Note sull’imposta di soggiorno, nel quadro dei tributi ambientali, tra presupposto impositivo astrattamente economico e novellata responsabilità del gestore della struttura ricettiva
Di Daniela Mendola
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Abstract
Nella considerazione che la capacità contributiva debba rappresentare un “equo riparto dei carichi tributari”, è possibile catalogare tra gli indici di capacità contributiva anche i presupposti che, pur nascendo fuori dal mercato, siano socialmente rilevanti e colpiscano chi utilizza il bene-ambiente procurandovi un pregiudizio. Da tale premessa, consegue che il maggior sfruttamento del bene pubblico ambiente può essere considerato presupposto per una maggior partecipazione contributiva alle pubbliche spese. In tale ottica, l’art. 53 Cost. è da interpretarsi in senso “ampio” vale a dire senza richiedere esplicitamente che i presupposti di tassazione siano provvisti necessariamente di attributi patrimoniali suscettibili di scambio sul mercato. Esempio tipico è l’imposta di soggiorno, i cui incassi sono destinati alla riparazione dei danni cagionati dalla pressione antropica. A tale proposito, l’art. 180 D.L. n. 34/2020, ha inserito il comma 1-ter nell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 (con effetto retroattivo), definendo i compiti affidati al gestore della struttura ricettiva, il quale da custode di denaro pubblico ha assunto il ruolo di responsabile d’imposta. Il legislatore ha, tuttavia, depenalizzato la condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da cui deriva solo responsabilità amministrativo-tributaria. Questo nuovo inquadramento normativo del ruolo affidato al gestore della struttura ricettiva viene supportato anche dalla giurisprudenza penale, laddove ha condiviso la funzione di responsabile d’imposta in luogo dell’originario ruolo di custode del denaro pubblico.
Comments on the (italian) tourist tax, in the context of environmental taxes, between an abstract economic tax assumption and the reformed liability of the hosting accommodation. – Assuming that the ability to pay should represent an “equitable distribution of tax burdens”, it is therefore possible to categorise, among the indices of the ability to pay, also those assumptions that, although arising from outside the market, are socially relevant and affect those who use the good-environment, thus harming it. Consequently, the greater exploitation of the environment as a public good can be considered a prerequisite for greater contribution to public expenditure. Accordingly, the interpretation of Article 53 of the Constitution should be ‘wider’.This means that it should not explicitly require that the assumptions of taxation are necessarily provided with economic assets that can be exchanged on the market. The tourist tax is a typical example, considering that its revenue is intended to restore the damage caused by human activities. On this matter, Article 180 of Decree-Law no. 34/2020, introduced paragraph 1 ter into Article 4 of Legislative Decree no. 23/2011 (with retroactive effect), defining the tasks assigned to the hosting accomodations. They changed from being the holder of public money to being joint liable for the tourist tax. The legislator has, however, decriminalised the conduct of failing to pay the tourist tax, resulting only in administrative-tax liability. The new legal framework of the role assigned to hosting accomodation is also supported by criminal jurisprudence, that agreed on the role of liable for the tax replacing the original role of holder of public money.
Keywords:
Sommario: 1. I tributi ambientali: un’introduzione. – 2. I tributi ambientali nel quadro dei nuovi indici di capacità contributiva. – 3. L’imposta di soggiorno nel quadro dei tributi ambientali. – 4. Sulla posizione del gestore della struttura ricettiva: da custode di denaro pubblico a responsabile dell’imposta di soggiorno. – 5. Brevi osservazioni conclusive.
1. Accanto alla tradizionale funzione di finanziamento delle pubbliche spese, il prelievo tributario ha assunto nel corso del tempo funzioni ulteriori e aggiuntive, al punto che il maggior sfruttamento del bene ambiente può essere considerato presupposto per una maggiore contribuzione alle spese pubbliche (cfr., ex multis, Selicato P., Fiscalità ambientale e Costituzione, in Picciaredda F. – Selicato P., I tributi e l’ambiente, Milano, 1996, 117).
In tale ottica si collocano i c.d. tributi ambientali, che si distinguono in tributi ambientali in senso ampio, il cui gettito è diretto alla salvaguardia dell’ambiente, e tributi ambientali in senso stretto, che rinvengono il presupposto nel peculiare sfruttamento del bene ambiente con conseguente obbligo di riparazione a carico del soggetto (sul tema, Uricchio A., Turismo sostenibile e fiscalità circolare, in Rivista Italiana Diritto del turismo, 2019, 27, 340 ss.; Uricchio A. – Selicato G., La fiscalità del turismo, Pisa, 2020).
Il percorso che ha condotto all’ammissione dei tributi ambientali nel nostro ordinamento è stato, tuttavia, impervio e caratterizzato da continui dubbi circa la conformità con la Carta costituzionale.
La natura del tributo ambientale (su cui, per una completa disamina, Alfano R., Tributiambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012) ha ingenerato diverse perplessità per lo più incentrate sul presupposto d’imposta e sulla compatibilità con l’art. 53 Cost. (cfr. Giovannini A., Homo ominis lupus: dovere contributivo e solidarietà, in Dir. prat. trib., 2022, 6, 2004 ss.; Falsitta G., Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico fino all’Assemblea Costituente, in Riv. dir. trib., 2013, 9, 761 ss.).
L’art. 53 Cost. è una norma di ancipite natura: autorizzatoria e limitativa, atta a delineare la capacità contributiva come presupposto e limite all’ imposizione fiscale.
Da un lato, infatti, la disposizione autorizza il legislatore a imporre il prelievo (e l’Amministrazione ad effettuarlo) in ragione della capacità contributiva del soggetto; dall’altro ne limita il potere laddove il prelievo non si colleghi ad un effettivo indice di ricchezza. La norma, dunque, nel suo senso concreto impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore rispetto a quanto dovuto in ragione della capacità contributiva.
Sulla capacità contributiva il dibattitto non si è mai sopito tra l’orientamento che interpreta la stessa come un limite al potere impositivo dello Stato (e, in questa prospettiva, ulteriore dibattito vi è se il limite debba intendersi in senso assoluto o relativo) e quello che vi attribuisce la funzione di strumento che consente l’intervento impositivo dello Stato per politiche pubbliche tradizionali (difesa, sicurezza, giustizia, ecc.) o per politiche redistributive e per interventi infrastrutturali di carattere generale (Mangiameli S., Il diritto alla “giusta imposizione”. La prospettiva del “costituzionalista”, in Dir. prat. trib., 2016, 4,1373 ss.).
2. Notoriamente, il principio di capacità contributiva impone che il fondamento dei tributi debba essere rinvenuto nella sussistenza di fatti o situazioni economicamente rilevanti, idonei ad esprimere una potenzialità economica. Anche volendo considerare l’economia non come “oggetto” dell’analisi, ma quale “metodo di analisi”, il principio di capacità contributiva impone all’interprete di tenere sempre presenti le implicazioni economiche della misura fiscale adottata (Targhini M., Imposta di registro e finanziamento soci: un prelievo anacronistico e asistematico, in Dir. prat. trib. 2019, 5, 1948 ss.)
Con l’ingresso della categoria dei tributi ambientali, tuttavia, ci si è chiesti se possa considerarsi ammissibile un tributo che non si fondi sui tipici presupposti di imposta quali reddito, patrimonio e consumo.
Invero, se la funzione dell’attività impositiva coincide con la equa distribuzione dei carichi pubblici, la rilevanza economica del criterio di riparto non esaurisce la sua forza nella previsione del presupposto del tributo di componenti patrimoniali o reddituali disponibili o commerciabili, ma implica l’ulteriore considerazione di elementi anche astrattamente valutabili o misurabili in denaro ancorché non dimostrino la disponibilità immediata di una forza economica atta a far fronte al pagamento del tributo (Comelli A., La tassazione ambientale, nella prospettiva europea, oltre la crisi economica e sanitaria innescata dal Covid-19, in Dir. prat. trib., 2022, 3, 791 ss.; Uricchio A., I tributi ambientali e la fiscalità circolare, in Dir. prat. trib., 2017, 5, 1849 ss.).
Da ciò consegue che non necessariamente i presupposti debbano avere una connotazione patrimoniale-reddituale purché siano indici di correlazione con una spesa pubblica da finanziare e siano rispettosi dei principi di ragionevolezza ed equità nella ripartizione dei carichi tributari (in generale, v. Gallo F., Il tributo quale indispensabile strumento di politiche redistributive, in Rass. trib., 2021, 2, 273 ss.; e, nello specifico, Selicato G. – Uricchio A., Circular Economy and Environmental Taxation, Bari, 2022; Aulenta M., Gettito e gittata dei tributi. La contribuzione alla spesa pubblica mediante il pubblico bilancio, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2021, 1, 46 ss.; Id., Ambiente: piccoli tributi, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2020, 1, 71 ss.; Ficari V., Nuovi elementi di capacità contributiva e ambiente: l’alba di un nuovo giorno…fiscalmente più verde?, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 4, 828 ss.). La stessa Corte costituzionale, a più riprese, ha sottolineato che l’art. 53 Cost. impone una struttura dell’imposta ragionevole, congrua, coerente e proporzionale, purché sia funzionale a soddisfare spese pubbliche (Corte cost., n. 10/2015; Corte cost., n. 140/2019).
Se, dunque, il contribuente è inserito nel contesto sociale di “partecipazione” alle spese statali, parimenti può assurgere a presupposto un fatto socialmente rilevante, nella considerazione del ruolo assunto dal cittadino-contribuente, non solo in termini di homo oeconomicus, ma anche di homo socialis (in tal senso, il contribuente offrirebbe il proprio contributo alla tutela di valori costituzionalmente garantiti).
Il dovere fiscale ha una forte valenza solidaristica ed è caratterizzato da una profonda connotazione etica, poiché fondato su un forte legame di responsabilità tra i consociati che rinunciano ad una parte delle proprie ricchezze nella prospettiva di uno sviluppo e di un miglioramento della società (i tributi ambientali, in tale ottica, risultano funzionali alla salvaguardia dell’ambiente).
Quanto detto risulta ancora più evidente se si considera che l’art. 53 Cost. si limita a collegare il tributo alla manifestazione, da parte del contribuente, di una specifica capacità contributiva socialmente ed economicamente rilevante, senza richiedere esplicitamente che i presupposti di tassazione siano provvisti di attributi patrimoniali suscettibili di scambio sul mercato.
Si pensi, a tal proposito, ai tributi “nuovi” in quanto la scelta dell’indice di capacità contributiva ha motivazioni ideali, ma che allo stesso tempo sono disciplinati secondo tipologia e struttura di fattispecie già note ed esistenti nel sistema normativo tributario, come ad esempio, le accise. In tale contesto si collocano anche la plastic tax e la sugar tax, la cui entrata in vigore è prevista il 1° gennaio 2024 (secondo quanto indicato nella Legge di Bilancio 2023): le suddette imposte hanno la funzione di salvaguardare l’ambiente riducendo la produzione di materie plastiche (sul tema, da ultimo, Fedele A., Nuove ricchezze ed elementi essenziali della capacità contributiva nella dimensione postmoderna, in Riv. dir. trib., 2023, 1, I, 1 ss.).
È opportuno, dunque, allargare il concetto di capacità contributiva, così da attrarre a tassazione presupposti diversi da quelli tradizionalmente utilizzati.
Alla ricchezza materiale si affianca una forma di ricchezza intangibile che può costituire presupposto di imposta, purché sia rispettato il collegamento tra soggetto e capacità contributiva.
In tale prospettiva, possono costituire fattispecie impositive anche manifestazioni di ricchezza nuove collegate alla green economy, purché siano rispettose dei principi di ragionevolezza ed equità nella ripartizione dei carichi tributari (v. Uricchio A., Turismo sostenibile e fiscalità circolare, cit.; Id. Le frontiere dell’imposizione tra evoluzione tecnologica e nuovi assetti istituzionali, Bari, 2010). Da ciò l’affermarsi di una concezione di capacità contributiva che non si limita all’inclusione nel presupposto del tributo di componenti patrimoniali scambiabili sul mercato, ma che siano espressione di una posizione di vantaggio sociale, sganciati da una concezione meramente economica.
3. Tra i tributi ambientali, come sopra delineati, rientra anche l’imposta di soggiorno disciplinata dall’art. 4 D. Lgs. n. 23/2011, il quale così recita: «i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono (è e resta una “facoltà”) istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano (pernottano) nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno».
La natura di tributo “ambientale” dell’imposta di soggiorno deriva dalla destinazione del gettito a «finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali, nonché dei relativi servizi pubblici locali» (TAR Brescia, sez. I, 6 ottobre 2021, n. 842): la destinazione è, dunque, vincolata e tale vincolo finanziario assume la natura di limite imposto dalla legge a garanzia del perseguimento dei fini istituzionali.
Si tratta, in particolare, di un tributo di scopo collegato a un particolare tipo di consumo turistico, qual è, appunto, il pernottamento in strutture ricettive site nel territorio comunale. Il tributo grava sul soggetto ospite della struttura ricettiva, che è tenuto a rispondere delle conseguenze che derivano dalla c.d. pressione antropica (il fenomeno turistico può, infatti, assumere una valenza impositiva con il fine di recuperare gettito da destinare alla realizzazione di interventi a sostegno del turismo: cfr. De Maio G., Imposta di soggiorno: riflessioni e prospettive in tempi di pandemia, in federalismi.it., 8 luglio 2020; Scanu G., La fiscalità del turismo: un’opportunità per le regioni, una tentazione per lo Stato, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 2, 401 ss.; Scanu G., La tassazione sui flussi turistici tra fiscalità locale e competitività: alcune esperienze a confronto, in Riv. dir. trib., 2009, 3, 339 ss.) e di tutti i danni eventualmente cagionati in un determinato territorio (siffatta imposta consente, invero, la copertura di spese sostenute dagli enti pubblici per la gestione dei servizi per la collettività locale che derivano dalla pressione dei flussi turistici).
Il gettito non rileva solo per il turista in senso stretto, posto che gli interventi finanziati dall’imposta non hanno ad oggetto il turismo in senso stretto, ma più in generale la fruizione della città (TAR Brescia, sez. I, 6 ottobre 2021, n. 842). Per tale ragione, l’imposta di soggiorno, al pari di quella di sbarco, tutela diritti superindividuali apportando un beneficio all’intera collettività (sulla seconda, in particolare, Alfano R., L’imposta di sbarco per le isole minori: caratteri e peculiarità nell’analisi delle prime esperienze applicative, in Ficari V. – Scanu G. (a cura di), “Tourism taxation”: sostenibilità ambientale e turismo tra fiscalità locale e competitività, Torino, 2013, 15 ss.; Pizzonia G., Dalla alternatività tra tributi ai tributi alternativi. Note critiche sulla nuova imposta di sbarco nelle isole minori, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2012, 2, 289 ss.; Sciancalepore C., Tributi di sbarco tra equa tassazione dei flussi turistici ed esigenze di coordinamento regionale, in Azienditalia-Finanza e tributi, 2017, 7, 611 ss.).
Nella medesima prospettiva merita una menzione e qualche riflessione anche il c.d. ticket di accesso alla città di Venezia, disciplinato dall’art. 1, comma 1129, L. 30 dicembre 2018, n. 145 (ma la cui entrata in vigore è stata nuovamente prorogata all’estate 2023), in forza del quale «il comune di Venezia è autorizzato ad applicare, per l’accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, il contributo di cui all’art. 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, alternativamente all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del medesimo articolo, entrambi fino all’importo massimo di cui all’art. 14, comma 16, lettera e), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122”: come si evince dalla littera legis, il contributo è volto a colpire qualunque “passeggero”, a prescindere dunque dal pernottamento in una struttura ricettiva.
La deroga alla regola generale del “pernottamento in una struttura ricettiva” trova una giustificazione nella costituzione intrinseca della città di Venezia, quale territorio e laguna che comporta costi di gestione ordinaria e manutenzione non paragonabili rispetto a quelli delle altre città italiane.
L’obiettivo di tale tributo, anch’esso in rapporto di alternatività rispetto all’imposta di soggiorno, non può essere ricondotto al mero incasso, ma alla necessità di ridurre gli sbarchi favorendo un “turismo sostenibile”.
L’esigenza di garantire un turismo sostenibile si evince ulteriormente dalla Legge di Bilancio 2023 che all’art. 1, comma 787, prevede «nei comuni capoluogo di provincia che, in base all’ultima rilevazione resa disponibile da parte delle Amministrazioni Pubbliche competenti per la raccolta e l’elaborazione di dati statistici, abbiano avuto presenze turistiche in numero venti volte superiore a quello dei residenti, l’imposta di soggiorno può essere applicata fino all’importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno di cui all’art. 14, comma 16, lettera e), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122».
4. Uno dei punti di maggiore criticità dell’imposta di soggiorno è storicamente legata alla posizione del gestore della struttura ricettiva.
Ab origine non vi era una specifica disciplina in merito e, con funzione di supplenza, la giurisprudenza aveva inserito il gestore nell’alveo dei custodi di denaro pubblico anche in ragione del D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, entrato in vigore dal 10 agosto 2011, il quale – nel dettare «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni degli Enti locali e dei loro organismi» – dispone, al punto 4.2, che: «Gli incaricati della riscossione assumono la figura di agente contabile e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti, a cui devono rendere il conto giudiziale».
Il gestore della struttura ricettiva era, dunque, considerato un incaricato di un pubblico servizio, con funzione ausiliaria rispetto all’ente impositore e destinatario delle somme versate dal contribuente (per una disamina sul punto, a Franchina G., La responsabilità erariale dei soggetti privati: aspetti funzionali e tutela processuale, in Giur. it., 2022, 3, 772 ss.; Fagioli M. – Bricchetti I., L’albergatore è responsabile dell’imposta di soggiorno dovuta dal cliente (nota a Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2022, n. 9213), in ilpenalista.it, 15 giugno 2022): il gestore della struttura ricettiva si sostituiva a colui che maturava il presupposto d’imposta, perché aveva alloggiato nella struttura, nel riversamento degli importi ricevuti in favore dell’Ente comunale (Del Federico L., Tributi di scopo e tributi paracommutativi: esperienze italiane ed europee. Ipotesi di costruzione del prelievo, in Tributi locali e regionali, 2007, 2, 184 ss.).
La funzione di “incaricato di un pubblico servizio” ovvero “custode del denaro pubblico” conduceva inevitabilmente al configurarsi di una fattispecie incriminatrice nella forma del peculato (art. 814 c.p.), qualora il gestore non versava le somme dovute all’Erario: il gestore operava in assenza di un atto di investitura formale, inconsapevole per l’effetto delle conseguenze della propria condotta.
Da qui l’introduzione del comma 1-ter, all’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011, che ha espressamente definito il ruolo del gestore, trasformandolo da mero ausiliario dell’Ente locale a vero e proprio responsabile di imposta, con conseguente responsabilità di carattere amministrativo-tributario in caso di mancato versamento delle somme dovute all’Ente locale: la citata disposizione prevede, infatti, che «Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno […] con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale […]. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa».
Per effetto di questa nuova disciplina vi è stata, in sostanza, una depenalizzazione della condotta di mancato versamento, totale o parziale, in quanto essa rileva esclusivamente sotto il profilo tributario, come conferma recente giurisprudenza penale che ha escluso il reato di peculato in caso di mancato versamento dell’imposta (Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2022, n. 9213; sul tema anche Franzin D., I confini “mobili” del delitto di peculato e la progressiva erosione del concetto di possesso qualificato, in Dir. pen. proc., 2021, 7, 964 ss.). Per la citata giurisprudenza, il legislatore non ha voluto operare su un “elemento strutturale” del delitto di peculato (ma l’intervento semmai risponde anche all’esigenza di restare conformi al dettato normativo di cui all’art. 314 c.p. e di recuperarne la reale portata offensiva), essendo stato meramente definito lo status del gestore rispetto all’imposta di soggiorno: da custode del denaro pubblico incassato per conto del Comune a soggetto solidalmente obbligato al versamento dell’imposta. Peraltro, come previsto dall’art. 5-quinquies, D.L. n. 146/2021, la qualifica del gestore della struttura ricettiva come responsabile dell’imposta di soggiorno sarebbe applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020, configurandosi nella specie un’ipotesi di di una norma ad effetto retroattivo (cfr. sul punto Amarelli G., Peculato dell’albergatore: il legislatore chiarisce la retroattività della depenalizzazione del 2020, in sistemapenale.it, 1° febbraio 2022; Leotta C.D., Peculato: non è punibile l’albergatore anche prima del D.L. n. 34/2020, in Il Quotidiano Giuridico Penale, 2 marzo 2022).
La qualificazione espressa del gestore della struttura ricettiva come responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno implica che lo stesso sia obbligato a versare il tributo anche nell’ipotesi in cui il soggetto che vi abbia alloggiato non abbia versato l’importo corrispondente; ne deriva che in caso di omesso versamento del tributo, il Comune può rivolgersi direttamente al gestore, pretendendo il pagamento dell’imposta e della sanzione pari al 30%, ex art. 13 D.Lgs. n. 471/1997.
La previsione della solidarietà tributaria realizza l’obiettivo di rafforzare la garanzia di preservare l’integrità dei flussi tributari, prodotti dall’esercizio della struttura ricettiva e dell’introito del tributo, responsabilizzando quei soggetti che, in virtù della relazione con il soggetto obbligato principale, sono posti nella condizione di garantirne l’effettivo e integrale pagamento. Il quadro finale delineatosi è coerente con quello del tributo di sbarco, ove il vettore che riscuote il tributo è, ab origine, qualificato quale responsabile d’imposta, con conseguente di diritto di rivalsa sul soggetto passivo.
Appare opportuno, per completezza, fare cenno alla questione dell’intermediazione tra clienti e strutture turistiche per locazioni brevi (non superiori a trenta giorni) realizzata su piattaforme telematiche.
Preliminarmente si evidenzia che il suddetto servizio di intermediazione «ha lo scopo, tramite piattaforma elettronica di mettere in contatto, dietro retribuzione, potenziali locatari con locatori […] che offrono servizi di alloggio di breve durata e che fornisce[…] anche un certo numero di prestazioni accessorie a detto servizio di mediazione» (Direttiva 2000/31). L’intermediario riscuote il pagamento dal cliente per la fornitura dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e trasferisce suddetto pagamento al locatore.
A differenza del gestore della struttura ricettiva nell’ipotesi di imposta di soggiorno, l’intermediario per locazioni brevi è considerato sostituto d’imposta, come confermato di recente dalla Corte di Giustizia, secondo cui in tale qualità l’intermediario opera una ritenuta alla fonte del 21%, come cedolare secca, sull’ammontare dei corrispettivi all’atto del pagamento al beneficiario e provvede al relativo versamento (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 22 dicembre 2022, causa C- 83/21, annotata da Milizia G., AIRBNB deve comunicare al fisco italiano i dati sugli affitti brevi e pagare la ritenuta dell’imposta alla fonte, in Diritto e Giustizia, 2022, 1, 219 ss.).
L’intermediario, dunque, si frappone tra il soggetto economicamente gravato dal tributo (il locatore) e il Fisco e non ha soltanto l’obbligo di prelievo alla fonte, ma è gravato anche dall’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate dell’anno di locazione e dei dati catastali dell’appartamento affittato.
5. L’attuale ruolo del gestore della struttura ricettiva è il risultato di un faticoso percorso interpretativo e normativo.
Il legislatore ha ridefinito i confini della funzione del gestore per evitare ingiustificate discriminazioni tra soggetti svolgenti la medesima funzione, come nel caso dell’imposta di soggiorno e di quella alternativa di sbarco, in cui il vettore è stato classificato fin da subito quale responsabile d’imposta.
La modifica in tale senso non solo ha permesso di sistematizzare la materia, con riflessi anche di razionalizzazione della giurisdizione (transitata dalla Corte dei Conti al giudice tributario), ma ha anche scongiurato il rischio di un improprio ampliamento esegetico della platea di soggetti attivi del reato di peculato, in violazione del divieto di analogia in malam partem e del principio di tassatività della fattispecie incriminatrice.
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