Convergenza di due diverse ipotesi di litisconsorzio necessario nello stesso giudizio

Di Francesco Albertini -

(commento a/notes to Corte di Cassazione, sez. V, ord. 16 febbraio 2023, n. 5007)

Abstract

Nel giudizio d’impugnazione di un avviso d’accertamento riguardante redditi, IRAP e IVA di una S.a.s. già estinta, nel quale è altresì individuato un socio di fatto, la Corte di Cassazione ravvisa un’ipotesi di litisconsorzio necessario fra tutti i soci, di fatto e di diritto, ritenendo che la decisione nel giudizio medesimo – nel quale sono contestate, tra l’altro, la qualità di socio di fatto e le determinazioni dei maggiori imponibili – non possa conseguire il suo scopo se non resa nei confronti di tutti i soggetti coinvolti. Ad avviso della Corte, il litisconsorzio è reso necessario sia dal fatto che l’impugnazione dell’accertamento dei maggiori redditi delle società di persone riguarda inscindibilmente tutti i soci, sia dalla circostanza che qualora colui al quale è attribuita contesti la qualifica di socio di fatto, la sentenza non può conseguire il suo scopo, ove non sia resa nei confronti di tutti gli altri soci. Lo scritto considera le ipotesi di litisconsorzio necessario, convergenti nella fattispecie, individuate dalla Corte.

Convergence of two different hypotheses of compulsory joinder in the same judgment. – The Supreme Court identifies a situation of compulsory joinder where it is necessary to join all the shareholders, both de facto and legal, in a judgment related to an assessment notice for income, IRAP, and VAT of a dissolved limited partnership. This case also involves a de facto partner. The Court holds the view that the judgment, which deals with both the disputed status of the de facto partner and the tax assessments, cannot effectively achieve its intended objective unless it includes all the parties involved. The subsequent comment explores the intersection of these compulsory joinder scenarios highlighted by the Court in the present case.

Sommario: 1. L’ordinanza. – 2. La vicenda e il giudizio. – 3. Il litisconsorzio necessario nei giudizi in tema di accertamento dei redditi delle società di persone, secondo la Corte di Cassazione. – 3.1. (Segue). Considerazioni critiche. – 4. Il litisconsorzio necessario nei giudizi tributari nei quali sono in discussione l’attribuita qualità di socio occulto o l’esistenza di una società di fatto. – 4.1. (Segue). Sulla natura di tale caso di litisconsorzio. – 5. Cenni a proposito della condizione della società di persone cancellata dal registro delle imprese

 

 

1. Nell’ordinanza 16 febbraio 2023, n. 5007, la Sezione tributaria della Corte Suprema dà continuità a indirizzi noti in materia di accertamenti riguardanti le società di persone.

Il giudizio nell’ambito del quale è stata pronunciata l’ordinanza che si commenta si caratterizza per la circostanza che, da un lato, con l’accertamento impugnato l’Agenzia determina il maggio reddito (insieme a maggiori IRAP e IVA) di una società di persone; dall’altro, con lo stesso atto un soggetto estraneo alla compagine sociale è qualificato socio e amministratore occulto, con le evidenti conseguenze in ordine alla rideterminazione delle quote di partecipazione e all’imputazione del reddito societario. A ciò si aggiunga che la società era già estinta prima dell’emissione e della notifica dell’accertamento.

Ad avviso della Corte, quindi, la necessità che il processo si svolga con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, vale a dire i soci di fatto e di diritto destinatari (a prescindere dalla notifica nei loro confronti) dell’atto che vi ha dato origine, deriva da due ragioni convergenti.

In primo luogo, è ribadito il principio – espresso a partire dal noto arresto delle Sezioni Unite, 4 giugno 2008, n. 14815 – che il giudizio d’impugnazione degli accertamenti ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta regionale sulle attività produttive emessi nei confronti di una società di persone e dei soci, riguardando «inscindibilmente» l’una e gli altri «è affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in caso di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti soci, che sono litisconsorti necessari».

Inoltre, la Cassazione conferma che «il giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento promosso dal socio di fatto di una società di persone, che pure contesti tale qualità, deve svolgersi nel contraddittorio tra la società ed i soci della stessa, perché la relativa decisione non può conseguire il suo scopo, ove non sia resa nei confronti di tutti questi soggetti» (lo stesso principio è espresso in Cass., 14 aprile 2023, n. 10077; Cass., 3 ottobre 2018, n. 24025; Cass., 22 dicembre 2017, n. 30826; Cass., 27 luglio 2016, n. 15566; Cass., 25 giugno 2014, n. 14387, tutte della Sezione tributaria, nelle quali sono richiamate Cass., Sez. I, 4 gennaio 2005, n. 121, Cass., Sez. III, 12 marzo 2004, n. 5119, e Cass., Sez. I, 19 aprile 1991, n. 4226).

2. L’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior reddito imponibile, maggiori imposte (IVA, IRAP) e accessori con riguardo alla ritenuta partecipazione ad operazioni oggettivamente inesistenti da parte di una società in accomandita semplice poi cancellata dal registro delle imprese.

Dal testo dell’ordinanza non si ritrae con certezza se sia stato emesso un unico avviso o più, nei confronti della società e/o dei soci, tra i quali quello occulto; tuttavia, dalla presenza fra i motivi d’impugnazione anche di quelli attinenti all’invalidità dell’atto impositivo perché emesso nei confronti di società già estinta, e alla violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 600/1973 (in base al secondo comma del quale «alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni indicate nell’art. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, si procede con unico atto ai fini dell’imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati») parrebbe di potersi desumere che l’accertamento sia stato emesso nei confronti della società e notificato ai soci (tutti?) di diritto e a quello asseritamente occulto. La menzione congiunta di IRPEF, IRAP e IVA tra le imposte accertate non è chiarificatrice, la società (anche quando non estinta) non è soggetta a IRPEF e i soci della S.a.s. estinta rispondono delle relative obbligazioni a diverso titolo: in quanto titolari del reddito di partecipazione, con riguardo all’imposta reddituale, in quanto responsabili dei debiti sociali, per le altre, ai sensi degli artt. 2312, comma 2, e 2324, c.c..

Il ricorso è stato proposto, oltre che dall’asserito socio e amministratore occulto, da uno dei soci di diritto, deducendo diversi motivi d’impugnazione, in particolare – come si desume dal testo dell’ordinanza – la violazione del litisconsorzio necessario tra la società ed i soci e delle disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, in materia di garanzie difensive, l’illegittima applicazione del raddoppio dei termini di accertamento, l’invalidità dell’atto impositivo perché emesso nei confronti di società già estinta, la violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 600/1973. Era censurato, inoltre, il calcolo della ripartizione dei proventi come arbitrariamente operato dall’Agenzia.

Il giudice di prime cure «accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo, ritenendo che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di esercitare la pretesa tributaria, non potendo avvalersi del raddoppio dei termini conseguente alla ipotizzata commissione di reati, a causa della mancata produzione della denuncia presentata all’autorità giudiziaria competente».

La Commissione regionale – avanti alla quale si erano costituiti gli originari ricorrenti, riproponendo tutti i motivi dedotti – riformava parzialmente la sentenza appellata ritenendo che ricorressero i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento, eccezion fatta per quanto attiene all’IRAP, e quindi «corretta la ripartizione del provento dell’attività illecita così come operato dall’Ente impositore».

Le doglianze relative alla mancata integrazione del contraddittorio processuale in un’ipotesi di litisconsorzio necessario, trascurate nei gradi di merito, hanno trovato accoglimento da parte della Corte di Cassazione, adita dal solo (asserito) socio e amministratore occulto, la quale ha cassato la sentenza d’appello rinviando il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di primo grado.

3. La ragione per cui nell’ordinanza si ravvisa, nel caso di specie, la necessità del litisconsorzio è, come già osservato, duplice. La violazione del contraddittorio processuale che ha dato luogo all’annullamento della sentenza d’appello e la necessità di celebrare nuovamente e da principio il processo derivano dal convergere, nella fattispecie, di due distinte ipotesi di pluralità necessaria di parti individuate dalla Cassazione.

È noto, anzitutto, che –  con un orientamento costantemente ribadito a partire dalla già richiamata sentenza delle Sezioni Unite 4 giugno 2008, n. 14815 (dalla quale sono tratte le trascrizioni che seguono) –  la Corte, muovendo dalla premessa che quello dei redditi delle società di persone, ai sensi dell’art. 40 D.P.R. n. 600/1973, sia «un accertamento unico … che riguarda inscindibilmente una pluralità di soggetti», impugnando il quale «sia la società che i soci … contestano l’obbligazione tributaria nel suo complesso e, conseguentemente, pro quota», ravvisa nelle relative controversie un litisconsorzio necessario originario che coinvolge, appunto, società e soci (ad avviso della Cassazione si ravvisa un caso di «inscindibilità» ogni qualvolta «la fattispecie costitutiva dell’obbligazione – risultante dai contenuti concreti dell’atto autoritativo impugnato – sia connotata da elementi comuni ad una pluralità di soggetti e l’impugnazione proposta da uno o più degli obbligati investa direttamente siffatti elementi»).

L’asserita unicità dell’atto di accertamento emesso nei confronti della società e la consequenzialità del riparto tra i soci del reddito accertato in capo alla società medesima, costituiscono, in tale prospettiva, il presupposto unitario che determina di per sé la situazione tipica del litisconsorzio necessario originario. La società e tutti i soci devono quindi essere parti dello stesso processo, che ha per oggetto la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori, dalla quale deriva l’obbligazione costituita dall’atto impugnato.

Dal riconoscimento che l’accertamento dei redditi delle società di persone e dei soci integra un’ipotesi di litisconsorzio necessario originario, la Cassazione trae le conseguenze che, se il ricorso è proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, il giudice adito – a meno che non sia possibile disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente – deve ordinare l’integrazione del contraddittorio e che è nullo il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti.

L’esigenza che il giudizio venga nuovamente celebrato da principio una volta integrato il contraddittorio, trova temperamento solo nelle ipotesi in cui (a) «ciascuna parte sia pienamente consapevole dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti»; (b) «vi sia identità oggettiva quanto a causa petendi»; (c) «vi sia stata simultanea proposizione dei ricorsi avverso l’unitario avviso di accertamento posto a fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società, sia di tutti i suoi soci»; (d) «vi sia identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici e degli esiti delle cause». In tali casi, «la ricomposizione successiva del contraddittorio costituisce … ripristino dell’unicità della causa in attuazione del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo, evitando che con la altrimenti necessaria declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali, ove il contraddittorio litisconsortile sia stato sostanzialmente rispettato» (così, da ultimo, Cass, Sez. V, 13 aprile 2023, n. 9894).

Il caso di specie presenta, come detto, delle peculiarità – la già avvenuta cancellazione della società, che non può quindi essere destinataria della notifica dell’accertamento, né parte del processo, l’individuazione del socio e amministratore occulto – e tuttavia quelli accertati sono effettivamente redditi di una società di persone, imputati ai soci pro quota quali redditi di partecipazione: di qui, ad avviso della Corte, l’applicazione della regola del litisconsorzio necessario originario.

3.1. Quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di accertamento dei redditi di partecipazione ha tutte le caratteristiche di una figura di litisconsorzio necessario propter opportunitatem (a proposito tale modello si veda Consolo C., Spiegazioni di diritto processuale civile. Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, vol. II, XII ed., Torino, 2019, 106) di genesi giurisprudenziale, giustificata non già dalla natura unitaria e inscindibile della situazione soggettiva sostanziale, bensì dalla necessità di evitare un conflitto logico di giudicati che, ad avviso della Corte, sarebbe contrario ai principi di capacità contributiva ed imparzialità dell’Amministrazione finanziaria. Una conferma di tale inquadramento si rinviene nella circostanza che, nelle sentenze che abbracciano l’orientamento in parola, non è mai menzionata la conseguenza, tipica del litisconsorzio necessario in senso proprio, per cui la sentenza pronunciata a contraddittorio non integro è inidonea a produrre effetti anche fra le parti del processo (inutiliter data) (cfr., in proposito, Albertini F.V., La pluralità di parti nel processo tributario, II ed., Torino, 2017, 71, e Coppa D., Accertamento dei redditi prodotti in forma associata e litisconsorzio necessario, in Rass. trib., 2008, 4, 1004).

Nella sentenza n. 14815/2008 si legge, precisamente, che «il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 11 Cost., comma 2, e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio»; che «la mancata integrazione del contraddittorio comporta la nullità di tutte le attività processuali conseguenti (artt. 156 e 159 c.p.c.) ed il regresso del processo in primo grado», ed altresì che «gli effetti del giudicato di annullamento non si estendono al socio nei cui confronti sia intervenuto, intanto, un giudicato diretto di segno contrario, che abbia avallato l’accertamento effettuato dall’ufficio».

È noto che una parte della dottrina (in particolare chi scrive) critica le premesse teoriche di tale orientamento, che si rinvengono nella ritenuta disomogeneità fra le previsioni dell’art. 102, c.p.c., e 14, comma 1, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e quindi nel diverso fondamento del litisconsorzio necessario nel processo civile, da un lato, e in quello tributario, dall’altro; nella tendenza giurisprudenziale ad ammettere ipotesi di litisconsorzio necessario propter opportunitatem al di là dei casi previsti dalla legge; nell’orientamento consolidato della Corte Suprema in ordine alla natura e all’oggetto del processo tributario; infine in una lettura suggestiva dei principi di cui agli artt. 3 e 53, comma 1, Cost., che tende ad estendere l’applicazione dei principi di uguaglianza e capacità contributiva al di fuori della disciplina sostanziale (si vedano, tra gli altri, Coppa D., Accertamento dei redditi prodotti in forma associata e litisconsorzio necessario, cit., 1010 s.; Glendi C., Le SS.UU. della Suprema Corte s’immergono ancora nel gorgo del litisconsorzio necessario, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 11, 933, e Nussi M., A proposito di accertamento unitario del reddito delle società di persone e litisconsorzio necessario (verso un processo tributario sulle questioni?), in GT – Riv. giur. trib., 2008, 9, 773).

Problematici sono parimenti i corollari dell’impostazione in commento. Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza che l’inevitabile compartecipazione al giudizio viene imposta dalla Cassazione «senza distinguere tra gli scenari possibili a livello di procedimento amministrativo sottostante» (così Marcheselli A., Plurisoggettività tributaria, procedimento e processo, in GT – Riv. giur. trib., 2007, 12, 1065 s., analogamente Muscarà S., L’eterogenea vicenda del litisconsorzio necessario: urgenze organizzative delle Commissioni tributarie e primi “ravvedimenti operosi” della Cassazione ai fini della decongestione dello scaturente contenzioso, in Riv. dir. trib., 2011, 3, I, 19 s.).

Nella sentenza capostipite dell’orientamento in materia di giudizi sugli atti di accertamento dei redditi prodotti in forma associata (la n. 14815/2008) le Sezioni Unite sono costrette a compiere un notevole sforzo ricostruttivo per costringere tutte le possibili evenienze della pratica nello schema, eccessivamente rigido, del simultaneus processus, giungendo, tra l’altro, a comprendere fra le parti necessarie del giudizio sia soggetti ai quali l’accertamento (unitario o individuale, a seconda dei casi) non è stato e non sarà mai tempestivamente notificato, sia soggetti nei confronti dei quali il termine per impugnare l’annullamento è già inutilmente decorso (in proposito, sia consentito il rinvio a Albertini F.V., La pluralità di parti nel processo tributario, cit., 83 ss.). Invero, la regola del simultaneus processus non esime l’Amministrazione dal notificare (validamente e tempestivamente) gli atti ai soggetti nei confronti dei quali intende far valere la pretesa impositiva (così espressamente Cass., S.U. 4 giugno 2008, n. 14815, sub 2.6).

4. Parallelamente all’accertamento del maggior reddito della società, nell’atto impugnato, l’Agenzia imputa al soggetto formalmente estraneo alla compagine sociale, la qualità di socio e amministratore occulto e gli attribuisce una quota di partecipazione agli utili: dalla qualifica di socio occulto derivano l’imputazione del reddito di partecipazione e la responsabilità per i debiti d’imposta della società estinta (l’accertamento, come detto, riguardava parimenti IRAP e IVA).

Dall’ordinanza in commento e dalla giurisprudenza conforme della Corte di Cassazione si ricava, in primo luogo, che è ritenuto legittimo che non soltanto la rideterminazione delle quote di partecipazione, ma la stessa attribuzione della qualità di socio (la quale produce, evidentemente, effetti sulle quote di partecipazione) siano compiute, ai fini fiscali, in un avviso di accertamento.

Per quanto attiene al piano processuale, dal testo dell’ordinanza si ritrae che, se non la stessa qualità di socio occulto, almeno oggetto di contestazione in giudizio è «il calcolo della ripartizione dei proventi» e, quindi, la quota di partecipazione al reddito della società.

Anche questo tipo di controversie soggiace, secondo la giurisprudenza, alla regola del litisconsorzio necessario. Le controversie che riguardano la composizione del gruppo sociale comportano, ad avviso della Corte Suprema – il simultaneus processus con riguardo a tutti i soggetti coinvolti, dato che la partecipazione necessitata al processo di un numero di parti maggiore delle normali due «ricorre non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, ma anche laddove, per la particolare natura o configurazione del rapporto giuridico dedotto in giudizio e per la situazione strutturalmente comune ad una pluralità di soggetti, la decisione non possa conseguire il proprio scopo se non sia resa nei confronti di tutti questi soggetti» (così Cass., Sez. V, 27 luglio 2016, n. 15566; inoltre Cass., Sez. V, 12 novembre 2021, n. 33694, Cass., Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 24025; Cass., Sez. V, 22 dicembre 2017, n. 30826, e Cass., Sez. V, 25 giugno 2014, n. 14387).

Per quanto attiene all’individuazione dei litisconsorti coinvolti, alcune pronunce vi ricomprendono espressamente anche la società (oltre all’ordinanza in commento, Cass., Sez. V, 22 dicembre 2017, n. 30826), altre non recano indicazioni in proposito, altre la escludono (si legge in Cass., S.U., 4 giugno 2008, n. 14815, nel par. 2.6, che «non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci quando il contribuente svolga una difesa sulla base di eccezioni personali, come la qualità di socio …, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci (nel qual caso il vincolo del litisconsorzio opera soltanto nei confronti di tutti i soci)». Nella sentenza della Sezione III, 12 marzo 2004, n. 5119, resa in un processo civile in materia di accertamento dell’esistenza di una società di fatto, la Cassazione stabilisce che «non essendo la società di persone dotata di personalità giuridica e godendo soltanto di autonomia patrimoniale, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale società, normalmente accompagnandosi alla rappresentanza negoziale anche quella processuale, è sufficiente che siano presenti in giudizio tutti i soci, nei quali, infatti, sia dal punto di vista sostanziale che formale, si esaurisce la società»).

Occorre, in ogni caso, considerare la fattispecie concreta, nella quale la società personale potrebbe essere estinta, avendo quindi perso anche la capacità processuale (come nel caso che ci concerne), o essere in discussione la stessa esistenza di una società di fatto e non soltanto la presenza di ulteriori soci occulti, in aggiunta a quelli di diritto. Si consideri, inoltre (come ricordato nel paragrafo 3 che precede) nelle controversie in materia di accertamento dei redditi di partecipazione, la giurisprudenza coinvolge nel simultaneus processus anche la società.

4.1. Dalla motivazione dell’ordinanza in commento non emergono elementi decisivi per comprendere a quale tra i «modelli ricostruttivi» (l’espressione è di Consolo C., Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., 104 s., al quale si rinvia per la disamina di tali modelli) del litisconsorzio necessario identificati dalla dottrina del processo civile sia ascrivibile quello individuato dalla Corte, se in senso proprio ovvero propter opportunitatem.

Da un lato, il riferimento alla «situazione strutturalmente comune ad una pluralità di soggetti» e alla decisione che non può «conseguire il proprio scopo se non sia resa nei confronti di tutti questi soggetti» – tratti da pronunce emesse in giudizi estranei alla materia tributaria e concernenti casi di pluralità necessitata di parti nel processo civile (ci si riferisce a Cass., Sez. I, 4 gennaio 2005, n. 121, riguardante la cessazione di un consorzio; a Cass., Sez. III, 12 marzo 2004, n. 5119, in materia di accertamento dell’esistenza di una società di fatto; a Cass., Sez. I, 19 aprile 1991, n. 4226, in materia di accertamento della qualità di socio accomandatario, tutte espressamente richiamate in motivazione da Cass. n. 33694/2021, Cass. n. 15566/2016 e Cass. n. 14387/2014, sopra citate) – riecheggiano quei concetti di rapporto plurilaterale dedotto in giudizio e di radicale inefficacia della sentenza (c.d. inutiliter data) che costituiscono presupposto ed effetti della mancata realizzazione del litisconsorzio necessario in senso proprio. La Corte Suprema ha osservato, inoltre, che «la controversia diretta al riconoscimento della qualità di socio in una società personale implica necessariamente una diversa distribuzione della quota sociale, venendo ad interessare direttamente la componente stessa del gruppo sociale»; ne consegue che «litisconsorti necessari nel relativo processo sono tutti i soci, oltre la società, in quanto la partecipazione ad una società personale non si esaurisce nel rapporto fra partecipazione e società stessa, riflettendosi e compenetrandosi con i rapporti fra i singoli soci, ciascuno dei quali è interessato, siccome illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali, al numero ed alla persona dei consoci» (la citazione è tratta da Cass., Sez. III, 12 marzo 2004, n. 5119).

Tuttavia, in una delle pronunce della Sezione tributaria, espressione dell’orientamento in esame – ma resa in un giudizio concernente una diversa vicenda d’impugnazione di un accertamento del maggior reddito di una S.r.l. a ristretta base partecipativa, nell’ambito del quale era attribuita ad alcuni soggetti formalmente estranei alla compagine sociale la qualifica di soci di fatto, giudizio nel quale ricorrente era solo uno degli asseriti soci di fatto – la Cassazione, dopo aver ribadito che «nelle ipotesi in cui si contesti la configurabilità di una società di fatto, e comunque la partecipazione ad una società di fatto … la controversia ai fini della pretesa tributaria comporta l’insorgenza del litisconsorzio necessario di tutti i soggetti coinvolti», precisa che «qualora eventuali pronunce definitive abbiano escluso tutti o parte degli altri quattro soci dall’appartenenza alla compagine sociale, il contraddittorio dovrà integrarsi solo nei confronti di coloro per i quali sia stata riconosciuta la qualità di socio di fatto, e, se tutti esclusi, con la sola società» (Cass., Sez. V, 12 novembre 2021, n. 33694).

Se ne è dedotto, da parte di attenta dottrina (Bianchi L., Soci di fatto di società di capitali e presunzione da “ristretta base”: gli incerti confini del litisconsorzio necessario tributario propter opportunitatem, in Dir. prat. trib., 2022, 6, 2287 ss., a 2305 s.), che dunque «la sentenza nei confronti del socio di fatto resa a contraddittorio non integro può ben raggiungere ugualmente lo “scopo” suo proprio in presenza di giudicati contrastanti, nonostante questi ultimi siano a loro volta tra loro potenzialmente contraddittori e si siano generati in violazione del vincolo litisconsortile». Si tratta, come puntualmente rileva tale dottrina, di circostanza che «risulta non pienamente coerente con le premesse d’unitarietà sostanziale del rapporto plurisoggettivo … e d’impossibilità di produzione di effetti essenziali da parte della sentenza» e quindi sintomatica di un’ipotesi di litisconsorzio processuale propter opportunitatem.

Al di là delle peculiarità del caso a cui si riferisce la pronuncia da ultimo richiamata, occorre considerare che differenti sono natura e struttura del processo avanti alla Corti tributarie rispetto a quello civile e, come ricordato, secondo la giurisprudenza il litisconsorzio necessario si atteggia, alla luce dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, diversamente nei due processi. Inoltre, l’attribuzione della qualifica di socio di fatto da parte dell’Agenzia delle Entrate in un avviso di accertamento non ha effetti, si ritiene, che nei rapporti che coinvolgono l’Agenzia stessa. E tuttavia, gli argomenti e le formulazioni utilizzati tralatiziamente, come detto, dalla Sezione tributaria generano qualche incertezza.

5. Si è già osservato (retro, par. 2) che dal testo dell’ordinanza non si ritrae con sicurezza se sia stato emesso un unico avviso o più, nei confronti della società e/o dei soci, compreso quello asseritamente occulto e, tuttavia, parrebbe di potersi desumere che l’accertamento sia stato emesso nei confronti della società e notificato all’asserito socio occulto. I ricorrenti hanno dedotto l’invalidità dell’atto impositivo perché emesso nei confronti di società già estinta, ma la Cassazione non ha avuto modo di pronunciarsi su tale motivo.

Pare interessante, nondimeno, richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza recente in materia di pretese fiscali rivolte nei confronti dei soci dopo l’estinzione della società, non senza precisare che non risulta applicabile nel caso di specie, l’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014, secondo il quale «ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese». Al di là del fatto che la norma è dettata per le società di capitali, al momento della notifica dell’avviso di accertamento la S.a.s. della quale è causa era stata cancellata dal registro delle imprese da poco più di sei anni.

Occorre muovere, quindi, dalla previsione dell’art. 2495 c.c., come modificato dall’art. 4 D.Lgs. n. 6/2003, norma dettata per le società di capitali, ma alla quale la Cassazione riconosce «effetto espansivo» anche con riguardo alle società di persone, cosicché «anche per esse si produce l’effetto estintivo conseguente alla cancellazione, sebbene per queste ultime la relativa pubblicità conservi natura dichiarativa». (così Cass., Sez. V, 28 dicembre 2017, n. 31037; inoltre Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4062, e, ad esempio, Cass., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 13136).

Tuttavia, «qualora all’estinzione della società … non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, il che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente … responsabili per i debiti sociali» (Cass., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 13136, inoltre Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21188). Si rammenta che, ai sensi dell’art. 2312, comma 2, c.c., a seguito della cancellazione della società personale dal registro delle imprese, «i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci»; tale previsione è completata, per quanto attiene ai soci accomandanti, dal disposto dell’art. 2324 c.c., che ne limita la misura della responsabilità alla quota di liquidazione.

Per quanto attiene, in particolare, ai soci illimitatamente responsabili, essi, quali «peculiari successori della società in maniera non dissimile a quanto avviene per gli eredi nei confronti del soggetto deceduto, subentrano … in tutti i rapporti facenti capo all’ente, e dunque anche nei debiti della società estinta» (Cass., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 13136, e Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21188).

Da tali premesse, la giurisprudenza, ha tratto quali corollari che l’Agenzia delle Entrate possa iscrivere a ruolo a nome della società estinta tributi dalla stessa non versati, ai sensi dell’art. 12, comma 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in vista della riscossione nei confronti dei soci, «sia perché coobbligati solidali, sia perché, comunque, successori “ex lege” della società medesima» (così Cass., Sez. V, 28 dicembre 2017, n. 31037, nella quale è richiamato il principio elaborato dalla giurisprudenza con riguardo al contribuente persona fisica, in base al quale il ruolo deve essere formato a nome del contribuente anche dopo il suo decesso e quindi «può ben verificarsi che il ruolo sia intestato al defunto e che tenuti al pagamento siano i suoi eredi»; inoltre Cass., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 13136), sia che è «legittima la notifica della cartella relativa ad una società in nome collettivo cancellata dal registro delle imprese, eseguita nei confronti dei soci della medesima per farne valere la responsabilità solidale, in quanto all’obbligazione della società si aggiunge, secondo il disposto dell’art. 2312 c.c., comma 2, quella dei singoli soci» (Cass., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 13136).

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