimo atto normativo.

Resta pertanto ferma, a mio avviso, sulla base di un orientamento giurisprudenziale consolidato da mezzo secolo e confermato dalla prevalente dottrina, l’operatività, per gli atti in precedenza notificati, dell’art. 1310 c.c. e risulta tuttora irrisolto il conflitto interpretativo in ordine all’estensibilità di tale norma all’impedimento della decadenza. Spetta alla Cassazione, delle cui Sezioni Unite è auspicabile un prossimo intervento, risolvere tale conflitto, senza che l’intervento legislativo qui considerato possa in alcun modo pregiudicare la soluzione.

 

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