Sviluppi in tema di promozione fiscale dell’innovazione nel contrasto alla crisi economica

Di Patrizia Accordino -

Abstract

In tempi di crisi economica, puntare al mantenimento di alti standard tecnologici ed innovativi è una valida garanzia di un più significativo impatto sui livelli complessivi di produzione e occupazione, assicura di poter competere sui mercati, e favorisce l’internazionalizzazione e l’attrazione di nuovi investimenti. Per queste ragioni, il nostro Paese, al fine di stimolare il rafforzamento di quei comparti economici che fondano la loro attività sull’innovazione, la ricerca e lo sviluppo, ha ritenuto opportuno, a partire dal 2012, mutuare alcune buone pratiche da quelle realtà in cui le politiche di promozione e sostegno all’innovazione sono un punto di riferimento per il business ecosystem nazionale ed ha introdotto una normativa organica a favore delle imprenditorialità innovative che è stata costantemente aggiornata e, ultimamente, implementata per contrastare gli effetti economici della pandemia. Alcuni recenti proposte normative in itinere che ne vogliono valorizzare, enfatizzare e sistematizzare gli effetti spingono a riassumerne i presupposti per esaminarne criticamente gli attuali sviluppi e i possibili esiti futuri

Innovation as a tool to fight the economic crisis: latest updates. – In times of economic crisis, aiming at maintaining high technological and innovative standards is a valid guarantee of a more significant impact on overall production and employment levels, ensures being able to compete in the markets, and favours internationalization and the attraction of new investments. For these reasons, our country, to stimulate the strengthening of those economic sectors that base their activities on innovation, research and development, has deemed it appropriate, starting in 2012, to borrow some good practices from those realities in which policies to promote and support innovation are a point of reference for the national business ecosystem and has introduced a systematic legislation in favour of innovative entrepreneurship that has been constantly updated and, lately, implemented to fight the economic effects of the pandemic. Some recent regulatory proposals in the pipeline aiming at enhancing, emphasizing and systematizing its effects prompt a summary of its assumptions in order to critically examine its current developments and possible future outcomes.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La politica fiscale di sostegno alle imprenditorialità innovative in Italia. – 3. Il confronto con le regole unionali sugli aiuti di Stato. – 4. Le recenti proposte legislative. – 5. Conclusioni.

1. L’innovazione, cioè la possibilità di sperimentare nuovi metodi, di aggiornare quelli esistenti o di esplorare risorse alternative, è un elemento fondamentale per stimolare la creazione di nuove realtà imprenditoriali e favorire lo sviluppo di quelle già operanti. Essa difatti risulta avere un più significativo impatto sui livelli complessivi di produzione e occupazione; garantisce alle imprese che la includono tra i loro obiettivi di poter competere sui mercati; favorisce l’internazionalizzazione e l’attrazione di nuovi investimenti (Commissione UE, Oslo Manual, Bruxelles, 2005; Lindholm Dahlstrand A. – Stevenson L., Innovative entrepreneurship policy: linking innovation and entrepreneurship in a European context, in Annals of Innovation & Entrepreneurship, 2010, 1, 5602 ss.).

La politica fiscale può concretamente influenzare l’innovazione agendo su ricerca, sviluppo, digitalizzazione e trasferimento tecnologico (cfr. Hanusch H. – Chakraborty L.S. – Khurana S., Fiscal Policy, Economic Growth and Innovation: An Empirical Analysis of G20 Countries, New York, 2017, 1 ss.).

Le possibilità che si offrono possono sintetizzarsi in due diversi insiemi: una modalità diretta che consiste nel prevedere sussidi e finanziamenti e una azione basata su incentivi ed agevolazioni a favore degli investitori oppure operante sulla tassazione delle imprese.

Negli ultimi anni, la scelta che è stata fatta dal nostro Paese appare essere maggiormente orientata nel prevedere a favore delle imprese esenzioni, ammortamenti accelerati o l’attribuzione di crediti d’imposta per la ricerca e lo sviluppo, e più di recente anche per la c.d. proprietà intellettuale. Oltrechè l’alleggerimento del carico fiscale degli investitori che le sostengono, attraverso deduzioni e detrazioni.

Da un punto di vista dell’inquadramento sistematico, queste azioni rientrano nell’ampio comparto delle agevolazioni fiscali (cfr., in generale, Fichera F., Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, passim; La Rosa S., Esenzione, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 567 ss.; Id., Le agevolazioni tributarie, in Amatucci A., diretto da, Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, I, 403 ss.; Basilavecchia M., Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni [diritto tributario], in Enc. dir., Agg. V, Milano, 2001, 48 ss.; per una ampia ricostruzione del tema con riguardo alle agevolazioni fiscali che possono favorire l’innovazione si rimanda a Boria P., La ricerca e l’innovazione industriale come fattori di una fiscalità agevolata, in Dir. prat. trib., 2017, 5, I, 1869 ss.). E, inoltre, nel caso di interventi all’interno di Stati membri UE, anche nell’ambito della tematica degli aiuti di Stato.

Ciò comporta il doversi confrontare con questi aspetti ogni volta in cui si prospetta una modifica normativa.

Una politica siffatta, come si chiarirà meglio di seguito, è stata portata avanti, in via specifica e da oltre dieci anni, con riguardo alle imprenditorialità innovative (startup e PMI). Successivamente, fin dalla Legge di stabilità per il 2017, si è prevista una attenzione più generale a tutte le imprese, con una serie di Piani strategici che includono ampie opportunità di agevolazioni pluriennali riguardanti la ricerca e lo sviluppo, curati dal Ministero dello sviluppo economico (MiSE). Ricordiamo il Piano nazionale Industria 4.0, poi Impresa 4.0, Transizione 4.0 fino ad arrivare al più recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) approvato dal Senato che si inserisce nel Next Generation EU (NGEU) concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica.

Nondimeno, appare anche di recente che vi sia una significativa continuità nelle politiche fiscali per l’innovazione rispetto al target più “specifico” delle imprenditorialità innovative.

Ne sono esempio due recenti proposte legislative (una che si aggancia a disposizioni vigenti, l’altra che, se accolta, richiederebbe un intervento più “sistemico”) all’esame del Parlamento in tema di utilizzo della leva fiscale per potenziare gli investimenti per le startup e PMI innovative.

Le due proposte offrono, pertanto, l’occasione di effettuare un breve riscontro della tematica relativa a tutto il sistema di queste particolari imprenditorialità, al fine di valutare la prospettabile efficacia dei contenuti.

2. L’idea di intervenire per stimolare il business ecosystem nazionale delle startup innovative risale al 2011 quando il governo Monti – nominato per venire fuori da una crisi economica che non era molto diversa dalla recente crisi pandemica – aveva deciso di venire incontro ad alcuni suggerimenti provenienti dall’Unione Europea.

Quest’ultima, difatti, aveva incoraggiato l’Italia ad agire sul quadro normativo in tema di nuove attività imprenditoriali, con particolare riguardo alle imprese innovative. In particolare, erano state formulate due raccomandazioni con le quali si incoraggiava espressamente il nostro Paese ad intervenire per favorire la creazione di startup, considerate realtà rilevanti nella risoluzione della questione della disoccupazione giovanile e a rendere più immediato l’accesso al mercato del finanziamento, anche con riguardo alle imprese nascenti.

Veniva, pertanto, istituita una Task force di “tecnici” (esponenti del mondo accademico, della comunicazione, dell’impresa, della finanza e del terzo settore) la cui attività confluiva nel rapporto Restart Italia che contribuiva a guidare il legislatore nella redazione del D.L. n. 179/2012.

Preme ricordare che la relazione illustrativa al predetto documento normativo affermava chiaramente che per rafforzare la crescita e la propensione all’investimento in imprese startup innovative, fosse «prioritario cercare di creare un clima favorevole al loro sviluppo, aumentando la loro capacità di attrazione dei capitali privati, anche grazie alla leva fiscale».

Nel corpus normativo risultante, per la prima volta, le startup innovative e gli incubatori certificati hanno trovato una disciplina precisa e ampia in quanto si è ritenuto essenziale creare un quadro organico e razionale piuttosto che proseguire, come spesso si era fatto, con disposizioni frammentate.

Innanzitutto ne è stata fornita una precisa definizione. La start up innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. Essa deve essere residente in Italia ai sensi dell’art. 73 D.P.R. n. 917/1986, o in uno degli Stati membri dell’Unione Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia. Deve essere costituita da non più di 60 mesi, ma non essere il frutto di una fusione, scissione societaria o cessione di azienda o di ramo di azienda ed a partire dal secondo anno di attività deve avere un valore della produzione annua non superiore a 5 milioni di euro. Non deve distribuire o aver distribuito utili ed avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Deve, inoltre, avere almeno uno di determinati requisiti relativi al valore delle spese in ricerca e sviluppo, all’impiego come dipendenti o collaboratori di soggetti che abbiano particolari titoli ed all’essere depositaria o licenziataria di specifici beni immateriali.

L’incubatore certificato, che gode degli stessi benefici riservati alle startup innovative, offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative. Anche l’incubatore deve avere precisi requisiti che consistono in una specifica dotazione in strutture ed in attrezzature; in particolari qualifiche di chi lo amministra; in rapporti di collaborazione con determinati enti; in adeguata e comprovata esperienza nel compito richiesto.

Per le imprenditorialità innovative sopra individuate sono state previste una serie di agevolazioni fiscali che costituiscono la parte fondamentale delle disposizioni introdotte, ma anche norme in tema di diritto societario e dell’impresa in crisi e attenzione a nuove modalità di finanziamento. Tant’è che la scelta privilegiata è stata definita “poliedrica e originale” in quanto è riuscita a incrociare alcuni fattori rilevanti con le nuove soluzioni proposte dal legislatore attraverso un’azione mirata e unitaria (Cian M., Società start-up innovative e PMI innovative, in Giur. comm., 2015, 6, I, 969 ss.). In precedenza, invece, l’avere preferito una azione non coordinata e affidata a vari enti e soggetti interessati aveva ostato al raggiungimento degli obiettivi sperati.

A distanza di qualche anno, il D.L 24 gennaio 2015, n. 3, conosciuto come Investment Compact, ha esteso buona parte delle norme alle PMI innovative.

Si tratta di società di capitali o cooperative residenti in Italia sempre ai sensi dell’art. 73 TUIR, o in uno degli stati membri dell’UE o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia, che presentino la certificazione dell’ultimo bilancio redatto da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili; senza azioni quotate su un mercato regolamentato; non iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese dedicata alle startup innovative e agli incubatori certificati. Devono, inoltre, avere almeno altri due requisiti tra una determinata entità del volume di spesa in ricerca e sviluppo, l’impiego di personale avente specifici titoli o la titolarità di specifici beni immateriali.

Queste imprese hanno problemi strutturali legati a una dimensione aziendale ridotta ed alla sottocapitalizzazione ma, per fatturato e occupazione, si pongono come realtà importanti all’interno del nostro sistema economico. È, pertanto, sembrato estremamente efficace sostenerle, non solo nella fase di start-up, ma anche per un periodo più lungo fino ad un definitivo loro consolidamento.

L’insieme di disposizioni è piuttosto articolato. Sono state, innanzitutto, delineate alcune agevolazioni a favore delle imprese, come l’esonero dal pagamento, in fase di costituzione, dell’imposta di bollo, dei diritti di segreteria per l’iscrizione al Registro delle imprese e del diritto annuale solitamente dovuto alle Camere di Commercio, quest’ultimo non per le PMI; l’esonero dall’obbligo di apposizione del visto di conformità per la compensazione dei crediti IVA fino a 50.000 euro; l’esclusione del test per l’applicazione del regime in tema di società operative e di comodo, in ragione della possibilità che si integrassero le condizioni relative; l’istituto del work for equity che consente di remunerare i propri dipendenti e collaboratori, così come i fornitori di servizi esterni, con strumenti di partecipazione al capitale sociale a cui si applica un regime fiscale e contributivo particolarmente vantaggioso in quanto non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto interessato. Opportunità, quest’ultima che ha il valore aggiunto di costituire uno strumento di fidelizzazione e incentivazione del management, in un settore in cui il capitale umano risulta di particolare importanza. E, pertanto, garantisce una relazione costante e solida tra la struttura imprenditoriale e chi, in vario modo, contribuisce a garantirne lo sviluppo, avendone a cuore il mantenimento e la crescita, in quanto direttamente interessato in ragione dell’attribuzione di quote. A ciò si aggiunge, con riguardo ai fornitori, la possibilità di coinvolgere professionalità le cui prestazioni non sono di semplice reperibilità per una impresa che è all’inizio del suo percorso economico.

Sono stati, inoltre, introdotti alcuni incentivi per gli investitori. Difatti, sia che essi si propongano in via diretta che indiretta, cioè anche tramite organismi di investimento collettivo del risparmio, gli è stato garantito di abbattere il proprio carico fiscale di un importo pari ad una determinata percentuale dell’investimento effettuato mediante un meccanismo di detrazioni-deduzioni in base alla natura dei soggetti (persone fisiche o giuridiche) e dell’imposta relativa (IRPEF o IRES).

Più nello specifico, l’investitore persona fisica o società di persone gode di una detrazione IRPEF dall’imposta lorda che, partendo da una prima percentuale del 19%, si è attestata al 30% della somma investita nel capitale sociale di una o più start up, o PMI innovative, fino a un massimo di 1 milione di euro. Nondimeno, grazie al c.d. decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con mod. dalla L. 17 luglio 2020, n. 77), che attua la decisione dell’Unione Europea di prolungare fino al 30 giugno 2022 il quadro temporaneo di aiuti di Stato adottato il 19 marzo 2020 in regime de minimis, cioè in deroga all’iter di notifica ordinario alla Commissione, per sostenere l’economia nel contesto della crisi pandemica, tale percentuale si è attestata al 50%, e l’investimento massimo detraibile non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di 100 mila euro, se la società destinataria gode del plafond previsto (non più di 200mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari) e se, al momento dell’investimento, è iscritta alla sezione speciale del Registro delle imprese.

Per le PMI innovative l’investimento massimo detraibile non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di 300.000 euro.

Quanto, invece, ai soggetti passivi IRES, la deduzione dal reddito imponibile IRES continua ad attestarsi al 30% delle somme investite, fino ad un massimo di 1,8 milioni di euro di investimento.

Gli investimenti devono tutti essere mantenuti per 3 anni e l’eventuale cessione, anche parziale, prima del predetto termine avrà come conseguenza la decadenza dal beneficio e l’obbligo per il contribuente di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali.

Ed, inoltre, il c.d. decreto Sostegni-bis (D.L. 25 maggio, 2021, n. 73, art. 14) ha introdotto un ulteriore doppio incentivo fiscale transitorio (per i periodi d’imposta ricadenti tra il 2021 e il 2025) a favore dei soggetti persone fisiche non imprenditori che intendano acquisire partecipazioni nelle imprenditorialità innovative predette. Essi godono dell’esenzione delle plusvalenze realizzate in caso di cessione di partecipazioni al capitale sociale di start up e PMI innovative se detenute per almeno tre anni se le somme derivanti verranno reinvestite sottoscrivendo il capitale sociale di startup e PMI innovative entro un anno dal loro realizzo.

E’ stata infine prevista e regolata per la prima volta nel nostro ordinamento la possibilità di ricorrere al c.d. equity crowdfunding cioè offrire le proprie quote al pubblico mediante piattaforme online (Buttus S., I diversi modelli di crowdfunfing nell’imposizione sui redditi, in questa Rivista, 2019, 2, VIII, 397 ss.), mantenendo tutti gli incentivi previsti dalla normativa per i finanziatori delle imprenditorialità innovative e, quindi, offrendo una nuova e molto interessante opportunità, alternativa al finanziamento mediante debito (Piantavigna P., Start up innovative e nuove fonti di finanziamento, in Riv. dir. finanz. sc. fin., 2014, 2, I, 264 ss.).

In sostanza, avendo riguardo agli aspetti di interesse per lo studioso del diritto tributario, l’idea che, in via generale, si è portata avanti delineando questi ripetuti interventi normativi a sostegno delle imprenditorialità innovative è stata, fin dall’inizio, quella di proporre un piano di incentivazione molto ampio che prendesse in considerazione contemporaneamente gli investitori, le imprese e anche coloro i quali prestano in qualche modo la loro attività a favore delle stesse (cfr. Bagarotto E.M., Considerazioni critiche sul regime fiscale delle start-up innovative, in Dir. prat. trib., 2015, 4, I, 535 ss.).

Sebbene nei primi anni dall’introduzione di tali norme, l’analisi dei documenti forniti dal MiSE e dalle Camere di Commercio evidenziassero che le startup registrate nella sezione appositamente dedicata erano in notevole crescita (23% in più nel 2013, fino a raggiungere il 35% nel dicembre 2014), più di recente, la crescita evidenzia percentuali meno importanti e , soprattutto, vi è il problema quello della sopravvivenza di tali imprenditorialità.

E ciò sebbene tali imprese, oltre alle agevolazioni che sono state evidenziate, beneficiano anche di altre disposizioni, applicabili a tutte le imprese ma che per quelle in esame possono e dovrebbero rappresentare un valore aggiunto.

Basti pensare, oltre a quelle che stimolano l’acquisto di beni strumentali da parte di piccole e medie imprese prevedendo contributi a fondo perduto, al recentemente introdotto regime di “Super deduzione” dei costi di ricerca e sviluppo relativi a brevetti, software, disegni e modelli che sostituisce il vecchio Patent Box. E, anche all’Ace, Allowance for Corporate Equity, che consente una deduzione dal reddito complessivo netto dichiarato dai soggetti beneficiari, di un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. E, di conseguenza, incoraggia gli investimenti in nuovo capitale.

3. L’Italia, nell’introdurre la normativa appena delineata, si è trovata a dover valutare la compatibilità delle disposizioni con i principi interni in tema di agevolazioni. A tal riguardo, al di là delle contrapposizioni esistenti in dottrina rispetto al principio di capacità contributiva, è abbastanza chiaro che esse siano volte a tutelare interessi di natura extrafiscale ma di rango costituzionale o, comunque, riconosciuti all’interno dell’ordinamento, quali quelli sottesi, in via generale, agli artt. 9 e 41 della Costituzione (cfr. Boria P., La ricerca e l’innovazione industriale come fattori di una fiscalità agevolata, già citato in precedenza che si sofferma ampiamente su questo aspetto). Di conseguenza, il confronto interno è stato facilmente superato.

Nondimeno, in quanto Stato membro UE, il nostro Paese ha dovuto necessariamente confrontarsi con il divieto unionale di introdurre aiuti di Stato.

Come è noto, (cfr. Quattrocchi A., Gli aiuti di Stato nel diritto tributario, Milano, 2020, passim) difatti, l’art. 107, comma 1, del TFUE stabilisce, che «sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

Vi sono, tuttavia, alcune deroghe de jure, individuate nel comma 2 dell’art. 107 del Trattato. Esse, peraltro, in quanto già previste dalla legge, non richiedono alcuna valutazione.

E, inoltre, il comma 3 delinea gli aiuti potenzialmente compatibili, di cui può essere autorizzata l’applicazione, dopo che la Commissione abbia effettuato una valutazione discrezionale e abbia accertato la sussistenza di motivazioni che li giustifichino (cfr.: Boria P., Diritto tributario europeo, Milano, 2015, 237 ss., Miceli R., La metamorfosi del divieto di aiuti di stato nella materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2015, 1, I, 31 ss.).

E, pertanto, ogni Stato membro che intende portare avanti politiche siffatte, deve sottoporsi al controllo preventivo e notificare alla Commissione le misure volte a istituire nuovi aiuti o a modificare aiuti esistenti e, accanto all’obbligo di notifica, si ha anche quello definito di stand still. Gli Stati membri non possono, cioè, procedere ad erogare la misura fino a quando la Commissione non ha deciso.

E’ quello che ha fatto il Governo italiano, sottoponendo, alla Commissione europea per la prima volta nel 2013 le disposizioni in esame, e ottenendo la decisione del 5 dicembre 2013, C(2013) 8827 final, di tipo positivo, in quanto non ha posto condizioni al nostro Paese per poter erogare la misura.

In essa l’Organo unionale ha rilevato che si tratta di aiuti di Stato poiché presentano tutti gli elementi individuati nell’art. 107, par. 1, del TFUE; nondimeno ha concluso di «non sollevare obiezioni contro tale misura», in quanto «compatibile con il mercato interno ai sensi della lettera c, paragrafo 3, dell’articolo 107 del TFUE», sulla base degli «Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti in capitale di rischio nelle piccole e medie imprese». Più specificamente, si tratta di «aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse».

Nel corso degli anni, anche le modifiche alla normativa sono state sottoposte al vaglio della Commissione. Nondimeno, con riguardo ad alcune delle ultime, le risposte non sono ancora pervenute.

4. E’ abbastanza recente (cfr. Germani A., Start up innovative, arriva la norma salva detrazioni, in Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2023) la notizia della approvazione in prima lettura di una proposta di legge volta a potenziare gli effetti degli investimenti a favore delle imprenditorialità innovative effettuati a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della norma nella proposta di legge. Si prevede, infatti, nel caso di incapienza per la detrazione di imposta, cioè di superamento dell’imposta lorda a tale titolo concessa alle persone fisiche (il 50% nel rispetto delle condizioni previste dalle regole generali) la possibilità di trasformare la detrazione stessa in un credito d’imposta da utilizzare in dichiarazione nell’attuale periodo d’imposta o nei successivi o compensare mediante versamenti con F24.

Nei decreti attuativi (in particolare, nell’art. 4, comma 5, D.M. 28 dicembre 2020) era diversamente disposto che, in caso di incapienza, si potesse riportare la detrazione dell’eccedenza nei tre periodi di imposta successivi a quello di effettuazione dell’investimento.

Tale obiettivo della proposta è certamente utile a venire incontro agli interessi degli investitori. La proposta di legge, tuttavia, interviene sulla regola in tema di detassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in start up e PMI innovative che era stata introdotta di recente in quanto ne prevede una delimitazione più ristretta. Si stabilisce, difatti, che tale detassazione sia applicabile, con riguardo alle quote o azioni acquisite entro il 31 dicembre 2025 e detenute per almeno tre anni, solo con riferimento agli investimenti con detrazione al 30% e non per quelli in de minimis con detrazione al 50%. Ed, inoltre, per le PMI innovative si richiede che soddisfino almeno una delle condizioni previste dal par. 5 dell’art. 21 del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, 17 giugno 2014, c.d. GBER – General Block Exemption Regulation. E quindi, che siano non quotate e che non abbiano operato in alcun mercato, o che vi operino da meno di 7 anni, o che richiedano un investimento iniziale superiore al 50% del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni.

La detassazione viene estesa, alle stesse condizioni, anche ai redditi di capitale realizzati da persone fisiche che investono in OICR, residenti in Italia, UE o Spazio economico europeo, e altre società che investono prevalentemente in start up o PMI innovative.

Bisogna, tuttavia, considerare che, in relazione a questo specifico profilo della detassazione delle plusvalenze, si è ancora in attesa della risposta della Commissione.

La proposta interessa infine, le c.d. SIS.

La novella al Testo Unico della Finanza, cioè il D.Lgs. n. 58/1998 effettuata dal c.d. decreto Crescita n. 34/2019 ha, infatti, determinato l’introduzione nel nostro ordinamento della Società di Investimento Semplice. Si tratta di un organismo di investimento collettivo del risparmio alternativo, di tipo chiuso, costituito in forma di società di investimento per azioni a capitale fisso, per la quale era stato fissato un patrimonio netto non eccedente i 25 milioni di euro. L’obiettivo era quello di incentivare il finanziamento delle PMI non quotate, che si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività, offrendo agli investitori uno strumento di investimento venture capital (cioè in cui i soggetti interessati non si limitano ad apportare capitale di rischio ma anche esperienza professionale e, quindi, oltre ad investire, partecipare alle decisioni strategiche lasciando all’imprenditore e al management la gestione operativa), nel rispetto dei vincoli derivanti dalla normativa europea in materia di gestione collettiva del risparmio. Anche quest’ultimo aspetto, pertanto, appare possa avere una sua utilità.

Nella predetta proposta si prevede di innalzarne il limite al patrimonio netto delle SIS da 25 a 50 milioni.

A questa proposta si affianca il Disegno di Legge delega al Governo per la riforma del sistema fiscale (n. 584), d’iniziativa di alcuni senatori[1] del quale la Commissione Finanze e Tesoro che ha proposto il testo 797 chiede l’assorbimento.

In esso, difatti, è stato inserito l’art. 14, rubricato Princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione degli incentivi fiscali in favore di start-up e PMI innovative, in cui si prendono in considerazione: a) riordino e razionalizzazione della disciplina vigente in materia di incentivi fiscali agli investitori in start-up e PMI innovative, coordinando le diverse agevolazioni previste in materia di deduzioni e detrazioni dal reddito delle persone fisiche e delle società; b) armonizzazione e semplificazione delle procedure in materia di controlli nei confronti delle imprese beneficiarie, anche individuando procedure telematiche unificate e checklist documentali univoche, riducendo il rischio di controlli ex post e onerosi aggravi documentali per gli operatori; c) al fine di potenziare la leva finanziaria, introduzione di misure volte a favorire la raccolta di capitali da parte di investitori privati, qualificati o istituzionali, incentivando nuovi strumenti di finanza alternativa, anche attraverso il ricorso a prodotti finanziari e modelli contrattuali innovativi, in linea con le migliori pratiche internazionali, tra cui i meccanismi di finanziamento quali il crowdfunding e il direct lending e le forme di finanziamento di private equity e venture capital e altre soluzioni fintech; d) potenziamento e stabilizzazione degli incentivi fiscali in materia di ricerca, sviluppo e innovazione, valorizzando il ruolo delle imprese innovative e del personale qualificato, nonché la formazione dei lavoratori sull’utilizzo delle nuove tecnologie.

5. Appare abbastanza chiaro che le future scelte normative che si intendono privilegiare, sebbene la seconda proposta in esame preveda un rafforzamento anche delle misure relative alle opportunità alternative di finanziamento, sono gli incentivi agli investitori (anche con riguardo a questo ultimo aspetto), perché sono considerati i più graditi.

E ciò è abbastanza comprensibile: le imprenditorialità innovative propongono prodotti e servizi spesso caratterizzati da alti livelli di incertezza sulla possibile accoglienza dei consumatori proprio perché concretizzano qualcosa di nuovo sul mercato. E, quindi l’investimento viene considerato rischioso e si incontrano reali difficoltà a trovare le risorse finanziarie necessarie a iniziare la propria attività e a consolidarsi nel business ecosystem. E’ abbastanza intuibile, difatti, che, in ragione di limitate risorse proprie, tali imprese non possano fornire facilmente garanzie reali. A ciò si aggiunge la sempre più scarsa propensione delle banche ad accordare finanziamenti bancari o a proporre tassi di interesse che non sono gestibili per una società nelle fasi iniziali (cfr. Schneider C. – Veugelers R., On young highly innovative companies: why they matter and how [not] to policy support them, in Industrial and Corporate Change, 2010, 19, 969 ss.; Stucki T., Success of Start-Up Firms: The Role of Financial Constraints, in Industrial and Corporate Change, 2013, 23, 25 ss.).

Bisogna, inoltre, considerare che tali tipi di incentivi hanno un ulteriore beneficio, vale a dire incoraggiare gli investitori a privilegiare il capitale di rischio e a patrimonializzare le imprese già esistenti rendendole più solide (Zwick E. – Mahon J., Tax Policy and Heterogeneous Investment Behavior, in Am. Econ. Rev., 2017, vol. 107, 1, 217 ss.).

Nondimeno, avendo riguardo alla prima proposta, restano alcune perplessità che, negli anni, sono state spesso sollevate, cioè il non avere pensato a rafforzare le agevolazioni in vigore rispetto a quelle realtà imprenditoriali che potrebbero avere interesse concreto (e quindi maggiormente stimolante all’investimento) piuttosto che confermare la tendenza a privilegiare l’investitore persona fisica. E quindi, prevedere una percentuale più alta già in tema di applicazione di de minimis per gli investitori imprese e successivamente riconoscere il credito d’imposta in caso di incapienza anche sulla deduzione.

Con riguardo alla detassazione delle plusvalenze, la norma nella sua attuale configurazione appare un po’ farraginosa oltre ad essere ancora soggetta agli esiti della Commissione UE. Sul punto, peraltro, si è di frequente sottolineato che le policies più proficue in tema di imprese innovative sono quelle che privilegiano l’introduzione di normative chiare e la semplificazione e varietà delle forme giuridiche opzionabili (cfr. Garelli R., Le imprese italiane di fronte alla crisi: misure di sostegno per le start up, in Impresa Progetto – Electronic Journal of Management, 2012, 2, 1 ss.).

Quanto, invece, alla seconda proposta di legge, che dovrebbe confluire nella riforma fiscale, non fa che confermare che, dopo le battute d’arresto legate al Covid e un periodo di transizione in cui sono state portate avanti scelte che appaiono perfettamente rientranti nella logica della gestione delle dinamiche del breve periodo, è evidente che lo sprint per la ripresa sia ancora fortemente legato al sostegno alle imprenditorialità innovative.

D’altra parte, l’Unione Europea ha, di recente, “varato” il Consiglio europeo per l’innovazione, con l’obiettivo di sviluppare e ampliare innovazioni rivoluzionarie, dotandolo di un apposito fondo azionario che agisce sul patrimonio netto delle imprese, il c.d. equity delle imprenditorialità innovative e ne stimola la nascita e la crescita.

Se ciò non fosse sufficiente, il nostro Paese, nel delineare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha previsto numerosi interventi – in particolare nella Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” – che vanno ad incidere specificamente sul comparto dell’innovazione e della digitalizzazione. Con specifico riguardo alle startup innovative, inoltre, sono stati previsti investimenti diretti o indiretti di capitale di rischio, a copertura delle diverse fasi di sviluppo.

La scelta di risistemazione, contenuta nella seconda proposta, tuttavia, sembra che si limiti a riorganizzare quanto già preso in considerazione nel nostro ordinamento.

L’unico elemento nuovo certamente interessante e opportuno è la previsione di una armonizzazione e semplificazione delle procedure in materia di controlli nei confronti delle imprese beneficiarie, proficuo anche per i problemi contingenti che tali imprese trovano nel dovere spesso rivolgersi a professionisti i cui compensi costituiscono un ulteriore costo e alle difficoltà e lungaggini a difendersi in alcuni casi. Basti pensare che, di recente, l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili ha proposto, fra le altre ipotesi, l’esclusione generalizzata dalla disciplina degli indici sintetici di affidabilità per le startup innovative (Colombo C., Servono leve fiscali per sviluppare le start up, in Norme & Tributi Plus, 19 maggio 2023).

Se, pertanto, questo quadro così articolato non si è rivelato sufficiente, sembra necessario agire anche su altri fronti e valutare altre opzioni che potrebbero essere prese in considerazione.

Ad esempio, la riduzione di alcuni punti percentuali dell’aliquota IRES o la previsione di una sorta di flat tax, meccanismo ampiamente privilegiato da altri Paesi (Akcigit U. – Stantcheva S., Taxation and Innovation What Do We Know?, in Goolsbee A. – Jones B., a cura di, Innovation and Public Policy, University of Chicago Press, 2022, 189 ss.; Evans C. – Joseph S., The Role of Tax Incentives in the Promotion of Innovation and Entrepreneurship: A Time and a Place, in ABDELLATIF M.M., TRAN-NAM B., RANGA M., HODŽIĆ S., a cura di, Government Incentives for Innovation and Entrepreneurship. Innovation, Technology, and Knowledge Management, Springer, Cham, 2022, 39 ss.).

Considerate, poi, le evidenziate difficoltà delle imprenditorialità innovative a trovare finanziamenti, potrebbe essere valutata l’opportunità di dedurre integralmente o in percentuali utili gli interessi passivi quantomeno nella fase iniziale.

O ancora prevedere esenzioni per i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro almeno per i primi anni, con riguardo ai lavoratori assunti dalle imprenditorialità innovative, in quanto si tratta di costi che hanno un peso fondamentale sulle imprese appena nate o in via di sviluppo.

Oppure sgravi a favore dell’onere previdenziale del lavoratore stesso, nel caso in cui scegliesse di spostarsi in territori in via di sviluppo e operare mediante lavoro agile. Nel nostro Paese, ad esempio, esistono zone con queste caratteristiche, come la Puglia che si prestano particolarmente alla nascita e alla crescita delle imprenditorialità innovative in quanto hanno una posizione geografica strategica che mantiene le imprese locali connesse al resto del mondo fisicamente e tecnologicamente, grazie alla disponibilità di servizi digitali completi il cui sviluppo e mantenimento è incoraggiato anche da agevolazioni regionali (Florio M., Pellegrin J., Sartori E., Research intensive clusters and regional innovation systems: a case study of mechatronics in Apulia, in Environment for Innovation, 2014, 1 ss.).

Si potrebbero, infine, prendere in considerazione altri costi che gravano sull’impresa, ad esempio, riconoscendo crediti d’imposta per tutte le spese di costituzione che richiedono l’intervento di professionisti.

[1] Si tratta dei Senatori Turco, Floridia B., Patuanelli e Croatti.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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