La produzione di nuovi documenti in appello: un’interessante sentenza tributaria di merito
Di Andrea Colli Vignarelli
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(commento a /notes to Corte di Giustizia tributaria II grado della Sicilia, 25 maggio 2023, n. 4552)
Abstract
La sentenza in esame contiene alcune affermazioni di principio relative alla produzione di nuovi documenti nell’appello tributario, che possono essere considerate “riassuntive” della giurisprudenza espressa in proposito dalla Suprema Corte, fornendo inoltre lo spunto per un più generale esame della problematica concernente le nuove prove in tale grado di giudizio.
The exhibition of new documents in front of the court of second instance: an interesting tax decision. – The judgment highlighted contains some statements of principle relating to the exhibition of new documents in judgment of second instance, which can be considered “summary” of the jurisprudence expressed in this regard by the Supreme Court, also providing the starting point for a more general view concerning the new evidence at this level of judgement.
Sommario:1. Premessa. – 2. L’art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. – 3. L’art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.
1. La recente sentenza 25 maggio 2023, n. 4552, della Corte di Giustizia tributaria di II grado della Sicilia, contiene diverse rilevanti affermazioni circa la proponibilità di nuovi documenti in appello nel processo tributario.
Risulta interessante evidenziarle, in quanto “riassuntive” dei principi affermati da più di una pronuncia emanata dalla Suprema Corte di Cassazione in proposito. Ciò fornisce lo spunto, inoltre, per effettuare alcune considerazioni sulla proposizione di nuove prove in generale nel giudizio tributario di secondo grado.
2. Innanzitutto, occorre procedere a una rapida analisi dell’art. 58 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che disciplina la produzione di nuove prove nel giudizio innanzi la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado. L’articolo, rubricato «Nuove prove in appello», stabilisce, al comma 1, che «Il giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostridi non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile», aggiungendo, al comma 2, che «È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti».
La norma è stata ritenuta, dalla dottrina processual-tributaria, come “poco limitativa” alla produzione di nuove prove dinanzi al giudice di secondo grado – e ciò in particolare prima dell’introduzione della testimonianza scritta ex art. 4, comma 1, lett. a), L. 31 agosto 2022, n. 130, modificativo del comma 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 – attesa la natura essenzialmente documentale del processo tributario, e considerato il disposto del comma 2 sopra indicato, che sarà oggetto di successiva analisi1. In dottrina, in ogni caso, anche dopo l’introduzione della citata prova testimoniale, si sottolinea come, «considerata la preminenza che» tutt’ora «la prova documentale ha nel processo tributario … la preclusione dettata dall’art. 58, comma 1 non è così significativa come potrebbe apparire»2.Passando all’esame del comma 1 sopra riportato, occorre rilevare come, dopo l’affermazione di principio della non ammissibilità di nuove prove in appello, la norma prevede due deroghe (cui si aggiunge quella, più rilevante, di cui al comma 2):
qualora il giudice non le ritenga necessarie ai fini della decisione;
ovvero la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa a essa non imputabile.
Per quanto riguarda la prima deroga, sempre in epoca precedente alla previsione, sia pur limitata, della prova per testi nel giudizio tributario, si è precisato in dottrina che questa riguardava solo «le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta», conferite alle (oggi) Corti di Giustizia tributaria dall’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 546/19923, atteso che a) i documenti sono liberamente ammessi in appello; b) relazioni e consulenza tecnica di cui al comma 2 dell’art. 7 citato non sono mezzi di prova ma di valutazione e apprezzamento delle prove (potendo quindi il giudice tributario disporne non solo quando necessarie, ma anche quando soltanto utili ai fini della decisione); c) «la testimonianza [oggi non più] ed il giuramento non sono ammessi nel nostro contenzioso». Come più volte osservato, la testimonianza (scritta) è ormai consentita nel processo innanzi al giudice tributario, anche di secondo grado (l’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, che la prevede, è rubricato «Poteri delle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado»), potendo questi ammetterla, nelle forme di cui all’art. 257-bis c.p.c., «ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti». Il requisito richiesto è lo stesso previsto dall’art. 58 per le nuove prove in generale, disposte in appello dal giudice di sua iniziativa: la “necessità” ai fini della decisione (e questo – come precisato dall’art. 7, comma 4 con riguardo alla testimonianza, ma valevole in linea di principio per le nuove prove ex art. 58, comma 1 – «anche senza l’accordo delle parti»; in proposito non è inutile ricordare che in ogni caso i poteri istruttori del giudice sono esercitabili, ex art. 7, d’ufficio)4. Occorre dunque intendersi su quando una prova possa essere considerata “necessaria” ai fini del decidere. In proposito può evidenziarsi la differenza di formulazione, con riferimento alle nuove prove in appello, tra l’art. 4375, comma 2, c.p.c. (in materia di controversie di lavoro), e l’art. 58, comma 1, in esame: mentre il primo parla di prove “indispensabili”, il secondo parla di prove “necessarie”. Sul punto si è evidenziato come il legislatore, con la differente formula dell’art. 58, avrebbe voluto attribuire al giudice di secondo grado, nel processo tributario, «un margine di manovra più ampio rispetto a quello riconosciuto agli organi giudicanti» nello stesso grado del rito del lavoro, considerando «la peculiare natura e la rilevanza pubblicistica dei rapporti controversi»6. Altra dottrina, viceversa, ritiene che la differenza terminologica tra norma processual-civilistica (art. 437 e “vecchio” art. 345 c.p.c.) e processual-tributaria (art. 58, comma 1, in esame) non consenta, al giudice del rito tributario d’appello, l’ammissione di nuove prove semplicemente “idonee” a fornire la dimostrazione dei fatti controversi, bensì solo di quelle che risultino “indispensabili”, in quanto «in loro difetto risulti impossibile accertare simili fatti», per cui, in loro mancanza, il giudice dovrebbe decidere applicando la regola residuale dell’onere della prova7. Sempre con riguardo alla necessarietà, la dottrina più attenta ha evidenziato come questa vada valutata tenendo conto di come si è in concreto svolto il primo grado di giudizio e la relativa istruttoria8. È il caso, ad esempio, di una questione rimasta assorbita in primo grado – avendo in ipotesi il giudice accolto la domanda proposta in via principale – e riproposta in appello ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992, per decidere la quale si rende necessaria l’acquisizione di nuove prove in appello aventi ad oggetto i fatti posti a suo fondamento, non ritenendosi bastevoli, per qualsivoglia motivo, quelle (eventualmente) prodotte nel precedente grado9. Non va considerata invece ammissibile l’acquisizione, disposta dal giudice, della prova in appello quando:
la prova sia “destinata” a colmare una deficienza probatoria della parte in primo grado, non potendosi con l’appello colmare le lacune difensive del precedente grado di giudizio;
si sia verificata, con riguardo alla prova, una decadenza o una preclusione10, avendo il giudice di primo grado espressamente negato l’ammissione della prova e il relativo capo della sentenza non sia stato impugnato, con conseguente formazione del giudicato sul punto11, ovvero la questione relativa alla prova sia rimasta assorbita in primo grado e non vi sia stata riproposizione di parte ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992; la prova poteva essere dedotta dalla parte interessata che non si è costituita in giudizio12 (nel processo tributario, ciò può valere solo per il resistente, essendo la mancata costituzione del ricorrente sanzionata con l’inammissibilità ex art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992). In tal caso, infatti, si rientra nell’ipotesi sub 1), potendosi la mancata costituzione in giudizio considerarsi “inerzia” difensiva della parte.
Circa la “necessarietà” della nuova prova, infine, va considerato anche lo svolgimento del processo, questa volta nella fase di gravame13. Infatti, la nuova prova va considerata “necessaria” e dunque ammessa quando:
si renda necessaria a seguito dell’attività istruttoria svolta in sede di gravame, d’ufficio o a istanza di parte (ad esempio, la produzione di nuovi documenti ad opera di controparte, sempre ammessa ex art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992): ciò è imposto, evidentemente, dal rispetto del principio del contraddittorio (art. 111, comma 2, Cost.);
la controparte produca nuovi documenti non conosciuti, che rendano necessaria l’integrazione dei motivi in appello ex art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 – applicabile anche in sede di gravame14 in virtù del richiamo effettuato dall’art. 61 D.Lgs. n. 546/1992, alle disposizioni disciplinanti il primo grado di giudizio – dovendosi consentire alla parte di provare i fatti posti a fondamento degli anzidetti motivi;
siano proposte nuove eccezioni (rilevabili d’ufficio e dunque ammesse in base al disposto dell’art. 57, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992) e sia necessario fornire la prova attinente ai fatti posti a base delle stesse;
sussistano fatti “divenuti rilevanti a seguito dello jus superveniens”15.
Per quanto riguarda la seconda deroga, prevista dall’art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 alle nuove prove in appello, la dottrina – prima dell’introduzione, nel giudizio tributario, della prova testimoniale scritta ad opera della già citata L. n. 130/2022 – ha osservato che «è arduo immaginare come nel nostro contenzioso possano esistere mezzi di prova che la parte non abbia potuto produrre nella fase pregressa per motivi alla medesima non addebitabili», tenendo conto, tra l’altro, «che la testimonianza ed il giuramento non trovano cittadinanza nel processo tributario, e che “forse, ed a tutto concedere, solo per la ‘richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti’ (cui si riferisce l’art. 7, co. 1) può accadere che la parte possa dar conto della circostanza di non averli potuto fornire in prima istanza per ragioni che non possono esserle rimproverate»16. Oggi il discorso è cambiato, e può ipotizzarsi il caso in cui la parte, senza colpa, non conosceva l’esistenza di un testimone a suo favore, potendo quindi chiedere una (nuova) testimonianza scritta in base all’art. 58, comma 1, in esame. In particolare con riguardo alla testimonianza, si è già rilevato (cfr. nota 6) che in dottrina si ritiene che la novità debba essere giustificata dal contemporaneo sussistere dei due requisiti richiesti in via alternativa dalla disposizione da ultimo citata: la necessità e la mancata produzione incolpevole nel primo grado di giudizio.
3. Con riferimento alla terza deroga al divieto di nuove prove in appello17, si può certamente ribadire che quella di cui al comma 2 dell’art. 58 D.Lgs. n. 546/1992, attesa la più volte richiamata natura essenzialmente documentale del processo tributario, è quella di maggiore portata e rilevanza. In proposito sono necessarie delle puntualizzazioni. Innanzitutto, con riguardo al “contenuto”, i nuovi documenti non possono tradursi in un espediente per introdurre nuove domande o nuove eccezioni (salvo quelle rilevabili di ufficio), in violazione del divieto di cui all’art. 57 D.Lgs. n. 546/199218. Con riguardo invece alla “nozione”, per nuovi documenti non vanno intesi i documenti materialmente venuti ad esistenza successivamente al primo grado di giudizio, bensì quelli non prodotti in prima istanza o prodotti irritualmente e in tal modo correttamente non presi in considerazione dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado19; non vanno considerati nuovi documenti, inoltre, in quanto sic et simpliciter “non documenti”, i precedenti giurisprudenziali, la normativa, gli articoli di dottrina, che potranno quindi essere liberamente prodotti in giudizio senza limiti di sorta, e dunque anche, per la prima volta, nell’udienza di discussione (qualora sia stata richiesta da una delle parti)20. È ora possibile, al fine di analizzare la portata della regola in esame – con precipuo riferimento all’interpretazione giurisprudenziale, non solo di merito ma soprattutto di legittimità – richiamare i principi affermati nella sentenza in commento, che può dirsi “riassuntiva” dell’orientamento prevalente in materia.
«Nell’ambito del processo tributario, l’art. 58 del D.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti21 anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c.», e ciò comporta che «tale possibilità è consentita ‘anche quando non sussista … l’impossibilità di produrli in primo grado, ovvero si tratti di documenti già nella disponibilità delle parti’ (Cassazione civile sez. trib., 21/03/2023, n. 8089; Cass., Sez. 5, n. 17164 del 28/06/2018, Cass., 11 aprile 2018, n. 8927; Cass., Sez. 5, n. 27774 del 22/11/2017)»22.
La sentenza, dunque, riconosce la più ampia facoltà di produzione, nel giudizio di appello tributario, di nuovi documenti (la novità da intendersi nel senso prima visto), essendo possibile l’introduzione di nuovo materiale probatorio documentale senza limiti, in quanto la norma tributaria (art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992) non prevede la restrizione fissata dalla corrispondente norma del rito civile (art. 345, comma 3, c.p.c.), ovverosia la non imputabilità alla parte della mancata produzione nel precedente grado. L’interessato potrà dunque utilizzare nel giudizio di appello anche documenti che erano già nella sua disponibilità, per cui, non sussistendo alcuna impossibilità alla loro produzione in primo grado, la mancanza della stessa è imputabile alla sua “negligenza” in relazione all’attività probatoria23 (a differenza di quanto osservato sub2.,1, in relazione alla necessarietà della nuova prova disposta dal giudice di secondo grado). Corollario di quanto sopra, occorre aggiungere – e a differenza di quanto osservato sub2.,3, con riguardo all’acquisizione della nuova prova in appello da parte del giudice ex art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 – il documento potrà essere liberamente prodotto in giudizio dalla parte rimasta contumace in primo grado24, come pure nel caso in cui la produzione era stata dichiarata in primo grado (correttamente) inammissibile in quanto tardiva25 (quindi senza il rispetto del termine – perentorio – fissato dall’art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992;
sulla perentorietà di detto termine v. infra);per quanto riguarda termini e modalità di siffatta produzione, precisa la sentenza che – in considerazione del rinvio operato dall’art. 61 D.Lgs. n. 546/1992, alle norme disciplinatrici del primo grado di giudizio – «tale attività processuale va esercitata … entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1».
Iniziando dalle formalità, il deposito, come noto, avviene oggi in via telematica (PTT); per quanto concerne invece il termine, l’art. 32 richiamato si limita a fissarlo “fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione”, senza nulla stabilire sulla perentorietà o meno dello stesso. La sentenza in commento, uniformandosi alla giurisprudenza maggioritaria, anche di legittimità, afferma i seguenti principi: a) tale termine deve «ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza»; b) il suo mancato rispetto è rilevabile anche d’ufficio dal giudice; c) e ciò anche nel caso «di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva».
In relazione in particolare all’affermata perentorietà – e agli effetti che ne derivano – nonostante il silenzio legislativo sul punto, si può richiamare la costante giurisprudenza della Suprema Corte, che afferma che tale termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, va considerato di natura perentoria (e quindi sanzionato con la decadenza), «per lo scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio): con la conseguenza che resta inibito al giudice di appello fondare la propria decisione sul documento tardivamente prodotto anche nel caso […] di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva, essendo la sanatoria a seguito di acquiescenza consentita con riferimento alla forma degli atti processuali e non anche relativamente all’osservanza dei termini perentori (art. 153 cod. proc.Civ.26)»27. Come correttamente osservato in dottrina28, l’unica eccezione al termine dei venti giorni di cui all’art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, è rappresentata dal caso in cui la scoperta del documento – la cui mancata conoscenza non sia imputabile, in questo caso, alla parte – sia successiva al suo scadere, potendosi in tal caso produrre il nuovo documento, come termine ultimo e qualora sia stata richiesta, anche in udienza. In siffatta ipotesi si renderà applicabile l’art. 34, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, a norma del quale «La commissione [oggi Corte di Giustizia] può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti». Questa soluzione è imposta da motivi di razionalità ed economia processuale, essendo il (prospettabile) rimedio “alternativo” alla scoperta di nuovi documenti la revocazione29ex art. 395, n. 3), c.p.c. (che ricollega la mancata produzione del nuovo documento – peraltro trovato “dopo la sentenza” – a causa di forza maggiore o fatto dell’avversario), mezzo certamente più “dispendioso” dal punto di vista dell’attività processuale. Per concludere, non può farsi a meno di rilevare la notevole differenza che sussiste tra la normativa processual-civilistica e quella tributaria in ordine all’ammissione di nuove prove in appello, risultando la prima molto più restrittiva; ciò nonostante, la differenza di disciplina è stata dichiarata legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 14 luglio 2017, n. 19930, ove – richiamando un suo consolidato orientamento – si è precisato che:
«non è fondata la censura di disparità di trattamento tra le parti del giudizio, sostenuta sulla base del presunto ‘sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore’», e ciò in considerazione del fatto che «tale facoltà è riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, cosicché non sussistono le ragioni del lamentato ‘sbilanciamento’»;
la stessa Corte «ha più volte chiarito che non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo (ex plurimis sentenze n. 165 e n. 18 del 2000, n. 82 del 1996; ordinanza n. 217 del 2000), e, più specificatamente, un principio di uniformità del processo tributario e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2002, n. 330 e n. 329 del 2000, n. 8 del 1999)», aggiungendo che, nella disciplina dei singoli istituti processuali, va riconosciuta un’ampia discrezionalità del legislatore nella loro conformazione, fermo restando, naturalmente, il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina stessa;
con riguardo alla presunta violazione dell’art. 24 Cost., la «Corte ha costantemente ritenuto che esso non impone l’assoluta uniformità dei modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale: ciò che conta è che non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (ex plurimis, sentenze n. 121 e n. 44 del 2016; ordinanza n. 386 del 2004)»; ed inoltre, non sussisterebbe la dedotta violazione dello stesso articolo per la perdita di un grado di giudizio, in quanto è «giurisprudenza pacifica di questa Corte che la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale (ex multis, sentenza n. 243 del 2014; ordinanze n. 42 del 2014, n. 190 del 2013, n. 410 del 2007 e n. 84 del 2003)»;
infine, non può essere considerata di per sé irragionevole «la previsione che un’attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello», atteso che «il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre laprevisione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile (ordinanza n. 401 del 2000)».
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1 Cfr. Pistolesi F., Sub art. 58, in Baglione T. – Menchini S. – Miccinesi M. (a cura di), Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, 674 ss. – e dottrina ivi citata – il quale afferma che «basta … considerare che quella documentale è la prova per eccellenza del contenzioso tributario, per rendersi conto come la limitazione allo svolgimento dell’istruttoria in secondo grado è molto meno incisiva di quanto si potrebbe in prima battuta ritenere»; Consolo C., Le impugnazioni in generale e l’appello nel nuovo processo tributario, in il fisco, 1994, 3382; Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in Uckmar V. – Tundo F. (a cura di), Codice del processo tributario, Piacenza, 2007, 879; Stevanato D., Fondamenti di diritto tributario, Milano, 2022, 446 e 460; Batistoni Ferrara F. – Bellè B., Diritto tributario processuale, Padova, 2020, 231;considera la prova documentale «la prova per eccellenza del contenzioso tributario», tra gli altri, anche Dalla Bontà S., Sub art. 58, in Consolo C. – Glendi C. (a cura di), Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012, 712, la quale evidenzia «la peculiare natura delle liti fiscali, suscettibili di essere risolte in molte circostanze proprio sulla base della sola produzione degli appositi documenti … contemplati dalle norme sostanziali che disciplinano le fattispecie impositive»; in proposito v. ancora Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 805; Pistolesi F., Il processo tributario, Torino, 2023, 133 s., e, per la dottrina più antica, Pugliese M., La prova nel processo tributario, Padova, 1935, 146 ss. Sulla natura documentale del processo tributario v. altresì Batocchi F., Le nuove prove in appello: limiti e termini, in Della Valle E. – Ficari V. – Marini G. (a cura di), Il processo tributario, Padova, 2008, 476 s.;Tesauro F., Manuale del processo tributario, Aggiornamento a cura di Turchi A., Torino, 2020, 164 s., il quale sottolinea come, in alcuni casi, le norme tributarie stabiliscano l’esclusività della prova documentale, citando come esempio l’art. 61, comma 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a norma del quale, salva l’eccezione prevista dallo stesso comma, ultima parte, «I contribuenti obbligati alla tenuta di scritture contabili non possono provare circostanze omesse nelle scritture stesse o in contrasto con le loro risultanze». Ciò porta l’Autore ad affermare – prima dell’introduzione, nel processo tributario, della testimonianza scritta – che «la prova testimoniale, se fosse ammessa, opererebbe» comunque «in ambito limitato».
2 Pistolesi F., Il processo tributario, cit., 269.
3 Cfr. Consolo C., Le impugnazioni in generale e l’appello nel nuovo processo tributario, cit., 3382; Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, 271 s.; Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 678 s.; Id., L’appello nel processo tributario, Torino, 2002, 347 s. e 365 s.
4 Cfr., per tutti, Colli Vignarelli A., I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Bari, 2002, 123, ove si legge che «detti poteri sono esercitabili ex officio (oltre che, naturalmente, a seguito di richiesta di parte): basti per tutte la considerazione che il legislatore ha intitolato l’art. 7, che li prevede, “Poteri delle Commissioni tributarie” [oggi “Poteri delle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado”], facendo intendere che si tratta di attribuzioni proprie del giudice tributario, a prescindere da una specifica istanza di parte in proposito».
5 In passato il confronto poteva essere effettuato anche con riferimento all’art. 345 c.p.c. (prima della modifica apportata a quest’ultimo dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), che disponeva: «Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio». Faceva riferimento anche a questa norma, al fine di differenziare la normativa processual-tributaria da quella civilistica, tra gli altri, Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 680.
6 Cfr. Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 680 s.; Id., L’appello nel processo tributario, cit., 270, 355 s. e 366; lo stesso Autore, peraltro, successivamente – cfr. Il processo tributario, cit., 269 s. – parla di prove «necessarie» da intendersi come le «uniche – poiché non surrogabili con altri esperimenti istruttori – idonee a dirimere le incertezze esistenti sui fatti decisivi per la soluzione della lite», facendo in definitiva coincidere, in linea di massima, il concetto di “necessarietà” con quello dell’“indispensabilità”. Nello stesso senso l’Autore definisce la “necessarietà” per l’ammissione della prova testimoniale scritta nel processo tributario, ex art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992: cfr. Pistolesi F., Il processo tributario, cit., 138; per quanto riguarda nello specifico l’ammissione di una “nuova” prova testimoniale in appello, l’Autore (op. cit., 270), ritiene che, per evitare che il secondo grado di giudizio possa essere utilizzato per porre rimedio a una negligenza istruttoria delle parti nel grado precedente, le due condizioni richieste “in via alternativa” dall’art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (necessità/indispensabilità ed esistenza di un motivo scusabile alla non produzione in precedenza) debbano ricorrere congiuntamente; Batocchi F., Le nuove prove in appello: limiti e termini, cit., 476, nota 104, ove si parla di disciplina processual-tributaria con «una valenza preclusiva più ridotta di quella processual-civilistica».
7 Così Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 272 s.; parlano di “indispensabilità” della prova ai fini della decisione, con riferimento all’art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, anche Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, cit., 801; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 710.
8 Cfr. Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 681 s.; Id., L’appello nel processo tributario, cit., 353 e 356 ss.
9 In tal senso v. anche Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 711.
10 Conformi Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, cit., 802 s.; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 711.
11 Così anche Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 709 s.; contra, sembrerebbe, Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 877.
12 Conforme Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 711.
13 Cfr. Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 682 s.; Id., L’appello nel processo tributario, cit., 359 s.
14 Sull’applicabilità in appello dell’art. 24 citato v. Marinelli M., Sub art. 61, in Consolo C. – Glendi C. (a cura di), Commentario breve alle leggi del processo tributario, cit., 731; Pistolesi F., Sub art. 61, in Baglione T. – Menchini S. – Miccinesi M. (a cura di), Il nuovo processo tributario. Commentario, cit., 709; Id., Sub art. 58, cit., 676 s., ove si specifica che la facoltà di integrazione dei motivi di cui alla norma citata va riconosciuta «esclusivamente in favore del contribuente», salva l’ipotesi delle «azioni di rimborso in caso di silenzio serbato sulla relativa istanza da parte degli uffici finanziari o dagli enti locali, dovendosi in tal frangente ammettere l’integrazione dei motivi da parte di questi ultimi a fronte dei nuovi documenti presentati in appello dal contribuente»; per la possibilità di integrazione dei motivi in appello, a seguito della produzione di nuovi documenti ad opera della controparte, v. anche Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 879.
16 Così Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 678; in proposito v. anche Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 272; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 711; Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 876 s.
17 In proposito occorre ricordare che la L. 9 agosto 2023, n. 111, contenente la «Delega al Governo per la riforma fiscale», ha stabilito all’art. 19 («Principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina e l’organizzazione del contenzioso tributario»), comma 1, lett. d), tra i principi e criteri direttivi, quello di «rafforzare il divieto di produrre nuovi documenti nei gradi processuali successivi al primo».
18 Cfr. Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, cit., 807 s.; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 711.
19 Così Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, cit., 808; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 713 s.
20 Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario alnuovo contenzioso tributario, cit., 812 s.; Dalla Bontà S., Sub art. 58, cit., 714.
21 Anche se non attinente in modo specifico all’oggetto del presente lavoro, è interessante ricordare che, secondo la Cassazione (Cass., sent. 16 marzo 2023, n. 7682), «il deposito di documento a fini probatori in procedimento contenzioso non costituisce ‘caso d’uso’ in relazione al D.P.R. n. 131/1986, art. 6»; in particolare, nel caso concreto, osserva la Corte, il deposito di una scrittura privata, «prodotta nella cancelleria del giudice civile in sede di procedimento contenzioso, certamente non può integrare … ‘caso d’uso’, presupponendo l’art. 6 TUR … che il deposito dell’atto debba avvenire presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative. Ciò, d’altronde, oltre che conforme al tenore letterale della norma richiamata, è in linea con la necessità di assicurare che la tutela del diritto di difesa, garantita dalla Cost., art. 24, possa dispiegarsi pienamente, senza che essa possa risultare ostacolata dall’imposizione fiscale derivante dall’applicazione dell’imposta di registro sul deposito dell’atto funzionale al conseguimento per l’interessato di fini giuridici ed operativi».
22 Nello stesso senso, oltre alle pronunce richiamate dalla sentenza in commento, v. anche Cass., ord. 27 ottobre 2015, n. 21909; Cass., ord. 6 novembre 2015, n. 22776, ove molto incisivamente si legge che «con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2) la parte ricorrente si duole – fondatamente – dell’affermazione del giudice del merito circa la ritenuta inammissibilità dei documenti prodotti in appello, siccome già prima disponibili. L’accoglimento del motivo riposa sulla piana lettera dell’art. 58, dianzi menzionato che (senza bisogno di riproporre qui il consolidato orientamento di legittimità a tal proposito) abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che – nel comma precedente – sottopone a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova»; Cass., sent. 22 gennaio 2016, n. 1175; Cass., ord. 4 dicembre 2018, n. 31287.
23 Sulla “libertà” della parte alla produzione di nuovi documenti in appello, in dottrina, tra gli altri, v. Pistolesi F., Sub art. 58, cit., 675; Tesauro F., Manuale del processo tributario, cit., 253; Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 878 s.
24 Cfr. Cass., sent. 8 aprile 2016, n. 6888; Cass., ord. 11 luglio 2017, n. 17120.
25 Sul punto v. Cass., sent. 26 gennaio 2018, n. 1963; in dottrina v. Tesauro F., Manuale del processo tributario, cit., 253; Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 878; Batistoni Ferrara F. – Bellè B., Diritto tributario processuale, cit., 231, nota 14.
26 L’art. 153 («Improrogabilità dei termini perentori») c.p.c., al comma 1, stabilisce che «i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti».
27 Cass., sent. 29 novembre 2013, n. 26741, Cass., sent. 24 febbraio 2015, n. 3661, e Cass., sent. 13 novembre 2018, n. 29087, nonché la giurisprudenza richiamata dalle sentenze citate; in dottrina v. Tundo F., Le nuove prove in appello. I rapporti tra l’art. 345 c.p.c. e l’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit., 877; Batocchi F., Le nuove prove in appello: limiti e termini, cit., 477 s.
28 Batocchi F., Le nuove prove in appello: limiti e termini, cit., 478.
29 Sulla revocazione nel processo tributario v. Colli Vignarelli A., La revocazione, in Uckmar V. – Tundo F. (a cura di), Codice del processo tributario, cit., 1057 ss.; Id., La revocazione delle sentenze tributarie, Bari, 2007; Id., La revocazione delle sentenze delle Commissioni tributarie, in Boll. trib., 2010, 12, 917 ss.; Id., Rilevanza e funzione della revocazione nel sistema delle impugnazioni, in Di Pietro A. – Fedele A. – Uricchio A.F. (a cura di), Sistema impositivo e ordinamento dei tributi, Bari, 2014, 767 ss.
30 Si legge nella sentenza, tra l’altro, e per quel che qui interessa, che «il giudice a quo rammenta che della norma impugnata [art. 58, D.Lgs. n. 546/1992] si è costantemente registrata una rigida interpretazione letterale, che avalla la legittimità della produzione di nuovi documenti in appello pur quando essi, come nella specie, già all’epoca del giudizio di primo grado siano in possesso della parte, la quale per mera inerzia non li ha prodotti», aggiungendo che lo stesso giudice «rileva come ciò comporterebbe il superamento della perenzione cristallizzatasi davanti alla Commissione tributaria provinciale per mancata produzione di tali documenti nel termine previsto dall’art. 32 del D.Lgs. n. 546 del 1992, la quale resterebbe, quindi, sempre sanabile davanti alla Commissione tributaria regionale (al massimo, subordinatamente al rispetto del termine dei venti giorni anteriori alla primaudienza in appello), peraltro operando, tale sanatoria, in modo del tutto incondizionato, senza cioè alcun limite legato ad un previo giudizio di eventuale indispensabilità dell’acquisizione”.
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