Illeciti tributari e responsabilità degli amministratori negli enti con personalità giuridica

Di Mauro Trivellin -

Abstract  (*)

Lo scritto esamina alcune questioni collegate alla responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie degli amministratori di società con personalità giuridica, alla luce del coordinamento tra i principi generali e la regola posta dall’art. 7 D.L. n. 269/2003. L’analisi è condotta avendo come riferimento alcuni recenti orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che sembrano circoscrivere la portata della norma che prevede l’irrogazione delle misure punitive in via esclusiva all’ente.

Tax offenses and directors’ liability in entities with legal personality. – The paper examines some issues related to the liability for administrative penalties in tax matters of directors of corporations with legal personality, in the perspective of coordination between the general principles and the rule under Article 7, Decree Law No. 269/2003. The analysis is developed with reference to some recent judgments of the Supreme Court of Cassation. These rulings circumscribe the application of the rule providing for the imposition of punitive measures exclusively on the entity.

Keywords:

 

Sommario: 1. Una breve premessa. La struttura “a due plinti” del sistema sanzionatorio tributario amministrativo e le sue più o meno convincenti giustificazioni. – 2. Le questioni dubbie sulle società straniere: la stabile organizzazione e le società esterovestite. – 3. La direzione soggettiva della sanzione ed il beneficiario della violazione: itinerari della più recente Giurisprudenza di legittimità. – 4. Il doppio livello di tassazione soci-società e la riespansione dei principi di matrice penalistica secondo gli schemi del concorso nell’illecito del socio.

 

1. Il tema che mi è stato affidato tocca uno degli aspetti centrali del regime sanzionatorio tributario amministrativo, che ne connota l’essenza e che, almeno al momento, non pare interessato da principi di delega che possano, nel breve tempo, modificarne significativamente la struttura, ancorché in Dottrina si suggerisca l’opportunità di interventi più significativi[1].

Ad oggi, il sistema delle sanzioni tributarie amministrative è modulato su due pilastri, che ruotano attorno a differenti nuclei di previsioni.

Il primo (pilastro) è espressione dell’impianto originario prescelto dal Legislatore per regolare le misure punitive ed ha subìto, come appena oltre si vedrà, un contenimento del suo ambito applicativo. Mi riferisco, in particolare al combinato disposto degli artt. 2 e 11 D.Lgs. n. 472/1997, i quali delineano un congegno caratterizzato dai principi di matrice penalistica della responsabilità personale dell’autore delle violazioni e del concorso di persone, associato ad un sistema di responsabilità per la sanzione gravante sull’ente[2], con regole che consentono il regresso e l’accollo e che, a certe condizioni, limitano l’entità della sanzione eseguibile nei confronti dell’autore nei casi in cui la violazione sia commessa senza dolo o colpa grave[3]. Vi sono poi disposizioni che agevolano l’individuazione del responsabile, perché si assume autore, fino a prova contraria, il soggetto che ha sottoscritto, ovvero compiuto gli atti illeciti, dal che può desumersi che sono possibili meccanismi di riposizionamento delle responsabilità, anche avvalendosi, per esempio, dello strumento della delega di attribuzioni, con un approccio di riparto delle funzioni che potrebbe plausibilmente trovare ulteriore spazio via via che si svilupperanno, per i vari tipi di contribuenti, i modelli di gestione del rischio fiscale.

L’altro pilastro è il frutto di un intervento ab externo sulla struttura del D.Lgs. n. 472/1997 e si sostanzia in una previsione in forza della quale, per i soggetti con personalità giuridica, le sanzioni si applicano esclusivamente nei confronti dell’ente (cfr. art. 7  D.L. n. 269/2003)[4].

Su questo edificio a due plinti si può muovere qualche considerazione di carattere generale, perché oggi si può dire che il modello di responsabilità personale degli amministratori (e così degli organi di controllo, in base a responsabilità per lo più, lato sensu, omissive) rimane confinato, a quanto pare di intendere, essenzialmente alle società di persone e, nell’ambito di queste, in linea di massima si accentua in un perimetro ancora più circoscritto, vale a dire quello delle fattispecie sottratte alla tassazione per imputazione diretta al socio (salva, come si dirà oltre, l’ipotesi di concorso). Come è ovvio, poi, residua il campo degli enti non commerciali, con il particolare coinvolgimento di chi opera per conto degli stessi[5].

Per i soggetti dotati di personalità giuridica, invece, il problema della responsabilità per le sanzioni tributarie sembra sostanzialmente non porsi più, poiché è chiara la norma nel prevedere che le pene pecuniarie si applichino solo all’ente.

Vi sarebbe da interrogarsi sulle ragioni di questa differenziazione che parrebbe porre anche alcuni dubbi sul piano della legittimità costituzionale, in particolare sotto il profilo della ragionevolezza e parità di trattamento[6].

La giurisprudenza recente sembra aver offerto una giustificazione alla descritta diversità di regimi facendo riferimento alla (presunta) maggior complessità della struttura organizzativa. Si consideri, in particolare, Cass. n. 35217/2022, nella quale si legge che «la riferibilità esclusiva delle sanzioni tributarie alla persona giuridica consentirebbe una più adeguata imputazione del carico sanzionatorio nelle strutture societarie complesse, nel cui ambito non avrebbe alcun senso colpire una sola persona fisica che non abbia tratto beneficio dalla condotta illecita».

Il riferimento alle persone giuridiche come strutture [più] complesse, parrebbe voler agganciare le ragioni del differente regime alle caratteristiche peculiari delle organizzazioni articolate, che, come ha da tempo notato la Dottrina[7], risulterebbero in grado di condizionare persino le forme dell’evasione, perché la stessa presenza di una pluralità di soggetti, a diverso titolo coinvolti nelle varie fasi dell’attività economica, farebbe scendere drasticamente la probabilità del verificarsi di fenomeni di massiccio occultamento dell’imponibile e proietterebbe, semmai, le criticità nell’area delle questioni interpretative, ambito nel quale può apparire, a ben vedere, più ragionevole che la sanzione si concentri sull’ente, anche perché la dimensione tipica della violazione sarebbe il più delle volte, in concreto, quella della colpa per inosservanza di regole, in un sistema, come quello tributario, caratterizzato da profili di notevole difficoltà applicativa.

Il concetto di “struttura complessa” rimanda però anche alla “dimensione quantitativa” dell’attività, sicché la scelta legislativa parrebbe anche spiegarsi per una presunta maggior rilevanza economica delle attività delle organizzazioni complesse che, in presenza di un assetto punitivo tutto diretto a colpire i manager, rischierebbe di condurre ad una paralisi dell’operatività, perché non sarebbe facile trovare chi si sobbarchi i rischi connessi ad una responsabilità gestoria con conseguenze potenzialmente molto gravi sul piano personale (ancorché, per vero, modulabili con limitazioni al regresso o con coperture assicurative, capaci però di generare oneri anche considerevoli in capo all’impresa).

La concentrazione delle sanzioni sull’ente è stata altresì ricondotta a considerazioni legate all’impossibilità di alterare in via interpretativa e sistematica una chiara scelta legislativa in materia punitiva, sottolineata dall’avverbio “esclusivamente”, utilizzato nel testo di legge e richiamato espressamente persino nella rubrica, non suscettibile (detta scelta) di essere messa in discussione anche perché, in questo particolare settore, l’ermeneutica non può incrinare il presidio del principio di stretta legalità.

Nondimeno, se la differenza dei regimi si basa su considerazioni collegate all’articolazione organizzativa ed al volume dell’attività economica, distinguere sulla base della semplice forma giuridica e della connessa capacità può generare qualche perplessità[8], perché forse sarebbe più appropriato modulare le responsabilità in coerenza con i criteri che costituiscono la ratio della diversità di trattamento.

Ad ogni modo, la rigidità del principio della responsabilità esclusiva dell’ente è così fortemente sostenuta che si ritiene escludere il coinvolgimento anche del soggetto che in qualche modo concorra nella violazione in veste di extraneus, cioè senza essere inquadrato in un rapporto organico con l’ente, come avviene, ad esempio, per l’amministratore di fatto. Si consideri, a questo proposito, il chiaro orientamento espresso da Cass., sez. V, n. 20146/2023[9]. Ne deriva che, per coerenza, è difficile in questi casi prefigurare responsabilità anche per i titolari di funzioni di controllo che non siano incardinati nella società, come avviene, ad esempio, per i revisori, il cui ruolo è divenuto sempre più delicato a fronte del rafforzamento della derivazione, che ha ricollocato buona parte delle contestazioni fiscali sulla correttezza dell’applicazione dei principi contabili[10]. Similmente, si dovrebbe concludere per il professionista consulente[11].

2. Su questo quadro di fondo, che appare piuttosto consolidato, si annidano diverse questioni che, a mio parere, meritano di essere segnalate, perché potrebbero condurre ad incrinare il principio di esclusiva responsabilità dell’ente in fattispecie che non appaiono proprio trascurabili o marginali.

Vale la pena di concentrare l’attenzione sulle società estere, che il TUIR, all’art. 73, comma 1, lett. d), considera soggetti IRES, con una formula («le società e gli enti di ogni tipo […] con o senza personalità giuridica») che già ad una prima lettura evidenzia una certa indifferenza rispetto alla capacità giuridica del soggetto straniero ed alla connessa limitazione di responsabilità.

Com’è noto, quando questi soggetti (le società estere) operano nel nostro ordinamento tramite stabili organizzazioni, trova applicazione l’art. 152 TUIR, in forza del quale il reddito della stabile organizzazione si determina sulla base delle norme nazionali ed in forza di un rendiconto economico-patrimoniale redatto secondo i principi contabili riferibili ai soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche.

Parrebbe, dunque, chiaro che la stabile organizzazione in quanto tale è centro di imputazione di diritti ed obblighi fiscali e che, al contempo, essa, almeno di regola, non ha personalità giuridica[12].

Non sembra, dunque, fuori luogo chiedersi se, a fronte di eventuali maggiori redditi accertati in capo alla branch, le sanzioni vadano applicate dando prevalenza al criterio della personalità giuridica del soggetto estero o assegnando rilevanza a quello dell’autonomia della stabile organizzazione come soggetto del rapporto tributario nazionale, però privo in quanto tale di personalità. Non si può neppure escludere che la soluzione del problema vada ricercata caso per caso, a seconda che le violazioni siano riferibili a fattispecie in cui la stabile organizzazione possa considerarsi semplicemente longa manus della casa madre ovvero a fattispecie nelle quali emerga con maggior evidenza una soggettività propria, anche formale, come parrebbe avvenire, in ambito iva, con riguardo alle operazioni poste in essere con i terzi (art. 7, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633/1972).

Un’altra situazione su cui occorre meditare riguarda le società costituite secondo il diritto di un Paese straniero che siano considerate esterovestite, in particolare in ragione dell’asserita esistenza, nel territorio italiano del Place of effective management.

Com’è noto, la “sede dell’amministrazione”, intesa – in sintesi e con approssimazione – come luogo di direzione strategica dell’ente, costituisce criterio di collegamento e tipica Tie Break Rule nel diritto internazionale. In queste situazioni, se non vi è dubbio che la sede legale è nello Stato estero, secondo le cui norme la società è costituita, il radicamento del potere impositivo nel nostro Paese è giustificato dalla presenza nel territorio del luogo da cui provengono le decisioni chiave per lo sviluppo dell’attività. Ma se la doppia residenza richiede di dirimere le questioni concernenti il sovrapporsi di differenti giurisdizioni impositive, essa genera anche conseguenze sul piano civilistico, perché bisogna capire quale sia la legge regolatrice in questi casi. L’art. 25 L. n. 218/1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) stabilisce che si applichi «la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale», con il che il criterio formale cede di fronte a quelli sostanziali. L’applicazione della legge italiana come regolatrice dovrebbe comportare che siano disciplinati dal diritto interno, tra l’altro, la natura giuridica (art. 25, comma 2, lett. a); la capacità (art. 25, comma 2, lett. d); la responsabilità per le obbligazioni dell’ente (art. 25, comma 2, lett. h). Un tanto parrebbe abbracciare i connotati che definiscono la personalità giuridica. Se, dunque, la società esterovestita, pur legittimamente costituita secondo le norme del suo ordinamento, non integra i requisiti che consentono, per la legge italiana regolatrice, il riconoscimento della particolare autonomia caratterizzante la soggettività, essa ben potrebbe vedersi negata la personalità, con conseguente eventuale equiparazione ad una società di fatto. Se ciò può, per un verso, astrattamente implicare un radicale mutamento del regime impositivo, anche con riguardo all’imputazione dei redditi di impresa (circostanza che, almeno in qualche caso, potrebbe persino essere valorizzata in chiave difensiva per far valere un difetto di legittimazione passiva dell’ente), per un altro dovrebbe avere come conseguenza la riespansione del principio della responsabilità personale di stampo penalistico, a questo punto applicabile agli amministratori e, ove del caso, ai componenti degli organi di controllo. Per le società stabilite in Europa, le conclusioni potrebbero essere diverse, perché si applica il mutuo riconoscimento (art. 293 TUE), che però, senza che qui si possa diffondersi, parrebbe riferirsi al «mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento della sede da un Paese a un altro», mentre è più dubbio che esso possa estendersi alle ipotesi di residenza fittizia. Comunque, il problema parrebbe rimanere per le società extra-comunitarie.

Accanto alle descritte fattispecie, vi sono altre situazioni da menzionare, perché su di esse si è concentrata l’attenzione della Giurisprudenza di legittimità, anche in pronunce molto recenti.

3. Mi riferisco alla sentenze della Cassazione che hanno mostrato sensibilità rispetto alla connessione tra la violazione delle norme tributarie e gli interessi alla stessa (violazione) sottesi, identificando il fondamento normativo di questa angolatura di indagine nel comma 3 del citato art. 7, il quale, subordinando ad un vaglio di compatibilità l’applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472/1997 ai soggetti dotati di personalità giuridica[13], sottende un’esigenza di coordinamento dei due sistemi[14]. Può essere interessante richiamare la recente Cass., sez. V, 20 settembre 2023, n. 26590, la quale, nel ripercorrere i precedenti, giunge a fissare un principio di diritto, sintetizzabile nel passaggio ove si legge che «l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7, decreto-legge n. 269/2003, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore». Proseguono i Giudici precisando che quando «l’amministratore della società con personalità giuridica abbia agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003» e deve tornare ad espandersi la “regola generale” della responsabilità personale.

Il principio contiene, a mio avviso, quattro assunti il cui coordinamento sistematico non è per nulla agevole: (i) l’art. 7 ha natura di norma eccezionale; (ii) detta norma presuppone che la persona fisica abbia agito nell’interesse ed a beneficio dell’ente; (iii) la sanzione dovrebbe colpire la persona fisica quando questa abbia agito nel proprio esclusivo interesse e abbia piegato l’ente a funzione di “mero schermo”; (iv) solo la circostanza che l’autore abbia agito nell’interesse e a beneficio dell’ente[15] giustifica la responsabilità esclusiva di questo.

Delineata così la portata della decisione, mi pare che, sotto un primo aspetto, essa offra una chiave di lettura e, sotto un secondo profilo, ponga vari interrogativi.

La chiave di lettura è che il regime previsto per gli enti con personalità giuridica viene considerato “eccezionale[16]. Se è ben vero che, come osservato in Dottrina, non sembra precisato l’argomento posto a base dell’asserito carattere “derogatorio” della previsione, né sembra puntualmente individuata la norma generale rispetto alla quale la regola dettata per le società si porrebbe come genus ad speciem[17], tuttavia, non sembra revocabile in dubbio che questa premessa manifesti l’ordine di idee entro cui si muove il Collegio, vale a dire una prospettiva che non riconosce al regime dell’illecito tributario degli enti ad organizzazione complessa un fondamento basato su esigenze sistematiche, legate alle peculiarità dell’illecito tributario di tali soggetti.

Ci si può attendere, dunque, che con questo approccio interpretativo i principi generali della responsabilità personale tendano ad essere intesi come dotati di efficacia espansiva, proprio in quanto generali. Questi presupposti concettuali orientano, dunque, anche le risposte agli interrogativi che il dictum della Cassazione ci presenta[18].

Il primo dubbio che emerge è il seguente: non è chiaro se a disapplicare la regola che ascrive la sanzione al soggetto con personalità giuridica basti che l’autore abbia agito nell’interesse proprio o se occorra il contemporaneo “sfruttamento” della forma giuridica dell’ente quale “schermo o paravento”[19]. Mi sembra che l’assunto – ben evidente nella struttura degli argomenti della Corte – secondo cui la regola eccezionale posta dall’art. 7 si giustifica perché la persona fisica autrice della violazione agisce nell’interesse ed a beneficio della società induca a concludere nel senso che non è richiesta questa doppia condizione. La mancanza di un interesse o beneficio per l’ente e (corrispondentemente) la presenza di un interesse personale dell’autore possono essere, infatti, ravvisati anche quando non si riscontri alcun utilizzo artificioso di strutture societarie[20]. Ad ogni modo, il dubbio stesso induce a non escludere sviluppi giurisprudenziali che colleghino al semplice riscontro di un “esclusivo interesse dell’autore” il superamento dell’irrogazione della sanzione all’ente[21].

In connessione al primo interrogativo, ne emerge un altro: non è chiaro se con le espressioni che alludono a società “schermo o paravento” la Suprema Corte intendesse riferirsi a fenomeni di interposizione reale con connotazioni abusive ovvero a fenomeni di interposizione fittizia (ammesso che questo tipo di fittizietà a struttura simulatoria sia compatibile con la costituzione di società di capitali[22]). Se la fattispecie cui il Collegio intendeva riferirsi fosse ascrivibile alla fittizietà in senso tecnico (“mera fictio”)[23], l’approccio argomentativo della Corte avrebbe potuto (e forse dovuto) muovere non già dall’idea di una sanzione che, andando alla ricerca dei sottesi interessi, colpisca chi ne risulta essere l’effettivo portatore con logiche derogatorie, ma da una coerente imputazione del presupposto in base alla regola che consente di identificare, almeno nel settore dell’imposizione diretta, l’effettivo possessore del reddito per interposta persona (art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973) e così di irrogare a costui la sanzione secondo i principi generali[24]. Se, però, come ritiene la Dottrina, il concetto richiamato era più ampio e descrittivo e comunque in grado di ricomprendere anche casi di interposizione reale[25], non vi è dubbio che la deroga alla regola dell’esclusiva applicabilità delle sanzioni all’ente prende consistenza perché può applicarsi anche quando il veicolo societario sia effettivo, confermandosi così il potenziale espansivo del principio di diritto.

Il terzo interrogativo è, per certi versi, il più rilevante. Non è chiaro se, nel pensiero della Corte, la deroga all’art. 7 possa integrarsi solo quando chi ha operato ha agito nell’interesse esclusivamente proprio[26], ovvero se basti che egli non abbia agito “nell’interesse e a beneficio dell’ente”[27] o abbia perseguito un interesse “diverso da quello sociale”[28]. Il ragionamento dei Giudici ci conduce, dunque, di fronte a due estremi della medesima questione, in qualche misura rilanciata dalla sussistenza di un’irrisolta ambiguità nell’argomentazione della Suprema Corte: la sanzione è personale solo quando l’amministratore persegue un interesse proprio (magari sfruttando la personalità giuridica dell’ente alla stregua di uno schermo)[29], come si direbbe accedendo ad una certa lettura della Giurisprudenza, o lo può diventare anche quando l’amministratore non “abbia agito nell’interesse e a beneficio della società” e, quindi, la società dotata di personalità giuridica non sia “l’effettivo beneficiario delle violazioni commesse”, come si direbbe enfatizzando altri passaggi delle pronunce di Cassazione?

E’ fin troppo facile notare che non si tratta certo della stessa cosa.

La Dottrina suggerisce un criterio per rispondere alla domanda che ci siamo posti e ritiene che si possa derogare all’applicazione dell’art. 7 solo quando sia ravvisabile un “vantaggio diretto”, “esclusivo” ed “economicamente valutabile” nei confronti del trasgressore[30]. Se non abbiamo male inteso la soluzione troverebbe la sua giustificazione proprio nel coordinamento con l’art. 11 D.Lgs. n. 472/1997, che esplicita il criterio del “vantaggio diretto” dell’autore[31] e che mostra una coerenza sistematica con altre regole, come ad esempio l’art. 5 D.Lgs. n. 231/2001, che pure allude all’interesse o al vantaggio dell’ente (ma con l’avversativa che distingue i due concetti), ovvero l’art. 2, comma 1, lett. l), Legge delega n. 80/2003, inattuata ma indicante il principio dell’effettivo beneficio della violazione.

Cogliendo l’opportunità di un dialogo, mi chiedo, tuttavia, se sia possibile assegnare al “vantaggio diretto” di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 472/1997 la portata di regola generale da contrapporre a quella “particolare” dell’art. 7, perché nel ridetto articolo 11 il vantaggio diretto non sembra essere una disposizione funzionale ad identificare il responsabile, ma solo a “pesare” la misura quantitativa della sua responsabilità nei casi in cui la violazione non sia stata commessa con dolo o colpa grave. Le altre disposizioni richiamate, vuoi perché rimaste senza seguito, vuoi perché riferite ad ambiti differenti potrebbero non bastare a supportare in chiave sistematica la ricostruzione proposta.

Ho, dunque, la sensazione che, nella prospettiva della Suprema Corte, più che di un coordinamento regola-deroga, si faccia questione di interpretazione della deroga, cioè di delimitazione del perimetro applicativo dell’art. 7 sulla base della sua ratio[32], la quale, nel pensiero dei Giudici, o meglio, in una certa lettura di questo pensiero, parrebbe presupporre che il beneficio della violazione ricada sull’ente, ragion per cui, in assenza di tale circostanza, la regola che si espande sarebbe quella generalissima dell’art. 2. In questa prospettiva, cioè, si tratterebbe di un recupero del fondamento della disposizione, volto, come osservato in Dottrina, a «concentrare le sanzioni amministrative esclusivamente in capo al contribuente avvantaggiato»[33], ritrovando la deterrenza della responsabilità personale nei casi in cui il ridetto vantaggio non si ravvisi.

E così diviene più difficile trovare una risposta per tutte le molte sfumature delle possibili fattispecie, che non si esauriscono nell’alternativa secca “vantaggio della società” o “vantaggio dell’autore”, ma sono plurime: quella dell’interesse proprio (e del relativo beneficio) perseguito dall’amministratore avvalendosi o meno della società come di uno schermo reale o fittiziamente interposto, quella del vantaggio proprio perseguito dall’amministratore in conflitto di interessi, quella del beneficio dell’ente identificabile in un risparmio di imposta, quella del beneficio diretto o indiretto dell’ente non rappresentato da un risparmio di imposta, quella del “pregiudizio” subito dall’ente per effetto di un uso giuridicamente o economicamente inappropriato delle sue risorse, a volte per semplice mala gestio, a volte a vantaggio dello stesso amministratore, a volte a vantaggio di soggetti terzi, ivi incluse anche altre società del medesimo gruppo[34].

Se si ritiene di accogliere la lettura più ampia del principio di diritto affermato dalla Cassazione, assumendo che il criterio dell’interesse e beneficio derivante dalla violazione sia quello giustificante il recupero del campo applicativo della regola della responsabilità personale rispetto all’altra, derogatoria ed eccezionale, della responsabilità esclusiva dell’ente, il vantaggio dell’autore e l’assenza di interessi e benefici per la società possono essere riconosciuti in molti altri casi, diversi da quello dell’interposizione.

Ad un primo livello, soffermandosi sul vantaggio dell’autore, un tema delicato parrebbe essere quello dei comportamenti in conflitto di interessi degli amministratori. Se le fattispecie in cui si riconoscano condotte propriamente distrattive (che implichino, ad esempio, la fuoriuscita di valori aziendali, direzionati verso i medesimi amministratori o verso soggetti agli stessi riconducibili) possono trovare soluzione nel regime della tassazione dei proventi illeciti (art. 14, comma 4, L. n. 537/1993), risolvendosi ancora una volta la questione in un problema di imputazione dell’arricchimento e, quindi, in definitiva, di identificazione del soggetto che realizza il presupposto, più delicate potrebbero essere le fattispecie riconducibili, lato sensu, a forme di destinazione a finalità estranee. E’ la stessa espressione “finalità estranee” che certifica che l’atto interrompe, frammenta, il perseguimento degli interessi propri dell’ente ed allòca nelle mani di altri la ricchezza da questo generata. Un ragionamento simile a quello delle finalità estranee può condursi per il suo contrappunto, cioè per le operazioni antieconomiche dal lato degli acquisti, oppure per la deduzione di costi non inerenti, quando dietro questi atti gestori si annidino condotte volte a veicolare valori societari nella disponibilità degli amministratori.

Ma se si passa a considerare anche il criterio dell’assenza di interesse e beneficio per la società, i casi dubbi possono ben moltiplicarsi e la compressione dell’ambito applicativo dell’art. 7 potrebbe diventare considerevole. Si potrebbero astrattamente ricondurre alla responsabilità personale i casi in cui i recuperi siano connessi a fattispecie di antieconomicità, di destinazione a finalità estranee, di non inerenza, di rinunzia (per esempio a crediti), anche senza l’appropriazione dei valori aziendali da parte degli amministratori, fino ad immaginare che la regola generale possa estendersi, a certe condizioni, alle assegnazioni, ai trasferimenti di beni dalla commercialità alla non commercialità, al transfer pricing con depauperamento della società ed allocazione delle ricchezze sull’impresa estera associata[35] e sino a giungere a mettere in discussione la direzione soggettiva della sanzione in ipotesi come, ad esempio, quella dell’art. 8, comma 2, D.L. n. 16/2012 (inesistenza dei ricavi e dei costi). Se, infatti, da un lato, con questa norma il Legislatore ha voluto tenere conto del principio di capacità contributiva, fornendo al tempo stesso risposta all’antigiuridicità della fattispecie (circ. n. 32/E/2012), dall’altro si evidenzia come l’effetto compensativo “ricavi inesistenti-costi inesistenti” non genera alcun beneficio IRES per la società, mentre potrà produrre altri effetti lato sensu ascrivibili alla categoria dei vantaggi per l’ente (ad esempio, generazione di crediti IVA tramite arbitraggi sul regime delle operazioni attive e degli acquisti), sui quali però già grava una specifica sanzione, diversa ed ulteriore rispetto a quella di cui al citato art. 8. Per questi ultimi (vantaggi) è coerente che la società sia colpita in base al principio del beneficio, ma nel settore dell’imposizione diretta la prospettiva emersa nella Giurisprudenza di legittimità potrebbe suscitare qualche interrogativo.

A me pare evidente che a tutte le ipotesi prospettate sia abbastanza difficile riferire il dictum della Cassazione laddove precisa che la norma eccezionale introdotta dall’art. 7 D.L. n. 269/2003 «presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società […], poiché solo [l’evidenziazione è nostra] la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale».

Se si valorizza il descritto passaggio, che fa risaltare il nesso tra l’azione dell’amministratore ed il beneficio (o l’interesse) della società, non si può omettere di notare che in molti casi potrebbe esservi certamente il pagamento di minori imposte, ma questo non si risolve in un vantaggio per l’ente, né in un risparmio, e potrebbe essere semplicemente il frutto di un suo impoverimento, che ha determinato una riduzione dell’imponibile in contrasto con i fini che l’ente dovrebbe normalmente perseguire (tenendo sotto controllo i costi e massimizzando l’utilità dei suoi asset). Quand’anche, poi, discutibilmente, si volesse asserire che il risparmio di imposta contra legem è comunque, in sé, un beneficio per l’ente (a prescindere dalla circostanza che questo risparmio sia il frutto, in realtà, di un depauperamento), sarebbe difficile negare che, nei casi descritti, l’ente non ha interesse alcuno alla violazione e, nel dictum della Corte, l’interesse ed il beneficio dell’ente costituiscono, insieme, come abbiamo già detto, la sola “condizione” che «giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale». Se poi si guarda a queste fattispecie dall’angolo visuale, ad esempio, di un socio di minoranza, potrebbe addirittura apparire discutibile che la società sia sanzionata (e così ulteriormente impoverita) per una condotta che non le ha arrecato alcun vantaggio, neppure di carattere illecito. In queste ipotesi la misura punitiva colpirebbe, pur indirettamente, anche un soggetto (il socio minoritario) cui rimarrebbe solo l’azione risarcitoria civilistica per essere ristorato.

Insomma, una volta riconosciuto il principio per cui la sanzione è collegata al beneficio ritratto dall’evasione nelle sue varie forme, la coerenza interpretativa conduce a riespandere il principio di responsabilità personale, perché l’interposizione fittizia non è il solo caso in cui si perseguono interessi extra-societari, ed anzi è forse il meno problematico, essendo già disciplinato dalle regole che identificano il presupposto. Al cospetto del moltiplicarsi dei casi pratici nei quali è difficile identificare un beneficio per l’ente collettivo quale conseguenza della violazione tributaria, bisognerà, dunque, vedere come evolverà la sensibilità del Giudice, a fronte dell’asserita “eccezionalità” della regola dettata dall’art. 7 D.L. n. 269/2003 e della portata più o meno pervasiva che si voglia assegnare alla clausola di compatibilità, cui la citata norma subordina l’applicazione dei principi generali del D.Lgs. n. 472/1997, senza tuttavia dimenticare i criteri restrittivi di interpretazione delle norme sanzionatorie.

Ma le questioni dubbie non sembrano fermarsi qui.

4. Bisogna considerare infatti che l’ente è il soggetto presso il quale si formano le ricchezze che, come utili o plusvalenze, fluiscono al socio, sicché la questione non può non essere affrontata tenendo conto del doppio livello di tassazione soci-società.

E’ noto che, quando la compagine sociale è caratterizzata da una ristretta base, il maggior reddito recuperato in capo alla società è imputato direttamente ai soci per presunzione, con un rigore che non ha mancato di suscitare le critiche della Dottrina e che si è spinto sino ad estremi (la sua applicazione anche ai costi sostenuti ma non deducibili) che hanno condotto lo stesso Legislatore delegante della riforma fiscale ad avvertire la necessità di un intervento mirante a contenere le applicazioni meno ragionevoli dell’indirizzo.

Ma a prescindere da ciò, parrebbe difficile negare che sulla formazione illecita della “provvista” necessaria alla distribuzione occulta dei dividendi ai soci incida in modo diretto l’attività degli amministratori, i quali non solo l’hanno generata con gli atti gestori integranti evasione, ma anche ne hanno reso possibile la circolazione in deroga alle disposizioni civilistiche che disciplinano la distribuzione del risultato di esercizio. Non sarebbe dunque fuori luogo dire che essi hanno apportato un contributo causale all’arricchimento illecito dei soci, ragion per cui ravvisare una loro responsabilità a titolo di concorso nella violazione posta in essere (non già dalla società, ma) dai suoi soci non sembra affatto una conclusione inappropriata, beninteso quando sia definitivamente accertata l’esistenza di un maggior reddito sottratto ad imposizione.

Ma se si prosegue sulla stessa linea, il ragionamento non sembra limitabile alle società a ristretta base. Invero, per essere pragmatici, a fronte dell’accertamento di redditi occultati in capo ad una società, mi pare vi siano tre possibilità, o forse quattro. La prima è che i redditi non dichiarati siano stati distribuiti ai soci o a taluni di essi. In assenza di contabilizzazione e di delibera di distribuzione tale condotta parrebbe costituire quell’illecito dell’amministratore a rilevanza causale (provvista generata mediante la condotta evasiva della società) cui ho fatto accenno. La seconda è che i maggiori redditi non dichiarati siano finiti illecitamente “nelle tasche” dell’amministratore, dal che dovrebbe derivare la tassazione in capo a costui secondo corretti criteri di imputazione del presupposto, con conseguente pedissequa responsabilità personale. La terza è che i maggiori redditi siano stati reinvestiti in operazioni rientranti nell’oggetto sociale e comunque generatrici di ricavi. Un tanto dovrebbe indurre l’Ufficio a far scattare l’equazione accertativa “maggiori redditi neri non dichiarati e reinvestiti uguale costi neri, uguale ricavi neri”, ciò che potrebbe giustificare un nuovo recupero in capo alla società e riporterebbe alla prima situazione. La quarta ipotesi è che i redditi occultati siano rimasti (intoccati) in capo alla società od eventualmente reinvestiti in beni patrimoniali o strumentali non in grado di generare, almeno direttamente, redditi tassabili. Sembra chiaro, però, che tale impiego (o non impiego) dovrebbe plausibilmente essere dimostrato dall’amministratore, perché si tratterebbe di una difesa o tecnicamente di una eccezione, volta a dimostrare un fatto la cui esistenza è interesse del contribuente acclarare. Certamente tutte queste ricostruzioni scontano complesse ricadute sul piano dell’onus probandi, specie alla luce del nuovo art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, ma questo è un discorso diverso. Tra l’altro, in tal contesto, potrebbero emergere posizioni difensive non perfettamente allineate della società e dei suoi organi di gestione[36].

In conclusione, la regola escludente la responsabilità di amministratori ed organi di controllo nelle società dotate di personalità giuridica subirebbe una decisa incrinatura negli ambiti che abbiamo esaminato, relativi alla soggettività dell’ente, all’individuazione dell’interesse e del beneficio sottesi alla violazione, al doppio livello di tassazione soci-società, con una corrispondente non trascurabile potenziale riespansione del principio generale della responsabilità personale, richiedente un approccio casistico alla soluzione del problema relativo al destinatario della misura punitiva. Così, se , per un verso, si amplia il rischio di coinvolgimento degli organi di Governance, per un altro è richiesta anche l’attenzione degli Uffici, perché la questione può persino risolversi in un problema, per così dire, di “legittimazione passiva” rispetto alle misure punitive. Invero, se l’Agenzia non individua correttamente il responsabile, il soggetto che ha ricevuto il provvedimento di irrogazione (ad esempio la società) potrebbe difendersi evidenziando l’errore e per il Fisco potrebbe essere troppo tardi per rimediare se, nel frattempo, si lascia che maturino i termini di decadenza.

Non vi è, dunque, dubbio che la questione della responsabilità per le sanzioni negli enti dotati di personalità giuridica sia un tema che, specie per il contributo della più recente Giurisprudenza, ha fatto emergere un rilevante e forse inatteso tasso di complessità. Nell’evoluzione dei rapporti tra contribuente ed Amministrazione verso la prevenzione del rischio prefigurata dalla delega per la riforma del sistema tributario, si tratta di profili che meritano di essere considerati perché richiedono di elevare il grado di attenzione sulle fattispecie dubbie ed in particolare su quelle che si proiettano in una prospettiva transnazionale ovvero implicano recuperi di imponibile non collegati a benefici chiaramente identificabili in capo all’ente.

(*) Testo, con integrazioni, della relazione svolta dall’Autore al Convegno “La responsabilità penale e tributaria nelle società e negli enti”, organizzato dall’ANTI – Sezione Veneto e tenutosi a Monselice, 29 settembre 2023.

[1] Cfr. Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 502 ss.; Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.; Ronco S.M., Prospettive per una riforma del modello sanzionatorio amministrativo tributario con riguardo agli enti collettivi, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VII, 373 ss. Il quale evidenzia le esigenze di coordinamento del sistema sanzionatorio con le previsioni contenute nella Direttiva UE n. 2017/1371; Gallo F., L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, 1, 11 ss., in particolare 34 ss.

[2] Cfr., sul punto, i vari casi spiegati da Coppa D., Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovranazionali, in Dir. prat. trib. int., 2018, 4, 991 ss., in particolare 994 ss.

[3] Osserva Peverini L., Brevi riflessioni in tema di responsabilità dell’amministratore di società per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2022, 4, 845 ss., in particolare 849 ss., che il coordinamento tra i principi generali della responsabilità personale e la responsabilità dell’ente per la sanzione realizzava un bilanciamento tra i criteri penalistici ispiratori della riforma e gli interessi erariali a contrastare il fenomeno dell’evasione incassando comunque la sanzione per il tramite delle obbligazioni poste in capo all’ente, pur formalmente non identificato come destinatario dell’irrogazione della misura punitiva.

[4] Cfr. Marongiu G., Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al doppio binario, in Riv. dir. trib., 2004, I, 373. Con questa regola la sanzione attenua la sua idoneità dissuasiva e rafforza la sua funzione risarcitoria: in questo senso Peverini L., Brevi riflessioni in tema di responsabilità dell’amministratore di società per le sanzioni amministrative tributarie, cit., 853.

[5] Si tratta, dunque, di un modello ibrido, caratterizzato da un «illecito immaginato in astratto […] per un autore persona fisica ma in concreto applicato (in larga parte dei casi) nei confronti del contribuente persona giuridica»: in questi termini Di Siena M., L’illecito fiscale e la sua crisi d’identità. Riflessioni sul futuro della disciplina sanzionatoria amministrativa a margine delle recenti modifiche normative in tema di reati tributari, in Aa.Vv., Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, Pisa, 2020, 177 ss., in particolare 195.

[6] Lo evidenziano Del Federico L., Sanzioni amministrative (dir. trib.), in Cassese S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano 2006, vol. VI, 5431 ss., par. 4.1; Coppa D., Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovranazionali, cit., 995; Giovannini A., Societas delinquere non potest? sulla sanzione tributaria amministrativa e sulla persona giuridica per una riforma sistematica, Unibocconi.it, 3; Dorigo S., Persone giuridiche e sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 2018, 3, I, 1112 ss., in particolare 1117. V. anche Tazzioli A.C., Interposizione fittizia e traslazione all’amministratore di fatto dei rapporti giuridici a rilevanza fiscale relativi ad una società di capitali, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 1, 241 ss., 248 ss., in particolare 258-259. Sul punto, in senso critico, cfr. Melis G., Lezioni di diritto tributario, Torino, 2017, 482.

[7] Cfr. Lupi R., “Metodi di accertamento”, tra tassazione attraverso le aziende e autotassazione, in Dialoghi tributari, 2014, 1, 7 ss.

[8] Lo nota anche Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, in Riv. dir. trib., 2018, 5, I, 596.

[9] Altro precedente rilevante in argomento è Cass., Sez. V., 35127/2022. Per la possibilità di invocare il concorso, cfr. però, Ronco S.M., op. ult. cit., 603.

[10] Cfr. Renda A., Persona giuridica e concorso nell’illecito tributario: esclusa la responsabilità del terzo, in Corr. trib., 2020, 10, 900 ss.

[11] Amplius: Mauro M., La responsabilità tributaria del consulente, Milano, 2023, 65 ss.; Corrado L.R., Responsabilità della persona giuridica per le violazioni tributarie: riflessi amministrativi e penali, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 3, 241 ss.

[12] Sulle interconnessioni tra stabile organizzazione e personalità giuridica, cfr. Gaffuri A.M., Studio sulla funzione e sul concetto di stabile organizzazione nelle imposte sul reddito, Torino, 2021, passim e 289 ss.; Tundo F., Ancora controverso il concetto di stabile organizzazione tra obiettiva incertezza, personalità giuridica e cooperazione internazionale, in Corr. trib., 2011, 10, 895 ss., il quale, a p. 902 ss., si diffonde sulle ipotesi in cui la S.O. si configuri in capo ad una società con personalità giuridica.

[13] Cfr. Varazi F., Appunti sulla riferibilità soggettiva delle sanzioni amministrative tributarie, Bari, 2018, 139 ss.

[14] Lo notava Gallo F., L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, cit., in particolare 32.

[15] E’ significativo osservare che la Cassazione ricollega la sanzionabilità dell’ente alla circostanza che l’autore della violazione abbia agito «nell’interesse e a beneficio della società», con il che parrebbero rilevare due prospettive diverse, quella soggettiva del fine perseguito (interesse) e quella oggettiva del vantaggio (beneficio). Sul punto, cfr. ancora Paparella F., Sulle responsabilità delle persone giuridiche per le sanzioni amministrative tributarie, nota a Cass., n. 21790/2020, in Giur. Comm., 2021, 4, II, 765 ss., in particolare 772, ove, alla nota n. 19, si richiama Varazi F., Spunti in merito alla sanzionabilità (fiscale amministrativa) del soggetto che ha effettivamente tratto beneficio dalla violazione, in Boll trib., 2020, 20, 1484. Cogliendo lo spunto del Prof. Paparella, op. loc. ult. cit., se ho ben inteso bisognerebbe capire se questa endiadi esprima, come io sarei propenso a ritenere, un concetto unitario di vantaggio sostanzialmente conseguito dall’ente o se, invece, nell’espressione utilizzata si debbano ravvisare due elementi diversi ed autonomi (l’interesse ed il beneficio), con il che si finirebbe per ritenere che se l’autore abbia agito nell’interesse proprio ma questa azione si sia risolta anche in un indiretto vantaggio dell’ente si possa escludere la responsabilità di questo (rectius, si debbano applicare le regole generali in materia di responsabilità dell’autore e sussidiaria dell’ente). Secondo Di Siena M., Sulla fluidità della personalità giuridica in materia sanzionatoria amministrativa secondo la Corte di Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 23 settembre 2019, 5, il riferimento all’interesse della società rappresentata o amministrata, presente nell’art. 11 D.Lgs. n. 472/97 non andrebbe eccessivamente enfatizzato, riferendosi al fenomeno della contemplatio domini ed essendo, dunque, privo di una connotazione economicistica che consenta di assimilarne la nozione a quella di vantaggio. Con questo approccio si finisce, secondo l’Autore, per forzare la portata del concetto, giungendo ad escludere irragionevolmente la responsabilità dell’ente quando non sia ravvisabile un vantaggio per il medesimo.

[16] Evidenzia l’approccio “regola generale-deroga” Peverini L., Brevi riflessioni in tema di responsabilità dell’amministratore di società per le sanzioni amministrative tributarie, cit., 846.

[17] Paparella F., Sulle responsabilità delle persone giuridiche per le sanzioni amministrative tributarie, cit., in particolare 770. In senso critico rispetto a tale qualificazione, cfr. Di Siena M., Sulla fluidità della personalità giuridica in materia sanzionatoria amministrativa secondo la Corte di Cassazione, cit., 3, a commento di Cass., n. 12344/2019, il quale dubita che possa ascriversi tale carattere ad una regola applicabile «ad una larghissima parte dei contribuenti (tutti quelli dotati di personalità giuridica)».

[18] Su questa linea, la già divisata attitudine potenzialmente espansiva del principio della responsabilità personale parrebbe aver trovato conferma nella circostanza che esso è applicato anche nelle frodi iva, quando la «finzione dell’esistenza della società», cioè la sua «strumentalità al perseguimento delle finalità illecite del suo controllore» è desumibile, in via presuntiva, dall’assenza di elementi essenziali allo svolgimento dell’attività economica, quali locali, attrezzature e dipendenti, cosicchè, in via induttiva, è possibile ritenere che i proventi dell’evasione siano stati incamerati direttamente dall’amministratore, che andrebbe, dunque, sanzionato. In questo senso, è esplicita Cass. n. 1946/2023, ove, peraltro, si precisa che il coinvolgimento di una società in un “giro” di fatture soggettivamente inesistenti non implica di per sé che essa sia una creazione artificiosa, strumentale e priva di vitalità.

[19] Se non abbiamo male interpretato, in questo senso è orientato Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, cit., 597-598, il quale identifica nel «criterio del beneficio» «l’elemento strutturale implicito della fattispecie sanzionatoria dell’art. 7 D.L. n. 269/2003». Può essere, in effetti, che i precedenti giurisprudenziali come quelli qui in esame siano anche influenzati dalle «nuances di ordine palesemente patologico», magari anche valorizzate nella «spiccata sensibilità penalistica del giudice relatore», come nota Di Siena M., Sulla fluidità della personalità giuridica in materia sanzionatoria amministrativa secondo la Corte di Cassazione, cit., 1.

[20] Il dubbio è posto anche da Paparella F., op. cit., 774, 775 ove l’Autore si chiede se la deroga all’art. 7 D.L. n. 269/2003 richieda, oltre al vantaggio, anche un secondo requisito che investe la costituzione, l’organizzazione ed il funzionamento della società, e conclude in senso negativo.

[21] Un tanto, secondo Di Siena M., Sulla fluidità della personalità giuridica in materia sanzionatoria amministrativa secondo la Corte di Cassazione, cit., 5, finirebbe per introdurre elementi di incertezza sul perimetro della responsabilità dell’ente, rendendo la stessa un fenomeno «dalle connotazioni carsiche destinato a concretizzarsi in maniera instabile e non sempre prevedibile».

[22] Si ricorda, infatti, che «in tema di società di capitali, non è configurabile la simulazione del contratto sociale, sia in ragione delle inderogabili formalità che assistono la creazione e la stessa organizzazione dell’ente, sia in relazione alla tassatività delle cause di nullità previste dall’art. 2332 c.c.»: così la massima di Cass. civ., n. 29700 /2019.

[23] Una definizione di “società-schermo” si ritrova in Cass., sez. III, pen., 18 ottobre 2023, n. 42490, ove si legge che la fattispecie si configura nelle ipotesi in cui «l’ente […] è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali».

[24] Cass. n. 23231/2022, punti 7.3., 7.4., in Riv. trim. dir. trib., 2023, 1, 241 ss., con nota di Tazzioli A.C., Interposizione fittizia e traslazione all’amministratore di fatto dei rapporti giuridici a rilevanza fiscale relativi ad una società di capitali, cit., 248 ss., riconduce all’applicazione dell’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 le fattispecie in cui la posizione dell’interponente non sia «quella di mero gestore dell’ente collettivo», ma quella di «soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto», con il conseguente «totale asservimento della società interposta all’interponente», senza che rilevi se l’interposizione sia reale o fittizia, atteso che l’«art. 37, comma 3, […] si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico».

[25] Secondo Di Siena M., Il concorso nell’illecito fiscale della persona giuridica. La fine ragionevole di un equivoco ed uno spunto per il futuro?, in Riv. dir. trib., 2021, 1, II, 35 ss., in particolare 50, la concentrazione della sanzione amministrativa sul titolare dell’obbligazione tributaria (la società) sarebbe superabile dimostrando che «nella fattispecie concreta si è fatto ricorso a tale disciplina al solo scopo di eludere un’eventuale responsabilità diretta della persona fisica». Nel commentare altri precedenti conformi, Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, cit., 591 si riferisce a fattispecie nelle quali la società si riduceva a rappresentare «un mero schermo giuridico eterodiretto ed utilizzato unicamente per porre in essere schemi abusivi ed evasivi» a vantaggio di soggetti terzi i quali operavano come «padroni» della società, pur se «formalmente svincolati da rapporti giuridici con l’organo amministrativo o con la compagine societaria». Nel riferimento a condotte abusive ed evasive si coglie una prospettiva più ampia rispetto a quella dell’interposizione fittizia.

[26] Su questa linea parrebbe collocarsi, anche se la questione si poneva sotto il diverso profilo del concorso del consulente, Cass. 26057/2023, ne il fisco, 2023, 39, 3728 ss., con nota di Russo A., Sanzioni al consulente di società: occorre la prova sull’interesse e il vantaggio personale nella frode, ivi, 3730 ss. Nel caso, viene esclusa la responsabilità di un professionista in quanto l’Amministrazione non aveva provato “l’interesse proprio”, il “vantaggio personale” che il medesimo avrebbe perseguito.

[27] È opportuno sottolineare il passaggio della Suprema Corte già sopra ricordato: «solo la ricorrenza di tale condizione [che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società] giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione».

[28] Cfr. in Di Siena M., Sulla fluidità della personalità giuridica in materia sanzionatoria amministrativa secondo la Corte di Cassazione, cit., 3, il quale, riporta il seguente estratto da Cass., 9 maggio 2019, n. 12344: «qualora la persona fisica autrice della violazione non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale, […] non sussiste la responsabilità esclusiva della società dotata di personalità giuridica […] ma trova applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore». Segnalo il riferimento ad un’azione posta in essere perseguendo un interesse “diverso da quello sociale”.

[29] Renda A., Eccezioni al principio di responsabilità esclusiva delle persone giuridiche per la sanzione tributaria, in Dir. prat. trib., 2020, 1, 389 ss., in particolare 396-397.

[30] Cfr. Paparella F., op. cit., 772-774.

[31] Sarebbe, dunque, questa, sempre se ho ben capito, la regola generale, di cui l’art. 7 integra la deroga.

[32] Ed infatti in Dottrina si è evidenziato che l’art. 7, almeno sul piano della littera legis, non risulta in alcun modo vincolare la riferibilità della sanzione all’«elemento dell’interesse o vantaggio per la persona giuridica stessa», con conseguenti dubbi sulla legittimità di metodi interpretativi che tentino di includerlo, tanto più perché siamo nell’ambito delle misure punitive: cfr. Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, cit., 599-600. Il fatto che la Corte abbia interpretato restrittivamente l’art. 7 viene affermato anche da Peverini L., Brevi riflessioni in tema di responsabilità dell’amministratore di società per le sanzioni amministrative tributarie, cit., 847, il quale critica questa scelta ermeneutica.

[33] Così Gallo F., L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, cit., in particolare 30.

[34] Si aggiunge anche l’ipotesi del vantaggio indiretto degli amministratori o dei soci, nei vari casi in cui la violazione posta in essere in capo alla società possa portare, ad esempio, ad una maggior patrimonializzazione della società, ad una diversa politica di distribuzione dei dividendi e, più in generale, a migliori performance. Si riferisce a tali situazioni Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, cit., 600-601, il quale afferma che l’estensione del criterio del beneficio potrebbe condurre alla conseguenza (che egli, in piena coerenza con la sua impostazione, respinge come non accettabile) di un possibile coinvolgimento in responsabilità dei soggetti avvantaggiati. Se mi è permesso dialogare con l’Autore, si potrebbe tuttavia, forse replicare che, in questi casi, siamo di fronte ad un vantaggio di secondo grado che parrebbe essere mera conseguenza del vantaggio primario dell’ente. Si può, quindi, forse osservare che non si dovrebbe necessariamente giungere ad introdurre di forza il principio secondo cui la sanzione deve essere irrogata al soggetto che ricavi una qualche utilità dalla violazione, ma di interpretare l’art. 7 alla luce della ratio che la Corte ravvisa, in coordinamento con la clausola di compatibilità (a prescindere dalla legittimità di simili criteri interpretativi, ben messa in luce dallo stesso Ronco).

[35] […] Ovviamente se le sanzioni si applicano.

[36] Nel delicato raccordo tra tassazione della società e del socio si recupererebbe, dunque, la disciplina del concorso, cui la Dottrina già aveva tentato di assegnare un ruolo sistematico nella costruzione del sistema sanzionatorio degli enti con personalità giuridica: cfr. Dorigo S., Persone giuridiche e sanzioni amministrative tributarie, cit., in particolare 1120 ss.

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