IL PUNTO SU… Il “criterio della prevalenza” nella nuova fattispecie imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione indiretta di immobili da parte di non residenti
Di Valentina Buzzi e Giulia Sorci
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A. La Legge di Bilancio 2023 ha esteso la potestà impositiva italiana ai capital gain realizzati da non residenti sulle cessioni di partecipazioni in società ed enti il cui valore deriva per più della metà, in qualsiasi momento nel corso dei 365 giorni precedenti, direttamente o indirettamente, da beni immobili localizzati in Italia (per una prima disamina di questa nuova disciplina, Passi C., Prime osservazioni sui nuovi criteri di tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione indiretta di immobili localizzati in Italia e detenuti da soggetti non residenti tramite “veicoli esteri”, in questa Rivista, 31 gennaio 2023, e Piazza M., Ampliati i presupposti di tassazione delle plusvalenze realizzati da soggetti esteri, in il fisco, 2023, 5, 418 ss.).
Come si nota immediatamente, nella nuova fattispecie impositiva è centrale il “criterio della prevalenza” del valore degli immobili, il quale, in mancanza di una definizione positiva, non è di immediata interpretazione e pone una serie di interrogativi che impongono una specifica indagine.
B. Come si evince dalla Relazione illustrativa, la nuova disciplina si pone in linea con l’art. 13, paragrafo 4 del Modello OCSE, introdotto in prima istanza nel 2003 e modificato da ultimo all’interno del progetto BEPS. Quest’ultimo attribuisce il diritto di imposizione primario al Paese di localizzazione degli immobili, ossia quello di origine della ricchezza, nel caso in cui il valore delle partecipazioni cedute derivi prevalentemente da immobili ivi localizzati, in deroga al criterio generale convenzionale di potestà impositiva esclusiva dei capital gains derivanti dalla cessione di partecipazioni per lo Stato di residenza del cedente (sul tema, Rossi R., Cross-border capital gains on Italian participations: interaction between Italian domestic law, tax treaties and EU fundamental freedoms, in Riv. dir. trib., 2022, 6, 100 ss.).
Allo stato attuale, la modifica ha un impatto concreto molto limitato e circoscritto ai soli soggetti residenti in Stati che non hanno stipulato con l’Italia una Convenzione contro le doppie imposizioni o in relazione ai quali è già in vigore una Convenzione che preveda la potestà impositiva concorrente per lo Stato di localizzazione degli immobili oggetto di cessione indiretta (cfr., ad esempio, le CDI con Israele, Cile, Cina, Francia – paragrafo 8 del Protocollo – e Stati Uniti – paragrafo 12 del Protocollo, Barbados, Hong Kong, Canada. Per gli approfondimenti del caso, Tarigo P., Diritto internazionale tributario. Volume II. Trattati fiscali italiani a confronto, Torino, 2020).
Negli altri casi – posta l’assenza della predetta eccezione per le società immobiliari nella maggior parte delle Convenzioni in vigore con l’Italia – permarrà invece l’esclusivo assoggettamento delle plusvalenze su partecipazioni (di derivazione immobiliare e non) nello Stato della residenza del percettore. Questo scenario potrebbe cambiare, anche a breve, con l’entrata in vigore dell’art. 9, comma 4 dell’MLI – sostanzialmente allineato all’art. 13, comma 4 del Modello OCSE – a seguito del deposito da parte dell’Italia degli strumenti di ratifica ivi previsti, che avrà l’effetto di modificare simultaneamente i Trattati in vigore, sempre a condizione che entrambi gli Stati contraenti esercitino l’opzione per l’applicazione della disposizione in parola. Ad oggi, l’Italia si è limitata a notificare la propria volontà di applicare l’art 9, comma 4 dell’MLI ma questo non rappresenta una condizione sufficiente per la sua applicazione diretta.
Gli interventi normativi italiani per l’allineamento sono stati realizzati dalla Legge di Bilancio 2023 innanzitutto attraverso l’introduzione del comma 1-bis all’art. 23 TUIR, che prevede il meccanismo di ”recapture” in Italia dei capital gain realizzati per effetto di cessioni di partecipazioni qualificate in società o enti non residenti il cui valore è rappresentato prevalentemente da immobili siti in Italia.
A questo si è accompagnata la neutralizzazione dell’esenzione prevista dall’art. 5, comma 5, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 che rende ora imponibili in Italia le plusvalenze derivanti da partecipazioni non qualificate in società ed enti immobiliari sia residenti sia non residenti realizzate da soggetti residenti in Paesi collaborativi inclusi nella lista di cui al D.M. 4 settembre 1996 e da investitori istituzionali ivi costituiti, anche privi di soggettività tributaria.
Esclusi dall’ambito applicativo della novella – e dunque non si presumono prodotti in Italia e non sono quivi assoggettabili ad imposizione – sono invece i proventi derivanti dalla cessione di titoli negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri o in sistemi multilaterali di negoziazione (sull’equiparazione, ai fini fiscali, tra mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione, cfr. circ. 23 dicembre 2020, n. 32/E e la specifica risposta al Telefisco 2023, commentata da Piazza M., Esonero plusvalenze realizzate anche in mercati multilaterali, in Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2023).
C. In base al “criterio della prevalenza” previsto dalla disciplina in commento, l’attrazione a imposizione in Italia delle plusvalenze realizzate in sede di cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società ed enti immobiliari esteri si attiva nei casi in cui il valore del patrimonio derivi:
per più del 50 per cento, direttamente o indirettamente, da beni immobili situati in Italia;
«(…) in qualsiasi momento nel corso dei trecentosessantacinque giorni che precedono la loro cessione (…)».
C.1. La prima e immediata domanda è se il valore del patrimonio della società ceduta e dei beni interessati dall’applicazione della normativa debba essere inteso quale valore contabile ovvero quale fair value.
La seconda soluzione appare preferibile sotto diversi profili.
Innanzitutto, è la più coerente da un punto di vista sistematico nonché maggiormente aderente alla ratio normativa, che è quella di realizzare un’equiparazione tra le cessioni di società immobiliari e le cessioni dirette di immobili. Altro pregio è quello di determinare dei valori avulsi dalle rigide logiche dei principi contabili applicabili, i quali la maggior parte delle volte non riflettono gli eventuali apprezzamenti intervenuti per effetto delle oscillazioni di mercato ma evidenziano solamente il costo originario al netto di ammortamenti, ben lontano quindi da un’effettiva valorizzazione a valori correnti degli asset (cfr. Li J. – Avella F., Article 13: Capital Gains – Global Tax Treaty Commentaries, Global Tax Treaty Commentaries, IBFD online books, 2021, par. 3; Catucci N., Do Italian and International Tax Rules Require a Literal Application of the Value Test under Article 9(4) of the MLI? Possible Remedies to the Disproportionate Tax Treatment of Capital-Intensive Inbound Investments, in Bulletin of International Taxation, October 2022, 493 ss.).
Da punto di vista tecnico, la tesi che predilige l’utilizzo del “valore economico” del bene in luogo di quello contabile è giustificata dai meccanismi di “rinvio” del Modello OCSE alla legislazione domestica: il termine “valore” non è, infatti, un concetto che trova definizione nel Modello OCSE. Occorre pertanto fare riferimento, ai sensi dell’art. 3 del Modello, al significato assunto nella legislazione dello Stato contraente che applica la Convenzione e al quale è attribuita la potestà impositiva (anche concorrente), se non diversamente previsto dagli Stati contraenti in sede di procedura amichevole (i.e. Mutual Agreement Procedure): per l’Italia questa nozione è in prima battuta identificabile nel concetto di valore normale dell’art. 9 TUIR.
Altro argomento a supporto della valorizzazione dei beni in base al fair value è da rintracciarsi nella pressoché identica formulazione tra il “criterio della prevalenza” previsto dalla normativa in esame e il test della “commercialità” ai fini della participation exemption di cui all’art. 87, comma 1, lett. d), TUIR, che richiede, a ben vedere, l’impiego dei “valori correnti” (cfr. circ. 4 agosto 2004, n. 36/E, par. 2.3.4., nonché circ. 29 marzo 2013, n. 7/E). Entrambe le norme mirano difatti a misurare la preponderanza di alcune poste – nella specie gli immobili, per quanto riguarda la PEX, e gli immobili situati in Italia, per la novella normativa in esame – rispetto a tutti gli elementi dell’attivo con l’intento di dare atto della situazione effettiva della società oggetto di test, seppur con finalità all’apparenza differenti: il regime di cui all’art. 87 TUIR ha infatti natura antielusiva, mentre la novella in esame dovrebbe essere regola di allocazione della materia imponibile tra gli Stati, nonostante l’indubbia presenza di connotati antiabuso per contrastare l’utilizzo dello schermo societario nella circolazione degli immobili situati nello Stato (v. sul punto, Passi C., Prime osservazioni sui nuovi criteri di tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione indiretta di immobili localizzati in Italia e detenuti da soggetti non residenti tramite “veicoli esteri”, cit.).
C.2. La seconda questione da porsi è se il valore delle partecipazioni, ai fini del test in esame debba intendersi come Equity Value ovvero come Enterprise Value.
Alcune indicazioni su questo aspetto – e, più in generale, sulle concrete modalità di calcolo – possono essere ricavate dal Modello OCSE (2017), stante il silenzio della Relazione illustrativa e considerata la chiara derivazione convenzionale della norma in commento.
Sul punto, il paragrafo 28.4 del Commentario OCSE all’art. 13 suggerisce che l’accertamento della prevalenza del valore immobiliare debba essere effettuato «by comparing the value of such immovable property to the value of all the property owned by the company without taking into account debts or other liabilities of the company (whether or not secured by mortgages on the relevant immovable property)».
Questa impostazione, che prevede l’utilizzo dei valori lordi delle attività e degli immobili, ha senz’altro il pregio di evitare arbitrarie allocazioni della componente di debito.
E infatti, qualora si percorresse l’opzione dell’Equity Value, il debito andrebbe senz’altro a decurtare per il suo intero importo il valore delle partecipazioni e di conseguenza, per coerenza nelle grandezze, si dovrebbe individuare la porzione da scomputare dalla componente immobiliare, che potrebbe essere di facile individuazione solo se i finanziamenti fossero stati contratti esclusivamente per l’acquisto degli immobili stessi, imponendo invece – negli altri casi – delle scelte di carattere soggettivo.
C.3. Un altro punto spinoso è il c.d. “monitoraggio annuale”, ossia la modalità attraverso la quale il contribuente è chiamato a verificare se il valore delle partecipazioni in società ed enti non residenti nell’arco temporale dei 365 giorni precedenti l’alienazione derivi per più della metà – direttamente o indirettamente – da beni immobili situati in Italia.
Questo test è stato introdotto solo in un secondo momento in sede di Progetto BEPS, e in ottica antielusiva, essendo finalizzato a scongiurare che l’apporto di beni diversi dagli immobili o di liquidità nella società in prossimità dell’operazione di cessione a titolo oneroso delle partecipazioni (anche attraverso l’accensione di una linea di finanziamento) comportasse la diluizione artificiosa del patrimonio con l’unico scopo di evitare il superamento della sopra citata soglia del 50 per cento (dei beni immobili situati in Italia) (cfr. anche, OECD Report, in Reconstructuring the Treaty Network, IFA Cahiers de droit fiscal internatinal, vol. 105A, sec. 4.1.3, 97).
La necessità di un monitoraggio continuo del valore degli immobili per un arco di tempo prolungato è onere alquanto gravoso per il contribuente, che tra l’altro pone non pochi dubbi per la sua concreta applicazione.
Ci si chiede, innanzitutto, se sia corretto ai fini del calcolo della prevalenza considerare anche gli immobili che nel periodo di monitoraggio siano stati ceduti e, quindi, non più espressione di plusvalenze “latenti” per la società, in quanto questi dovrebbero essere già stati assoggettati a tassazione nello Stato di localizzazione in base al regime fiscale ivi previsto e una eventuale loro rilevanza potrebbe portare a una doppia imposizione (per effetto della tassazione in prima battuta in capo alla società e poi al socio cedente).
A tal riguardo, il commentario all’art. 13 del Modello OCSE al paragrafo 28.9 risponde affermativamente per gli immobili già ceduti e prevede che gli Stati contraenti possano bilateralmente concordare una specifica esclusione nella misura in cui il valore delle quote trasferite non sia rappresentato né direttamente né indirettamente da tali beni immobili. Per espressa previsione del Commentario, non dovrebbero beneficiare di questa esclusione le operazioni infragruppo o gli immobili che possano generare plusvalenze esenti nello Stato di localizzazione.
Per quanto riguarda le prime, non si comprende questa rigidità di impostazione e si ritiene che, a ragione, dovrebbero essere equiparate alle cessioni tra parti terze quelle infragruppo effettuate a condizioni di mercato. In tal caso, non ci sarebbe diversità negli effetti economici e infatti la società cessionaria realizzerebbe dei redditi analoghi a quelli derivanti da una transazione tra terzi subendo su di essi un prelievo fiscale analogo.
Poco chiara appare, inoltre, la giustificazione riguardante l’eccezione riservata ai capital gain latenti – al momento della cessione della partecipazione nell’immobiliare – imputabili a immobili che non sono rilevanti fiscalmente per la normativa interna dello Stato di localizzazione. Posta la finalità della norma che è tra l’altro di equiparare i redditi realizzati tramite la cessione diretta degli immobili a quella del veicolo che li detiene, non sembra logico che lo Stato di localizzazione degli immobili possa riacquistare la propria potestà impositiva ove siano cedute le quote della società immobiliare quando invece la cessione diretta gli immobili da parte di quest’ultima non produrrebbe capital gain tassabili in base alla normativa nazionale. Un esempio in tal senso potrebbe essere rappresentato dai redditi diversi derivanti dalla cessione di immobili acquistati o costruiti da più di 5 anni che non sono soggetti a imposizione in Italia ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR in capo ai non residenti privi di stabile organizzazione, che, quindi, alla stregua di quelli oggetto di cessione nel periodo di monitoraggio, dovrebbero essere esclusi dal calcolo della prevalenza (cfr. Piazza M., Ampliati i presupposti di tassazione delle plusvalenze realizzati da soggetti esteri, cit.).
C.4. La norma inoltre prevede che siano esclusi dall’ambito di applicazione del test di prevalenza «gli immobili la cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività d’impresa nonché quelli utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa» (ossia i cc.dd. “immobili merce” e “immobili strumentali”).
A tal riguardo, si ritiene che la perfetta coincidenza con il disposto di cui all’art. 87 TUIR possa consentire di rimandare agevolmente a tutte le posizioni fornite nel corso degli anni sul punto, con la conseguenza, in estrema sintesi, che per il “test” della prevalenza di cui al 23, comma 1-bis, TUIR dovrebbero rilevare unicamente gli immobili che generano le cc.dd. passive income (ris. n. 226/E/2009, circ. n. 7/E/2009, Risposta ad interpello n. 502 del 28 novembre 2019). Saranno pertanto da considerare tali:
gli immobili strumentali per il periodo nel quale si protraggono le attività di adattamento necessarie a renderli idonei all’attività di impresa (cfr. ris. 9 novembre 2007, n. 323/E);
gli immobili che, per quanto teoricamente destinati alla rivendita, sono oggetto di locazione per lunghi periodi nelle more della vendita (cfr. ris. 15 dicembre 2004, n. 152/E);
gli immobili concessi in locazione o in godimento anche per il tramite di contratti di affitto d’azienda (cfr. circ. 4 agosto 2004, n. 36/E).
Sono invece qualificabili tra gli immobili strumentali quelli, ad esempio, destinati ad essere adibiti a gallerie commerciali nella misura in cui vi sia una connessione funzionale con una serie di servizi collegati che incidono in maniera rilevante sul corrispettivo (autorizzazioni, pubblicità, pulizia e manutenzione) e gli impianti destinati alla produzione di energia anche nel caso in cui si trovino ancora in fase di start-up (cfr. circ. 29 marzo 2013, n. 7/E, par. 4).
L’esclusione per gli immobili strumentali e/o immobili merce dall’applicazione del test della prevalenza è altresì contemplata dal paragrafo 28.7 del Commentario all’art. 13 del Modello OCSE e può essere applicata a mero titolo esemplificativo anche alle miniere e agli hotel.
Con riferimento a quest’ultimi, alla luce dei chiarimenti forniti nell’ambito PEX, dovrebbe prevalere in ogni caso la relazione che esiste tra l’immobile e l’attività di fatto esercitata (cfr. già citata, ris. n. 323/E/2007). A ben vedere, la proprietà della struttura può essere segregata in un veicolo societario separato e differente rispetto a quello destinato alla gestione dell’hospitality. La finalità di questa strutturazione potrebbe essere quella, ad esempio, di consentire una migliore gestione sia del rischio d’impresa sia delle garanzie bancarie rilasciate per i finanziamenti contratti per effettuare l’acquisto dell’immobile; in questo caso, in base a un approccio sostanziale, la strumentalità dell’immobile dovrebbe, a ragione, essere verificata in relazione al business oggetto di cessione (ovvero considerando più entità societarie come un unico insieme) e non alla singola società che possiede l’immobile.
D. La disciplina in esame prevede, infine, che non rilevi esclusivamente la detenzione diretta degli immobili da parte della società oggetto di cessione ma anche quella c.d. “indiretta” realizzata per il tramite di entità partecipate da quest’ultima. In tale ambito, il test della prevalenza potrebbe essere condotto alternativamente sulla base di due distinti approcci.
Una prima soluzione sarebbe quella di valorizzare a fair value tutti gli immobili situati in Italia posseduti dalle partecipate, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione, e confrontare tale valore con il valore globale del gruppo, in piena ottica look-through.
Da un punto di vista meramente pratico, l’adozione di questo metodo potrebbe tuttavia generare non poche difficoltà dovute, ad esempio, a: (i) la presenza di differenti criteri nazionali funzionali alla determinazione del valore di mercato degli immobili ai fini fiscali; ovvero (ii) le diverse definizioni di “immobile” adottate in ciascun ambito domestico e aventi rilevanza fiscale. Queste ultime infatti potrebbero essere più o meno ampie e quindi portare a includere (o a escludere) talune categorie di immobili in determinati Stati (cfr. Simontacchi S., Immovable Property Companies as Defined in Article 13(4) of the OECD Model, in IBFD Bulletin – Tax Treaty Monitor, 2006, 29 ss.).
Un secondo approccio – in linea con quanto previsto in ambito PEX relativamente all’applicazione del criterio di commercialità alle società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni – potrebbe essere quello di: (i) considerare in un primo momento la posizione delle singole partecipate procedendo con l’applicazione del test della prevalenza a ciascuna di esse e, in una fase successiva, (ii) verificare se a livello della capogruppo il fair value delle partecipazioni detenute nelle cc.dd. “società immobiliari” – ossia quelle che integrano il criterio della prevalenza – superi la soglia del 50% del valore attribuibile all’Enterprise Value del gruppo nel suo complesso (cfr. circ. 4 agosto 2004, n. 36/E, par. 2.3.5).
L’applicazione di un metodo rispetto all’altro potrebbe condurre a risultati differenti.
Si consideri difatti il caso di una holding che possiede il 100% del capitale sociale di due società, rispettivamente A e B (cfr. Assonime, circ. 6 luglio 2005, n. 38): l’Enterprise Value di A è pari a 100, di cui 40 riferito ad immobili situati in Italia, mentre quello di B è pari a 30 ed è interamente rappresentato da immobili italiani. Nel caso si adottasse il secondo approccio, la norma in commento non si applicherebbe perché la parte prevalente del valore del gruppo sarebbe riferibile alla società A, non immobiliare, mentre scatterebbe la potestà impositiva italiana sui capital gain derivanti dall’alienazione della partecipazione nella holding se si seguisse il primo criterio (il valore degli immobili complessivo sarebbe pari a 70 contro un valore complessivo del gruppo pari a 130).
Si rammenta da ultimo che la norma prevede un’esplicita esclusione per «le cessioni di titoli negoziati in mercati regolamentati», la quale dovrebbe trovare applicazione solo nel caso di partecipazioni dirette ma anche in quello di detenzione indiretta.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Catucci N., Do Italian and International Tax Rules Require a Literal Application of the Value Test under Article 9(4) of the MLI? Possible Remedies to the Disproportionate Tax Treatment of Capital-Intensive Inbound Investments, in Bulletin of International Taxation, October 2022, 493 ss.
Li J. – Avella F., Article 13: Capital Gains – Global Tax Treaty Commentaries, Global Tax Treaty Commentaries, IBFD online books, 2021, par. 3
Passi C., Prime osservazioni sui nuovi criteri di tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione indiretta di immobili localizzati in Italia e detenuti da soggetti non residenti tramite “veicoli esteri”, in Riv. tel. dir. trib., 31 gennaio 2023
Piazza M., Ampliati i presupposti di tassazione delle plusvalenze realizzati da soggetti esteri, in il fisco, 2023, 5, 418 ss.
Piazza M., Esonero plusvalenze realizzate anche in mercati multilaterali, in Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2023
Rossi R., Cross-border capital gains on Italian participations: interaction between Italian domestic law, tax treaties and EU fundamental freedoms, in Riv. dir. trib., 2022, 6, 100 ss.
Simontacchi S., Immovable Property Companies as Defined in Article 13(4) of the OECD Model, in IBFD Bulletin – Tax Treaty Monitor, 2006, 29 ss.
Tarigo P., Diritto internazionale tributario. Volume II. Trattati fiscali italiani a confronto, Torino, 2020
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4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
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