Ulteriori questioni e nuove problematiche sulla fiscalità delle criptoattività dopo la Legge di bilancio 2023

Di Daniela Conte -

Abstract

L’articolo prosegue l’analisi della fiscalità delle cripoattività alla luce degli ultimi provvedimenti normativi.

Further questions and new issues regarding the taxation of crypto-assets following the 2023 Budget Law. – The article continues the exploration of cryptocurrency taxation considering recent regulations.

Sommario: 1. Il limitato intervento della riforma sulla fiscalità delle criptoattività relativa ai soggetti passivi in regime di reddito d’impresa. – 2. Il problema della contabilizzazione in bilancio delle criptoattività e le norme del reddito d’impresa applicabili. – 3. Problematiche della nuova, prevista applicabilità dell’imposta di bollo e dell’imposta sul valore delle criptoattività (IVCA). – 4. La clausola transitoria e l’illegittima “sanatoria impositiva” per i periodi d’imposta pregressi ancora accertabili. – 5. Conclusioni: “a-territorialità” delle criptoattività e necessario ripensamento dei criteri di tassazione.

 

1. In una prima disamina critica delle nuove regole di imposizione diretta delle critpoattività (cfr. Conte D., Riflessioni sul regime di imposizione diretta delle criptoattività introdotto dalla legge di bilancio 2023, in questa Rivista, 24 ottobre 2023) sono state messe in evidenza numerose criticità e problematiche che rendono l’intervento normativo alquanto insoddisfacente.

Questo giudizio è ancora più negativo se si considera che la maggior parte delle tematiche riferibili alla fiscalità dei soggetti passivi imprenditori sono state lasciate ai margini dell’intervento riformatore.

Nel contesto del reddito d’impresa, il legislatore tributario si è limitato a intervenire soltanto sugli effetti che derivano dalla valutazione delle criptoattività, ignorando completamente quelli reddituali connessi al loro realizzo.

In particolare, è stato modificato l’art. 110 TUIR, recante norme generali sulle valutazioni per la determinazione della base imponibile IRES, inserendovi il comma 3-bis (cfr. art. 1, comma 131, Legge di bilancio 2023), il quale prevede, in deroga alla disciplina generale, che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa (anche ai fini IRAP, come specificato dal successivo comma 132) i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle criptoattività alla data di chiusura del periodo d’imposta, a prescindere dalla loro imputazione al conto economico.

Con tale previsione – che supera ogni altra disposizione in materia di determinazione del reddito d’impresa, ivi inclusa la c.d. “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83 TUIR – il legislatore tributario ha inteso rendere ininfluenti ai fini fiscali le fluttuazioni del c.d. “valore digitale” nell’interesse superiore del bilancio aziendale, se è vero che – come chiosa la Relazione illustrativa al D.D.L. di bilancio 2023 – la predetta disposizione «vuole evitare l’incidenza delle oscillazioni di valore delle cripto-attività detenute dalle imprese, prescindendo dalle modalità di redazione del bilancio», in considerazione verosimilmente del fatto che vi sono difficoltà nel determinarne il valore di una valuta digitale, il quale può variare da un exchange a un altro. Ciò, fermo restando che nel momento in cui le cripto-attività sono permutate con altri beni (incluse altre cripto-attività) o cedute in cambio di moneta avente corso legale, la differenza tra il corrispettivo incassato e il valore fiscale concorre alla formazione del reddito di periodo.

2. Per quanto riguarda la contabilizzazione delle cripto-attività, le norme che regolano la redazione del bilancio d’esercizio (artt. 2423 ss. c.c.) non forniscono alcuna indicazione in merito al trattamento da riservare a tali asset, né per quanto concerne la loro qualificazione, né tantomeno per quanto riguarda la loro classificazione.

A tale vuoto regolamentare si accompagna l’assenza di qualsivoglia suggerimento da parte dell’Organismo italiano di contabilità (OIC), sicché, ai fini della classificazione in bilancio delle criptoattività, l’unica ipotesi percorribile rimane quella, adottata nel periodo ante-riforma, di ricostruire il loro trattamento contabile, per i soggetti IAS/IFRS, facendo riferimento alle indicazioni fornite dall’IFRS- Interpretation Committee (IFRS-IC) e, per i soggetti OIC, applicando analogicamente i Principi contabili nazionali che disciplinano casi simili e, in via gerarchicamente successiva, prendendo a riferimento i principi stabiliti a livello internazionale se conformi ai postulati previsti dall’OIC 11 (per una puntuale analisi sul tema, Funari A., Osservazioni [de iure condendo] in tema di tassazione diretta delle criptovalute, in Giur. imp., 2022, 4, 74 ss.).

A livello internazionale, nel tentativo di ricondurre le criptoattività alla categoria più appropriata, l’IFRS-IC ha escluso che esse siano suscettibili di integrare la definizione di attività finanziarie di cui allo IAS 32 e, quindi, che possano essere inserite in bilancio tra le disponibilità liquide o tra gli strumenti finanziari. Per l’effetto, la soluzione proposta dall’IFRS-IC per le imprese che adottano i Principi contabili internazionali è quella di inserire le cripto-attività nella voce di bilancio “Attività immateriali” (IAS 38) o sotto quella di “Rimanenze” (IAS 2).

In particolare, la qualificazione e la susseguente classificazione nell’una o nell’altra categoria dipendono dalla destinazione economica delle cripto-attività: quando il detentore le possiede come asset, e non come beni tipicamente destinati alla vendita nel normale svolgimento della sua attività, troverà applicazione la disciplina delle attività immateriali; se per il detentore si tratta, invece, di beni tipicamente destinati alla vendita nel normale svolgimento della sua attività, si applicherà la disciplina delle rimanenze. Tutto ciò vale anche per le società che agiscono come intermediari (broker-trader) di criptovalute, ossia per gli exchanges e i wallet providers o per i soggetti che svolgono attività di mining (cfr., sul punto, Pierro M., Le cripto-attività e l’imposizione diretta dopo la legge di bilancio 2023, in Ragucci G., a cura di, Fisco digitale. Cripto-attività, protezione dei dati, controlli algoritmici, Torino, 2023, 11 ss.).

A livello nazionale, le definizioni in materia di immobilizzazioni immateriali (OIC 24) e di rimanenze (OIC 13) non differiscono in modo sostanziale da quelle dei Principi internazionali appena richiamati, sicché la soluzione elaborata nell’ambito dei Principi contabili internazionali dovrebbe essere applicabile, in via analogica, in ambito nazionale, ancorché tale applicazione non sia priva di criticità (per una dettagliata analisi, v. ancora Funari A., Osservazioni [de iure condendo] in tema di tassazione diretta delle criptovalute, cit., 77)

Alla luce di tale ricostruzione, in assenza di indicazioni normative specifiche sulla classificazione in bilancio delle predette criptoattività, le norme tributarie applicabili non possono che essere, per i beni immateriali e attività finanziarie-immobilizzate, gli artt. 86 e 101 TUIR; e, per le attività finanziarie-attivo circolante o altre rimanenze, l’art. 85 TUIR, ancorché siffatta soluzione non è immune da problematiche applicative: com’è stato notato (da Tomassini A., La recente regolamentazione fiscale delle cripto-attività nella legge di bilancio, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F., Tributi, economia e diritto nel metaverso, Pisa, 2023, 219), «non vengono ad esempio disciplinate, come invece fatto per le persone fisiche, le operazioni crypto to crypto, con il rischio che le società debbano considerarle transazioni realizzative». In ogni caso, il valore fiscale delle cripto-attività dovrà essere determinato applicando le previsioni di cui all’art. 9 TUIR.

Si consideri, in aggiunta, che la soluzione proposta dall’IFRS-IC non è detto che possa ritenersi ancora attuale alla luce dei mutamenti che, nel frattempo, sono intervenuti nel contesto internazionale. E infatti, già nella pubblicazione “Accounting for and auditing of digital assets” del 2020, l’Association of International Certified Professional Accountants (AICPA) ha affermato che i digital assets non possono considerarsi rimanenze, in quanto mancano di consistenza fisica. Per altro verso, nella Third Agenda Consultation di marzo 2022, l’International Accounting Standard Board (IASB) ha sollevato perplessità sulla posizione dell’IFRS-IC in punto di contabilizzazione richiesta dallo IAS 38 sulle attività immateriali per le criptovalute, evidenziando come non possa fornire informazioni accurate stante la natura finanziaria di alcuni token.

In questo contesto, è chiaramente non più differibile uno specifico intervento da parte dei soggetti regolatori (il legislatore del bilancio, l’OIC e il legislatore tributario) finalizzato a precisare la qualificazione e classificazione di tali asset in base alla loro natura e alle loro finalità e, conseguentemente, la loro rilevazione contabile anche ai fini fiscali.

3. A partire da quest’anno, le imprese dovranno fare i conti con l’applicazione sia dell’imposta di bollo alle criptoattività (cfr. art. 1, commi 144 e 145, Legge di bilancio 2023, che hanno modificato la tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642), per chi detiene criptovalute su wallet custodial italiani sia dell’IVAFE (con la stessa aliquota del 2 per mille), per chi le detiene su wallet custodial non italiani o su wallet non-custodial; ovvero, «in luogo dell’imposta di bollo», della nuova imposta sul valore delle criptoattività (IVCA), nei termini di cui all’art. 19, comma 18, D.L. n. 201/2011 (convertito, con mod., dalla L. n. 214/2011), come modificato dall’art. 1, comma 146, Legge di bilancio 2023.

L’applicazione dell’imposta sul valore delle criptoattività detenute da soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato (nella misura sempre del 2 per mille, da versare secondo le modalità e i termini delle imposte sui redditi) è prevista in luogo dell’imposta di bollo con esclusivo riferimento ai «casi in cui, ad esempio, le cripto-attività siano detenute presso intermediari non residenti o archiviate su chiavi USB, personal computer e smartphone», come chiarito nella citata relazione illustrativa del Governo.

Nonostante tale chiosa, gli ambiti soggettivo e oggettivo della nuova IVCA sono tuttora incerti.

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo, il legislatore della riforma ha stabilito che l’IVCA deve essere applicata da tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato che detengono cripto-attività sulle quali non è stata applicata l’imposta di bollo, e non soltanto dai soggetti tenuti agli obblighi di monitoraggio di cui all’art. 4 D.L. n. 167/1990; onde l’IVCA graverà non solo su persone fisiche, società semplici ed enti non commerciali, ma anche su società di persone a forma commerciale, enti commerciali, società ed altre associazioni di persone. Non è precisato, neanche nella bozza di circolare dell’Agenzia delle Entrate sulla tassazione delle criptoattività, quale sia la nozione di residenza fiscale rilevante ai fini dell’IVCA: per ragioni di coerenza sistematica con le discipline dell’IVIE e dell’IVAFE, e tenuto conto delle modalità applicative, si deve ritenere che la nozione di residenza fiscale rilevante per l’IVCA sia quella prevista ai fini delle imposte sui redditi.

L’ampia sfera soggettiva di applicazione pone la questione della deducibilità dell’IVCA dal reddito d’impresa: in assenza di una normativa specifica, la valutazione non può che essere effettuata ai sensi dell’art. 99, comma 1, TUIR, secondo cui «Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento» (su questa disposizione, v., per tutti, Del Federico L., Oneri fiscali e contributivi ed accantonamenti per imposte e tasse, in Tesauro F., diretta da, Giur. sist. dir. trib. L’imposta sul reddito delle persone fisiche, t. II, Torino, 1994, 721 ss. e Mastroiacovo V., Art. 99 – Oneri fiscali e contributivi, in Tinelli G., a cura di, Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, Padova, 2009, 841 ss.). Alla luce della sfera applicativa di tale disposizione, si deve ritenere che l’IVCA sia pienamente deducibile dal reddito d’impresa nell’esercizio in cui avviene il pagamento, non essendo né un’imposta sui redditi né un’imposta per la quale è prevista la rivalsa. E ciò risulta coerente col fatto che – come ammesso anche dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 136/E/2000 – l’imposta di bollo, in luogo della quale si applica l’IVCA nei casi specificamente previsti, è pacificamente deducibile dal reddito d’impresa.

Per quanto riguarda l’ambito oggettivo, è stato osservato che il rinvio operato dal legislatore tributario alla disciplina dell’imposta di bollo (formulato nel senso che l’IVCA si applica “in luogo dell’imposta di bollo”) si risolverebbe nell’implicita ammissione che l’ambito oggettivo dei due tributi debba coincidere (cfr. Consultazione pubblica sulla bozza di circolare relativa al “Trattamento fiscale delle cripto-attività” – Osservazioni della AIPSDT, 18): se ciò è vero, le criptoattività sulle quali grava l’IVCA dovrebbero essere le stesse sulle quali sarebbe dovuta gravare l’imposta di bollo, in presenza degli intermediari finanziari.

Ciò posto, tenuto conto del perimetro applicativo della nuova disciplina in materia di tassazione della cripto-attività, non è chiaro se il rinvio debba esser riferito alle sole criptoattività “disciplinate” dall’art. 67, comma 1, lett. c-sexies, TUIR, oppure a tutte le criptoattività che soddisfino la “definizione” contenuta nell’art. 67, comma 1, lett. c-sexies, TUIR. Nel primo caso sarebbero esclusi dall’ambito oggettivo dell’IVCA gli strumenti finanziari digitali (di cui al D.L. n. 25/2023, convertito con modificazioni dalla L. n. 52/2023) o altre fattispecie individuate, in generale, nella bozza di circolare sulla tassazione delle cripto-attività come “investment token” o “security token”. Nel secondo caso detti strumenti vi rientrerebbero.

Considerata la natura dell’IVCA, la soluzione dovrebbe essere nel senso che il rinvio operato dal legislatore tributario all’imposta di bollo e, quindi, indirettamente all’IVCA debba essere riferito a tutte le criptoattività che soddisfino la definizione contenuta nel citato art. 67, anche se non rientranti – com’è nel caso degli strumenti finanziari digitali – nella disciplina dei redditi diversi ma in quella dei redditi di capitale o in altre categorie reddituali (nello stesso senso v. anche Consultazione pubblica sulla bozza di circolare relativa al “Trattamento fiscale delle cripto-attività” – Osservazioni della AIPSDT, 16 s.)

Per effetto del rinvio, poi, la base imponibile dell’IVCA è costituita dal valore delle criptoattività al termine di ciascun anno solare rilevato dalla piattaforma dell’exchange dove è avvenuto l’acquisto della stessa. Qualora non sia possibile rilevare il valore al 31 dicembre dell’anno di riferimento dalla piattaforma dove è stata originariamente acquistata la cripto-attività, tale valore potrà essere rilevato da analoga piattaforma dove le medesime cripto-attività sono negoziate. Nel caso in cui le cripto-attività non siano più possedute alla data del 31 dicembre si deve far riferimento al valore rilevato al termine del periodo di detenzione. Come previsto dal comma 19 dell’art. 19 D.L. n. 201/2011, l’imposta è dovuta in proporzione ai giorni di detenzione e alla quota di possesso in caso di cripto-attività cointestate.

Inoltre, se si estende all’IVCA quanto stabilito in materia di imposta di bollo dal comma 21 dell’art. 19 D.L. n. 201/2011, dalla descritta imposta «si deduce [rectius: si detrare], fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’importo dell’eventuale imposta patrimoniale relativa alle cripto-attività detenute presso intermediari esteri e versata nello Stato estero» (così, bozza di circolare dell’Agenzia delle Entrate sulla tassazione delle criptoattività, 90). Tutto ciò subordinatamente alla “definitività” del versamento del tributo all’estero, in relazione al quale, mancando specifiche indicazioni, dovrebbero valere le regole e le indicazioni di carattere generale riguardanti il credito per le imposte assolte all’estero di cui all’art. 165 TUIR (su cui Contrino A., Contributo allo studio del credito per imposte estere, Torino, 2012)

 4. Un ulteriore aspetto problematico relativo al trattamento tributario delle operazioni aventi ad oggetto criptoattività è rinvenibile nella norma transitoria prevista all’art. 1, comma 127, Legge di bilancio 2023[1], con la quale è attribuita rilevanza ai fini impositivi alle operazioni in cripto-attività eseguite prima dell’entrata in vigore della novella, sebbene il periodo ante-riforma fosse caratterizzato da un completo vuoto normativo di cui l’Agenzia delle Entrate aveva approfittato per qualificare e disciplinare il fenomeno, esercitando un ruolo che non le è proprio.

E infatti, l’Agenzia aveva adottato un’interpretazione “creativa” secondo cui le criptovalute (e non le criptoattività in generale) sarebbero state tassabili, pur in assenza di una legge che lo prevedesse, perché qualificabili come “monete” assimilabili alle valute estere, da cui avrebbero dovuto conseguentemente mutuare il trattamento fiscale[2] (cfr. ris. 2 settembre 2016, n. 72/E e Risposta a interpello n. 788 del 24 novembre 2021, la cui posizione è stata confermata nelle successive risposte nn. 397, 433 e 437 del 2022. Sulla questione, v. tra gli altri, Salvini L., La dimensione valutaria dell’economia digitale: le criptovalute, in Carpentieri L., a cura di, Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, 170 ss.).

In particolare, con riferimento alle persone fisiche che non esercitavano attività d’impresa, l’Agenzia distingueva le cessioni a termine, che avevano ad oggetto lo scambio in una data futura tra due valute a un tasso di cambio prefissato al momento della conclusione dell’operazione, e le cessioni a pronti, che avevano ad oggetto lo scambio immediato tra due valute al tasso di cambio vigente. Le prime erano “sempre” rilevanti ai fini IRPEF, in quanto operazioni realizzative di plusvalenze; le seconde – seppur tendenzialmente irrilevanti ai fini fiscali per carenza di intento speculativo – finivano per essere assoggettate ad IRPEF come redditi diversi nell’ipotesi in cui la criptovaluta ceduta derivava da prelievi da wallet, con giacenza media superiore ad un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 67, comma 1, lett. c-ter), e comma 1-ter (sul tema, fra gli altri, Corasaniti G., Il trattamento tributario dei bitcoin tra obblighi antiriciclaggio e monitoraggio fiscale, in Strum. fin. e fiscalità, 2018, 36, 45 ss.; Fassò F., Il regime fiscale dei bitcoins secondo una recente ed [unica] prassi amministrativa, in Strum. fin. e fiscalità, 2017, 3, 105 ss.; Piasente M., Esenzione Iva per i ‘bitcoin’: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione ‘divise’, in Corr. trib., 2016, 2, 144 ss.)

Sul presupposto dell’equiparazione delle plusvalenze da valuta virtuale a quelle generate da operazioni in valuta estera, l’Agenzia aveva altresì precisato (cfr. DRE Lombardia, Risposta ad interpello 22 gennaio 2018, n. 956-39/2018. Si veda pure Agenzia delle Entrate, Risposte ad interpello 24 novembre 2021, n. 788 e 1° agosto 2022, n. 397) che i soggetti residenti detentori di valute virtuali dovevano indicarle nel quadro RW della dichiarazione annuale dei redditi fra le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia (in ottemperanza agli obblighi di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4 D.L. n. 167/1990), ma che le valute virtuali non erano soggette all’IVAFE, applicandosi tale imposte esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura bancaria (cfr. DRE Lombardia, Risposta ad interpello n. 956-39/2018; DRE Liguria, Risposta ad interpello 9 febbraio 2018, n. 903-47/2018. Sul tema, fra i primi, Contrino A. – Baroni G., The cryptocurrencies: fiscal issues and monitoring, in Dir. prat. trib. int., 2019, 1, 11 ss.).

Lo specifico intervento legislativo di riforma, che ha fatto strame della “insostenibile” (perché, fra le altre cose, le criptovalute non sono economicamente e giuridicamente assimilabili né alla moneta né alla valuta legale) ma soprattutto “illegittima” (perché in smaccata violazione dell’art. 23 Cost.) interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, non va esente da critiche.

In primo luogo perché, pur essendo la nuova disciplina assisa su presupposti radicalmente diversi rispetto all’interpretazione adottata dall’Agenzia, la norma transitoria, prevista all’art. 1, comma 127, Legge di Bilancio 2023, finisce con l’avallare la conclusione della prassi e realizzare, addirittura, una sorta di “sanatoria impositiva” di dubbia legittimità sistematica e costituzionale: infatti, non avendo – e, considerato il pregresso vuoto normativo, non potendo obiettivamente avere – natura di norma di interpretazione autentica, essa risulta avere efficacia retroattiva in palese contrasto con l’art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, ma soprattutto con gli artt. 3, 23 e 53 Cost.

Ciò è ancora più grave se si considera che la prevista tassabilità retroattiva è ad ampio spettro, non riguardando solo le criptovalute, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate in precedenza, ma tutte le criptoattività: il comma 127 della Legge di bilancio 2023, ha chiaramente sancito, infatti, che le «plusvalenze relative a operazioni aventi a oggetto cripto-attività, comunque denominate, eseguite prima della data di entrata in vigore della presente legge si considerano realizzate ai sensi dell’art. 67, del testo unico». A tanto va aggiunto che, per effetto del riportato comma 127, le plusvalenze da operazioni in criptoattività realizzate fino al 31 dicembre 2022 sono sommate algebricamente a quelle di cui alle lett. da c) a c-quinquies) e alle relative minusvalenze, mentre dal 2023 le plusvalenze di cui alla lett. c-sexies) sono compensabili esclusivamente con minusvalenze della stessa species.

Peraltro, il legislatore della riforma sembra ignorare i profili di criticità che emergono dalla tesi dell’Agenzia delle Entrate.

Essa è stata costretta ad ammettere in numerose Risposte ad interpello (v., per tutte, la DRE Lombardia nella Risposta n. 956-39/2018) che i tradizionali meccanismi per calcolare la giacenza media del wallet non possono trovare agevole applicazione a causa dell’assenza di univocità circa la determinazione del rapporto di cambio, l’individuazione del sito dove vengono fatte la “maggior parte” delle operazioni e la verifica “rispetto” alle modalità di stoccaggio delle criptovalute nei wallet. Per altro verso, l’affermazione secondo cui per determinare la plusvalenza conseguente a prelievi da wallet che abbiano superato la predetta giacenza media (pari a 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta) «si deve utilizzare il costo di acquisto considerando cedute per prime le valute acquisite in data più recente» risulta sostanzialmente impossibile da rispettare, se appena si considera che anche il contribuente diligente non è in grado di determinare la giacenza media in modo preciso perché le operazioni in criptovalute hanno connotati di istantaneità e, in una stessa giornata, sono effettuate in numero molto elevato (cfr. anche Mastellone P., Il regime impositivo delle plusvalenze generate da operazioni criptovalutarie, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F., a cura di, Tributi, economia e diritto nel metaverso, cit., 2023, 303 ss.).

5. Alla luce delle osservazioni svolte, ci sono tutte le premesse per invocare un nuovo intervento del legislatore tributario che dovrebbe essere finalizzato non solo ad eliminare le criticità che la norma transitoria ha fatto emergere, ma soprattutto a individuare la soluzione ai problemi collegati alla chiara connotazione a-territoriale delle criptoattività, atteso il carattere dematerializzato di tali asset digitali.

Il nostro sistema tributario, oramai risalente nel tempo, è pensato per un mondo in cui forse neanche si immaginavano fenomeni quali le criptoattività e il Metaverso (sul tema, Salvini O., Redditi generati nel Metaverso: ricondurre all’imposizione reale la ricchezza di origine “virtuale”, in il fisco, 2022, 13, 1207 ss.). Nel nuovo contesto sarebbe forse opportuno fare riferimento, ai fini della tassazione, non al luogo di produzione del reddito (che secondo la criticabile tesi dell’Agenzia delle Entrate, esposta nella Risposta a interpello n. 397/2022, nel caso delle criptovalute coinciderebbe con il luogo in cui si trova il wallet), ma al soggetto che tale reddito percepisce, posto che in presenza di un bene dematerializzato il criterio di tassazione più efficace è quello della residenza del beneficiario.

È, comunque, auspicabile che la soluzione al problema in esame venga individuata in un contesto sovranazionale, tanto più che, sia a livello OCSE sia a livello UE, si registrano significativi interventi in materia di criptoattività che rappresentano inequivocabile manifestazione di interesse nei confronti del comparto e delle esigenze di una sua regolamentazione.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

AIPSDT (Associazione Italiana dei Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario), Contributo alla consultazione pubblica sulla bozza di circolare relativa alTrattamento fiscale delle cripto-attività” – Osservazioni

Conte D., Riflessioni sul regime di imposizione diretta delle criptoattività introdotto dalla legge di bilancio 2023, in Riv. tel. dir. trib., 24 ottobre 2023

Contrino A., Contributo allo studio del credito per imposte estere, Torino, 2012

Contrino A. – Baroni G., The cryptocurrencies: fiscal issues and monitoring, in Dir. prat. trib. int., 2019, 1, 11 ss.

Corasaniti G., Il trattamento tributario dei bitcoin tra obblighi antiriciclaggio e monitoraggio fiscale, in Strum. fin. e fiscalità, 2018, 36, 45 ss.

Del Federico L., Oneri fiscali e contributivi ed accantonamenti per imposte e tasse, in Tesauro F. (diretta da), Giur. sist. dir. trib. L’imposta sul reddito delle persone fisiche, t. II, Torino, 1994, 721 ss.

Fassò F., Il regime fiscale dei bitcoins secondo una recente ed (unica) prassi amministrativa, in Strum. fin. e fiscalità, 2017, 3, 105 ss.

Funari A., Osservazioni (de iure condendo) in tema di tassazione diretta delle criptovalute, in Giur. imp., 2022, 4, 74 ss.

Mastellone P., Il regime impositivo delle plusvalenze generate da operazioni criptovalutarie, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F. (a cura di), Tributi, economia e diritto nel metaverso, Pisa, 2023, 303 ss.

Mastroiacovo V., Art. 99 – Oneri fiscali e contributivi, in Tinelli G. (a cura di), Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, Padova, 2009, 841 ss.

Salvini O., Redditi generati nel Metaverso: ricondurre all’imposizione reale la ricchezza di origine “virtuale”, in il fisco, 2022, 13, 1207 ss.

Piasente M., Esenzione Iva per i ‘bitcoin’: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione ‘divise’, in Corr. trib., 2016, 2, 144 ss.

Pierro M., Le cripto-attività e l’imposizione diretta dopo la legge di bilancio 2023, in Ragucci G. (a cura di), Fisco digitale. Cripto-attività, protezione dei dati, controlli algoritmici, Torino, 2023, 11 ss.

Salvini L., La dimensione valutaria dell’economia digitale: le criptovalute, in Carpentieri L. (a cura di), Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, 170 ss.

Tomassini A., La recente regolamentazione fiscale delle cripto-attività nella legge di bilancio, in Cardella P.L. – Della Valle E. – Paparella F. (a cura di), Tributi, economia e diritto nel metaverso, Pisa, 2023, 219 ss.

[1] Secondo cui «Le plusvalenze relative a operazioni aventi a oggetto cripto-attività, comunque denominate, eseguite prima della data di entrata in vigore della presente legge si considerano realizzate ai sensi dell’articolo 67 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e le relative minusvalenze realizzate prima della medesima data possono essere portate in deduzione ai sensi dell’articolo 68, comma 5, del medesimo testo unico. Ai fini della determinazione della plusvalenza si applica l’articolo 68, comma 6, del predetto testo unico».

[2] È appena il caso di precisare che il legislatore tributario, facendo salva la posizione dell’Agenzia delle Entrate sulla tassazione delle cripto-attività nel periodo ante-riforma, e quindi affermando la natura monetaria delle criptovalute e assimilandole sostanzialmente a valute estere, finirebbe per assumere una posizione che va in direzione opposta a quella dell’IFRS Committee, il quale ha escluso un inquadramento delle “cripto-attività” tra le definizioni contabili di “cassa” e di “disponibilità liquide equivalenti”, in quanto esse non svolgono, rispettivamente, le tradizionali funzioni della moneta e sono altamente volatili.

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