Ancora sul regime fiscale dei lavoratori sportivi impatriati: i dubbi ancora aperti nonostante i recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Di Alessandra Magliaro e Sandro Censi -

Abstract

La recente modifica del comma 5-quater dell’art. 16 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 sugli impatriati sportivi unita all’entrata in vigore delle disposizioni della c.d. Riforma dello sport avevano introdotto numerose problematiche applicative che la ris. n. 38/E/2023 ha cercato di risolvere. In verità restano delle perplessità che, probabilmente, imporranno un ulteriore intervento.

More on the tax regime of inpatriated sports workers: doubts still open despite the recent clarifications from the Revenue Agency. – The recent amendment of paragraph 5-quater of art. 16 Legislative Decree 14 September 2015, n. 147 on sporting immigrants combined with the entry into force of the provisions of the so-called Reform of sport had introduced numerous application problems that Resolution 38/2023 sought to resolve. Actually, some perplexities remain which, probably, will require further intervention

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le particolarità del regime degli impatriati in relazione al mondo dello sport. – 3. Gli effetti delle modifiche introdotte dalla Riforma dello sport sul regime degli impatriati. – 4. I dubbi risolti e le criticità residue nell’analisi della Risoluzione. – 5. Il particolare caso dei redditi provenienti dalla cessione del diritto di sfruttamento di immagine.

 

 

1. Nei giorni scorsi l’Agenzia delle Entrate ha emanato una Risoluzione (30 giugno 2023, n. 38/E) che affronta varie questioni relative all’applicazione del regime degli impatriati ai lavoratori sportivi.

Il documento di prassi è utile per chiarire alcuni aspetti applicativi per i quali avevamo già sollevato dubbi in un precedente scritto su questa Rivista (Magliaro A. – Censi S., La recente pandemia e le modifiche normative rendono incerta e problematica l’applicazione della normativa sugli impatriati al mondo dello sport, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, VIII, 759 ss.). Ed invero l’Agenzia specifica, ad esempio, come effettuare il calcolo dei giorni di presenza in Italia, come individuare il requisito anagrafico relativo all’età del beneficiario e cosa debba intendersi per reddito complessivo. In tale documento l’Agenzia individua anche in maniera espressa i soggetti destinatari (lavoratori sportivi) e la relativa definizione resta costante nel corpo della stessa, circostanza, questa, che, come si dirà meglio in seguito, suscita perplessità perché il particolare regime degli impatriati non è applicabile a tutti i lavoratori sportivi ma solo ai professionisti.

2. Ai fini della disamina della criticità che permangono nonostante i chiarimenti forniti con la Risoluzione in esame, riteniamo utile, innanzitutto, ricordare che i benefici del regime agevolativo per coloro che riportano la residenza in Italia hanno avuto origine con la L. n. 78/2010 (“Rientro dei cervelli”), sono proseguiti con la L. n. 238/2010 (“Controesodati”), si sono ampliati con l’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 (“Impatriati”) (per una esaustiva ricostruzione storica si rinvia a Leo M., Regime degli impatriati bis: i dubbi non mancano, in Corr. trib., 2021, 7, 624 ss.).

Tutte le norme citate prevedevano una riduzione della base imponibile al verificarsi di uno specifico presupposto che, in via di prima approssimazione, possiamo individuare nel trasferimento in Italia la residenza fiscale dopo aver soggiornato per almeno due anni all’estero. Posto che lo scopo del legislatore era ed è quello di attrarre nel territorio dello Stato i residenti all’estero. sia i requisiti oggettivi sia quelli soggettivi non sono mai stati particolarmente stringenti. Ed invero, caso più unico che raro, in materia di residenza fiscale, al rimpatriato non viene richiesta la precedente iscrizione AIRE al fine di provare la sua permanenza all’estero (sul punto sia consentito rinviare a Magliaro A. – Censi S., Ancora un ampliamento delle norme tributarie di favore per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VIII, 417 ss.). Inoltre, la platea dei destinatari si è via via ampliata: nella versione originaria della norma il beneficio era rivolto infatti solo ai c.d. cervelli, cioè a coloro che avevano alte qualificazioni professionali; in quelle successive, sono stati invece ricompresi tutti coloro che rientravano in Italia per svolgere una attività produttiva di reddito di lavoro dipendente, autonomo o di impresa. Le uniche limitazioni sono state quelle che vedevano quali soggetti beneficiari gli sportivi: dapprima con una riduzione del beneficio (limitazione al 50%, e non al 70% o 90%, della base imponibile con L. n. 58/2019) e, in seguito, con una limitazione/esclusione di particolari categorie di sportivi (D.L. n. 21/2022).

Quest’ultima modifica – c.d. emendamento Nannicini – ha introdotto, all’interno della normativa sugli impatriati, un vero e proprio regime particolare esclusivamente rivolto agli sportivi.

In primo luogo nel comma 5-quater dell’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 è stabilito che: «Ai rapporti di lavoro sportivo regolati dalla legge 23 marzo 1981, n. 91, e dal decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, non si applicano le disposizioni del presente articolo». Successivamente, al medesimo comma, viene stabilito che: «Ferme restando le condizioni di cui al presente articolo, le disposizioni dello stesso si applicano esclusivamente nel caso in cui i redditi derivanti dai predetti rapporti di lavoro sportivo siano prodotti in discipline riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) nelle quali le Federazioni sportive nazionali di riferimento e le singole Leghe professionistiche abbiano conseguito la qualificazione professionistica».

Prima di entrare nel dettaglio, occorre sottolineare che attualmente la possibilità di godere dei benefici per gli impatriati non è, dunque, prevista per tutti gli sportivi, ma solo per gli sportivi c.d. professionisti, ovvero per coloro che esercitano la loro attività in discipline riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) nelle quali le Federazioni sportive nazionali di riferimento e le singole Leghe professionistiche abbiano conseguito la qualificazione professionistica. Onde le norme agevolative devono essere lette in combinato disposto con il D.Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, che dal 1° luglio 2023 disciplina il lavoro sportivo.

 

3. In ragione di ciò, è opportuno ripercorrere brevemente le modifiche sostanziali intervenute a seguito dell’entrata in vigore dell’appena citato D.Lgs. n. 36/2021 nell’ambito della c.d. Riforma dello sport.

Nell’ordinamento vigente fino allo scorso 30 giugno il legislatore individuava e disciplinava solo la categoria degli sportivi professionisti come sopra individuati. Tra di essi rientravano solo gli sportivi tesserati, in alcune categorie, per quattro Federazioni (calcio, basket, ciclismo, golf) i quali, per espressa previsione legislativa, salvo particolarissimi casi nei quali venivano inquadrati quali lavoratori autonomi, erano lavoratori dipendenti e producevano, pertanto, il relativo reddito ed erano assoggettati a contribuzione. Tutti gli altri, per esclusione, venivano genericamente definiti dilettanti ma non avevano un preciso inquadramento giuslavoristico e, da un punto di vista tributario, il loro reddito veniva individuato e determinato con le modalità prescritte dagli artt. 67 e ss. TUIR anche se con qualche riserva da parte di dottrina e giurisprudenza posto che si trattava di un regime decisamente di favore dal punto di vista tributario ed esente da obblighi contributivi (per le ipotesi in cui la giurisprudenza rinveniva una diversa collocazione basata sul fatto che l’attività sportiva possedeva i caratteri della professionalità e dell’abitualità ci sia consentito rinviare a Magliaro A. – Censi S., L’attività professionale e abituale degli istruttori sportivi genera redditi di lavoro soggetti a contributi previdenziali, in il fisco, 2021, 43, 4189 ss.).

Con la citata Riforma dello sport abbiamo, oggi, una nuova distinzione tra “lavoratori sportivi” e “volontari”. Va subito detto che ciò che distingue le due categorie è la presenza o meno del carattere di onerosità per l’attività svolta. Ed invero, secondo l’art. 25 D.Lgs. n. 36/2021 «E’ lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo.». Al contrario, gli sportivi volontari, secondo l’art. 29 del medesimo decreto sono coloro che «mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali». Per quanto riguarda tali soggetti viene altresì specificato nello stesso articolo che «Le prestazioni sportive dei volontari di cui al comma 1 non sono retribuite in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Per tali prestazioni sportive possono essere rimborsate esclusivamente le spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza del percipiente. Tali rimborsi non concorrono a formare il reddito del percipiente.».

Il medesimo decreto di riforma distingue poi i lavoratori sportivi tra coloro che svolgono il rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici e coloro che lo svolgono nell’area del dilettantismo. Per i primi l’art. 27 stabilisce che «[…] il lavoro sportivo prestato dagli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato» mentre il successivo art. 28 stabilisce che il lavoro sportivo, esercitato nell’area del dilettantismo, si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo al verificarsi di determinate condizioni.

Come detto la normativa in commento sugli impatriati dapprima esclude, tout court, i rapporti di lavoro sportivo per poi ammettere, in presenza di ben determinati requisiti, l’applicazione della normativa ai soli redditi derivanti dai rapporti di lavoro sportivo nei settori professionistici. In sostanza,la norma permette di usufruire delle agevolazioni previste per gli impatriati solo a quei lavoratori sportivi che esercitano l’attività nell’ambito di discipline riconosciute dal CONI e nelle quattro Federazioni sopra citate che hanno conseguito la qualificazione professionistica.

Per quanto dunque riguarda le agevolazioni previste dalla normativa sugli impatriati la prima versione della stessa non limitava in alcun modo gli sportivi dalla possibilità di usufruirne. Successivamente, solo per gli sportivi professionisti dell’allora L. n. 91/1981, la riduzione della base imponibile veniva limitata al 50% con un versamento di un contributo pari allo 0,5% della loro base imponibile. Va precisato che per quanto riguardava gli sportivi c.d. dilettanti si poteva applicare pienamente la normativa agevolativa relativa agli impatriati e, quindi, i loro redditi – se da lavoro dipendente o autonomo – concorrevano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare (10% nel caso di trasferimento nel Sud o sulle isole).

Con l’attuale formulazione dell’art. 16 L. n. 147/2015 si è assistito ad un ribaltamento della situazione che ha concesso l’utilizzo della norma di favore ai soli (lavoratori) sportivi professionisti al verificarsi di determinate condizioni.

4. Proprio le condizioni poste dal c.d. decreto Ucraina-bis (art. 12-quater D.L. n. 21/2022) avevano sollevato dei dubbi interpretativi che già avevamo accennato nel nostro precedente contributo sul tema; su alcuni di questi dubbi interviene il contenuto della ris. n. 38/E/2023 in parte risolvendoli.

Innanzitutto va ricordato che le modifiche citate avevano stabilito che le agevolazioni per gli impatriati si applicano:

  • «[…]esclusivamente nel caso in cui i redditi derivanti dai predetti rapporti di lavoro sportivo siano prodotti in discipline riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) nelle quali le Federazioni sportive nazionali di riferimento e le singole Leghe professionistiche abbiano conseguito la qualificazione professionistica entro l’anno 1990, il contribuente abbia compiuto il ventesimo anno di età e il reddito complessivo dello stesso sia superiore ad euro 1.000.000,
  • nonché nel caso in cui detti redditi siano prodotti in discipline riconosciute dal CONI nelle quali le Federazioni sportive nazionali di riferimento e le singole Leghe professionistiche abbiano conseguito la qualificazione professionistica dopo l’anno 1990, il contribuente abbia compiuto il ventesimo anno di età e il reddito complessivo dello stesso sia superiore ad euro 500.000.».

In tali circostanze i redditi di cui al comma 1 concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare. Inoltre, a tali rapporti non si applicano, in ogni caso, le ulteriori riduzioni previste dalla normativa relativamente all’acquisto di residenza nel Sud del Paese e ai carichi familiari.

Una prima distinzione viene pertanto effettuata nell’ultima disposizione legislativa tra le Federazioni che abbiano conseguito la qualificazione professionistica antecedentemente o successivamente all’anno 1990. Stupisce che la Risoluzione affermi che tutte e quattro le Federazioni che tutt’ora mantengono tale qualifica l’abbiano conseguita prima del 1990. In realtà, mentre la FIGC (calcio maschile), la FIG (golf) e la FCI (ciclismo) hanno ottenuto la qualifica nel 1988 la FIP (pallacanestro) l’ha ottenuta solamente nel 1994. Attualmente, dunque, le Federazioni che hanno visto il riconoscimento al proprio interno del settore professionistico dopo l’anno 1990 solo oltre alla FIP anche il calcio femminile.

Una ulteriore distinzione viene effettuata, all’interno della normativa, tra gli sportivi relativamente alla loro età anagrafica e cioè al compimento o meno del ventesimo anno di età. Su tal punto la Risoluzione chiarisce che «il requisito anagrafico (aver compiuto “il ventesimo anno di età”), risulta soddisfatto per l’intero periodo di imposta in cui il lavoratore sportivo che ha trasferito la residenza in Italia compie 20 anni, indipendentemente dal mese o dal giorno, in considerazione del principio di unitarietà del periodo d’imposta (cfr. circolare 4 aprile 2008 n. 34, risposta 14.1). Pertanto, può accedere al regime speciale anche il lavoratore sportivo che abbia trasferito la residenza in Italia e compiuto il ventesimo anno di età il 31 dicembre del medesimo anno».

Il nodo gordiano più difficile da sciogliere, tuttavia, era sicuramente quello relativo al requisito reddituale posto che la norma dispone, dapprima, che sono agevolabili i redditi derivanti dai rapporti di lavoro sportivo e, successivamente, al momento di inserire il limite quantitativo di 500.000 euro e 1.000.000 euro oltrepassando il quale si avrebbe diritto al regime agevolato, il riferimento è al reddito complessivo.

Tale ultima definizione, indubbiamente significativa nel diritto tributario, a nostro avviso doveva essere interpretata ai sensi dell’art. 3 TUIR secondo il quale il reddito complessivo è quello formato «da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10».

L’Agenzia, al contrario, nella Risoluzione in esame identifica il reddito di riferimento come «l’ammontare del compenso spettante al lavoratore sportivo in base al contratto di lavoro sottoscritto con la società sportiva, vale a dire l’importo complessivo dell’ingaggio pattuito».

Una siffatta interpretazione, però, non tiene conto della particolare fattispecie contrattuale vigente nel mondo dello sport ove, spesso, l’ammontare del compenso pattuito contiene una parte legata ai risultati sportivi. In questo caso è difficile, anzi impossibile, determinare ex ante l’ammontare del reddito che verrà corrisposto allo sportivo. Vi è poi l’ulteriore caratteristica, già segnalata nel nostro precedente scritto, della “mobilità” dei lavoratori sportivi da un Club/datore di lavoro ad un altro con conseguente variazione in aumento ma anche in diminuzione del loro reddito (critici sulla possibilità di determinare ex ante il reddito del lavoratore sportivo sono anche Trettel S., Primi sprazzi di luce sul “regime impatriati” nel calcio professionistico, in il fisco 2023, 29, 2772 ss.; Verna S., Decisivo il compenso contrattuale complessivo, Italia Oggi, 4 luglio 2023)

Vi è poi una ulteriore problematica che deriva dall’applicazione della normativa degli impatriati alle nuove figure di lavoratori sportivi come individuati dalla Riforma dello sport.

Ed invero, come abbiamo già anticipato, la Riforma “presume” che il lavoratore sportivo “professionista” sia un lavoratore dipendente ma ammette la possibilità che, in presenza di determinati requisiti, la prestazione possa qualificarsi anche di lavoro autonomo. Ed invero lo stesso art. 53 TUIR relativo ai redditi di lavoro autonomo specifica che «Sono inoltre redditi di lavoro autonomo: a) i redditi derivanti dalle prestazioni sportive, oggetto di contratto diverso da quello di lavoro subordinato o da quello di collaborazione coordinata e continuativa, ai sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 […]».

Al verificarsi di questa fattispecie occorre ricordare che dovrà anche trovare applicazione la limitazione prevista dall’art. 2, par. 2, del Regolamento CEE n. 1998/2006 che stabilisce il cosiddetto regime de minimis. Si tratta di una deroga al divieto di aiuti di Stato, previsto agli artt. 107 e 108 TFUE, deroga introdotta per regolare le agevolazioni fiscali e i finanziamenti statali di piccola entità evitando che, in tali casi, si possa far ricorso alla procedura di infrazione. Posto che l’agevolazione in commento deve ritenersi facente parte della categoria degli aiuti di Stato (circ. n. 14/2012 relativa ai c.d. controesodati L. n. 238/2010) troverà applicazione l’art. 2 del Regolamento CEE citato il quale il stabilisce che «l’importo complessivo degli aiuti de minimis concessi ad una medesima impresa non deve superare i 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari». La nozione di impresa rilevante è quella più ampia alla Raccomandazione della Commissione UE del 2003 ossia ogni entità, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita che eserciti un’attività economica. I limiti de minimis si applicano quindi alle attività produttive di reddito di lavoro autonomo e di reddito di impresa. Ciò che conta è l’attività economica e non altri elementi formali, suscettibili di variare in ciascun Stato membro. Pertanto l’agevolazione fruibile dall’impatriato che svolga l’attività di lavoratore sportivo sotto forma di lavoro autonomo non potrà superare le soglie sopra dette.

5. Da ultimo occorre sottolineare che la Risoluzione si occupa anche degli eventuali redditi derivanti dalla cessione del diritto di sfruttamento di immagine pur se, erroneamente, la qualifica semplicemente come cessione del diritto di immagine che, al contrario, essendo un diritto personalissimo, non può essere ceduto.

L’Agenzia precisa che tali redditi possano rientrare tra i redditi «agevolabili […] a condizione che siano corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro sportivo con il medesimo datore di lavoro». In verità il riferimento appare coerente se l’attività di lavoro sportivo è svolta nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente. In tal caso, stante il principio di omnicomprensività previsto dall’art. 51 TUIR anche le somme percepite dal dipendente per la cessione del diritto di sfruttamento dell’immagine rientreranno tra i redditi da lavoro dipendente che racchiude tutte le somme e i valori n genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Se, al contrario, l’attività di lavoratore sportivo venisse svolta, come possibile attualmente secondo il disposto dell’art. 25 del decreto di Riforma dello sport, come lavoro autonomo, il reddito percepito per la cessione del diritto di sfruttamento dell’immagine non avrebbe la qualificazione sopra descritta. In quest’ultimo caso, infatti, tale reddito ai sensi dell’art. 54, comma 1-quater, dovrà essere considerato quale reddito di lavoro autonomo e, dunque, continuerebbe a godere dell’agevolazione per gli impatriati.

Diversamente, nel caso in cui il reddito per la cessione sopraddetta venisse percepito nell’ambito di un rapporto non riconducibile né a quello di lavoro dipendente né a quello di lavoro autonomo, l’eventuale importo sarà assoggettato a tassazione come reddito diverso e quindi per espressa previsione legislativa non potrà godere del regime degli impatriati.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ferranti G., Il nuovo regime dei lavoratori sportivi “impatriati”, in il fisco, 2022, 27, 2607 ss.

Leo M., Regime degli impatriati bis: i dubbi non mancano, in Corr. trib., 2021, 7, 624 ss.

Magliaro A. – Censi S., Ancora un ampliamento delle norme tributarie di favore per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VIII, 417 ss.

Magliaro A. – Censi S., Dall’immagine alla notorietà: la tassazione delle nuove forme di ricchezza nell’epoca dei social, in il fisco, 2021, 20, 1921 ss.

Magliaro A. – Censi S., L’attività professionale e abituale degli istruttori sportivi genera redditi di lavoro soggetti a contributi previdenziali, in il fisco, 2021, 43, 4189 ss.

Magliaro A. – Censi S., La recente pandemia e le modifiche normative rendono incerta e problematica l’applicazione della normativa sugli impatriati al mondo dello sport, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2022, 2, VIII, 759 ss.

Trettel S., Sportivi professionisti e regime degli impatriati, in il fisco, 2020, 4, 363 ss.

Trettel S., Primi sprazzi di luce sul “regime impatriati” nel calcio professionistico, in il fisco, 2023, 29, 2772 ss.

Verna S., Decisivo il compenso contrattuale complessivo, Italia Oggi, 4 luglio 2023

 

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