RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., ord. 19 giugno 2023, n. 26274 – Sulla nozione di “formale conoscenza” ostativa all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000?

Di Francesca Prosperi -

Sulla nozione di “formale conoscenza” ostativa all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000? (*)

La massima della Suprema Corte

Si esclude la punibilità per il pagamento del debito tributario quando la richiesta di chiarimenti è stata avanzata dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un soggetto estraneo alla verifica fiscale, non risultando integrato il requisito della “formale conoscenza” di accertamenti amministrativi e penali. Dunque, anche a colui che sia stato utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti, e invitato a fornire chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate per accertamenti compiuti nei confronti di un soggetto terzo emittente le fatture false, si estende l’applicabilità dell’istituto premiale previsto dall’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000.

Il (tentativo di) dialogo

Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte ha contribuito a circoscrivere meglio i confini di applicazione della causa di non punibilità di cui al comma 2 dell’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000. Nel caso di specie, ricorrendo in Cassazione, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino aveva dedotto l’erronea interpretazione della citata disposizione, osservando come il ravvedimento operoso effettuato nel relativo caso non fosse intervenuto con integrale pagamento del debito tributario prima che l’autore del reato avesse avuto “formale conoscenza” di accessi, verifiche, ispezioni o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale, bensì in un momento successivo. L’autore, poi assolto dal reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, era stato infatti chiamato dall’Agenzia delle Entrate a fornire chiarimenti nel corso di una verifica compiuta nei confronti della s.r.l. emittente fatture per le operazioni ipotizzate inesistenti, indirizzate alla ditta individuale del medesimo. Successivamente a tale richiesta di chiarimenti, e prima che venisse compiuto un accertamento nei confronti dell’imputato, questi aveva provveduto al ravvedimento operoso, con il pagamento delle imposte dovute, comprensive di interessi e sanzioni.

Parte ricorrente ha sostenuto che il giudice non avrebbe erroneamente considerato le richieste di chiarimenti rivolte all’imputato dall’Agenzia delle Entrate come uno degli atti in grado di determinare formalmente la conoscenza di un accertamento amministrativo; e ciò sul presupposto che l’art. 13, comma 2, non richiederebbe che l’attività di accertamento amministrativo sia rivolta al soggetto potenzialmente interessato al ravvedimento, essendo carente l’espressione linguistica “nei suoi confronti”.

Di ausilio, in tal senso, sarebbe stata la “parallela” previsione contenuta nella L. 15 dicembre 2014 n. 186 in tema di voluntary disclosure, ove era previsto che la preclusione alla collaborazione volontaria scatta anche quando il contribuente abbia avuto conoscenza di accessi e indagini “anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato”. In senso opposto, tuttavia, la natura di norma eccezionale dell’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, ne precluderebbe l’interpretazione basata sul raffronto con altre disposizioni, quali quelle dettate in materia di voluntary disclosure menzionate nel ricorso. Proprio la precisazione contenuta nella L. 15 dicembre 2014, n. 186, secondo la quale la collaborazione volontaria non è ammessa quando il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche (con formula fin qui identica a quella del citato art. 13, comma 2) “anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato” porterebbe ad escludere l’adozione di un’interpretazione possa adottarsi per l’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000.

La Suprema Corte ha ritenuto preferibile tale seconda soluzione interpretativa, ritenendo più conforme alla voluntas legis la non limitazione dell’applicazione di tale norma premiale nei confronti di un soggetto che abbia avuto solamente conoscenza “indiretta” di eventuali accertamenti.

La soluzione raggiunta dalla Corte di Cassazione è pienamente condivisibile e coglie nel segno.

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Nodo centrale dell’iter argomentativo della Suprema Corte è rappresentato dalla lettura della causa di non punibilità in esame in combinato con la disciplina della c.d. voluntary disclosure introdotta dall’art. 1 L. 15 dicembre 2014, n. 186, concernente “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”, mediante l’inserimento, nel testo del D.L. n. 167/ 1990 degli artt. 5-quater e septies.

Nel dettaglio, tale normativa, nel prevedere che – laddove avvenisse attraverso la particolare procedura tracciata dal legislatore – il rientro dei capitali detenuti all’estero o la regolarizzazione di capitali occultati in Italia comportasse il venir meno della punibilità di determinati reati, subordinava l’accesso a tale procedura alla circostanza che il contribuente non avesse avuto “formale conoscenza di accessi, ispezioni” nei suoi confronti. In particolare, pur in assenza di specificazione in sentenza, la disposizione richiamata è l’art. 5-quater, comma 2, D.L. n. 167/1990 “Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”, laddove si specificava l’inammissibilità della collaborazione volontaria nel caso di causa ostativa formalmente conosciuta dall’autore della violazione richiedente l’accesso alla stessa, o dai soggetti con questo solidalmente obbligati in via tributaria o da eventuali concorrenti nel reato.

La circostanza che la causa di non punibilità in oggetto trovi il suo più prossimo referente nella disciplina della c.d. voluntary disclosure è già stata oggetto di rilevo tanto in giurisprudenza quanto in dottrina. In particolare, è stato messo in luce che in tale secondo caso il legislatore, volendo un effetto ostativo nella conoscenza formale da parte di uno dei concorrenti, lo avesse esplicitamente previsto, dovendosi pertanto qualificarsi quella in esame come una scelta di “segno opposto”. Peraltro, nell’unica decisione in cui i giudici di legittimità hanno esaminato tale aspetto della disciplina in tema di collaborazione volontaria, la Suprema Corte ha negato essere preclusiva anche per l’accesso alla procedura della voluntary disclosure la circostanza che il singolo contribuente avesse avuto casuale e incidentale conoscenza del fatto che nei suoi confronti erano in corso attività di accertamento fiscale o procedimenti penali (Cass. pen., sez. III, 23 novembre 2018, n. 10801).

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La rigorosa interpretazione letterale del dettato normativo adottata dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame è senz’altro apprezzabile: stante il carattere “formale” della conoscenza richiesta per integrare la circostanza ostativa all’applicabilità della causa di non punibilità in commento, è condivisibile la soluzione per cui l’accertamento debba essere quanto meno riferito al soggetto interessato.

Ancorché ciò possa determinare una parziale perdita della capacità dissuasiva delle disposizioni incriminatrici (con la possibilità di assistere con più frequenza ad atteggiamenti opportunistici volti ad evitare le conseguenze penali della condotta tenuta), una diversa interpretazione comporterebbe una eccessiva ed indeterminata dilatazione del limite insito nella norma.

Laddove la “formale conoscenza” venisse interpretata in modo estensivo e senza riferimenti specifici, si finirebbe per comprimere l’applicazione della causa di non punibilità in contrasto con la ratio della disposizione in esame, che è quella di incentivare comportamenti virtuosi.

* La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

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