L’omessa riassunzione del processo e l’opponibilità del giudicato favorevole ottenuto dal condebitore solidale

Di Clelia Caroli -

Abstract

Il presente contributo analizza l’ordinanza n. 36713 del 15 dicembre 2022 della Corte di Cassazione che ribadisce la possibilità di estensione del giudicato favorevole al condebitore solidale rimasto inerte ex art. 1306 c.c. Nel caso deciso dalla Corte l’inerzia è derivata dall’omessa riassunzione del processo in seguito a cassazione con rinvio, la quale non si è rivelata un fatto ostativo per l’applicazione della disciplina codicistica.

The omission of resumption of trial and the enforceability of the favorable judgment obtained by the co-obligor. – This paper analyzes the Supreme Court of Cassation’s order n. 36713 of Dec. 15, 2022, which reiterates the possibility of the extension of the favorable judgment to the co-debtor who remained inactive ex. art. 1306 Civil Code.

In the case decided by the Court the inaction results from the omission of resumption after cassation on remand, and this hasn’t been an impediment to the application of Civil Code’s rules.

 

Sommario: 1. L’enunciazione del principio. – 2. La ricostruzione della vicenda processuale. – 3. La decisione della Corte di Cassazione. – 4. L’omessa riassunzione: l’art. 63 D.Lgs. n. 546/1992 e l’art. 393 c.p.c. – 5. I limiti soggettivi del giudicato e l’estensione del giudicato favorevole al condebitore solidale ex art. 1306 c.c. – 6. Considerazioni conclusive.

1. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 15 dicembre 2022 n. 36713, si è pronunciata in tema di limiti soggettivi del giudicato in caso di più coobbligati solidali. In particolare, la Corte ha ribadito il principio, già espresso in giurisprudenza (si vedano per esempio Cass., sez. V, ord., 26 ottobre 2021, n. 30043, e Id., sez. V, ord., 5 luglio 2022, n. 21305), per cui ove ci sia la presenza di più condebitori solidali e solo uno di questi impugni l’avviso di accertamento, la pronuncia favorevole, con cui viene annullato l’atto impositivo impugnato, esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori a cui lo stesso sia stato notificato, in virtù del fatto che il processo tributario è di natura costitutiva ed è volto all’annullamento di atti autoritativi.

Nel caso in esame, l’enunciazione di questo principio è legata alla mancata riassunzione del processo in seguito alla cassazione con rinvio da parte della Corte. In particolare, la mancata riassunzione ha comportato il venir meno dell’intero processo e il consolidarsi dell’atto impositivo, senza la formazione di un giudicato sfavorevole per la parte, che in questo modo si è avvalsa della pronuncia favorevole ottenuta dalla coobbligata in via solidale.

La Corte ha stabilito che l’omessa riassunzione costituisce un comportamento neutro e non abusivo, per cui la parte che avrebbe dovuto riassumere si trova nella condizione in cui si sarebbe trovata se non avesse mai impugnato l’atto impositivo.

 

2. La vicenda in esame prende il via da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate alla società Pfizer Italia e a due coobbligati in via solidale.

Il ricorso proposto dai tre destinatari dell’accertamento fu accolto dalla CTP di Milano con sentenza confermata in appello. La CTR della Lombardia dichiarò infatti la nullità dell’avviso nei confronti dei due condebitori, privi di legittimazione passiva, e della stessa Pfizer Italia, per violazione dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali previste dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propose ricorso in Cassazione, censurando la sentenza della CTR sia nella parte in cui aveva affermato la nullità dell’atto notificato alla Curia Generalizia e al legale rappresentante, sia nella parte in cui aveva annullato lo stesso atto indirizzato alla Pfizer Italia.

La Corte accolse il primo motivo di ricorso e cassò la sentenza, nei confronti della Curia e del legale rappresentante, rinviando la causa ad un’altra sezione della CTR della Lombardia, mentre respinse il motivo relativo alla società Pfizer Italia, nei confronti della quale la sentenza di annullamento della CTR divenne definitiva.

La causa non venne riassunta dalle parti con conseguente estinzione del giudizio.

In seguito, l’Agenzia iscrisse a ruolo le somme oggetto dell’originario avviso di liquidazione notificando la cartella alla Curia generalizia che propose ricorso chiedendone l’annullamento in base l’art. 1306, comma 2, c.c. richiamando il giudicato favorevole formatosi nei confronti di Pfizer Italia. Il ricorso fu accolto in primo grado con sentenza confermata in appello. L’Ufficio propose quindi ricorso in Cassazione denunciando la violazione da parte della CTR dell’art. 1306, comma 2, c.c., dell’art. 63 D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 393 c.p.c. per aver ritenuto applicabile tale disciplina alla fattispecie della mancata riassunzione.

 

3. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia e confermato la sentenza d’appello.

Secondo i giudici di legittimità non è condivisibile la tesi sostenuta dall’Ufficio per cui la mancata riassunzione del processo, con la conseguente estinzione di esso, comporti un effetto di irretrattabilità degli atti impositivi. Infatti, la mancata riassunzione ha come conseguenza il venir meno dell’intero processo tra le parti, senza la formazione di nessun giudicato sfavorevole per il contribuente (Cass., sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2955), e il consolidamento dell’atto impositivo, senza escludere la possibilità di avvalersi di un giudicato favorevole formatosi nei confronti della coobbligata.

In base all’art. 1306 c.c., l’estinzione del processo ha permesso alla Curia di trovarsi nella situazione in cui si sarebbe trovata se non avesse mai impugnato l’avviso, potendo così usufruire del giudicato favorevole della coobbligata Pfizer. La disposizione del codice prevede espressamente che la pronunzia favorevole verso un condebitore esplichi i propri effetti anche verso gli altri rimasti inerti, tranne nel caso in cui la pronuncia sia fondata su ragioni personali del condebitore che non possono essere fatte valere dagli altri debitori solidali.

A conferma di tale posizione la Corte fa riferimento anche ad un’altra disposizione del processo tributario: l’art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, che stabilisce che se la riassunzione del processo, dopo la cassazione con rinvio, non avviene nel termine perentorio di sei mesi, l’intero processo si estingue. La locuzione “intero processo” è molto significativa perché comporta che tutte le fasi del processo vengano meno, senza che ci sia alcun giudicato favorevole o sfavorevole per il contribuente e che l’avviso di accertamento diventi definitivo come se non fosse mai stato impugnato. Nel caso in esame, quindi, la mancata riassunzione ha riportato la Curia e il legale rappresentate allo scenario iniziale, al momento della ricezione dell’avviso di accertamento, con però un’importante differenza: la formazione del giudicato favorevole nei confronti della coobbligata Pfizer sul medesimo atto presupposto che può quindi essere opposto all’Ufficio.

Infine, la mancata riassunzione, secondo l’Agenzia, doveva essere qualificata come un abuso del processo, perché la Curia, non riassumendo, aveva distorto il normale decorso degli eventi processuali con il fine di poter opporre il giudicato favorevole della condebitrice. Secondo la ricorrente la controparte aveva agito violando i principi di buona fede e di correttezza per arrivare a un risultato vantaggioso. La Corte ha rigettato questa tesi osservando che la riassunzione costituisce un comportamento neutro, non qualificabile come abusivo e non censurabile. Infatti, l’abuso del processo si realizza con una condotta che vìola i principi di correttezza, buona fede, lealtà e giusto processo attraverso lo sfruttamento degli strumenti processuali per perseguire finalità diverse, eccedenti o deviate rispetto a quelle per cui l’ordinamento li ha predisposti (in giurisprudenza, ex multis, Cass., sez. VI, ord., 11 ottobre 2018, n. 25210; Id., sez. V, ord., 1° giugno 2021, n. 15209; Id., sez. II, ord., 13 aprile 2022, n. 12053).

La mancata riassunzione è semplicemente un’omissione, un’astensione dall’azione processuale che ha come conseguenza l’estinzione del giudizio, essendo secondario che possa avere come conseguenza una situazione più favorevole per la controparte.

4. L’art. 63 D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce che la Corte di Cassazione, mediante il rinvio del giudizio al giudice di merito, eserciti esclusivamente la fase rescindente dell’impugnazione, lasciando invece la fase rescissoria al giudice del rinvio, che in diversa composizione deve riesaminare il caso e giungere a una soluzione del caso concreto basandosi sugli elementi di legittimità che sono stati valutati dalla Cassazione. Il giudizio di rinvio dev’essere introdotto con un atto di riassunzione entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza: se questo non avviene, come già ribadito, l’intero processo si estingue, rendendo definitivo l’atto impugnato. Questo principio è condiviso sia in dottrina che in giurisprudenza (ex multis Cass., sez. V, 17 novembre 2017, n. 27306; Id., sez. V, 13 dicembre 2018, n. 32276, Id. Cass., sez. V, ord. 29 gennaio 2020, n. 1979). Ne deriva che il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la riassunzione (Cass., sez. V, 16 settembre 2021, n. 25014.), e che l’estinzione in seguito alla mancata riassunzione non travolge i capi della sentenza passati in giudicato prima del rinvio ed estranei al giudizio di legittimità. Con riferimento al caso in esame, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo relativo esclusivamente alla posizione della Curia generalizia e del legale rappresentante, mentre ha respinto il ricorso nei confronti di Pfizer, confermando la sentenza di appello che, divenuta definitiva, non è stata travolta dall’estinzione del processo per omessa riassunzione (si vedano in termini, fra le altre, Cass., sez. III, 7 febbraio 2012, n. 1680, e Id., sez. V, 10 marzo 2017, n. 6220).

In questo contesto normativo è quindi chiaro che solitamente il soggetto interessato alla riassunzione è il contribuente (Tinelli G., Diritto processuale tributario, III ed., Padova, 2021, 340), portatore dell’interesse sostanziale oppositivo alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria (Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela, IIIª ed., Torino, 2018, 218). Infatti, sia nel caso in cui il giudizio di legittimità sia stato promosso dal contribuente sia nel caso in cui sia stato promosso dall’Amministrazione finanziaria, è sempre il contribuente interessato ad attivarsi per evitare la definitività dell’atto.

La peculiarità del caso in esame è data dal fatto che, contrariamente a quanto avviene di solito, il contribuente ha avuto interesse a non riassumere invece che a coltivare il giudizio in appello: l’Agenzia, di fronte alla condotta omissiva della controparte, avrebbe dovuto riassumere per evitare l’estensione del giudicato favorevole della condebitrice. Infatti, il contribuente ha avuto la possibilità di non riassumere ma di avvalersi dell’estensione del giudicato, soluzione più conveniente che non vìola nessun principio di correttezza e buona fede processuale. Si riconosce quindi che, in seguito alla mancata riassunzione, ci sia il consolidamento dell’atto impositivo, ma questo non esclude che il debitore non possa far valere un fatto che gli consente di definire diversamente la lite (il giudicato favorevole del condebitore solidale) e utilizzarlo come motivo di impugnazione.

5. L’efficacia del giudicato discende dall’identificazione del destinatario dell’atto impugnato. La norma di principio generale, astrattamente applicabile, prevede che i giudizi dovrebbero essere ripartiti per i singoli destinatari dell’atto (Basilavecchia M., op. cit., 459). Ma questo non sempre è realizzabile perché, spesso, nel processo tributario le fattispecie sono così interconnesse tra loro da non poter essere trattate separatamente, con il rischio di giudicati difformi, che si può evitare utilizzando gli istituti del litisconsorzio necessario e della riunione dei ricorsi. E sono anche state suffragate le teorie volte ad estendere ai terzi estranei, non parti del processo, gli effetti del giudicato favorevole.

Nell’attuale sistema processuale tributario italiano il giudicato non può essere opposto a chi non ha partecipato al processo, ad eccezione di alcuni casi previsti dalla legge e in ogni caso senza mai andare a pregiudicare la posizione del terzo (Tesauro F., Manuale del processo tributario, VI ed., Torino, 2023, 222 ss.). Tra le norme d’eccezione, che estendono il giudicato favorevole a chi non è parte del processo, vi è l’art. 1306 c.c. che disciplina la fattispecie del giudicato in caso di solidarietà tra debitori. Tale norma prevede che le sentenze pronunciate fra il creditore e uno dei debitori in solido possono essere invocate a proprio vantaggio dagli altri condebitori rimasti inerti. Questa possibilità risulta percorribile quando uno dei condebitori si è attivato impugnando l’avviso di accertamento, e ha ottenuto una sentenza favorevole, mentre altri sono rimasti inerti e non hanno ottenuto una pronuncia passata in giudicato (Pistolesi F., Il processo tributario, Torino, 2021, 207 ss.).

Questa possibilità prevista dalla disciplina civilistica è stata estesa anche alle fattispecie tributarie (Cass., sez. V, 5 maggio 2019, n. 18154. In tema di applicazione dell’art. 1306 c.c. al tema della solidarietà tributaria molto importante resta la pronuncia delle Sezioni Unite 22 giugno 1991, n. 7053 che ha riconosciuto l’applicabilità della disposizione in materia tributaria), grazie a un costante e consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte di Cassazione ha riconosciuto che il condebitore solidale rimasto inerte possa far valere il giudicato favorevole impugnando l’atto di liquidazione o riscossione della pretesa, che è stata annullata dal ricorso di un altro condebitore (Cass., sez. V, 16 febbraio 2021, n. 4008; Id., sez. V, 10 marzo 2021, n. 6617). In particolare, l’orientamento più recente ha specificato che l’estensione del giudicato favorevole e il conseguente annullamento dell’atto incidono sul carattere impugnatorio del processo tributario andando ad influire su tutte le posizioni soggettive dell’atto stesso (Cass., sez. V, 9 febbraio 2018, n. 3204; Id., sez. V, 31 maggio 2018 n. 13930; Id., sez. V, 5 dicembre 2019, n. 31807). La Corte quindi da diversi anni ha abbandonato orientamenti più favorevoli al Fisco secondo cui la definitività dell’accertamento avrebbe precluso ogni facoltà di giovarsi del giudicato favorevole comportandone l’irretrattabilità (questo orientamento, oggi abbandonato, fu sostenuto per esempio da Cass., sez. I, 11 aprile 1989, n. 1725).

 

6. L’elemento interessante dell’ordinanza in commento è l’interpretazione data al termine “inerte”. Infatti, non vi sono dubbi che la disciplina prevista dall’art. 1306, comma 2, c.c. sia applicabile quando il debitore non impugni l’avviso di accertamento, facendolo diventare definitivo, mentre nella fattispecie in esame il contribuente si era attivato e aveva coltivato l’azione per tre gradi di giudizio, arrivando fino alla Cassazione con rinvio e – di fronte al giudicato favorevole ottenuto dal proprio condebitore solidale – evitando poi il rischio della formazione di un giudicato diretto contrario attraverso la mancata riassunzione.

La Corte ha permesso al contribuente di sfruttare la disciplina dell’art. 1306 c.c., parificando l’inerzia dovuta all’omessa riassunzione all’inerzia consistente nell’omessa impugnazione dell’atto. Questo va a significare che, in linea con il filone giurisprudenziale più recente, la regola dell’opponibilità del giudicato favorevole al creditore può essere sfruttata anche da condebitori che inizialmente si sono attivati presentando ricorso ma non hanno ricevuto una pronuncia passata in giudicato, per estinzione del giudizio oppure perché il processo è ancora in corso. Questo permette di andare a coinvolgere tutte le posizioni soggettive legate all’atto stesso ad eccezione dei casi in cui vi sia la formazione di un giudicato diretto o in cui la decisione favorevole sia basata su ragioni personali del debitore, non estensibili agli altri condebitori.

L’elemento della mancata riassunzione – che secondo la tesi dell’Agenzia, non condivisa dalla Suprema Corte, avrebbe comportato l’irretrattabilità degli atti – rimane neutro rispetto alla possibilità di estensione del giudicato, non realizzando un’ipotesi di abuso processuale, compiuto in violazione del principio di correttezza e buona fede, perché anche l’Amministrazione finanziaria può avere interesse a riassumere e portare avanti il giudizio.

La Corte, nel rigettare il motivo proposto, ha osservato che, se la condotta omissiva del contribuente fosse qualificabile come abusiva, andrebbe considerata allo stesso modo anche la condotta dell’Ufficio, che ha lasciato decorrere inutilmente i termini per la riassunzione. Questa affermazione sottolinea come tale omissione non sia in alcun modo un abuso, perché resta una facoltà delle parti, nella valutazione dei propri interessi, riassumere il processo o lasciare scadere i termini. Non è quindi configurabile una fattispecie abusiva quando vi sia inerzia processuale che comporta la definitività dell’atto, lasciando cadere l’intera vicenda processuale, indipendentemente dal fatto che ci siano altri fattori esterni, come il giudicato favorevole ottenuto da un condebitore solidale, che vadano ad influenzare la sorte dell’atto impugnato.

In questo senso quindi le disposizioni processuali sulla riassunzione, che astrattamente ed abitualmente sono favorevoli all’Agenzia, si sono rivelate per la stessa un’arma a doppio taglio: l’estinzione dell’intero processo ha avvantaggiato il contribuente che è riuscito a sfruttare il giudicato favorevole ottenuto dal proprio condebitore. Nel ribadire un principio già consolidato, la Corte ha riletto la norma in una nuova prospettiva, che permette al contribuente di utilizzare l’omessa formazione del giudicato come strategia per ottenere un risultato conveniente, costringendo l’Ufficio a porre maggiore attenzione alle vicende processuali, senza dare per scontato che la definitività dell’avviso comporti automaticamente l’irretrattabilità della pretesa.

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