La “discrezionalità” dell’agente nella configurabilità dell’omesso versamento IVA a fronte dell’eccessivo rigorismo del giudice di legittimità
Di Giovanna Petrillo
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(commento a/notes to Cass., 23 gennaio 2023, n. 2613)
Abstract
La pronuncia della Suprema Corte in commento, nel confermare l’automatismo per cui la scelta di non pagare l’IVA proverebbe di per sé il dolo, si presta ad una riflessione riguardante i limiti alla punibilità della fattispecie delittuosa dell’omesso versamento IVA nelle ipotesi in cui il contribuente versi in una impossibilità anche meramente relativa di adempiere ai propri obblighi di imposta.
Failure to pay VAT: taxpayer’s choice and the strict interpretation of the Supreme Court. – The article analyses the limits of the punishment of the incriminating case referred to in article 10 ter d.lgs. n. 74/2000, in the hypothesis in which the taxpayer finds it impossible not only absolute but also merelyrelative to fulfill his tax obligations.
Sommario:1. L’enfatizzazione ad opera del giudice di legittimità dell’esistenza di un obbligo da parte del contribuente di accantonare le somme dovute all’Erario al fine dell’adempimento. – 2. I limiti del richiamo all’esimente della forza maggiore. – 3. Una ulteriore via percorribile: le valutazioni in termini di “colpevolezza” ed i relativi deficit in termini di “prevedibilità” dell’incriminazione. – 4. Nota di sintesi
1. La pronuncia in commento si colloca nel solco di un consolidato trend giurisprudenziale volto ad anticipare il disvalore penale della fattispecie di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 riconducendolo non già all’omesso versamento ma al mancato accantonamento (peraltro di fonte extralegale) da parte dell’imprenditore. Ciò ha comportato – considerando sia i diversi profili con cui si manifesta in concreto la crisi di liquidità che l’allargamento della tipicità del delitto in discorso e il conseguente rischio di punire condotte meramente caratterizzate dalla violazione delle regole di buona amministrazione dell’impresa – una sostanziale difficoltà di inquadramento sistematico delle ipotesi di giustificazione incentrate sulle condizioni di illiquidità delle imprese (in argomento, diffusamente, si veda Flora G., Non avrai altro creditore all’infuori di me! Riflessioni sparse sul delitto di omesso versamento IVA, in Discrimen, 9 novembre 2020, 94).
Ed è proprio riguardo alla definizione dei limiti di punibilità delle fattispecie in cui il contribuente versi in una impossibilità non solo assoluta, ma anche meramente relativa di adempiere al proprio obbligo di imposta, che la pronuncia in commento offre alcuni significativi spunti di riflessione in ordine all’attuale formulazione dell’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 strutturato, come è noto, come reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, punibile a titolo di dolo generico (sulla configurabilità del dolo generico Cass., sez. un., 12 settembre 2013, n. 37425 e n. 37424, cit.; Cass. pen., sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266; Id., 17 gennaio 2013, n. 9578, in Riv. dir. trib., 2013, III, 41 ss.).
Detta prospettazione dell’elemento psicologico finisce, infatti, per ampliare decisamente ed eccessivamente il perimetro della configurabilità dell’illecito tanto da farne fondatamente dubitare della compatibilità con la stessa logica ispiratrice posta a fondamento del D.Lgs. 24 marzo 2000, n 74 (si veda in tal senso, Lanzi A. – Aldovrandi P., Diritto penale tributario, III ed., 2017, Alphen aan den Rijn, 506).
In questo contesto può inquadrarsi l’iter argomentativo seguito, nella fattispecie in esame, dal Supremo Collegio che si è espresso nel senso che, per la configurabilità dell’elemento soggettivo della fattispecie di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000, è sufficiente, stante la struttura di reato omissivo proprio a consumazione istantanea (Cass. pen., sez. III, n. 14595/2018), la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall’obbligato, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore.
Ciò premesso, è stato evidenziato che il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può pertanto determinare l’inadempimento dell’obbligo fiscale (il richiamo è a Cass., sez. III, n. 12906/2018).
A fronte di tanto, è stata respinta la tesi difensiva dell’imputato, legale rappresentante di una società, che nel contestare l’affermata esistenza del dolo sosteneva di essersi trovato in una situazione oggettiva di crisi di liquidità, e che la scelta di privilegiare il pagamento degli stipendi dei dipendenti, dei contributi previdenziali e assistenziali e delle ritenute fiscali era avvenuta in funzione della continuità aziendale nella prospettiva di superare le difficoltà economiche e di provvedere all’adempimento dei debiti fiscali.
La Suprema Corte ha in particolare richiamato i suoi precedenti orientamenti (Cass., SS.UU., sent. 28 marzo 2013, n. 37424, cfr. Cass. pen., sez. III, n. 20266/2014, n. 8352/2014 e n.16035/2019) volti a ritenere possibile la rilevanza della crisi di liquidità partendo sempre dal presupposto che per escludere la volontarietà della condotta è necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento all’obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Nel caso in esame – chiosa il giudice di legittimità –, «il contribuente ha effettuato una libera scelta, avendo incassato le somme, e non si è trovato in una situazione indipendente dalla sua volontà, ma ha preferito l’inadempimento dell’obbligo tributario, penalmente sanzionato, rispetto a scelte gestionali».
Il Supremo giudice ha chiarito, altresì, che ciò che può escludere la responsabilità è solo la forza maggiore di cui all’art. 45 c.p. Detto esimente, tuttavia, sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e, per cause indipendenti dalla sua volontà, non ci sia stata la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica (Cass., sez. V, n. 23026/2017).
Proprio perché la forza maggiore postula l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, così da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la giurisprudenza di legittimità ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare, di per sé, la forza maggiore penalmente rilevante (Cass, sez. III, n. 4529/2007).
Da tanto discende, concludono gli Ermellini, che nel caso in cui, come quello in esame, risulti che l’IVA sia stata effettivamente incassata e che le relative somme non siano state accantonate ma impiegate per autofinanziamento e per altri scopi imprenditoriali «oltre ad essere provato il dolo, l’autore dell’omesso versamento si pone volontariamente nelle condizioni di non uniformarsi alla legge, con la conseguenza che non è invocabile la forza maggiore»
Il disvalore insito nella condotta omissiva considerata viene, pertanto, ricondotto alla materiale disponibilità da parte dell’agente (e, quindi, al mancato accantonamento da parte del medesimo) delle somme destinate all’Erario (sul punto, cfr. Soana G., Crisi di liquidità del contribuente ed omesso versamento di ritenute certificate e di IVA [artt. 10 bis e 10 ter d.lgs 74/2000], in www.penalecontemporaneo.it, 7 ottobre 2013) con conseguente trasformazione di un reato di omesso versamento in un reato di mancato accantonamento, il tutto, con un evidente irragionevole spostamento all’indietro del disvalore penale del fatto (in tal senso, Flora G., Non avrai altro creditore all’infuori di me! Riflessioni sparse sul delitto di omesso versamento IVA, cit., 2020).
L’enfatizzazione dell’esistenza di un obbligo da parte del trasgressore di accantonare le somme dovute all’Erario al fine dell’adempimento e di cercare di reperire risorse attraverso atti di dismissione patrimoniale conduce, pertanto, ad assumere la tendenziale irrilevanza della situazione di crisi (in argomento, si veda Ficari V., Crisi di liquidità, omessi versamenti e forza maggiore: quid iuris?, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 4, 837).
2. La fattispecie analizzata dalla Suprema Corte nel caso in esame, riguarda l’ipotesi in cui il contribuente versa in una impossibilità meramente relativa di adempiere ai propri obblighi di imposta e, pur in presenza di una grave crisi finanziaria dell’azienda, disponendo comunque di liquidità sufficienti ad onorare il proprio debito tributario, preferisce destinare le somme al pagamento dei propri dipendenti per evitare la cessazione definitiva dell’attività economica.
In questo caso appare non semplice sostenere l’assenza della componente volitiva del dolo in quanto una volontà di non adempiere ai propri obblighi tributari, sebbene fortemente limitata, sussiste. Ciò posto, la Suprema Corte, come detto, limita fortemente la rilevanza “esimente” alla “impossibilità” di adempiere per mancanza delle risorse necessarie (ex multis, Cass., sez. III, n. 7644/2019; n. 9/2019; n. 39500/2017; n. 38715/2018) richiamando l’applicazione dell’istituto della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p. (in argomento, cfr. Mantovani F., Diritto penale, Parte generale, Padova, 2011, 152 che definisce la forza maggiore come istituto «senza patria». In tema si veda altresì, Giovannini A., Impossibilità di pagare le imposte nelle imprese in crisi: la forza maggiore esclude la pena?, in Corr. trib., 2012, 42, 3260, nonché più di recente Salanitro G., La forza maggiore nel diritto tributario, in Riv. dir. trib., 2022, 1, II, 70 ss.).
Il Giudice di legittimità si è, infatti, espresso nel senso che la sussistenza di un margine di scelta per l’agente esclude sempre la forza maggiore, conformandosi, così, a quegli orientamenti giurisprudenziali che, pur sostenendo che la crisi economica possa configurare un’ipotesi di forza maggiore, assumono una posizione particolarmente rigida riguardo alla dimostrazione che detta crisi abbia determinato l’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando (ex multis, cfr. Cass. n. 25317/2015; Cass. n. 30397/2016; Cass. n. 15235/2017; Cass. n. 1768/2021). In definitiva, pur integrando la situazione di illiquidità o crisi aziendale una circostanza anomala ed estranea all’operatore, sussiste comunque il dovere del contribuente di premunirsi in ordine agli effetti di detto evento (sul punto cfr. Cass., 16 giugno 2021, n. 17027; in dottrina, si veda diffusamente Logozzo M., Le cause di non punibilità, in Giovannini A. – Marzaduri E. – Di Martino A., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, 1461).
La forza maggiore che esclude la suitas della condotta, sussiste, pertanto, solo nei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al precetto, costituendo, l’esistenza concreta della possibilità di adempiere comunque all’obbligo tributario l’indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto (si veda, sul punto, Cass., sez. III, sent. 16 aprile 2015 – 8 ottobre 2015, n. 40352).
Orbene, per cercare di scalfire questo granitico orientamento che vuole la sussistenza della scriminante in questione solo quale vis cui resisti non potest, ci si potrebbe riferire, considerando che il delitto di omesso versamento di IVA è funzionale a garantire la riscossione di un tributo di rilevanza europea, all’autonoma nozione di forza maggiore elaborata dalla CGUE la quale ha specificato che la nozione in parola è composta da un elemento oggettivo, che si riferisce a circostanze anormali ed estranee all’operatore, e da uno soggettivo costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze del suddetto evento anormale, adottando misure appropriate senza tuttavia incorrere in sacrifici eccessivi.
Proprio il richiamo a quest’ultimo elemento meriterebbe una riflessione nella misura in cui potrebbe portare a scriminare anche la condotta dell’agente a cui residuerebbe una discrezionalità nell’azione che però determinerebbe sacrifici eccessivi (in tema ampiamente, si veda Bolis S., Omesso versamento di imposte a causa di pandemia: alla ricerca di un esimente di forza maggiore “vincibile” di derivazione europea, in Diritto Penale Contemporaneo, 2021, 1, 38 ss.)
In merito, sul fronte domestico, la Corte di Cassazione nel recepire il formante giurisprudenziale elaborato dalla Corte di Giustizia in tema di forza maggiore, in taluni casi non lo ha riportato fedelmente in ordine alla componente soggettiva dell’esimente (in quanto lo si è limitato alla parte in cui si riconosce la sussistenza dell’esimente in parola nel caso in cui l’agente si adopera per adottare misure appropriate per prevenire l’evento tralasciando però la parte ove ritiene che tali misure non implichino un sacrificio eccessivo per l’agente) oppure, pur citandolo in modo corretto (si veda Cass. n. 20389/2020 annotata da Ingrao G., Anche alle società in house si applicano i ristretti margini di rilevanza della crisi economica e di liquidità, nella prospettiva della non sanzionabilità dell’omesso versamento dei tributi, in Riv. dir. trib., 2022, 2, II, 89 ss.), non è giunta ad una più ampia lettura della causa di forza maggiore inclusiva anche dell’ipotesi in cui all’agente, pur vittima di circostanze esterne impreviste, residua una pur minima facoltà di determinazione.
Esclusa, tuttavia, la praticabilità di questa soluzione ermeneutica, che seppur apprezzabile, necessiterebbe comunque di un ulteriore contributo tassativizzante della stessa giurisprudenza europea, pare opportuno ricercare soluzioni interpretative alternative (che giocoforza si espongono alle innegabili distonie funzionalistiche discendenti dalla tipizzazione stessa della fattispecie racchiusa nell’art. 10-ter) quanto più possibile protese a garantire il perseguimento dell’interesse fiscale assicurando, allo stesso tempo, un bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente protetti.
Questo non solo considerando la circostanza attenuante comune prevista al n. 1) dell’art. 62 c.p., ai sensi della quale la pena inflitta al reo subisce uno sconto fino a un terzo del suo ammontare laddove quest’ultimo abbia «agito per motivi di particolare valore morale o sociale» (circostanza peraltro non riconosciuta nel pronunciamento in commento ma, diversamente, ammessa da Cass. pen., sent. n. 10084/2020, che ha rinvenuto la sussistenza dell’attenuante in parola in capo all’imprenditore che aveva omesso il versamento IVA in favore della liquidazione della retribuzione ai propri dipendenti) ma soprattutto avendo riguardo al profilo della colpevolezza intesa in termini di “effettiva ragionevolezza” del rimprovero mosso dall’ordinamento dinanzi ad un fatto oggettivamente antigiuridico.
Con la sentenza 13 dicembre 1988, n. 1085 la Consulta sottolinea infatti che «affinché l’art. 27 primo comma Cost. sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresìindispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati». Ulteriori importanti indicazioni sono altresì fornite dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza 24 luglio 2007, n. 322 nella quale si statuisce che il principio di colpevolezza «si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatrici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell’applicazione delle disposizioni vigenti».
3. A fronte dell’esigenza di riservare l’impunità per l’imprenditore in crisi acuta di liquidità, può, dunque, richiamarsi (con le opportune limitazioni) la dimensione normativa della colpevolezza (in tema cfr. Ingrao G., Crisi di liquidità da coronavirus e omesso versamento dei tributi: quali conseguenze sanzionatorie amministrative e penali?, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, I, 17 ss.). Si potrà, in pratica, ragionare sulla configurabilità dello stato di necessità quale scusante operante sul piano della colpevolezza intesa non nella concezione psicologica (cioè della relazione fatto autore in termini di dolo o colpa) ma in termini di valutazione dell’agire in base alla rimproverabilità dell’autore.
Detta ipotesi ricostruttiva si conforma al caso in cui si determina, in capo al contribuente/imputato, un conflitto di doveri entrambi di rilevanza costituzionale: da un lato il dovere di pagare le imposte (in una logica di tutela dell’interesse erariale alla riscossione), dall’altro l’adempimento del dovere di cui agli artt. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica privata) e 35 Cost. (tutela dei lavoratori). Il rappresentato conflitto di doveri potrà essere risolto esclusivamente dal giudice sulla scorta di una attenta valutazione della fattispecie posta al suo esame e rimessa, comunque, al suo discrezionale apprezzamento con conseguenti evidenti criticità in termini di prevedibilità dell’incriminazione.
Sempre avendo riguardo alla tematica della legittimazione sostanziale cui riferire la pena intesa nel suo contenuto intrinseco di «sofferenza legalmente inflitta» che conferisce rilievo primario al giudizio di colpevolezza (così, Padovani T., Teoria della colpevolezza e scopi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 822) potrebbe verificarsi, altresì, la praticabilità di un ulteriore orientamento esegetico che reputando non sussistenti gli estremi della forza maggiore e non escludendo il dolo, giunge comunque ad escludere la colpevolezza intesa «come inesigibilità soggettiva della condotta doverosa omessa» (in merito si veda Trib. Milano, 15 dicembre 2015, dep. 18 febbraio 2016, n. 13701). Il riferimento sarebbe alla inesigibilità evocativa della categoria delle “scusanti” incentrate sulla non rimproverabilità dell’atteggiamento anti-doveroso della volontà dell’agente la cui “decisione” di agire si è formata sotto la spinta emotiva di circostanze straordinarie condizionanti (in questi termini, v. Flora G., Non avrai altro creditore all’infuori di me! Riflessioni sparse sul delitto di omesso versamento IVA, cit., 96).
Anche il richiamo operato alla categoria giuridica della “inesigibilità”, caratterizzata come è noto da genericità e vaghezza, rischierebbe però di determinare una eccessiva discrezionalità nell’applicazione giurisprudenziale a cui verrebbe rimesso il delicato compito di stabilire quale condotta conforme al precetto è esigibile e quale invece no, in contrasto con i principi del nullum crimen sine lege e di uguaglianza (così Flora G., Crisi di “liquidità” ed omesso versamento di ritenute e di IVA: una questione davvero chiusa?, in Rass. trib., 2014, 4, 906)..
Bisogna sempre tener presente, infatti, che la valorizzazione delle condizioni di illiquidità dell’impresa deve essere necessariamente rapportata all’osservanza dei principi di conoscibilità dell’incriminazione e di prevedibilità delle sue conseguenze. In definitiva, è evidente che le valutazioni in termini di “colpevolezza”, purché rispettose della loro corretta collocazione dogmatica, rappresentano un efficace modulo di sintesi delle diverse istanze garantistiche teso a recuperare la logica di un’azione punitiva che assicuri la persistenza e la vitalità dell’impresa da intendersi come valore generale da tutelare. Esse scontano tuttavia con pari evidenza un deficit, non di poco conto, in termini di “prevedibilità” dell’incriminazione da parte dei soggetti destinatari considerando la difficoltà dell’interprete nel definire i limiti della punibilità o meno nelle ipotesi considerate.
Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è consolidata nel ritenere che il principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7 CEDU si fonda sull’equiparazione tra il diritto di fonte legislativa e quello di creazione giurisprudenziale, sempre che in entrambe le ipotesi, vengano garantite le componenti qualitative della legalità, integrate dall’accessibilità al precetto (accessibility) e dalla prevedibilità delle conseguenze giuridiche discendenti dalla propria condotta (foreseeability). Nell’ottica della CEDU, infatti, si predilige una concezione della legalità penale tesa a valorizzare l’accessibilità e prevedibilità delle norme indipendentemente dalla legalità-fonte (in argomento, si vedano: Viganò F., Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Paliero C.E. – Moccia S. – De Francesco G. – Insolera G. – Pelissero M. – Rampioni R. – Risicato L., a cura di, La crisi della legalità. Il «sistema vivente» delle fonti penali, Atti del Convegno dell’Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, Napoli 7- 8 novembre 2014, Napoli, 2016, 213-265; Maiello V., Consulta e CEDU riconoscono la matrice giurisprudenziale del concorso esterno, in Diritto penale e processo, 2015, 8, 1019 ss.; Zagrebelsky G., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il principio di legalità nella materia penale, in Manes V. – Zagrebelsky G., a cura di, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, Milano, 2011, 74 ss.; Lanzi A., Error iuris e sistema penale, Torino, 2018, 139 ss.; Santangelo A., Ai confini tra common law e civil law: la prevedibilità del divieto nella giurisprudenza di Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 1, 332 ss.). Da tanto discende che il principio di legalità penale, considerato in una logica europea, amplia la tutela della libertà individuale quale autodeterminazione andando a ricomprendere nella preventiva conoscibilità del rischio penale anche la prevedibilità degli orientamenti della giurisprudenza in merito al reato configurabile ed al relativo trattamento punitivo.
4. Dall’esito dell’analisi compiuta è emerso che la condotta omissiva tributaria considerata, in particolare se avvalorata dall’intento adeguatamente comprovato di provvedere comunque al soddisfacimento dell’obbligazione tributaria, presenta un disvalore difficilmente percepibile dal tessuto sociale e di dubbia conformità alla logica di proporzionalità dello stesso sistema sanzionatorio (riguardo ad un inquadramento del principio di proporzionalità delle limitazioni dei diritti fondamentali inteso in termini di mezzo per assicurare un controllo più incisivo sulla legittimità costituzionale delle scelte di criminalizzazione compiute dal legislatore sulla scorta dei principi di offensività ed ultima ratio, si veda Recchia N., Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione ed ingerenza nei diritti fondamentali, Torino, 2020; Mazzacuva F., Il principio di proporzionalità delle sanzioni nei recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale: le variazioni sul tema rispetto alla confisca, in Legislazione penale, 2020, 12; Manes V., Principio di proporzionalità. Scelte sanzionatorie e sindacato di legittimità, in Garofoli R. – Treu T., a cura di, Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 104 ss.).
Alla luce della valenza del richiamato principio non sono, pertanto, per nulla condivisibili quegli orientamenti giurisprudenziali sproporzionatamente aggressivi che la giurisprudenza di legittimità ancora oggi mantiene relativamente al delitto omissivo tributario in oggetto, sulla scorta dei quali il rispetto dei contenuti dell’obbligazione d’imposta deve essere assicurato sempre e comunque anche quando questo viene a determinare una eccessiva compromissione di altri valori ed interessi quali la continuità aziendale o il diritto dei lavoratori a percepire lo stipendio.
In particolare, il pericolo che si corre seguendo il consolidato percorso argomentativo del Giudice di legittimità è di introdurre, ad opera della giurisprudenza, un obbligo – quello dell’accantonamento dell’imposta – che non è previsto normativamente con manifesta lesione del principio costituzionale della riserva di legge in materia penal tributaria (in merito, si vedano le osservazioni di Cipolla G.M., Crisi economica e configurabilità del reato di omesso versamento IVA, in Giur. comm., 2020, 1, I, 166-183) ed evidente rischio di identificare, discostandosi peraltro decisamente dall’originaria architettura del D.Lgs. n. 74/2000, forme di responsabilità oggettiva correlate all’individuazione di condotte non sorrette dal requisito della frode.
Orbene, rispetto alle storture sistematiche che caratterizzano, allo stato, l’impianto dell’illecito in oggetto, ed all’eccessivo rigore della giurisprudenza di legittimità, confermato nella pronuncia in commento, si sono vagliate, nel corso dell’indagine, ipotesi ricostruttive alternative – tese eventualmente a privilegiare il pagamento di altri creditori per evitare la cessazione definitiva dell’attività economica – che, pur perseguendo la meritoria finalità di pervenire a soluzioni più equitative, necessariamente richiedono l’apprezzamento di come il conflitto di doveri sia stato “vissuto” nel caso concreto con conseguente evidente impatto in termini di uniformità di trattamento e di prevedibilità.
In conclusione, sarebbe quanto mai auspicale un intervento del legislatore orientato alla perimetrazione della fattispecie penalmente rilevante avendo esclusivo riguardo alle condotte deliberatamente orientate all’evasione fiscale nel senso del ripristino anche per la disposizione in discorso (allo stato priva del profilo di mendacità e a dolo generico) della finalità fraudolenta. Si recupererebbero, così, omogeneità e coerenza rispetto all’impianto di fondo che caratterizzava ab origine la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 74/2000.
Del resto, la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 175/2022 – nell’accogliere la questione di legittimità dell’art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000, formulata dal Tribunale di Monza (l’ord. 27 maggio 2021 può leggersi annotata da Gianoncelli S., Omesso versamento di ritenute dichiarate: incostituzionalità del “nuovo” reato per eccesso di delega e violazione del principio di ragionevolezza?, in Riv. dir. trib., 2022, 2, III, 48), nella parte in cui sanziona l’omesso versamento non solo di ritenute certificate ma anche di ritenute dichiarate ritenendo sussistente il denunciato eccesso di delega (artt. 76 e 77 Cost.) – ha puntualmente osservato che nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, si evidenziava che il Governo, recependo i principi e criteri direttivi dell’art. 8 L. n. 23/2014, aveva inteso «ridurre l’area di intervento della sanzione punitiva per eccellenza – quella penale – ai soli casi connotati da un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all’attività di controllo».
In quest’ottica, la sussistenza della finalità fraudolenta sarebbe stata dirimente per distinguere, nel caso in cui il contribuente/ imputato abbia deliberatamente programmato l’inadempimento mettendosi nelle condizioni di non adempiere, l’ipotesi in cui alla scelta sia sottesa la volontà del soggetto agente di destinare le somme a spese non inerenti all’esercizio dell’attività imprenditoriale (in questo caso risulterebbero integrati gli elementi della fattispecie incriminatrice) da quella in cui la scelta stessa possa riferirsi alla decisione del soggetto agente di tenere, come nel caso di specie, un comportamento conforme all’esigenza di mantenere in vita l’impresa.
Una soluzione in tal senso avrebbe il sicuro pregio di garantire principi e valori di rilevanza costituzionale quali la libertà di iniziativa economica, della quale il patrimonio aziendale costituisce espressione, ed il diritto al lavoro dei dipendenti.
In conclusione, a conferma della delicatezza e complessità della tematica può richiamarsi la previsione racchiusa nell’art. 18 del disegno di legge delega per la riforma fiscale del 16 marzo 2023 che prevede tra i criteri direttivi relativi alle sanzioni penali quello di attribuire rilievo alle ipotesi di sopraggiunta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendenti da fatti imputabili al soggetto stesso.
Ciò attesta l’esigenza di rivedere gli aspetti relativi alla effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo, come si legge nella relazione illustrativa, «al fine di evitare che il contribuente debba subire conseguenze penali anche in caso di fatti a lui non imputabili». L’auspicio è che il legislatore delegato tipizzi le cause di “impossibilità”e, dunque, di esclusione del profilo soggettivo del delitto al metro del richiamato principio di proporzionalità in modo da adeguare la risposta punitiva alla specificità del caso concreto ed ai comportamenti tenuti dal soggetto, consentendo, in tal modo, di operare una distinzione fra fatti aventi disvalore eventualmente diverso.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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