La vis espansiva del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria in materia tributaria: note a margine della sentenza della Corte costituzionale, n. 46/2023

Di Cesare Borgia -

Abstract

La sentenza n. 46/2023 della Corte costituzionale ci invita ancora una volta a riflettere sulle problematiche connesse alla ricerca di equilibrio tra l’entità della sanzione e la gravità dell’illecito. Nel caso esaminato, la Consulta individua una strada per superare l’ennesimo problema di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione che affligge da tempo la materia tributaria. Senza dubbio, però, il vero rimedio – al di là dell’espediente interpretativo individuato dalla Consulta – è ridisegnare il sistema, alla luce dell’importanza del criterio di proporzionalità. Una rivisitazione, quella che ci auspichiamo, del resto espressamente contemplata dall’art. 20 L. 9 agosto 2023, n. 111 (Legge delega sulla riforma tributaria), finalizzato proprio a migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie. Il commento della sentenza offre anche l’occasione per verificare il livello di superamento del c.d. “diritto tributario punitivo”, un tema centrale nelle accorte riflessioni dottrinali della nostra materia, che da tempo si interrogano in ordine all’individuazione del bene giuridico tutelato dal sistema sanzionatorio amministrativo tributario.

The expansive vis of the principle of proportionality of the penalty response in tax matters: notes in the margin of the judgement No. 46/2023 of the Constitutional Court. – Judgement No. 46/2023 of the Constitutional Court once again invites us to reflect on the issues involved in striking a balance between the size of the penalty and the gravity of the offense. In the case examined, the Constitutional Court identifies a way to overcome yet another problem of reasonableness and proportionality of the penalty that has long plagued tax matters. Undoubtedly, however, the real remedy – beyond the interpretive device identified by the Consulta – is to redesign the system in light of the importance of the criterion of proportionality. A revisitation, the one we hope for, which is, moreover, expressly contemplated by Article 20 of Law No. 111 of August 9, 2023 (Proxy Law on Tax Reform), aimed precisely at improving the proportionality of tax penalties. The commentary on the ruling also provides an opportunity to check the degree to which the so-called “punitive tax law” has been overcome, a central theme in the shrewd doctrinal reflections of our subject, which have long questioned the identification of the legal good protected by the administrative tax penalty system.

 

 

Sommario: 1. Il caso concreto e l’ordinanza di rimessione. – 2. La sentenza della Consulta. – 3. L’ancoraggio sistematico al principio di proporzionalità nella motivazione. – 4. Riflessioni conclusive.

1. Con ordinanza del 25 marzo 2022 (r.o. n. 54/2022), la Commissione tributaria provinciale di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, primo periodo e 13, comma 1, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662».

Nel caso di specie, a fronte dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale da parte della società consolidante – la quale, tuttavia, aveva presentato la propria dichiarazione, così come anche le società consolidate – l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto all’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, commisurandola all’intero ammontare delle imposte accertate nonostante l’avvenuto versamento effettuato anteriormente all’inizio della fase accertativa, avvalendosi del ravvedimento operoso ex art. 13 D.Lgs. n. 472/1997.

L’Agenzia, ritenendo invalido il ravvedimento a fronte di dichiarazione omessa, aveva comminato sanzioni pari al centoventi per cento delle imposte accertate.

Ad avviso della società ricorrente, in punto di quantificazione, la sanzione avrebbe dovuto essere commisurata alle maggiori imposte ancora dovute dopo il ravvedimento operoso, e non a quelle determinate complessivamente con gli avvisi di accertamento. In secondo luogo, è altresì censurato l’operato dell’Agenzia per non aver ritenuto operante il ravvedimento operoso perché incompatibile con l’ipotesi di omessa dichiarazione.

Alla base dell’ordinanza del giudice remittente, che condivide le argomentazioni della società ricorrente, c’è la constatazione che si tratta di una risposta sanzionatoria con tutta evidenza eccessiva. Anzitutto, la dichiarazione del consolidato omessa – in presenza, però, di regolare dichiarazione da parte di tutti i membri del consolidato – ha un disvalore “affievolito” in termini di ostacolo all’accertamento, ben potendo l’Amministrazione desumere quanto dovuto a livello di consolidato dalle dichiarazioni già in suo possesso. E poi, l’avvenuto versamento delle imposte in una fase anteriore all’accertamento sembra deporre a favore dell’attenuazione della gravità del comportamento colpito dalla sanzione.

Come ha sottolineato attenta dottrina, siamo al cospetto di una fattispecie obiettivamente sintomatica «dell’incapacità del nostro sistema sanzionatorio di adeguare la reazione punitiva all’effettivo disvalore della condotta illecita» (Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. trib., 2023, 8/9, 749 ss. Dello stesso Autore, si veda ampiamente anche Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996).

Ebbene, nel caso in esame, non avendo il giudice rimettente gli strumenti interpretativi in grado di condurre ad una mitigazione della sanzione irrogata, solleva questione di legittimità costituzionale della disposizione che si occupa dell’omessa dichiarazione (art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997) per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, con precipuo riguardo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui prevede che la sanzione dal 120 al 240% si applichi sull’intero ammontare di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione, piuttosto che soltanto sull’importo residuo delle imposte da versare al momento della notifica dell’avviso di accertamento.

Solleva, altresì, questione di legittimità costituzionale anche con riferimento alla norma che disciplina il ravvedimento operoso (e però riferendosi erroneamente all’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, anziché all’art. 13 D.Lgs. n. 472/1997), perché irragionevole nella parte in cui esclude dalla possibilità di fruire del ravvedimento il contribuente che, pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione fiscale, abbia provveduto spontaneamente al versamento delle imposte dovute. Tuttavia, per quanto concerne tale seconda questione, la Consulta, con la sentenza n. 46/2023 sulla quale si focalizzerà questo lavoro, l’ha ritenuta inammissibile, dato che il giudice a quo non era chiamato a fare applicazione della suddetta norma nel giudizio.

La Corte costituzionale dichiara infondata la questione di commisurare la sanzione per omessa dichiarazione all’importo residuo delle imposte da versare. Al tempo stesso, però, propone una lettura “costituzionalmente orientata” dei commi 1 e 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 472/1997, in forza della quale, tra le circostanze che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, può assumere rilevanza quanto indicato nel comma 1, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.

La pronuncia in commento ci invita ancora una volta a riflettere sulle problematiche connesse alla ricerca di equilibrio tra l’entità della sanzione e la gravità dell’illecito.

Invero, la Consulta individua una strada per superare l’ennesimo problema di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione che affligge da tempo la materia tributaria. Ma si spinge fin dove le è consentito «senza invadere un’area prettamente riservata a valutazioni di politica legislativa, alla quale la sentenza lancia comunque il monito […] a ridisegnare il sistema» (Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, cit., 754).

Il commento della sentenza offre anche l’occasione per verificare il livello di superamento del c.d. “diritto tributario punitivo”, un tema centrale nelle accorte riflessioni dottrinali della nostra materia, che da tempo si interrogano in ordine all’individuazione del bene giuridico tutelato dal sistema sanzionatorio amministrativo tributario (sul tema, si veda il fondamentale studio di Del Federico L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993. Più di recente, si veda ampiamente Melis G., Gli interessi tutelati, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, in part. 1297 ss.).

2. Nella prima parte della sentenza, rispetto alla richiesta del giudice remittente di una sentenza sostitutiva, tramite la quale si chiedeva di correggere in termini più garantistici la disposizione censurata al fine di commisurare la sanzione per omessa dichiarazione all’importo residuo delle imposte da versare, la Consulta dichiara la questione infondata.

Tuttavia, nella seconda parte della pronuncia, la Corte ritiene che il problema della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in questione – sollevato dal remittente – esiste realmente e va risolto. Tanto spiega l’interpretazione costituzionalmente orientata dei commi 1 e 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 472/1997, in forza della quale quanto indicato dal comma 1, in particolare la condotta dell’agente e la sua operosità volta all’eliminazione o all’attenuazione delle conseguenze, ben può determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione.

Una tale lettura è in grado di condurre ad un abbattimento della sanzione fino alla metà del minimo edittale e, più in generale, a mitigare l’applicazione di sanzioni non rispettose del principio di proporzionalità quando inflitte a contribuenti che non rivelano un chiaro intento evasivo.

Ricostruito il perimetro entro il quale si è mossa la Consulta e venendo alla portata applicativa di una simile pronuncia, come è stato puntualmente specificato in dottrina, la sentenza rientra nel novero delle interpretative di rigetto con le quali la Corte, pur giungendo ad una dichiarazione di infondatezza, al tempo stesso fornisce un’opzione ermeneutica della disposizione impugnata idonea a salvarla dall’incostituzionalità (Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, cit., 751).

Trattasi di una sentenza che potrebbe avere un forte impatto sul tema della commisurazione delle sanzioni tributarie. Questo perché, in virtù dell’interpretazione della disposizione generale che regola la quantificazione della misura della sanzione nell’ambito della cornice edittale, qualsiasi tipo di infrazione fiscale potrà essere direttamente irrogata dagli Uffici – come pure ha evidenziato la Consulta – in una misura ridotta fino alla metà del minimo di legge laddove la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze denotino il modesto disvalore del comportamento ascritto al contribuente.

In effetti, affermando che la condotta dallo stesso tenuta, anche con riguardo alla sua operosità in ordine alle conseguenze, potrà comportare la riduzione della sanzione fino alla metà del minimo edittale, la Corte costituzionale compie un passo in avanti importante a favore dell’effettiva attuazione del principio di proporzionalità.

3. Nel caso di specie, la Consulta senza dubbio ritiene la risposta sanzionatoria sproporzionata, avvertendo quindi l’esigenza di adeguare la reazione punitiva all’effettivo grado di disvalore della condotta. Infatti, nella motivazione, giunge ad affermare che le sanzioni strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte tendono, tuttavia, a divenire “draconiane” nel momento in cui colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano.

Il percorso motivazionale risulta molto interessante, rinvenendosi un’accurata ricognizione dell’evoluzione delle sanzioni tributarie fino alla riforma del 1997, nella quale viene preferito il modello del diritto punitivo (come è stato confermato, di recente, da Cass. 27 aprile 2022, n. 13145, secondo la quale l’impianto sanzionatorio non penale in materia tributaria corrisponde a tutti gli effetti ad un modello penalistico).

Questo inquadramento delle sanzioni tributarie costituisce una base sicura per riferire ad esse specifici precedenti della Consulta in ordine all’applicazione del principio di proporzionalità «alla generalità delle sanzioni amministrative» (cfr. Corte cost. n. 112/2019), come anche alla «esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato» (cfr. Corte cost. n. 185/2021).

Come in precedenza ribadito dalla medesima Corte, il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e «tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (cfr. Corte cost. n. 161/2018).

4. La Corte costituzionale sceglie, tuttavia, di non percorrere “la strada maestra” volta all’accoglimento della questione sollevata dal giudice rimettente. Il perché di questa scelta può desumersi sempre dalla motivazione, basandosi principalmente sulla valorizzazione del ruolo della dichiarazione in un sistema di fiscalità di massa, all’interno del quale la sua fedele compilazione e tempestiva presentazione costituisce uno degli atti più importanti per collaborare con l’Amministrazione al fine di adempiere ad un dovere inderogabile di solidarietà.

Tanto giustificherebbe la necessità, per il buon funzionamento del sistema tributario, che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi sia presidiata da una sanzione con un forte effetto deterrente.

Inoltre, come dalla stessa affermato, la soluzione proposta di commisurare la sanzione per omessa dichiarazione all’importo residuo delle imposte da versare, depotenzierebbe troppo la sanzione per omessa dichiarazione, portando al risultato estremo che versando le imposte anche molti anni dopo, si sanerebbe integralmente la omessa dichiarazione, fino ad arrivare al punto che in presenza di versamento integrale ante accertamento nessuna sanzione risulterebbe dovuta.

Dietro le righe della motivazione può leggersi «la renitenza della Corte ad una sentenza sostitutiva che di fatto avrebbe rischiato di essere percepita come una pesante invasione dell’area di discrezionalità legislativa che permea il raggiungimento dell’equilibrio tra rilevanza dell’interesse offeso ed intensità della reazione punitiva» (Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, cit., 754).

Senza dubbio, il vero rimedio – al di là dell’espediente interpretativo individuato dalla Consulta – è ridisegnare il sistema, alla luce dell’importanza del criterio di proporzionalità. Una rivisitazione, quella che ci auspichiamo, del resto espressamente contemplata dall’art. 20 L. 9 agosto 2023, n. 111 (Legge delega sulla riforma tributaria), finalizzato proprio a migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie (per approfondire, si veda Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 502 ss.).

Il principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie relative a tributi armonizzati ha assunto una importanza sempre maggiore negli ultimi anni, in particolare nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, richiamata meritoriamente dalla stessa Consulta.

Con la sentenza NE causa C-205/20 dell’8 marzo 2022, la Corte di Giustizia giunge ad una conclusione sorprendente rispetto al precedente orientamento affermato nella nota sentenza Link Logistik causa C-384/17 del 4 ottobre 2018, laddove era stato negato l’effetto diretto del criterio di proporzionalità delle sanzioni (per approfondire, si veda Cociani S.F., Sul divieto di pene sproporzionate e sul riconoscimento dell’attenuante per i reati tributari di competenza della procura europea [EPPO], in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 747 ss.).

Infatti, perviene all’epilogo che il principio di proporzionalità è dotato di effetto diretto e può quindi essere invocato dai singoli innanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto.

Il nuovo orientamento della Corte di Giustizia dell’UE ci dà la giusta misura, dunque, della rilevanza assunta oggi dal principio di proporzionalità, perfettamente in linea con tutte le garanzie che devono essere accordate in uno Stato di diritto.

La sentenza della Corte costituzionale si segnala soprattutto per aver messo in primo piano, puntualizzandone la portata, il criterio di proporzionalità in materia di sanzioni amministrative tributarie.

Tuttavia, sembra opportuno rilevare che la Consulta, soffermandosi sul disvalore della condotta punita, avrebbe potuto approfondire anche il principio di offensività (sul tema, ampiamente Montanari F., La dimensione multilivello delle sanzioni tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione, in Riv. dir. trib., 2017, 4, I, in part. 482) sotto il profilo dell’adeguatezza e dell’utilità della misura punitiva in esame rispetto all’interesse tutelato (per approfondire, oltre che per uno sguardo critico sulla sentenza in commento, Coppa D., I principi di proporzionalità e di offensività nell’interpretazione [poco] costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, in part. 618).

Nella pronuncia in commento, l’interesse tutelato sembra essere individuato dalla Consulta nella garanzia dell’efficacia dei controlli fiscali, il cui svolgimento sarebbe ostacolato dall’atteggiamento non collaborativo in cui si sostanzia il mancato adempimento dell’obbligo di presentazione della dichiarazione.

A dirla tutta, l’interesse primario da salvaguardare sembra essere l’interesse pubblico al funzionamento del sistema tributario. E però, tale esigenza – in una materia delicata come quella sanzionatoria – rischia di “sbilanciare” gli interessi in gioco e giustificare l’attualità di un “diritto tributario punitivo” posto esclusivamente a presidio di suddetto interesse, mentre l’ormai acquisita vis espansiva del principio di proporzionalità, soprattutto nella giurisprudenza unionale, sembra andare in tutt’altra – più garantistica per i contribuenti – direzione.

Oltretutto, in una materia, come quella tributaria, espressione emblematica della sovranità statale, dove, più che in altri rami dell’ordinamento giuridico, si registrano difficoltà in merito all’accettazione dei principi di promozione delle libertà civili negli ordinamenti interni che promanano dalle Corti europee.

Anche rispetto alla soluzione individuata dalla Consulta nel caso concreto, scaturiscono dei seri dubbi sulla sua praticabilità.

Un dato di fatto fino ad oggi inequivocabile è «che l’Agenzia delle entrate irroga le sanzioni amministrative tributarie, pure improntate ai principi del diritto penale, in maniera meccanica […] senza alcuna profilatura del contribuente» (così Marino G., La metamorfosi della sanzione amministrativa tributaria: dalla teoria della afflittività alla pratica della premialità [nell’insegnamento di Giuseppe Dragonetti], in Dir. prat. trib., 2022, 4, in part. 1163). Inoltre, l’articolo 7, comma 4, D.Lgs. n. 472/1997, per quanto interpretato in combinato disposto con il comma primo, con l’intento di valorizzare i criteri di determinazione della sanzione, da solo non potrebbe certo assurgere a chiave di volta in grado di assicurare la tenuta entro limiti di proporzionalità e ragionevolezza del sistema sanzionatorio, dovendo la possibilità di ridurre le sanzioni irrogabili inserirsi nel contesto di un sistema sanzionatorio di per sé proporzionale che, allo stato attuale, ancora non esiste (sulla debolezza del sistema sanzionatorio in materia tributaria, si veda Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.; interessanti spunti di riflessione per la revisione del sistema sanzionatorio si rinvengono anche nello studio di Ingrao G., Appunti sull’applicazione del principio di proporzionalità per la revisione delle sanzioni amministrative tributarie, in Riv. dir. trib., 2014, 9, I, 971 ss.).

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Cociani S.F., Sul divieto di pene sproporzionate e sul riconoscimento dell’attenuante per i reati tributari di competenza della procura europea (EPPO), in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 747 ss.

Coppa D., I principi di proporzionalità e di offensività nell’interpretazione (poco) costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, 614 ss.

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Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.

Ingrao G., Appunti sull’applicazione del principio di proporzionalità per la revisione delle sanzioni amministrative tributarie, in Riv. dir. trib., 2014, 9, I, 971 ss.

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Marino G., La metamorfosi della sanzione amministrativa tributaria: dalla teoria della afflittività alla pratica della premialità (nell’insegnamento di Giuseppe Dragonetti), in Dir. prat. trib., 2022, 4, 1150 ss.

Marongiu G., La nuova disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 1998, 264 ss.

Melis G., Gli interessi tutelati, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., (a cura di), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, 1297 ss.

Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 502 ss.

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