IVA ed utility token: un regime a geometria variabile

Di Pier Luca Cardella -

(commento a/notes to Risposta ad istanza di interpello n. 507 del 12 ottobre 2022)

 

Abstract

L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta all’istanza di interpello n. 507 del 12 ottobre 2022, ritiene che la natura ibrida di un token determini una condizione di precarietà che, a prescindere dal nomen attribuito dall’emittente in sede di Initial Coin Offer (ICO), non consente di individuare il corretto trattamento IVA da riservarsi all’emissione del gettone crittografico e ciò giustifica la sua qualificazione in termini di documento di legittimazione.

VAT and utility tokens: a variable geometry system. – The Italian Revenue Agency, in its answer to ruling No. 507 of 12 October 2022, considers that the hybrid nature of a token determines a precarious condition which, regardless of the nomen attributed by the issuer during the Initial Coin Offer (ICO), does not allow to identify the correct VAT treatment and this justifies the qualification of the cryptographic token in terms of a legitimation document.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. I contenuti della Risposta all’istanza di interpello n. 507/2022. – 3. La natura ibrida del token e la qualificazione in termini di documento di legittimazione ex art. 2002 c.c. – 4. Conclusioni.

1. L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta all’istanza di interpello n. 507 del 12 ottobre 2022, torna ad occuparsi di IVA ed utility token, fornendo alcuni chiarimenti caratterizzati da marcati tratti di precarietà.

Precaria è, innanzi tutto, la prospettiva temporale del parere reso avendo la stessa Agenzia avvertito l’esigenza di precisare che la risposta fornita «è suscettibile di adattamenti in adeguamento al mutato indirizzo della prassi internazionale in materia di crypto-assets oppure all’intervento di una regolamentazione nazionale».

E precaria è la natura del token che l’istante intende emettere (per la classificazione dei token in a) currency o payment token; b) investment o security token; c) utility token v., per tutti, Perrone A., Delle crypto-currencies e della generazione di un valore tassabile, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F., a cura di, Tributi, economia e diritto nel Metaverso, Pisa, 2023, 237 ss., e Pierro M., Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rass. trib., 2022, 3, 582 ss.; in tema v. anche la recentissima Circolare dell’Agenzia delle Entrate 27 ottobre 2023, n. 30/E).

Si tratta, infatti, di un token che nasce come titolo per la fruizione di un servizio e che successivamente muta o, ed a seconda dei casi, può mutare natura assumendo la veste di strumento di investimento o di moneta virtuale, metamorfosi questa che, nella specifica prospettiva del ruling oggetto di commento, giustifica la qualificazione del token in termini di documento di legittimazione ex art. 2002 c.c. con conseguente irrilevanza ai fini IVA della relativa cessione (a giudizio di Tomassini A., Fiscalità societaria diretta e indiretta delle criptovalute, in Corr. trib., 2022, 6, 580, in questo documento di prassi “l’utility token è stato sostanzialmente qualificato come documento di legittimazione alla fornitura di determinati servizi generici”; in tema di IVA ed utility token v., tra gli altri, Antonacchio F., Utility token: ancora incertezza sul trattamento IVA, in il fisco, 2022, 21, 2037; Franco A., Utility token e profili IVA tra prassi amministrativa e problematiche operative, in il fisco, 2022, 37, 3551 s., e Magliaro A. – Censi S., Emissione e cessione di utility token e attività di mining, in il fisco, 2023, 3, 268 ss.).

Lettura si è detto precaria e, per certi versi, innovativa.

Merita infatti ricordare che l’Agenzia delle Entrate, cinque anni or sono, aveva avuto modo di precisare che gli utility token hanno «caratteristiche tali da essere tendenzialmente assimilati ai voucher, quali strumenti che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi», strumenti la cui cessione, in epoca anteriore al recepimento della c.d. direttiva voucher, non assumeva rilevanza ai fini IVA (cfr. la Risposta all’istanza di interpello n. 14 del 28 settembre 2018).

Presa di posizione questa cui aveva fatto seguito, a distanza di poco più di due anni, una ulteriore risposta ad istanza di interpello avente ad oggetto, in particolare, il trattamento IVA da riservarsi all’emissione di un utility token capace di consentire l’accesso ai servizi necessari per svolgere l’attività di miner.

In questo terzo caso, l’Agenzia, dopo aver analizzato le clausole contrattuali e richiamato le diverse tipologie di token ed una possibile loro tassonomia, aveva ricondotto il token d’interesse entro la categoria dei token di utilità, assumendo che ciò che viene pagato al soggetto che emette i gettoni è una commissione (c.d. fee) dovuta per consentire l’accesso alla piattaforma e lo svolgimento dell’attività di minting (cfr. l’istanza di interpello n. 110 del 20 aprile 2020 annotata da Fassò F., Il trattamento fiscale degli utility token nella [rinnovata] prospettiva dell’Amministrazione finanziaria, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2021, 50, 115 ss.), commissione da qualificarsi alla stregua di una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 633/1972.

Ebbene, nel breve volgere di un quadriennio, le vicende circolatorie dei token che attribuiscono il diritto di ricevere o di usufruire di determinati beni o servizi sono state considerate capaci di originare tanto operazioni rilevanti ai fini IVA, quanto operazioni irrilevanti (vuoi perché i token in parola sono assimilabili ai voucher, vuoi perché gli stessi sono equiparabili ai documenti di legittimazione di cui all’art. 2002 c.c.) e sono proprio queste vistose oscillazioni ad offrire lo spunto per alcune brevi note di commento.

2. Il quesito che ha originato la risposta più recente dell’Agenzia delle Entrate in subiecta materia può essere così rappresentato.

L’istante opera nel campo della protezione del diritto di autore e palesa l’intenzione di emettere, attraverso una Initial Coin Offer (ICO), un token di utilità capace di garantire al soggetto che lo possiede la possibilità di proteggere le proprie opere musicali mediante un procedimento di autenticazione (notarizzazione) basato sull’utilizzo della tecnologia blockchain.

L’emissione del token serve a finanziare la realizzazione dell’infrastruttura tecnologica e, onde promuovere il buon esito dell’iniziativa (le ICO costituiscono, come ricorda Sandei C., L’offerta iniziale di cripto-attività, Torino, 2022, 1, «un nuovo modello di finanziamento diretto in forma elettronica [a distanza], particolarmente utilizzato dalle start-up innovative»), l’istante intende riconoscere al soggetto che aderisce all’offerta iniziale la possibilità di effettuare il deposito ad un prezzo inferiore rispetto a quello che verrà praticato a regime, ossia in un momento successivo all’offerta iniziale al pubblico.

Individuate a grandi linee le caratteristiche del progetto in fase di sviluppo e messa a fuoco la sua logica industriale, l’istante affronta le questioni di matrice fiscale rilevando, in particolare, che le generalità dei possessori degli utility token emessi ed il loro status saranno note soltanto nel momento in cui i token di cui trattasi verranno utilizzati per la fruizione del servizio di deposito.

Si viene a registrare, in buona sostanza, una condizione di anonimato determinata dal fatto che, al momento dell’emissione del token, risulta disponibile esclusivamente il codice alfanumerico che identifica in modo univoco il portafoglio digitale (il c.d. wallet).

Di qui l’impossibilità di disporre delle informazioni indispensabili per individuare correttamente la controparte contrattuale e la conseguente necessità di ricondurre, stando in particolare alla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente, l’operazione di emissione e vendita del token entro l’alveo delle «cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro», cessioni che, giusta quanto previsto dall’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633 del 1972, sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA.

L’Agenzia delle Entrate, investita della questione, glissa sulla richiamata impossibilità di individuare le generalità del possessore del token e ritiene, invece, decisiva la parabola evolutiva del gettone crittografico. Si sottolinea, infatti, che il progetto finanziato attraverso l’emissione dei token potrebbe subire ritardi o che, addirittura, potrebbe non essere completato e si dà (soprattutto) conto del fatto che, messa a punto l’infrastruttura tecnologica, il valore del token potrebbe crescere e che, di conseguenza, il soggetto che ha aderito all’offerta iniziale «acquistando» il token, anziché procedere al deposito della propria opera musicale, potrebbe preferire la conservazione «quale riserva di valore» o la cessione «contro altre cripto-attività o moneta fiat al fine di realizzare un guadagno».

Si potrebbe registrare, in poche parole, una sorta di metamorfosi con un token che nasce come strumento capace di soddisfare una determinata esigenza di consumo e che, al verificarsi di determinate circostanze, si trasforma in uno strumento di investimento.

Il che, secondo l’Agenzia, non è affatto privo di conseguenze.

Rifacendosi, infatti, all’impostazione adottata dal Comitato IVA della Commissione Europea (il riferimento è, segnatamente, al Working Paper n. 983 del 13 novembre 2019 e al Working Paper n. 993 del 21 febbraio 2020), l’Agenzia delle Entrate prende posizione osservando che la capacità «di un utility token di trasformarsi dopo l’emissione farebbe venir meno la possibilità di riscontrare per detto strumento le condizioni previste per i voucher poiché: – in determinate situazioni opera come criptovaluta, nel qual caso potrebbe piuttosto essere considerato un servizio di pagamento; – non sono sufficientemente dettagliati i beni e/o i servizi cui darebbe diritto, o l’identità dei potenziali fornitori che partecipano alla filiera; – il suo scopo è suscettibile di modifica e quindi la funzione dello strumento non è ben definita al momento della sua emissione» (così, testualmente, la Risposta n. 507/2022).

La natura ibrida del token unitamente all’opacità che caratterizza l’oggetto dell’operazione e l’identità dei soggetti in essa coinvolti sono, dunque, alla base di una lettura che conduce al parziale superamento delle indicazioni fornite, in punto di qualificazione, con la già citata Risposta n. 14/2018 in cui l’Agenzia, muovendo dall’assunto secondo cui i token possono essere utilizzati «direttamente dall’acquirente originario o ceduti a terzi, a fronte di corrispettivi anche in valuta virtuale», riteneva sussistessero le condizioni per assimilare gli utility token di cui trattasi ai voucher, «quali strumenti che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi» (tra le righe merita ricordare che, a giudizio dell’Agenzia, i chiarimenti forniti con tale risposta riguardano una «una categoria di utility token ormai, di fatto, residuale» [così, testualmente, la recente circ. n. 30/E/2023]).

Ed invero, nella risposta all’istanza di interpello n. 507/2022 cambiano i termini di assimilazione con un riferimento che, a differenza di quanto accaduto nel 2018, viene ora operato ai documenti di legittimazione di cui all’art. 2002 c.c. (sulla categoria dei documenti di legittimazione v., per tutti, Lener R. – Stella Richter M. jr., Sub art. 2002, in Gabrielli E., diretto da, Commentario del Codice civile; Lener R., a cura di, Delle promesse unilaterali. Dei titoli di credito, Milanofiori Assago, 2015, 268 ss.).

Non cambia, tuttavia, il riconoscimento del fatto che la cessione del token ha natura di «mera movimentazione di carattere finanziario» cui consegue, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972, l’esclusione dal campo di applicazione del tributo sul valore aggiunto.

Il diverso approccio in termini di qualificazione del fenomeno (voucher versus documenti di legittimazione) si può spiegare tenendo conto del fatto che, a pochi mesi di distanza dalla pubblicazione della Risposta n. 14/2018, sono entrate in vigore le disposizioni recate dal D.Lgs. n. 141/2018 in materia di buoni-corrispettivi e, soprattutto, sono state rese pubbliche le risultanze dei lavori del Comitato IVA che, occupandosi della possibile estensione agli utility token del trattamento impositivo riservato ai voucher, ha avuto modo di identificare una serie di argomenti che escludono la correttezza di tale conclusione (si tratta, per essere chiari, degli argomenti cui si riferisce l’Agenzia nella Risposta alla istanza di interpello in commento e di cui si è più sopra dato conto; a scanso di equivoci, merita comunque ricordare che il Comitato IVA, a p. 16 del già citato Working Paper n. 983/2019, chiarisce che gli utility token possono essere qualificati come voucher quando: «– they can be exchanged with goods or services; – they can be used only in a limited network»).

Resta fermo, in ogni caso, che i token oggetto delle istanze di interpello del 2018 e del 2022 appaiono suscettibili di autonoma circolazione sul mercato secondario assumendo un profilo funzionale che potrebbe non essere necessariamente collegato alla fruizione di un determinato servizio e tanto basta per spiegare la qualificazione in termini di hybrid token (sul piano definitorio è bene tenere a mente che, giusta quanto previsto dall’art. 3, par. 1, n. 9, del Regolamento UE 2023/1114 del 31 maggio 2023, sono da considerarsi token di utilità le cripto-attività destinate «unicamente a fornire l’accesso a un bene o a un servizio prestato dal suo emittente»).

Diversa è, invece, la prospettiva che anima il ruling del 2020 avendo la stessa Agenzia escluso il carattere ibrido di uno strumento che, a dispetto della ricostruzione operata dall’istante, viene considerato utility token in senso stretto, ossia gettone utilizzabile esclusivamente per godere dei servizi della piattaforma blockchain.

3. E si arriva così all’individuazione di alcune coordinate utili ad orientare l’analisi dei documenti di prassi varati nell’ultimo quinquennio.

La natura ibrida del token determina una condizione di precarietà che, a prescindere dal nomen attribuito dall’emittente in sede di Initial Coin Offer (ICO), non consentirebbe di individuare immediatamente e compiutamente il corretto trattamento IVA da riservarsi all’emissione del gettone e ciò giustificherebbe una qualificazione (quella in termini di documento di legittimazione) che, in buona sostanza, crea i presupposti per un regime sospensivo con il rinvio dell’applicazione del tributo sul valore aggiunto al momento in cui la natura del token si paleserà.

Quando, invece, la natura dell’utility token è apprezzabile sin dalla sua emissione in modo chiaro e non suscettibile di future trasformazioni allora la strada da percorrere, stando almeno al contenuto del ruling del 2020, sarebbe quella dell’immediata applicazione del tributo, lettura questa coerente con le indicazioni fornite dal Comitato IVA che, proprio con riguardo agli utility token, ha escluso la possibilità di applicare la disciplina dei voucher solo quando la natura del token è ibrida (cfr., nuovamente, le indicazioni ritraibili dalla lettura del Working Paper n. 983 del 13 novembre 2019).

Nella ricostruzione operata dall’Agenzia delle Entrate carattere recessivo parrebbe, invece, assumere l’impossibilità di individuare le generalità del possessore del token, circostanza questa che va apprezzata tenendo conto del fatto che, per definizione, la tecnologia dei blocchi consente di certificare il trasferimento dell’asset sotto forma di codice alfanumerico.

4. Volendo a questo punto tirare le fila del discorso, si deve per prima cosa prendere atto del fatto che: a) l’utilizzo della blockchain consente di implementare token di contenuto misto e/o mutevole in prospettiva diacronica; b) lo sviluppo di apposite piattaforme di trading on line stimola l’interesse degli investitori verso strumenti che garantiscono alle imprese forme di raccolta del capitale innovative; c) i sottoscrittori degli utility token assai di rado si servono di tali strumenti per soddisfare un proprio bisogno di consumo concreto (per alcune evidenze empiriche circa la propensione dei sottoscrittori degli utility token in sede di ICO alla detenzione per finalità di investimento e/o speculative v., in particolare, Fahlenbrach R. – Frattaroli M., ICO Investors, in 35 Financial Markets and Portfolio Management, 2021, 21).

Coesistono, in poche parole, funzioni diverse che rendono ibrido il processo di tokenizzazione dei diritti e che, a tacer d’altro, alimentano rischi di doppia imposizione o di non imposizione con fenomeni di alterazione del corretto funzionamento del meccanismo impositivo dovuti, in particolare, all’incerta identificazione del luogo di consumo e del momento impositivo.

Fenomeni non nuovi in ambito IVA se è vero, come è vero, che sono propri tali rischi a spiegare la peculiare disciplina dei voucher (cfr., in particolare, il secondo considerando della Direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 ove si richiama la necessità di «garantire un trattamento uniforme e certo, assicurare la coerenza con i principi di un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi ed evitare incoerenze, distorsioni della concorrenza, la doppia imposizione o la non imposizione e di ridurre il rischio dell’elusione fiscale») ed è proprio guardando a tale regolamentazione che è possibile cogliere indicazioni utili a ricostruire il trattamento IVA dei token di utilità sottoscritti, in specie, da consumatori finali.

Da questo punto di vista si può, infatti, sicuramente escludere che ai token ibridi possa essere applicato il trattamento previsto per i buoni-corrispettivi monouso di cui all’art. 6-ter D.P.R. n. 633/1972 e ciò per la semplice ragione che, all’atto dell’emissione del token e ferma la sua potenziale metamorfosi sul piano funzionale, non «è nota la disciplina applicabile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto» (con riferimento alla disciplina di recepimento della c.d. direttiva voucher v., diffusamente, Giorgi M., Il sistema dell’IVA e la Direttiva Voucher, in Corr. trib., 2018, 35, 2651 ss.).

Di qui la necessità, avvertita in particolare dall’Agenzia delle Entrate, di volgere lo sguardo ai documenti di legittimazione di cui all’art. 2002 c.c. che, essendo concepiti come strumenti capaci di identificare l’avente diritto ad una prestazione futura, dovrebbero consentire di cogliere la cifra caratteristica di uno strumento che, in aggiunta ad altri diritti, garantisce quello di godere dei servizi offerti dall’emittente.

Qualificazione questa che, quanto ai token ibridi, implica, al pari di quanto accade per i buoni-corrispettivi multiuso di cui all’art. 6-quater D.P.R. n. 633/1972, il riconoscimento dell’irrilevanza ai fini IVA della cessione del token con differimento del momento di applicazione del tributo all’epoca in cui il possessore utilizzerà il gettone crittografico per godere del servizio offerto dall’emittente.

Ben diverso è, invece, il discorso da farsi laddove il token sia di mera utilità e non sia suscettibile, quindi, di autonoma circolazione sul mercato secondario giacché, in questa diversa ipotesi, il trattamento IVA applicabile è noto al momento dell’emissione del token e ciò dovrebbe essere sufficiente per consentire l’applicazione della disciplina recata dall’art. 6-ter D.P.R. n. 633/1972 in materia di buoni-corrispettivi monouso con tutte le conseguenze del caso sul piano della immediata applicazione del tributo sul valore aggiunto.

Questa lettura collima con le indicazioni fornite dal Comitato IVA nel 2019 e, in linea di massima, consente di tener conto del magmatico sviluppo di strumenti dal profilo contenutistico vario e, talvolta, mutevole.

Seguendo questa direttrice si rinuncia, tuttavia, al tentativo di ricostruire un regime IVA unitario per la creazione e la circolazione delle diverse tipologie di token crittografici, tentativo che inevitabilmente passa per la riconduzione delle cripto-attività (e, dunque, anche degli utility token) entro la categoria generale dei beni giuridici di cui all’art. 810 c.c. (in questo senso v., in particolare, Pierro M., Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, cit., 608; in argomento v. anche le considerazioni di Giorgi S., Cripto-attività e NFT tra vecchie categorie e nuovi beni, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F., a cura di, Tributi, economia e diritto nel Metaverso, cit., 271 ss.).

Riconduzione questa che, stando ai contenuti della già citata Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E/2023, è invece possibile con riferimento ai non-fungible token alla cui circolazione si ritengono applicabili le disposizioni che regolano i servizi prestati tramite mezzi elettronici di cui all’art. 7, par. 1, del Regolamento di esecuzione (UE) 282/2011 del 15 marzo 2011 trattandosi, in specie, di cessioni aventi ad oggetto prodotti digitali (sul trattamento IVA dei non-fungible token v. Cardella P.L., I non-fungible token (NFT) nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F., a cura di, Tributi, economia e diritto nel Metaverso, cit., 427 ss.).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

Antonacchio F., Utility token: ancora incertezza sul trattamento IVA, in il fisco, 2022, 21, 2031 ss.

Cardella P.L., I non-fungible token (NFT) nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F. (a cura di), Tributi, economia e diritto nel Metaverso, Pisa, 2023, 427 ss.

Fahlenbrach R. – Frattaroli M., ICO Investors, in 35 Financial Markets and Portfolio Management, 2021, 1

Fassò F., Il trattamento fiscale degli utility token nella (rinnovata) prospettiva dell’Amministrazione finanziaria, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2021, 50, 115 ss.

Franco A., Utility token e profili IVA tra prassi amministrativa e problematiche operative, in il fisco, 2022, 37, 3546 ss.

Giorgi M., Il sistema dell’IVA e la Direttiva Voucher, in Corr. trib., 2018, 35, 2651 ss.

Giorgi S., Cripto-attività e NFT tra vecchie categorie e nuovi beni, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F. (a cura di), Tributi, economia e diritto nel Metaverso, Pisa, 2023, 271 ss.

Lener R. – Stella Richter M. jr., Sub art. 2002, in Gabrielli E. (diretto da), Commentario del Codice civile, Lener R. (a cura di), Delle promesse unilaterali. Dei titoli di credito, Milanofiori Assago, 2015, 268 ss.

Magliaro A. – Censi S., Emissione e cessione di utility token e attività di mining, in il fisco, 2023, 3, 262 ss.

Perrone A., Delle crypto-currencies e della generazione di un valore tassabile, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F. (a cura di), Tributi, economia e diritto nel Metaverso, Pisa, 2023, 233 ss.

Pierro M., Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rass. trib., 2022, 2, 574 ss.

Sandei C., L’offerta iniziale di cripto-attività, Torino, 2022, 1 ss.

Tomassini A., Fiscalità societaria diretta e indiretta delle criptovalute, in Corr. trib., 2022, 6, 573 ss.

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