RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2023, n. 16595 – Questioni in tema di incasso giuridico e rimedi alle asimmetrie normative
Di Adriana Salvati
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Questioni in tema di incasso giuridico e rimedi alle asimmetrie normative (*)
La massima della Suprema Corte
In tema di imposte sui redditi di capitale, la rinuncia al credito, che un socio opera nei confronti della società e avente ad oggetto interessi su finanziamenti erogati ad una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del D.P.R. n. 600/1973, art. 26, comma 5, della ritenuta fiscale, avendo le nuove disposizioni, di cui agli artt. 88, comma 4-bis, art. 94, comma 6, art. 101, comma 5, TUIR, rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta” del precedente regime.
Il (tentativo di) dialogo
La sentenza della Suprema Corte affronta la questione del cd. incasso giuridico, fictio iuris che, con riferimento ad interessi su finanziamenti erogati dai soci, equipara, sul piano della tassazione, la rinuncia al credito ad un incasso, sebbene materialmente inesistente, e tanto per consentirne l’imponibilità.
La finalità di questa tesi è stata ravvisata nell’esigenza di prevenire possibili “salti d’imposta” derivanti dallo sfasamento temporale della deducibilità (per competenza) del costo e dell’imponibilità (per cassa) del provento.
Nel caso di specie, la società ricorrente aveva contratto un mutuo con una consociata, stabilendo la corresponsione dei relativi interessi; successivamente la consociata aveva ceduto il credito alla controllante che, a sua volta, rinunciava allo stesso per capitale e interessi. A questo punto, la società, sebbene non avesse versato gli interessi, in ragione della rinuncia della capogruppo creditrice, applicava la teoria amministrativa dell’incasso giuridico per presentare, poi, istanza di rimborso, ritenendo non dovute le imposte sugli interessi non versati.
Nel ricorso in Cassazione, limitatamente alle questioni rilevanti, la ricorrente aveva eccepito la violazione dell’art. 26, comma 5, e 26-quater, D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 88, comma 4-bis, TUIR, rappresentando che il regime fiscale delle rinunce a crediti da parte dei soci, a seguito della riforma attuata con il D.Lgs. 15 settembre 2015, n. 147 che ha introdotto dell’art. 88, il comma 4-bis, TUIR, non è più compatibile con la fictio iuris dell’incasso giuridico, peraltro contrario al principio di legalità e al principio di capacità contributiva. In particolare, poi, il concetto di incasso giuridico sarebbe certamente inapplicabile a carico di un soggetto tassato per competenza, non sussistendo il rischio del c.d. salto di imposta che la fictio iuris era destinata a scongiurare.
La sentenza della Cassazione, ripercorrendo le tappe del percorso interpretativo sotteso alla teoria dell’incasso giuridico, rileva che quest’ultima rifletteva l’ambiguità della natura reddituale o patrimoniale della rinuncia al credito vantato dal socio nei confronti della società. Secondo la Corte, la tesi in esame era giustificata, nel regime previgente dell’art. 88, comma 4, TUIR, avendo la finalità dichiarata di rimediare al c.d. “salto di imposta”, derivante dall’asimmetria di imposizione sul versante della società e del socio.
Nel nuovo regime, invece, l’applicazione della fictio iuris non avrebbe più ragion d’essere e questo perché: nel contesto delineato dal comma 4-bis dell’art. 88 TUIR la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede il relativo valore fiscale; l’art. 94, comma 6, e l’art. 101, comma 7, TUIR hanno previsto, sul versante del socio, che l’ammontare della rinuncia al credito, che si aggiunge al costo della partecipazione, è nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia; la rinuncia non è ammessa in deduzione e il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito.
In tale sistema, quindi, a seguito della rinuncia, il socio aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore. Ne consegue l’inesistenza di salti di imposta e quindi l’inapplicabilità della teoria dell’incasso giuridico.
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La sentenza della Corte ritiene illegittima la teoria dell’incasso giuridico, ma solo con riferimento al nuovo regime introdotto dal comma 4-bis dell’art. 88 TUIR, nel contempo, riaffermandone la validità per la disciplina previgente e questo perché l’applicazione di tale tesi consentiva, evitando un salto di imposta, di rimediare ad una svista del legislatore. Sennonché tale affermazione desta numerose perplessità e l’applicazione della tesi in oggetto è stata sovente oggetto di critiche.
Come riportato nella stessa pronuncia della Cassazione, il presupposto da cui muoveva la teoria dell’incasso giuridico era risalente alla circ. 27 maggio 1994, n. 73/E/430 (posizione, poi, ribadita anche con la ris. 13 ottobre 2017, n. 124/E e fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione), e può essere sinteticamente così riassunto: i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione e per la società partecipata non costituiscono sopravvenienze. Ne consegue che tale rinuncia, ove abbia ad oggetto potenziali redditi soggetti a tassazione per cassa, determina un “salto d’imposta”, in quanto il credito è correlato ad un elemento di reddito, deducibile per il debitore secondo il principio di competenza e tassabile per il creditore secondo il principio di cassa. Di qui la necessità, mediante una fictio iuris, di equiparare, ai fini fiscali, la rinuncia all’incasso.
La giurisprudenza della Corte ha poi chiarito, nel tempo, che con la rinuncia viene meno l’incasso materiale, ma non la disponibilità giuridica del credito utilizzato per patrimonializzare la società (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26842; 26 gennaio 2016, n. 1335; 30 gennaio 2020, n. 2057; 14 aprile 2022, nn. 12222 e 12223; 19 luglio 2022, n. 22609). In sostanza, la remissione del debito alla società presuppone il conseguimento da parte del socio di un credito che, ancorché non materialmente “incassato”, si considera comunque “utilizzato” per patrimonializzare la società ed è idoneo a generare un “arricchimento indiretto” del socio stesso, sotto forma di aumento del valore della sua partecipazione (sulla differenza tra percezione e pagamento si veda per tutti Zizzo G., Brevi note sulla nozione di “pagamento dei dividendi” nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, in Rass. trib., 2013, 3, 675 ss.).
Alcune pronunce amministrative avevano anche precisato che detto regime era giustificato dall’interesse del socio alle vicende della società partecipata che induceva a valutare la rinuncia al credito, non alla stregua di un atto di liberalità o della rimessione del debito da parte di un terzo, ma come espressione della volontà di patrimonializzare la società (in questo senso si esprimevano le circolari 5 aprile 2001, n. 41/E e 22 maggio 2002, 152/E).
Ecco allora che, in questo contesto, la teoria amministrativa consentiva di correggere il salto di imposta generatosi per effetto del disposto normativo: vale a dire, in sostanza, che l’interprete era chiamato a rimediare ad una mancanza di simmetria del sistema fiscale derivante dall’applicazione combinata delle disposizioni del TUIR. E, a tal fine, il rimedio finiva con l’identificarsi nell’introduzione di una fattispecie imponibile tramite fictio iuris, tassando un possesso inesistente.
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La teoria dell’incasso giuridico va ben oltre l’introduzione di una fictio iuris e questo perché non vi è dubbio che, dal punto di vista finanziario, chi rinuncia non ha incassato: non si tratta di fingere che si siano verificati i presupposti di fatto per l’applicazione di una norma ad una fattispecie diversa da quella per cui era stata posta, ma di fingere che si siano verificati i fatti per l’applicazione della norma alla fattispecie per cui era stata prevista.
Questa teoria dell’incasso giuridico riecheggia forme di rimedi antiabuso, come se la rinuncia fosse assimilabile ad un incasso con retrocessione (sul tema Beghin M., Gli arbitraggi, le asimmetrie fiscali e i vantaggi “indebiti” nel prisma dell’abuso del diritto (ovvero “Abbi Dubbi”), in GT – Riv. giur. trib., 2023, 1, 68 ss.). E del resto, il tema delle asimmetrie fiscali è centrale nella teoria generale dell’abuso del diritto: sennonché, nel caso di specie, non è sostenibile che l’operazione sia priva di sostanza economica e di valide ragioni extrafiscali non marginali (Stevanato D. – Manzitti A., Sopravvenienze attive da inerzia del creditore: perché i giudici avallano gli stereotipi del Fisco?, in Dialoghi tributari, 2014, 1, 13 ss.; Contrino A. – Marcheselli A., Art. 10-bis, L. n. 212/2000 – Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale, in Glendi C. – Consolo C. – Contrino A. [a cura di], Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, 3-58).
Ora, secondo la nota definizione di Hermann Weil, la simmetria di un sistema è l’invarianza della configurazione di alcuni elementi del sistema rispetto a un gruppo di trasformazioni, con la conseguenza che le asimmetrie del sistema derivano da una tolleranza ad una serie di trasformazioni (Weil H., Simmetria, Milano, 1962, 31 ss.). Le asimmetrie sono, quindi, tipiche di sistemi dinamici e complessi e, pertanto, connaturali al nostro sistema tributario.
L’esigenza di porre rimedio all’asimmetria è strettamente connessa all’irrigidimento del sistema che intende reagire alle trasformazioni: nel caso di asimmetrie del sistema tributario, che generano diminuzione di materia imponibile, la reazione dell’ordinamento non può che essere di riforma legislativa (Del Federico L., Profili fiscali della rinuncia dei crediti da parte dei soci, in il fisco, 1994, 38, 9016). Il principio chiaramente osta alla predisposizione di rimedi di natura interpretativa per il recupero a tassazione di fattispecie non previste.
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La finzione dell’incasso e la connessa tassazione di ricchezza inesistente contrastano chiaramente con il principio di capacità contributiva: in sostanza, la teoria dell’incasso giuridico è chiaramente un vulnus nel sistema e tanto emerge chiaramente anche solo ad esaminare la locuzione utilizzata dall’Amministrazione, atteso che l’incasso non può essere giuridico, sostanziandosi in un fatto.
La giuridicità dell’incasso stride sia rispetto alla nozione di “possesso” sia rispetto a quella di percezione: il mancato incasso delle somme a titolo d’interessi non fa insorgere in capo al socio rinunciante alcuna materia imponibile a titolo di reddito di capitale, stante l’ineludibile necessità della specifica percezione per la tassazione (cfr. Stevanato D., Le rinunce dei soci a crediti per somme dedotte dalla società: se il reddito del socio è imponibile ‘per cassa’ si può evitare un salto d’ imposta?, in Rass. trib., 1994, 10, 1555 ss.).
Ed infatti non si tratta di assimilare l’incasso all’utilizzazione/conseguimento del credito, identificando rinuncia al credito e patrimonializzazione, ma di alterare il meccanismo della tassazione dei redditi di capitale che postula “il fatto” dell’incasso sic et simpliciter. Sotto questo profilo non vi è assimilazione concettuale che tenga e numerose pronunce di merito hanno in più occasioni rilevato che l’adozione della tesi dell’incasso giuridico, in quanto non prevista da alcuna disposizione di legge, si pone in contrasto con i principi generali dell’ordinamento tributario (cfr., ex multis, CTR Lombardia, 29 gennaio 2018, n. 354; CTP Reggio Emilia, 15 ottobre 2018, n. 197; CTR Veneto, 29 gennaio 2009, n, 26, CTR Lazio, Sez. XXVIII, 20 giugno 2012, n. 120, CTP Reggio Emilia, Sez. II, 15 ottobre 2018, n. 197). Ne consegue che anche se l’inversione di rotta operata dalla Cassazione e riferita alla nuova disciplina non può che essere condivisa, tuttavia restano immutate le ombre interpretative con riguardo alla disciplina previgente che portano a ritenere, parafrasando Nietzsche, che il rimedio sia stato peggiore del male (Nietzsche F., Il crepuscolo degli idoli, Milano, 1983, 158).
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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