Adeguamento delle sanzioni punitive al principio di proporzionalità e coperture finanziarie: un evidente corto circuito giuridico

Di Roberto Cordeiro Guerra -

Abstract

La riforma fiscale costituisce un’occasione da non perdere – dopo tanti tentativi falliti – per adeguare il nostro sistema sanzionatorio al principio d proporzionalità, anche alla luce dei numerosi contributi, dottrinari e giurisprudenziali che hanno contribuito a delinearne fondamenta e corollari applicativi. Il limite delle coperture finanziarie a fronte delle minori entrate causate dalla riduzione delle misure edittali delle sanzioni amministrative tributarie deve essere sollecitamente risolto, onde fugare sollecitamente il sospetto che le sanzioni amministrative tributarie siano utilizzate non in funzione preventiva ed educativa, ma esclusivamente per produrre gettito.

Adaptation of punitive sanctions to the principle of proportionality and financial coverage: a clear legal short circuit. – The tax reform represents an opportunity not to be missed – after many failed attempts – to adapt our sanctioning system to the principle of proportionality, also in light of the numerous doctrinal and jurisprudential contributions that have contributed to outlining its foundations and corollaries. The limit on financial coverage for the lower revenue caused by the reduction of the statutory measures of administrative tax sanctions must be promptly resolved, in order to dispel the suspicion that the administrative tax sanctions are used not for a preventive and educational function, but exclusively to produce revenue.

 

 

Sommario: 1. Il miglioramento della proporzionalità delle sanzioni amministrative: la lunga serie dei precedenti tentativi. – 2. La Corte costituzionale e le sanzioni draconiane: prove di proporzionalità. – 3. Il progressivo emergere dei fondamenti e delle implicazioni del principio di proporzionalità. – 4. Il carattere sistematico della riforma e la fondamentale rilevanza dell’apparato sanzionatorio nell’ambito di un sistema fiscale più attraente. – 5. Il confronto con Francia e Spagna. – 6. Il nodo delle coperture finanziarie.

 

1. L’art. 20, lett. c), L. n. 111/ 2023 (“Delega al Governo per la riforma fiscale”) contempla quale primo principio e criterio direttivo di riforma delle sanzioni amministrative tributarie il miglioramento della loro proporzionalità, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei.

Di rendere le sanzioni tributarie proporzionate rispetto all’effettivo disvalore degli illeciti puniti si parla da almeno cinquanta anni. Già la Legge delega per la realizzazione della storica riforma del sistema tributario degli anni settanta (L. n. 825/1971, art. 10, comma 2, punto 11) prevedeva la «commisurazione delle sanzioni all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni». Ventitré anni dopo un’altra Legge delega (art. 3, comma 133, lett. q), L. n. 662/1996) disponeva tra l’altro la commisurazione all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni in modo da assicurare uniformità di disciplina per violazioni identiche anche se riferite a tributi diversi, tenendo conto al contempo delle previsioni punitive dettate dagli ordinamenti tributari dei Paesi membri dell’Unione Europea. Diciotto anni dopo, nel 2014, l’art. 8, comma 1, della Legge delega n. 23/2014 di nuovo si proponeva di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità del comportamento. Basterebbe questa impressionante sequenza di disposizioni a rendere idea dell’entità del problema: in fin dei conti, ciascuna di esse certifica il fallimento dei tentativi precedenti. Quello attuale, tuttavia, per diverse ragioni fa sperare in un buon esito.

2. In primo luogo, un autorevole conferma della eccessiva misura edittale delle nostre sanzioni tributarie proviene dal Giudice delle leggi (Corte costituzionale, sent. 17 marzo 2023, n. 46. Per un primo commento della sentenza Coppa D., I principi di proporzionalità ed offensività nell’interpretazione [poco] costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, 614 ss.; Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. trib., 2023, 8/9, 754)

In particolare, l’irrogazione di una sanzione per infedele dichiarazione pari al 120% in un caso in cui il tributo era stato interamente versato prima dell’emissione dell’avviso di accertamento appare alla Corte costituzionale una reazione punitiva manifestamente sproporzionata: lo afferma senza mezzi termini nella parte terminale della motivazione, ove si osserva testualmente che sanzioni strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano.

Dal punto di vista del rispetto del principio di proporzionalità, traspaiono dietro tale affermazione almeno due problemi del nostro attuale sistema di repressione dell’illecito tributario: un livello delle sanzioni minime in assoluto molto elevato (nella specie 120% del tributo non dichiarato) ed una disciplina della commisurazione non in grado di mitigare tale minimo draconiano in presenza di condotte a basso disvalore.

Ovviamente, la Corte si trova a dover affrontare tali problematiche senza invadere la discrezionalità del legislatore ed operando nel perimetro della tecnica del giudizio di costituzionalità. Questo spiega perché abbia ritenuto sufficiente per risolvere la questione ad essa rimessa una lettura costituzionalmente orientata dei commi 1 e 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 472/1997 – in forza della quale tra le “circostanze” che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, può assumere rilevanza la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze – ma non rende meno urgente il problema di un intervento legislativo per affrontare il problema a trecentosessanta gradi.

Se infatti le cornici edittali in vigore si prestano all’epilogo dell’irrogazione di sanzioni eccessive in caso di evidente mancanza di intento evasivo, l’unico rimedio è la rivisitazione del sistema. E proprio in questa considerazione sta tutto il valore – anche e soprattutto semantico – della sentenza, che con le sue puntuali riflessioni sulla pregnanza del principio di proporzionalità appresta una solida base dogmatica sul quale fondare l’intervento di riforma.

3. Un altro fattore a favore di una buona riuscita della riforma consiste nel progresso di dottrina e giurisprudenza in ordine all’approfondimento della portata e dei corollari del principio di proporzionalità. La dottrina tedesca ha messo progressivamente a fuoco le solide ascendenze del principio, tanto da essere definirlo come Uberverfassungsrang, ossia sovracostituzionale: esso riguarda tradizionalmente l’esercizio dei pubblici poteri (e dunque l’agire dell’Amministrazione nei confronti del cittadino), in modo trasversale nei settori del diritto di polizia, dove è nato come limite all’agire alle Autorità di pubblica sicurezza, penale, amministrativo e tributario (Manes V., Principio di proporzionalità. Scelte legislative e sindacato di legittimità, in Il Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016).

Tradizionalmente è declinato in tre distinti aspetti: quello dell’idoneità che attiene al raggiungimento del risultato prefissato; quello della necessarietà, intesa come impossibilità di ricorrere ad uno strumento giuridico differente ed infine quello della ragionevolezza, consistente nel contemperare l’interesse del singolo e della collettività in modo tale che il sacrificio dell’uno non sia sproporzionato rispetto al beneficio dell’altra.

Un aiuto ad individuare più puntualmente le basi normative del principio di proporzionalità proviene poi dall’ordinamento sovranazionale, sia sul piano delle fonti che su quello della relativa giurisprudenza.

Carte sovranazionali più recenti rispetto a quelle dei Paesi alla cui tradizione sono ispirate hanno dato formulazione espressa al principio di proporzionalità, altrimenti estrapolabile solo da altri principi fondamentali. Così, in particolare, l’art. 52, par. 1 della Carta fondamentale dei diritti dell’uomo stabilisce che «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente carta devono essere previsti dalla legge e rispettare il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

Evidente il riferimento alle tre classiche dimensioni del principio cui si è accennato in apertura: idoneità, necessarietà e ragionevolezza, Con specifico riferimento alle sanzioni, l’art. 49, par. 3 (“Principio di proporzionalità delle pene”) dispone poi che le «Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». L’inserimento nella Carta rende il principio pervasivo: tutte le disposizioni che danno attuazione a Direttive comunitarie, e dunque in special modo quelle che le completano con la previsione di sanzioni, costituiscono norme di attuazione del diritto dell’unione (art. 51, par. 1, TUE) e devono dunque rispettarlo.

Una recente sentenza della Corte di Giustizia (sentenza NE C-205/20, 8 marzo 2022) ha impresso un deciso impulso agli impatti applicativi del principio. Si tratta in particolare di una decisione che ancorchè attinente al regime dei lavoratori distaccati, presenta un evidente parallelo con la situazione normativa in tema di IVA. Il problema sottoposto alla Corte riguardava l’eccessiva severità della sanzione che lo Stato austriaco, in sede di attuazione della Direttiva sul trattamento dei lavoratori distaccati (Direttiva 2014/67), aveva disposto a carico del legale rappresentante di una società austriaca -presso la quale erano stati distaccati lavoratori di altra compagine slovacca – per l’inadempimento di obblighi nei loro confronti.

Nella motivazione della propria sentenza la Corte osserva in primo luogo (punto 22) che il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’articolo 20 della direttiva 2014/67 è di carattere incondizionato e la circostanza (punto 28) che essi dispongano di un margine di discrezionalità non esclude, di per sé, che possa esercitarsi un controllo giurisdizionale al fine di verificare se lo Stato membro interessato abbia ecceduto i limiti fissati al margine di discrezionalità allorché ha trasposto tale disposizione. Non solo: il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili (punto 31). Qualora poi, nell’ambito di una siffatta attuazione, essi adottino sanzioni aventi carattere più specificamente penale, sono tenuti ad osservare l’art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione secondo la quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Detto principio di proporzionalità, che l’articolo 20 della dir. 2014/67 richiama, presenta carattere imperativo.

Su questo solido ascendente normativo, la Corte costruisce un corollario che supera precedenti posizioni di segno diverso (punto 32), ossia quello che «larticolo 20 della direttiva 2014/67, laddove esige che le sanzioni da esso previste siano proporzionate, è dotato di effetto diretto e può quindi essere invocato dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto».

Si tratta di un’affermazione dotata di rilevante ed incisiva conseguenza applicativa. Se il principio di proporzionalità può essere invocato dal singolo dinanzi al giudice nazionale nei confronti dello Stato membro che lo abbia recepito in modo non corretto, di conseguenza spetta al giudice nazionale, investito del ricorso contro una sanzione ritenuta eccessiva, eventualmente disapplicare la parte della normativa interna da cui deriva il carattere sproporzionato della sanzione, in modo tale da giungere all’irrogazione di sanzioni proporzionate. In altre parole, per eliminare l’incompatibilità della norma sanzionatoria interna rispetto al diritto Unionale è dato disapplicare la disposizione interna, ovviamente nei soli limiti in cui essa osta all’irrogazione di una sanzione proporzionate.

Tornando al nostro ordinamento, ed allo specifico settore delle sanzioni amministrative, la Corte costituzionale ha più volte esplicitamente affermato che il principio di proporzionalità trova fondamento nell’art. 3 Cost., in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla singola sanzione. Se la restrizione trova la sua “causa giuridica” proprio nell’illecito che ne costituisce il presupposto, in mancanza di un rapporto di congruità tra sanzione e gravità dell’illecito la compressione del diritto diverrebbe irragionevole e non giustificata (Corte cost., sentenze nn. 88/2018 e 212/2018; n. 88/2019; n. 185/2021)

La discrezionalità, pur molto ampia, che connota le scelte di politica legislativa sulla dosimetria sanzionatoria non può dunque sconfinare nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio, come nei casi in cui la sanzione contemplata risulti macroscopicamente incoerente rispetto ai livelli medi di sanzioni amministrative previste per illeciti amministrativi di simile o maggiore gravità. La disparità sanzionatoria ingenera in chi è colpito da una sanzione così severa il sentimento di aver subito una ingiustizia: sentimento che ha le proprie radici nel vulnus a quel «valore essenziale dell’ordinamento giuridico di un Paese civile» tutelato dall’art. 3 Cost., e rappresentato dalla «coerenza tra le parti di cui si compone» (Corte cost., sent. n. 204/1982).

4. La Relazione illustrativa alla Legge delega afferma senza mezzi termini che le sanzioni amministrative attualmente previste raggiungono livelli intollerabili, che conducono a una pretesa complessiva di fatto abnorme e rappresentano un disincentivo per il contribuente a esperire la tutela giudiziaria in conseguenza del rischio cui un esito negativo lo esporrebbe.

D’altra parte, se uno dei principali problemi che la riforma intende risolvere è quello del basso grado di attrattività del nostro Paese per gli investitori esteri a causa della complessità e dello scarso grado di certezza delle norme fiscali, la riduzione delle sanzioni assume carattere prioritario. La minaccia di sanzioni severe a fronte di errori in buona parte imputabili alla farraginosità regolatoria ed applicativa a maggior ragione scoraggia ad approdare in un ordinamento incerto ed al tempo stesso severo.

La revisione delle sanzioni, da questo punto di vista, si inserisce in più ampio disegno, nel quale altre pedine fondamentali sono la semplificazione del sistema, l’implementazione del tasso di certezza, specie nella fase applicativa, e la scommessa sul miglioramento del rapporto tra Fisco e contribuente, declinato in special modo, per quanto riguarda le medie e grandi imprese, sul terreno della cooperative compliance.

Così stando le cose, è evidente che l’equità del sistema sanzionatorio è colonna fondamentale senza la quale entra in crisi la credibilità degli altri interventi: ad esempio concedere una riduzione delle sanzioni a chi porta a conoscenza dell’Amministrazione fattori di rischio fiscale ha un senso solo se le sanzioni base son ben calibrate.

Si tratta di un segnale di una più attenta ed equilibrata ponderazione degli interessi in gioco nel rapporto Fisco/contribuente da dare subito, collocando nel pacchetto delle prime disposizioni destinate ad essere attuate quella sulla riforma del sistema sanzionatorio

 

5. Uno degli aspetti più difficoltosi quando si tratta di dare applicazione al principio di proporzionalità è l’individuazione di punti di riferimento precisi. La delega ne indica due significativi: diminuire il carico delle sanzioni e adeguarlo ai livelli esistenti in altri Stati europei.

Rispetto a quest’ultimo profilo, è utile prendere a riferimento l’esperienza francese e spagnola.

L’art. 1729 del code general des impost prevede che le inesattezze o le omissioni in una dichiarazione o in un documento che indichi elementi da trattenere per l’accertamento o la liquidazione dell’imposta, nonché la restituzione di un credito d’imposta il cui pagamento è stato indebitamente ottenuto dallo Stato, comportano l’applicazione di una maggiorazione pari al: a) 40% en cas de manquement délibéré (deliberata inadempienza); b) 80% en cas d’abus de droit au sens de l’article L. 64 du livre des procédures fiscales (abuso del diritto); c) 80% en cas de manoeuvres frauduleuses ou de dissimulation d’une partie du prix stipulé dans un contrat ou en cas d’application de l’article 792 bis (comportamento fraudolento).

Nell’ordinamento spagnolo, l’Articulo 191 della Ley General Tributaria distingue varie tipologie di infedele dichiarazione graduandole secondo la loro maggiore o minore gravità. Nello specifico, la norma distingue tra «infraccion leve, grave o muy grave»: leve quando la “base della sanzione” è uguale o inferiore a 3.000 euro, e non c’è stato occultamento: sanzione pari al 50% del tributo; grave quando la “base della sanzione” è superiore a 3.000 euro e c’è stato occultamento: sanzione dal 50% al 100% del tributo graduata in base alla ripetizione di infrazioni ed al pregiudizio economico per lo Stato, con gli incrementi percentuali previsti alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 187: muy grave: quando, indipendentemente dalla “base della sanzione”, vengono utilizzati mezzi fraudolenti: sanzione dal 100% al 150%, graduata in base agli stessi parametri di cui sopra.

Basta questa brevissima ricognizione per trarne alcuni suggerimenti essenziali nell’attuazione della delega. In sostanza, se guardiamo alla misura della sanzione per infedele dichiarazione, il range francese (dal 40 all’80%) e spagnolo (dal 50 al 150%) ci dicono che il nostro minimo – il 90% – è quasi il doppio del loro ed in alcuni casi addirittura vicino al loro massimo. per altro riferito a fattispecie fraudolente (80% in Francia).

Il confronto in sede europea suggerisce dunque un deciso intervento di contenimento, ad esempio riducendo di un terzo minimo e massimo di ogni infrazione. Sempre sul versante del miglioramento della proporzionalità, vi sono poi altri interventi fondamentali.

Vanno sostanzialmente evitate le sanzioni in misura fissa, anche se proporzionali (ad esempio, il 30%) perché finiscono con il trattare, a dispetto del principio di proporzionalità, in modo uguale condotte di disvalore diverso. Occorre accogliere e sistematizzare l’interpretazione adeguatrice propugnata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 46/2023, onde far sì che la sanzione venga irrogata in un importo inferiore al minimo edittale al ricorrere di circostanze che rendono palese, anche tramite comportamenti successivi alla realizzazione dell’illecito, la modesta rimproverabilità dell’agente. L’Amministrazione, formata per l’applicazione dei tributi, non è avvezza a maneggiare i criteri di commisurazione della sanzione: la discrezionalità punitiva va quindi incanalata in fasce e definizioni positive il più possibile precise, come del resto emerge dalla lettura delle disposizione che altri ordinamenti dedicano all’argomento, peraltro di regola contenute nel corpo di codici tributari.

Infine, per favorire l’effettiva proporzionalità delle sanzioni, intesa come misura sostanzialmente analoga per infrazioni della stessa tipologia, la creazione di un codice tributario (prevista dalla Legge delega) e l’inserzione al suo interno di un capo dedicato alle violazioni tributarie è passaggio fondamentale (in tal senso Sammartino S., La riforma della disciplina delle sanzioni amministrative in materia tributaria, in Rass. trib., 2022, 1, 274 ss.). In esso potrà finalmente trovare sede adeguata una organica ed omogenea disciplina delle medesime tipologia di illecito (ad esempio: omessa dichiarazione; utilizzo crediti inesistenti, infedele dichiarazione; falsa dichiarazione per fruire agevolazioni), quale che sia il tributo interessato.

6. Per quanto riportato dai quotidiani economici, i decreti di attuazione della riforma in tema di sanzioni amministrative mancano allo stato di copertura finanziaria, giacché una generalizzata riduzione delle sanzioni amministrative tributarie comporterebbe rilevanti minori entrate. Si tratta di un profilo che lascia perplessi. È indubbio che l’art. 81 della Costituzione pone, al terzo comma, un vincolo di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa, prevedendo che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi per farvi fronte. Ogni norma che comporti una nuova o maggiore spesa o una riduzione di entrate (ossia degli oneri) deve pertanto essere corredata di una clausola finanziaria che identifichi i mezzi per compensare i relativi effetti onerosi, attraverso riduzioni di altri programmi di spesa o incrementi discrezionali delle entrate. Senonchè, nel caso delle sanzioni amministrative, il fatto che esse comportino un’entrata è (o dovrebbe essere) essere un elemento accidentale, non essendo esse, a differenze delle imposte, preordinate a tale fine ma piuttosto a quello di punire l’autore dell’illecito. Non solo: è nota la tensione, più volte venuta all’attenzione della Corte costituzionale, tra esigenze di bilancio ed altri principi fondamentali della Carta, quali ad esempio quelli volti ad assicurare al cittadino prestazioni di fondamentale rilievo sociale. C’è allora da chiedersi se il principio di proporzionalità, secondo il quale occorre contemperare l’interesse del singolo e della collettività in modo tale che il sacrificio dell’uno non sia sproporzionato rispetto al beneficio dell’altra, possa essere sacrificato sull’altare del fabbisogno finanziario.

Senza contare che, fintanto chè il problema non trova soluzione, siamo di fronte ad una straordinaria dimostrazione della fondatezza del sospetto – più volte mosso dalla dottrina – che le sanzioni siano utilizzate non in funzione preventiva ed educativa, ma per produrre gettito, al punto che la loro riconduzione al principio di proporzionalità innesca un problema di minori entrate.

C’è dunque da augurarsi – per la credibilità dell’azione di riforma – che questo evidente corto circuito giuridico trovi al più presto soluzione.

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