Il potenziamento dell’adempimento collaborativo: qualche suggerimento per interventi in corsa
Di Marco Lio
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Abstract
La legge delega per la riforma fiscale, prima, e lo schema di decreto delegato, poi, approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 novembre 2023, prevedono l’attuazione delle previsioni sul potenziamento dell’istituto dell’adempimento collaborativo e sul regime di adozione volontaria del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale. Si propongono alcune riflessioni critiche per rafforzare gli strumenti introdotti.
The enabling law for the tax reform first and the draft delegated decree then, approved by the Council of Ministers on 16 November 2023, provide for the implementation of the provisions on the strengthening of the co-operative compliance institution and on the voluntary adoption regime of the detection, measurement, management and control of tax risk. Some critical reflections are proposed to strengthen the tools introduced.
Sommario: 1. Premessa. – 2. La premialità. – 2.1. Per il superamento della dicotomia fra rischi significativi e non significativi. – 2.2 Sulla mitigazione dei profili penali. – 3. Il ruolo della Guardia di Finanza. – 4. Il regime del Tax Control Framework opzionale. – 5. Conclusione.
1. Il coraggio, per quanto uno non se lo possa dare, occorre fare di tutto per averlo, specie quando si tratta di metter mano alle riforme fiscali. Certamente di coraggio già ne è stato dimostrato molto, nella redazione della legge delega per la riforma fiscale prima (“Legge delega”) e poi dello schema di decreto delegato (“Schema di decreto”), approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri del 16 novembre 2023, per l’attuazione delle previsioni sul potenziamento dell’istituto dell’adempimento collaborativo o co-operative compliance e sul regime di adozione volontaria del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (“Tax Control Framework – TCF”), in assenza dei requisiti dimensionali per l’adesione alla piena cooperazione con il Fisco[1]. La Legge delega, con l’intento di potenziare l’adempimento collaborativo, getta il cuore oltre l’ostacolo, introducendo nel D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 (“Decreto 128”), due elementi di novità chiave, per dare certezza alle imprese che intendano investire nella trasparenza verso il Fisco: i) comprimere significativamente i termini di accertamento[2]; ii) disegnare una premialità rafforzata sul piano sanzionatorio per i contribuenti che vi aderiscono, sino alla disapplicazione tanto dell’impianto sanzionatorio amministrativo tributario, quanto di quello penale tributario. Nelle note che seguono, ci sia consentita qualche spigolatura volta a ulteriormente rafforzare i conseguenti strumenti approntati nello Schema di decreto, a beneficio delle imprese, qualora se ne volesse trarre spunto, nell’iter che, attraverso il passaggio parlamentare, con i pareri obbligatori ma non vincolanti delle competenti Commissioni di Camera e Senato[3], condurrà all’adozione del testo definitivo dell’attuazione della Legge delega in parte qua.
2. Confrontando il tenore letterale della Legge delega con quanto trasfuso nello Schema di decreto, pare a chi scrive che il rafforzamento dell’adempimento collaborativo, sotto il profilo della non punibilità, abbia modo di trovare ulteriori contrafforti, sotto due prospettive: i) superando la dicotomia tra rischio significativo e non significativo, per valorizzare maggiormente il controllo del rischio fiscale che il TCF nel complesso garantisce (par. 2.1); ii) prendendo una posizione pro contribuente più netta sulla scriminante penale (par. 2.2).
2.1 Nella Legge delega, l’esimente, per le sanzioni amministrative, valorizza la comunicazione preventiva, tempestiva ed esauriente all’Autorità fiscale dei rischi fiscali, fatte salve le condotte simulatorie o fraudolente[4]; quanto alla sanzione penale, la scriminante opera, limitatamente al reato di infedele dichiarazione, sempre a condizione della preventiva ed esauriente comunicazione dei relativi rischi fiscali[5]. Nel dare attuazione alle previsioni del legislatore delegante, lo Schema di decreto ha introdotto la dicotomia tra rischi fiscali significativi e non significativi: i) i primi oggetto di interlocuzione con l’Ufficio Adempimento collaborativo, attraverso l’interpello abbreviato o la comunicazione di rischio, presentati prima del termine per la dichiarazione fiscale o del decorso delle relative scadenze[6]; ii) quelli non significativi non portati all’attenzione del Fisco in un’interlocuzione preventiva[7]. Secondo lo Schema di decreto, nel primo caso, sempre che il contribuente adotti un comportamento esattamente corrispondente a quanto rappresentato nel corso delle interlocuzioni con l’Ufficio, viene riconosciuta la non applicazione delle sanzioni amministrative e la non punibilità della condotta di infedele dichiarazione, limitatamente agli elementi attivi sottratti a imposizione. Nel secondo caso, ove i rischi siano stati inclusi nella mappa dei rischi del TCF, viene prevista la riduzione delle sanzioni amministrative alla metà dei minimi edittali, oltre alla sospensione della riscossione sino alla definitività del relativo accertamento.
La dicotomia nasce dal flusso di gestione dei rischi fiscali, regolato dal regime di adempimento collaborativo.
I contribuenti in co-operative compliance, attraverso il TCF, assicurano il controllo del rischio fiscale, mediante la redazione e l’aggiornamento nel continuo della mappa dei rischi fiscali di adempimento, che associa in sequenza i processi aziendali, i rischi di conformità alla normativa tributaria che vi si annidano e le attività svolte dalle funzioni aziendali a mitigazione degli stessi. Al ricorrere di fattispecie di rischio – in particolare: interpretativo – che integrino le soglie di significatività, definite sulla base di una comune valutazione tra Ufficio e contribuente, su quest’ultimo operano i doveri di comunicazione preventiva prescritti per chi aderisce all’adempimento collaborativo[8]. In altre parole: i) quanto alla conformità, i rischi fiscali sono tracciati nella mappa, da aggiornare in maniera continuativa e da condividere con l’Ufficio (disclosure tramite la mappa); ii) quanto al rischio significativo, il contribuente ha l’obbligo di avviare il confronto preventivo con l’Agenzia delle Entrate, sugli elementi costitutivi della fattispecie, al fine di pervenire, ove possibile, ad un orientamento condiviso tra le parti, in merito agli effetti ad essa conseguenti (disclosure tramite le interlocuzioni)[9]. Rispetto al rischio significativo, oggetto di interlocuzioni preventive, è consentito al contribuente di dissentire rispetto all’esito delle analisi svolte dall’Ufficio – esercitando quello che, a livello internazionale, nei regimi di co-operative compliance viene definito come agree to disagree – oltre al fatto che può accadere che gli approfondimenti svolti dall’Ufficio, per fornire risposta all’impresa, si protraggano oltre il termine per l’adempimento da parte del contribuente. In entrambi i casi, si pone il tema del trattamento sanzionatorio, laddove la posizione assunta dall’impresa si discosti da quella dell’Agenzia delle Entrate, comunicata ex ante o fatta propria da quest’ultima ex post rispetto agli adempimenti connessi alla fattispecie concreta.
Nel quadro normativo vigente, tanto per il caso di esercizio dell’agree to disagree, quanto per il caso del protrarsi dell’istruttoria oltre i termini utili per l’adempimento, spetta al contribuente la riduzione delle sanzioni amministrative alla metà dei minimi edittali, con sospensione della relativa riscossione sino all’esito del giudizio[10]. Opera, inoltre, l’integrale disapplicazione delle stesse sanzioni, ove sia stato l’Ufficio ad essersi riservato gli approfondimenti istruttori oltre il termine entro il quale l’impresa avrebbe dovuto svolgere l’adempimento, in caso di difformità tra la posizione assunta dall’Ufficio, all’esito degli stessi approfondimenti, e il comportamento medio tempore tenuto dal contribuente[11]. Con la riforma prospettata nello Schema di decreto, alle posizioni di rischio fiscale significativo – portate in interlocuzione – viene riservata in ogni caso la disapplicazione delle sanzioni amministrative, oltre alla non punibilità del reato di infedele dichiarazione, tuttavia quest’ultima limitatamente ai rischi che si tramutino nella condotta penalmente rilevante di sottrazione di elementi attivi.
A riguardo dei rischi significativi, tuttavia, l’ombrello fornito dallo Schema di decreto non pare fornire una copertura del tutto soddisfacente, sia perché i casi disciplinati sono quelli, pur se non da escludersi in astratto, tuttavia non particolarmente frequenti, in cui il contribuente intenda dissentire dalla soluzione interpretativa offerta dall’Ufficio in esito alle interlocuzioni; sia perché la copertura, in termini penal-tributari è limitata, come confermato dalla relazione illustrativa allo Schema di decreto, ai soli rischi di natura fiscale relativi a elementi attivi, non essendo riconosciuta per violazioni cui siano correlati elementi passivi inesistenti[12]. Venendo al rischio fiscale non significativo, per il quale non viene attivato uno specifico percorso di interlocuzione, nel regime vigente, al contribuente che si ravveda sua sponte di una violazione tributaria commessa (o a cui la stessa venga imputata dall’Amministrazione finanziaria) spetta una riduzione delle sanzioni alla metà dei minimi edittali, con sospensione della relativa riscossione all’esito del contenzioso. Per fruire del beneficio, occorre che il rischio fiscale escluso dagli obblighi di comunicazione preventiva, in quanto non supera i parametri quali-quantitativi convenuti con l’Ufficio, sia stato ricompreso nella mappa dei rischi del TCF, con una chiara indicazione del rischio fiscale associato ai processi e alle attività aziendali e dei controlli posti a presidio dello stesso: la riduzione delle sanzioni opera, in tali casi, sempre in applicazione della previsione contenuta nel Decreto 128 a riguardo dei rischi fiscali comunicati in modo tempestivo ed esauriente, avendo l’Agenzia delle Entrate esteso la preventiva comunicazione dei rischi, valevole a termini di tale disposizione normativa, anche alla predisposizione e condivisione della mappa dei rischi[13]. La novella, sul punto, nel confermare la decurtazione alla metà dei minimi edittali delle sanzioni amministrative, nulla pare aggiungere ad un regime di mitigazione della sanzione cui l’Agenzia delle Entrate era già pervenuta, per gli errori e le violazioni connessi a rischi individuati in modo puntuale nella mappa del TCF e per i quali, all’interno della stessa, siano indicati gli specifici presidi e/o le relative procedure.
Rispetto al quadro fornito dallo Schema di decreto, si suggerisce di arrivare ad un superamento della dicotomia tra rischi significativi e non significativi, quanto al riconoscimento dei benefici sanzionatori.
Si è detto come, già oggi, la mappa dei rischi del TCF sia stata valorizzata dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate quale forma di comunicazione preventiva dei rischi, ai fini della riduzione sanzionatoria vigente. Ben potrebbe la mappa essere opportunamente riconosciuta come idonea ad abilitare la disapplicazione integrale delle sanzioni amministrative per i rischi non significativi, al pari di quanto previsto, per quelli significativi, a seguito della comunicazione di rischio o dell’interpello. Tanto più che, nel passaggio in seconda lettura in Senato della Legge delega, è stato precisato che l’esimente avrebbe operato per “tutti” i rischi fiscali comunicati preventivamente[14], vale a dire sia per i rischi significativi comunicati per il tramite di un interpello o di una comunicazione di rischio – che attivano un’interlocuzione specifica – sia per quelli non significativi, la cui comunicazione si articoli attraverso la predisposizione e trasmissione all’Ufficio di una mappa dei rischi debitamente aggiornata[15]. In questa chiave di lettura, ciò che farebbe premio, per l’impresa, rispetto alle sanzioni, è la disclosure dei rischi, sia attraverso uno strumento che attiva necessariamente il contraddittorio con l’Ufficio, quale l’interpello o la comunicazione di rischio, sia attraverso una comunicazione unilaterale recettizia, quale la notifica della mappa dei rischi aggiornata.
A tal fine, sarebbe sufficiente integrare la formulazione del comma 3 dell’art. 6 del Decreto 128, come novellata dallo Schema di decreto, per prevedere che le sanzioni non si applicano al contribuente che «[…] comunica […] mediante la mappa dei rischi di cui al comma 3-bis, l’interpello di cui al comma 2 ovvero ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera b), i rischi fiscali»[16]. Il comma 3-bis, di conseguenza, potrebbe essere riformulato come segue: «Ai fini del precedente comma, si intendono inclusi tra i rischi di natura fiscale comunicati in modo tempestivo ed esauriente all’Agenzia delle entrate, anche i rischi fiscali relativi a fattispecie escluse dai doveri di comunicazione preventiva in quanto non rientranti nei parametri qualitativi e quantitativi concordati con il contribuente, laddove siano ricompresi nella mappa dei rischi individuati dal sistema di controllo di cui all’articolo 5, comma 2, lettera a)».
2.2. L’ulteriore spunto di riflessione attiene alla copertura dei profili di responsabilità penale.
Si è detto come la Legge delega associ alla comunicazione preventiva ed esauriente dei rischi fiscali, anche l’esclusione delle sanzioni penali tributarie, con riguardo all’infedeltà dichiarativa. La formulazione utilizzata dal legislatore delegato, tuttavia, circoscrive la scriminante: i) ai soli rischi fiscali significativi; ii) unicamente per gli elementi positivi di reddito sottratti a imposizione; iii) attraverso una causa di non punibilità, invece che come vera e propria non sussumibilità della condotta nella norma penale incriminatrice.
Veniamo a qualche dettaglio su questi profili da valutare nei prossimi passaggi della normazione delegata.
2.2.1. Sulla copertura penale dei rischi non significativi
Anzitutto, prendendo le mosse dalla formulazione della Legge delega, preme osservare come l’esimente penale è correlata ad una condotta che si pone, temporalmente, prima della commissione della violazione: la proattiva condivisione del rischio con l’Autorità fiscale, preventiva rispetto all’adempimento prescritto e violato.
D’altro canto, se ci ponessimo a valle della commissione del reato, già opererebbe la causa di non punibilità disegnata dal legislatore, erga omnes, in connessione con la remediation operata dal contribuente, attraverso il pagamento del debito tributario[17]. Se l’impresa dotata di TCF, in esito ai controlli svolti nel piano di monitoraggio, riscontrasse una violazione che integri una condotta di infedele dichiarazione, la regolarizzazione della violazione tributaria mediante ravvedimento operoso comporterebbe altresì la non punibilità del delitto, purché ciò avvenga prima della formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Sul punto, preme evidenziare la necessità di coordinare la causa di non punibilità del reo, con la persistenza della responsabilità dell’ente: nel sistema del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, la non punibilità del reato presupposto – in virtù del compiuto, seppur tardivo, adempimento degli obblighi tributari – non manda l’ente esente da punibilità, in quanto l’art. 8, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001 prescrive che «la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia»[18]. A risolvere questo conflitto potrebbe essere il legislatore delegato, in forza di un’altra previsione contenute nella Legge delega, a riguardo del principio di razionalizzazione del sistema sanzionatorio, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem[19]. Tornando all’esclusione delle sanzioni penali prefigurata dalla Legge delega, se è vero che la stessa è intesa a valorizzare la condotta di disclosure preventiva dei rischi fiscali, attribuendole valore di causa esimente della responsabilità penale, il legislatore delegato la attua introducendo anche in questo caso la dicotomia tra rischi fiscali significativi e non significativi: per come tratteggiata nello Schema di decreto, l’esimente è, infatti, limitata al solo caso dell’esercizio dell’agree to disagree, in esito alle interlocuzioni con l’Ufficio – come detto, caso eventuale e piuttosto remoto – laddove per contro anche la violazione correlata a un rischio non significativo dovrebbe beneficiare della copertura sanzionatoria penale, in presenza di una puntuale mappatura dei rischi.
Melius re perpensa, si potrebbe far operare l’esimente sia per la disclosure tramite interpello o comunicazione di rischio, quanto ai rischi significativi, sia per quella svolta nella ricognizione della mappa dei rischi, quanto a quelli non significativi – anche in questo caso superando la dicotomia tra i primi e i secondi.
2.2.2 Sulla formulazione della scriminante
Se la comunicazione ex ante dei rischi è apprezzata dal legislatore come idonea a fornire la copertura penale rispetto all’infedele dichiarazione, occorre tenere conto che, come detto, per queste stesse violazioni opererebbe comunque la scriminante data dal pagamento delle imposte, valorizzata come scriminante post factum: quest’ultima, peraltro, opera senza alcuna limitazione agli elementi attivi, rispetto a quelli passivi, che invece lo Schema di decreto esclude dall’esimente data dalla disclosure ex ante.
In una possibile rilettura di quanto prefigurato nella Legge delega, la disclosure preventiva (anche ricondotta alla mappa) potrebbe essere qualificata non tanto come causa di non punibilità della sottrazione di elementi attivi – come da formulazione dello Schema di decreto – bensì quale elemento che escluda, in radice, la configurazione della condotta tipizzata nella norma penale incriminatrice, comprendendo tanto gli elementi attivi quanto quelli passivi[20]. Facendo sintesi delle proposte di integrazione di cui si è detto, la formulazione del comma 4, dell’art. 6 del Decreto 128, come novellata dallo Schema di decreto, potrebbe essere sostituita come segue: «Non danno luogo a fatti punibili ai sensi dell’articolo 4 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, le violazioni di norme tributarie dipendenti da rischi di natura fiscale comunicati in modo tempestivo ed esauriente all’Agenzia delle entrate mediante la mappa dei rischi di cui al comma 3-bis, l’interpello di cui al comma 2 ovvero ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera b), prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali o prima del decorso delle relative scadenze fiscali».
3. Un cenno a quella che è sembrata ai più una forzatura all’assetto complessivo derivante dalla delega: l’introduzione di riferimenti espressi alla Guardia di Finanza, nel testo normativo che regola l’adempimento collaborativo, sino ad oggi (apparentemente) impermeabile alle Fiamme Gialle[21]. Lo Schema di decreto, infatti, precipita nel Decreto 128 l’esercizio di poteri istruttori, nei confronti dei contribuenti ammessi al regime, da parte del Corpo. Un possibile allargamento di campo per la Guardia di Finanza era già stato presagito dalla lettura di un dettaglio emerso nel passaggio in seconda lettura al Senato del disegno di legge delega[22]: a fronte dell’ampliamento della platea del regime di adempimento collaborativo e dell’introduzione di meccanismi di accesso abbreviati, per il tramite della certificazione del Tax Control Framework, era stato fatto salvo il potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria e non più della sola Agenzia delle Entrate, come invece previsto nel testo presentato in prima lettura alla Camera[23]. Che le paratie non fossero davvero stagne, rispetto all’azione delle Fiamme Gialle, ad avviso di chi scrive lo si desumeva già nel vigore della (piena) riserva a beneficio dell’Agenzia delle Entrate, contenuta nell’art. 7, comma 1, Decreto 128. La disposizione, che peraltro rimane in vigore anche a seguito della novella contenuta nello Schema di decreto, prevede che «l’Agenzia delle entrate è competente in via esclusiva per i controlli e le attività relativi al regime di adempimento collaborativo, nei riguardi dei contribuenti ammessi al regime». Come anche evidenziato nella relazione illustrativa al Decreto 128, con questa formulazione il legislatore ha inteso sancire la riserva di esclusività, in capo all’Agenzia delle Entrate, sia per la valutazione TCF, sia per lo svolgimento delle interlocuzioni costanti e preventive, che rappresentano la modalità di esercizio anticipato dei poteri di controllo, da parte dell’Autorità fiscale nel contesto del regime di adempimento collaborativo.
Nelle disposizioni adottate per dare attuazione all’adempimento collaborativo, l’Agenzia delle Entrate, con il Provvedimento 26 maggio 2017, n. 101573 (“Provvedimento 2017”), al capo IV («Competenze per i controlli e per le attività relative al regime») paragrafo 10.1, aveva inteso estendere il riferimento alla propria competenza esclusiva, precisando che la stessa riguardasse «il controllo delle dichiarazioni e del corretto adempimento degli altri obblighi tributari cui sono tenuti i contribuenti ammessi al regime di adempimento collaborativo, nonché per le attività relative al predetto regime»[24]. Il Provvedimento 2017, con la formulazione sopra richiamata e come rimarcato ulteriormente dal par. 11.1, intendeva attribuire in via esclusiva all’Ufficio Adempimento collaborativo, incardinato nell’Agenzia delle Entrate, non solo il riscontro dell’operatività del TCF e la gestione delle interlocuzioni preventive – quali «attività relative al predetto regime»[25] – bensì, in modo molto più esteso, l’esercizio dei poteri istruttori, volti ad acquisire dati e notizie utili ai fini del controllo sostanziale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti ammessi al regime: il riferimento è alle attività di «controllo delle dichiarazioni» e «del corretto adempimento degli altri obblighi tributari»[26]. La ratio sottostante un’Agenzia delle Entrate quale interlocutore unico delle imprese in adempimento collaborativo si ispira alle indicazioni dell’OCSE che, nelle elaborazioni sulla relazione collaborativa tra Fisco e contribuenti, ha più volte ribadito la centralità, a fronte della trasparenza del contribuente, di una piena comprensione del business da parte dell’Autorità fiscale, abilitata dalla stabilità della relazione tra le parti[27]. Questa ispirazione traspare nella relazione sullo stato di attuazione del regime di adempimento collaborativo, presentata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al Parlamento, il 28 settembre 2017, ai sensi dell’art. 7, comma 4, Decreto 128[28]. Nel documento, tra l’altro, viene commentato il Provvedimento 2017 adottato dall’Agenzia delle Entrate, il cui capo IV affronta il tema «di centrale importanzaper lo sviluppo dell’istituto» delle competenze per i controlli nei confronti dei soggetti in co-operative compliance: per garantire la «certezza dei comportamenti e degli interlocutori», l’assetto dei poteri declinato nel Provvedimento si ispira ad un sistema «improntato al principio dell’interfaccia unico», radicando presso l’Ufficio Adempimento collaborativo «la competenza, in via esclusiva, per l’esercizio dei poteri istruttori finalizzati all’acquisizione di dati e notizie utili ai fini del controllo sostanziale delle dichiarazioni dei contribuenti ammessi al regime». Di lì a breve, il 27 novembre 2017, la Guardia di Finanza interviene a commento dei confini dell’esclusiva agenziale sui soggetti in adempimento collaborativo. Nella Circolare n. 1/2018, con cui il Corpo presenta il Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, al volume I, parte I, capitolo 5 sulla programmazione delle verifiche, si afferma che le posizioni dei contribuenti in co-operative compliance, in linea di principio, «rivestono un interesse operativo minimo», nella selezione dei soggetti da sottoporre ad attività ispettiva: questo esercizio di self-restraint da parte delle Fiamme Gialle nasce dalla constatazione per cui «la volontà dei contribuenti di accedere a forme privilegiate di dialogo preventivo con l’Amministrazione finanziaria attraverso anche l’adesione al regime dell’adempimento collaborativorappresenta una chiara evidenza di minor rischio fiscale».
Ciò non toglie, ad avviso del Corpo, che l’avvio di controlli su contribuenti in co-operative compliance sia ammissibile, pur se al ricorrere di due condizioni: i) la presenza di gravi e precisi indizi di consistente evasione fiscale o frode; ii) l’attivazione di un coordinamento con l’Agenzia delle Entrate, al fine di escludere conflitti o sovrapposizioni nelle rispettive attività istruttorie. Proprio per garantire le necessarie attività di coordinamento, l’Agenzia delle Entrate comunica alla Guardia di Finanza i nominativi delle imprese che presentano istanza di adesione al regime, come ricordato sia dalla relazione al Parlamento del 28 settembre 2017, sia dalla stessa Circolare n. 1/2018.
Con l’annotazione contenuta nella Circolare n. 1/2018, la Guardia di Finanza ha inteso precisare che eventuali attività istruttorie possano essere svolte dal Corpo, seppure con alcune guarentigie. In questo intervento, pare, dunque, rinviata al mittente l’estensione dell’esclusiva dell’Agenzia delle Entrate anche sui poteri di controllo delle dichiarazioni e degli adempimenti tributari, declinata nel Provvedimento 2017.
In forza della formulazione dell’art. 7, comma 1, Decreto 128, ad avviso di chi scrive, già nel tessuto normativo antecedente allo Schema di decreto, la competenza esclusiva dell’Agenzia delle Entrate doveva intendersi limitata alla gestione del regime di adempimento collaborativo, tanto con riferimento al sistema di controllo del rischio fiscale adottato dalle imprese che intendano entrare in questo percorso, quanto avendo riguardo all’esercizio anticipato dei poteri di controllo attraverso le interlocuzioni preventive. Questa esclusiva è connaturata al fatto che il regime di adempimento collaborativo – secondo l’art. 3, comma 1, Decreto 128 – è un rapporto tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate, senza che in esso possa entrare un terzo attore, quale la Guardia di Finanza.
Diversamente, la formulazione dell’art. 7 richiamato non pare preclusiva di attività di indagine del Corpo, volte a raccogliere elementi e notizie, anche su soggetti in co-operative compliance. In questo senso, il testo dello Schema di decreto – da comprendere quanto opportunamente e, peraltro, quanto non operando extra delega[29] – si limiterebbe a trasfondere espressamente nel testo del Decreto 128 il riconoscimento a beneficio della Guardia di Finanza del potere di acquisizione e reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi e per la repressione delle violazioni delle leggi sulle imposte dirette, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli Uffici, oltre che operando nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria[30]. Resta il fatto che, tuttavia, il testo normativo potrebbe dar conto di ulteriori elementi, che la stessa Guardia di Finanza ha affermato nei propri documenti di prassi. Si potrebbe prevedere che, oltre al necessario coordinamento con l’Agenzia delle Entrate, già inserito nel testo dello Schema di decreto, per l’attivazione dei controlli delle Fiamme Gialle, debba ricorrere l’ulteriore requisito richiamato nella Circolare n. 1/2018: la presenza di gravi e precisi indizi di consistente evasione fiscale o frode, che circoscriverebbero il raggio d’intervento del Corpo, a circostanze limitate, in linea con quanto si è potuto riscontrare, de facto, nel primo lustro di vita del regime di co-operativecompliance[31]. Potrebbe, inoltre, essere utile arricchire l’attuale formulazione del primo comma dell’art. 7 del Decreto 128, precisando a chiare lettere che l’esclusiva agenziale si estende tanto ai controlli sull’operatività del TCF, quanto all’esercizio in via anticipata, anche su iniziativa, degli ordinari poteri di controllo, nell’ambito dell’interlocuzione costante e preventiva.
4. Un’ultima riflessione sul regime del Tax Control Framework opzionale, disegnato dalla Legge delega per i contribuenti che non integrano i requisiti per l’accesso all’adempimento collaborativo e che quindi, a tendere, interessa le PMI italiane, cuore pulsante del nostro tessuto produttivo, con ricavi che non superino la soglia dei cento milioni di euro.
La Legge delega prevede che la volontaria adozione di un efficace TCF e la preventiva comunicazione di un rischio fiscale possa escludere o ridurre l’entità delle sanzioni[32]. La norma è collocata nel paragrafo dell’art. 20 della Legge delega che disciplina gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali, ragione per cui l’intervento del legislatore delegato potrebbe spingersi sino a disporre l’esimente sanzionatoria su entrambi i fronti, a fronte della disclosure preventiva dei rischi fiscali. Nello Schema di decreto, l’ingresso in questo nuovo regime, sotto il profilo sanzionatorio, comporta per l’impresa una mitigazione delle sanzioni amministrative tributarie – ridotte ad un terzo dei minimi edittali – e la non punibilità per il reato di infedele dichiarazione, quanto agli elementi attivi sottratti a imposizione[33]. Questi benefici, tuttavia, operano unicamente in caso di disclosure preventiva delle singole fattispecie di rischio fiscale, attraverso lo strumento dell’interpello. In altre parole, non viene riconosciuto alcun aspetto premiale e nessuna protezione per aver predisposto un Tax Control Framework, peraltro soggetto all’obbligo di certificazione, in conformità al paradigma che sarà prescritto dall’Agenzia delle Entrate. La redazione di una mappa dei rischi fiscali, che rappresenta un connotato necessario del TCF certificato, non comporterebbe neppure la premialità limitata, attualmente riconosciuta dallo Schema di decreto, per i soggetti in adempimento collaborativo (i.e. riduzione alla metà delle sanzioni, per i rischi non significativi, riportati in mappa e non oggetto di specifica interlocuzione).
Lo sforzo dell’impresa nel disegnare ed implementare, nonché mantenere e testare nel tempo, un Tax Control Framework non troverebbe alcun riconoscimento, perché i benefici discenderebbero unicamente dalla presentazione di specifici interpelli sui singoli rischi fiscali. Per contro, la predisposizione di una granulare ricognizione dei rischi fiscali, nella mappa del TCF, e la puntuale rilevazione in essa dei pertinenti controlli, a nulla varrebbe, in termini di benefici per l’impresa, ma si ridurrebbe ad un biglietto di ingresso, da staccare per accedere al regime di penalty protection.
Nell’iter che attende lo Schema di decreto, si auspica possa essere valorizzata, anche per il regime del TCF opzionale, la disclosure preventiva dei rischi fiscali, mediante la condivisione della mappa con l’Agenzia delle Entrate. In tal modo, l’ombrello sanzionatorio opererebbe sui rischi rilevati in mappa, oltre che per quelli che siano condivisi tramite la presentazione dell’interpello[34].
Le proposte di integrazione sul punto potrebbero essere sintetizzate nella seguente riformulazione dell’art. 7-bis, comma 2, Decreto 128, introdotto dallo Schema di decreto: «In caso di esercizio dell’opzione di cui al comma 1, fuori dai casi di violazioni fiscali caratterizzate da condotte simulatorie o fraudolente e tali da pregiudicare il reciproco affidamento tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, non danno luogo all’applicazione delle sanzioni amministrative e non danno luogo a fatti punibili ai sensi dell’articolo 4 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, le violazioni relative a rischi di natura fiscale comunicati preventivamente all’Agenzia delle entrate con la mappa dei rischi di cui all’articolo 6, comma 3-bis, o mediante interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali o prima del decorso delle relative scadenze fiscali».
5. Si è preso l’avvio dall’anelito manzoniano al coraggio. Questo deve essere a due vie.
Le imprese italiane, oggi, devono cogliere sfide ed opportunità della buona governance fiscale, quale connotato del proprio essere imprese sostenibili[35]. Per farlo, pretendano strumenti evoluti e funzionali, che le mettano pienamente al riparo dalle conseguenze patrimoniali e reputazionali delle violazioni della normativa tributaria: nell’abbracciare un percorso di trasparenza e controllo del rischio fiscale, le aziende devono avere il coraggio di investire sia nell’adozione del Tax Control Framework, sia in una relazione rafforzata con il Fisco, attraverso l’adempimento collaborativo.
Il legislatore, nel dare contenuto al percorso di adozione del testo definitivo dello Schema di decreto, valuti quali elementi siano in grado di garantire ai contribuenti una piena osmosi tra trasparenza e certezza. Alcuni punti di attenzione sono stati evidenziati nella presente nota, altri potranno emergere, e dovranno essere indirizzati, dal confronto costante con le imprese, nello spirito virtuoso che la co-operative compliance persegue.
[1] Il riferimento è, rispettivamente, agli artt. 17, comma 1, lett. g), n. 1, e 20, comma 1, lett. a), n. 4, L. 9 agosto 2023, n. 111. Su questi ambiti della Legge delega, ex multis: Marino G., Adempimento collaborativo e dintorni: una sfida culturale che richiede coraggio e fiducia, in il fisco, 2023, 41, 3861 ss.; Dodero A., Nuove opportunità per l’adempimento collaborativo, in il fisco, 2023, 14, 1327 ss.; Lio M. – Macario E., Il Tax Control Framework fattore chiave del nuovo paradigma dei rapporti Fisco-contribuente, in Corr. trib., 2023, 5, 445 ss.
[2] Qui si accenna e per brevità non si commenta oltre il (più) rilevante beneficio concesso dalla novella – ad avviso di chi scrive – disposto dal comma 1, lett. g), n. 1.9.3, della Legge delega ed attuato con l’introduzione, ad opera dello Schema di decreto, del comma 6-bis nell’art. 6 del Decreto 128, che sancisce la riduzione di due anni dei termini per l’esercizio del potere di accertamento, in presenza di TCF certificato. Il comma 6-ter aggiunge l’ulteriore riduzione di un anno, laddove al contribuente sia rilasciata anche la certificazione tributaria, di cui all’art. 36 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Ridurre il termine di accertamento significa non solo e non tanto comprimere lo spazio temporale entro il quale possano essere contestate le scelte fiscali del contribuente, bensì soprattutto limitare le incertezze che derivano dall’utilizzo, in sede di controllo fiscale, a oltre cinque anni data dal calcolo delle imposte, di criteri interpretativi emersi e maturati ben dopo il termine per la presentazione della pertinente dichiarazione.
[3] L’esame parlamentare degli schemi di decreto legislativo è regolato dall’art. 1, commi 2 e 3, della Legge delega. Lo Schema di decreto è stato incardinato in Parlamento in data 5 dicembre 2023, con scadenza per il rilascio dei prescritti pareri fissata al 5 gennaio 2024 (Atto n. 100). L’iter parlamentare potrà essere monitorato al sito: https://www.camera.it/leg19/682?atto=100&tipoAtto=Atto&idLegislatura=19&tab=1.
[4] Si veda l’art. 1, comma 1, lett. g), n. 1.9.1, della Legge delega, che delinea «l’ulteriore riduzione, fino all’eventuale esclusione, delle sanzioni amministrative tributarie per tutti i rischi di natura fiscale comunicati preventivamente, in modo tempestivo ed esauriente» (enfasi aggiunta, per rilevare le modifiche apportate al testo della Legge delega in seconda lettura in Senato).
[5] In tal senso dispone l’art. 1, comma 1, lett. g), n. 1.9.2, della Legge delega, prevedendo «l’esclusione[…] delle sanzioni penali tributarie, con particolare riguardo a quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, nei confronti dei contribuenti aderenti al regime dell’adempimento collaborativo che hanno tenuto comportamenti collaborativi e comunicato preventivamente ed esaurientemente l’esistenza dei relativi rischi fiscali] (enfasi aggiunta, per rilevare le modifiche apportate al testo della Legge delega in seconda lettura in Senato).
[6] La relativa disciplina è contenuta nell’art. 3, commi 3 e 4, Decreto 128, come novellati dall’art. 1, comma 1, lett. c), nn.i 3 e 4, dello Schema di decreto.
[7] Si veda l’art. 3, comma 3-bis, Decreto 128, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 3, dello Schema di decreto.
[8] A termini dell’art. 5, comma 2, lett. b), Decreto 128, il regime di adempimento collaborativo comporta, per i contribuenti, l’impegno a comunicare, in maniera tempestiva ed esauriente, all’Agenzia delle Entrate, i rischi di natura fiscale. Il Provvedimento 2017 ha declinato l’obbligo con riguardo ai rischi fiscali significativi, come definiti al punto 1, lett. j).
[9] Così si esprime, nel definire la “comune valutazione” cui è preordinata l’interlocuzione costante e preventiva tra Fisco e contribuente, nell’ambito del regime, il punto 1, lett. n), del Provvedimento 2017.
[10] L’effetto premiale è sancito dall’art. 6, comma 3, Decreto 128, a termini del quale «per i rischi di natura fiscale comunicati in modo tempestivo ed esauriente all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera b), prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali, se l’Agenzia non condivide la posizione dell’impresa, le sanzioni amministrative applicabili sono ridotte della metà e comunque non possono essere applicate in misura superiore al minimo edittale […]».
[11] La disapplicazione delle sanzioni è sancita dal combinato disposto dei punti 5.5 e 6.1, lett. c), del Provvedimento 2017, che delineano l’esimente sanzionatoria per le c.d. posizioni rinviate. Con la ris. 22 luglio 2021, n. 49/E, l’Agenzia delle Entrate ha inteso circoscrivere i confini entro i quali opera la disapplicazione delle sanzioni amministrative, limitandola: i) alle ipotesi di comunicazione preventiva di rischio del contribuente, rispetto alla quale l’Ufficio, di sua iniziativa, abbia invitato il contribuente al contradditorio, al fine di pervenire a una comune valutazione della fattispecie, da formalizzare in un “Accordo di adempimento collaborativo”; ii) e, più in generale, agli approfondimenti istruttori svolti d’iniziativa da parte dell’Ufficio.
[12] Non è questa la sede per approfondire ulteriormente il tema, sia tuttavia consentito a riguardo ricordare come, nel contesto “Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario”, attuata con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nella definizione della condotta del reato di infedele dichiarazione, il riferimento alla fittizietà degli elementi passivi è stato sostituito con l’inesistenza (art. 4, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 158/2015) e, per contro, inserendo il comma 1-bis nella norma penale incriminatrice, è stata introdotta la scriminante riferita alla non deducibilità, al difetto di inerenza o competenza degli elementi passivi reali (art. 4, comma 1, lett. c).
In questo contesto, nello Schema di decreto, come detto, la causa di non punibilità, correlata alla disclosure nelle interlocuzioni in adempimento collaborativo, è stata delimitata espressamente alle sole violazioni di norme tributarie dipendenti da rischi di natura fiscale relativi a elementi attivi, con l’ulteriore precisazione, contenuta nella relazione illustrativa, per cui la stessa scriminante non opera per gli elementi passivi inesistenti.
[13] Il riferimento normativo è nuovamente l’art. 6, comma 3, Decreto 128, a riguardo del quale il punto 4.5 del Provvedimento 2017 dispone che «le fattispecie che non rientrano nei parametri concordati si intendono escluse dai doveri di comunicazione e i relativi rischi non si considerano significativi. Per gli effetti di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto i rischi fiscali relativi a tali fattispecie si considerano comunque comunicati, se ricompresi nella mappa dei rischi». L’estensione della mitigazione sanzionatoria a quanto ricompreso nella mappa dei rischi ed i limiti connessi alla puntuale rilevazione in essa dei rischi e dei controlli sono ulteriormente precisati dalla ris. n. 49/2021.
[14] Il riferimento è al comma 1, lett. g), n. 1.9.1, della Legge delega, modificato nella lettura in Senato (AS 797-584-A).
[15] Si noti che la mappa dei rischi potrà contenere non solo aspetti di compliance, bensì anche aspetti interpretativi, per cui la protezione sanzionatoria opererebbe trasversalmente rispetto alla classificazione di rischi di adempimento e di rischi interpretativi di cui si è dato conto in precedenza.
[16] Enfasi aggiunta per evidenziare la modifica che si propone di adottare rispetto al testo dello Schema di decreto.
[17] Per i reati dichiarativi, di cui agli artt. 2 e 3, oltre che 4 e 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la causa di non punibilità è prevista dall’art. 13, comma 2, del medesimo decreto. Per i delitti di omesso versamento di ritenute ex art. 10-bis, di IVA ex art. 10-ter o di indebita compensazione ex art. 10-quater – limitatamente al caso del credito non spettante e non anche per l’ipotesi di credito inesistente – la non punibilità è prescritta dal comma 1 del medesimo art. 13.
[18] Sul conflitto tra l’afflato riscossivo del diritto penale tributario e l’impermeabilità della responsabilità degli enti rispetto al ravvedimento operoso, si veda ex multis: Bartoli R., Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sistema penale, 2020, 3, 219; Ingrassia A., Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Dir. pen. proc., 2020, 3, 307; Conte D., L’evoluzione del rapporto Fisco-imprese tra gestione del rischio fiscale e nuova responsabilità degli enti per reati tributari, in Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, 2020, 391; Ravasio S., Mancata estensione delle cause di non punibilità ex art. 13 d.lgs. 74/2000 ed estintive del reato ex art. 334 Tuld agli enti: premialità vanificate per le società che estinguono il debito (ed il reato) tributario e doganale, in La resp. amm. delle soc. e degli enti, 2021, 1, 162; Lio M., Il ravvedimento operoso delle violazioni penalmente rilevanti: il dilemma tra la non punibilità penale della persona fisica e la persistente responsabilità dell’ente, in Riv. dir. trib., 2021, 6, 195 ss.
[19] Art. 20, comma 1, lett. a), n. 1), della Legge delega.
[20] Sul punto, si veda quanto, molto lucidamente, osserva Marino G., Adempimento collaborativo e dintorni: una sfida culturale che richiede coraggio e fiducia, cit., 3866, per il quale occorrerebbe evitare «di attuare la disposizione [della Legge delega] come espressione di una causa di non punibilità» posto che dovrebbe più correttamente prevedersi «l’esclusione della rilevanza penale del fatto di reato, atteso che non è concepibile la rimproverabilità del soggetto agente a titolo di dolo, richiesto dall’art. 4, cit. quale elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice».
[21] Una buona sintesi del pensiero dei detrattori di questa previsione, si trova nel podcast pubblicato da Assonime, il 1° dicembre 2023, dal titolo “La riforma della Cooperative compliance: un passo avanti e due indietro” (https://open.spotify.com/episode/4cW6kdddM3sKPS3T9KwVIZ?si=lRDGqNPrQ9iWlnWatxIBTw)
[22] Il cambio di registro era stato evidenziato in un articolo, pubblicato sul Sole 24 Ore del 1° novembre 2023, a firma di Acerbis F. – Lio M., dal titolo Cooperative compliance, certificazione superflua per le imprese nel regime.
[23] Il riferimento è all’art. 17, comma 1, lett. g), n. 1.3 della Legge delega, ove si prevede di «introdurre la possibilità di certificazione da parte di professionisti qualificati dei sistemi integrati di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale anche in ordine alla loro conformità ai princìpi contabili, fermi restando i poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria» (enfasi aggiunta con riguardo alle modifiche adottate in seconda lettura, in Senato – AS 797-584-A).
[24] Il medesimo principio era stato anticipato dalla circ. 16 settembre 2016, n. 38/E, rispondendo alla domanda numero 10.1.
[25] Secondo il paragrafo 11.1, l’Ufficio ha competenza esclusiva sia per l’esercizio in via anticipata, anche su iniziativa, degli ordinari poteri di controllo, nell’ambito dell’interlocuzione costante e preventiva (lett. a), sia per i controlli sul sistema di controllo interno istituito dai contribuenti ammessi al regime (lett. b).
[26] Il paragrafo 11.1, lett. c), che attribuisce al medesimo Ufficio l’esercizio in via esclusiva dei poteri istruttori di cui agli artt. 32 e 33 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 51, comma 2 e 52 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
[27] I lavori OCSE fanno riferimento alla necessità che l’Autorità fiscale coltivi una profonda comprensione del modello di business dell’impresa (“commercial awareness”), per attuare una forma evoluta di relazione rafforzata, poi trasfusa nella co-operative compliance (OCSE, Co-operative compliance: a framework. From enhanced relationship to co-operative compliance, 2013). Le principali esperienze estere di regimi di co-operative compliance hanno puntato sulla univocità e sulla professionalizzazione dell’interlocutore dei contribuenti, lato Autorità fiscale (ad esempio, nel Compliance Assurance Process degli Stati Uniti d’America, il contribuente è seguito, all’interno del settore Large Business and International del IRS, da un Team Coordinator nella fase di pre-CAP e da un Account Coordinator durante il CAP vero e proprio; analoghe figure sono previste nei regimi olandese e inglese). La necessità di promuovere la cultura della comprensione del business è al centro di diversi passaggi dello stesso Provvedimento 2017, come nei punti 1.1, lett. r), e 4.2, a riguardo dei «funzionari di riferimento» che devono sviluppare «una profonda comprensione delle caratteristiche dell’impresa e delle relative problematiche fiscali».
[28] Si veda il Documento CCLVI, n. 1, depositato in Parlamento – XVII legislatura, consultabile all’indirizzo: https://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/docnonleg/35075.htm.
[29] Una copertura dell’intervento del legislatore delegato, peraltro, potrebbe leggersi nel passaggio in cui la Legge delega richiama, quale contrafforte della novella, i poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria (art. 1, comma 1, lett. g), n. 1.3 della Legge delega, sopra commentato).
[30] La declinazione dei poteri sopra riportata è tratta dalla formulazione degli artt. 33, commi 3 e 4, D.P.R. n. 600/1973, e 63, commi 1 e 2, D.P.R. n. 633/1972, richiamati nel secondo periodo dell’art. 7 Decreto 128, come introdotto dallo Schema di decreto.
[31] Durante il quale, anche in ragione del self-restraint di cui si è detto, non si ha avuto notizia di ispezioni su contribuenti in co-operative compliance condotte dalle Fiamme Gialle, su annualità coperte dal regime.
[32] In tal senso, si veda l’art. 20, comma 1, lett. a), n. 3, della Legge delega.
[33] Art. 7-bis introdotto nel testo del Decreto 128, ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. e) dello Schema di decreto.
[34] Si aggiunge come non sembri, peraltro, del tutto lineare il riconoscimento della riduzione ad un terzo delle sanzioni amministrative, a fronte dell’esimente piena rispetto alle sanzioni penal-tributarie. Né il differente apprezzamento della disclosure parrebbe fondato sulla Legge delega, posto che quest’ultima abilita il legislatore delegato ad escludere ovvero ridurre l’entità delle sanzioni tanto amministrative quanto penali, in caso di adozione volontaria del TCF. Si estendono, infine, all’istituto del TCF volontario le considerazioni sopra formulate a riguardo della perimetrazione della scriminante penale ai soli elementi attivi sottratti a imposizione.
[35] Sul controllo del rischio fiscale quale elemento di buona governance che deve contraddistinguere il profilo ESG dell’impresa sostenibile, si veda la definizione unionale di investimento sostenibile, contenuta nel Regolamento 2019/2088 del 27 novembre 2019 (Sustainable Finance Disclosure Regulation – SFDR), secondo la quale l’impresa ESG deve contribuire ad uno degli obiettivi ambientali o sociali fissati nel medesimo quadro normativo, senza arrecare un danno significativo a nessuno degli stessi, a condizione di operare in conformità alle prassi di buona governance, tra cui è espressamente ricompreso il riferimento al “rispetto degli obblighi fiscali” (art. 2, comma 1, n. 17). Il punto è ulteriormente chiarito dal Final Report sui Minimum Safeguards, di ottobre 2022, della Piattaforma sulla finanza sostenibile, in cui si prescrive come l’azienda si doti di «adequate tax risk management strategies and processes». Su come la buona governance, quale fattore ESG, includa la good tax governance, sia consentito rinviare a Acerbis F. – Lio M., La fiscalità fattore di sostenibilità: good tax governance e ruolo delle funzioni fiscali delle imprese, in il fisco, 2023, 12, 1155 ss.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Acerbis F. – Lio M., Cooperative compliance, certificazione superflua per le imprese nel regime, in Il Sole 24 Ore, 1° novembre 2023
Acerbis F. – Lio M., La fiscalità fattore di sostenibilità: good tax governance e ruolo delle funzioni fiscali delle imprese, in il fisco, 2023, 12, 1155 ss.
Bartoli R., Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sistema penale, 2020, 3, 219 ss.
Conte D., L’evoluzione del rapporto Fisco-imprese tra gestione del rischio fiscale e nuova responsabilità degli enti per reati tributari, in Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, 2020, 391 ss.
Dodero A., Nuove opportunità per l’adempimento collaborativo, in il fisco, 2023, 14, 1327 ss.
Ingrassia A., Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Dir. pen. proc., 2020, 3, 307 ss.
Lio M. – Macario E., Il Tax Control Framework fattore chiave del nuovo paradigma dei rapporti Fisco-contribuente, in Corr. trib., 2023, 5, 445 ss.
Lio M., Il ravvedimento operoso delle violazioni penalmente rilevanti: il dilemma tra la non punibilità penale della persona fisica e la persistente responsabilità dell’ente, in Riv. dir. trib., 2021, 6, 195 ss.
Marino G., Adempimento collaborativo e dintorni: una sfida culturale che richiede coraggio e fiducia, in il fisco, 2023, 41, 3861 ss.
Ravasio S., Mancata estensione delle cause di non punibilità ex art. 13 d.lgs. 74/2000 ed estintive del reato ex art. 334 Tuld agli enti: premialità vanificate per le società che estinguono il debito (ed il reato) tributario e doganale, in La resp. amm. delle soc. e degli enti, 2021, 1, 162 ss.
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