Erroneo riporto a nuovo della eccedenza e neutralità dell’IVA
Di Alessandro Zuccarello
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Abstract
Nella prospettiva della Cassazione, la possibilità di recuperare le eccedenze IVA che emergono dalla dichiarazione sconta alcune limitazioni. Quando l’eccedenza sia stata erroneamente riportata a nuovo la Suprema Corte esclude che di essa possa essere chiesto il rimborso dopo il decorso del termine decadenziale biennale per la presentazione delle relative istanze. Questa linea di pensiero sembra contrastare con la neutralità che dovrebbe caratterizzare l’imposta, in particolar modo alla luce delle limitazioni imposte dalla giurisprudenza all’impiego dell’eccedenza, quando le dichiarazioni relative a periodi di imposta successivi non siano state presentate.
Wrong carryforward of credit and neutrality of VAT. – For the Court of Cassation, the possibility to recover VAT credits that arise from tax return is subjected to certain limits. When the credit has been erroneously carried forward the Supreme Court does not allow a refund request for the same credit after the expiry of the two-year-period within which the refund may be requested. From this perspective arises a conflict with the neutrality principle that must characterize VAT, in particular with regard to the restrictions for the use of VAT credit that come from the jurisprudence, especially when the returns of following tax periods have not been presented.
Sommario: 1. Il caso deciso. – 2. Le fattispecie di rimborso nell’IVA. – 3. Rimborso delle eccedenze e vizi formali delle dichiarazioni. – 4. Considerazioni conclusive
1. Nell’ordinanza che qui si commenta, la n. 30503 del 18 ottobre 2022, la Corte di Cassazione affronta il tema del rimborso delle eccedenze IVA, risultanti dalla dichiarazione, che siano state riportate a nuovo dal soggetto passivo in senso formale (di qui in avanti soggetto passivo).
A quanto è dato intendere dai fatti esposti, nel 2013 era stata evidenziata nella dichiarazione IVA una eccedenza di imposta, della quale il soggetto passivo chiedeva il riporto a nuovo e non il rimborso. Successivamente, nel dicembre del 2017, il soggetto passivo chiedeva il rimborso della stessa eccedenza e, a tal fine, presentava una istanza di rimborso. L’Amministrazione, però, rifiutava il rimborso e rimaneva soccombente nel giudizio proposto contro il diniego. Risultando soccombente anche in appello, l’Agenzia ricorreva in Cassazione e in questa sede le doglianze presentate dall’Amministrazione trovano accoglimento. A differenza dei giudici di merito, che avevano ritenuto tempestiva l’istanza di rimborso, i giudici di legittimità, riannodandosi ad alcuni precedenti della stessa Corte (vengono citate: Cass., 22 novembre 2018, n. 30168; Id. 22 settembre 2020, n. 19764), ritengono che, non essendo stata espressa la volontà di richiedere il rimborso della eccedenza all’interno della dichiarazione mediante la compilazione del campo RX44 non risulta formulata alcuna richiesta di rimborso e, in conseguenza di ciò, l’istanza viene ritenuta tardiva, posto che la stessa era stata presentata oltre il termine previsto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.
La soluzione data dalla Suprema Corte potrebbe dirsi ineccepibile dal punto di vista formale. Purtuttavia residuano dei dubbi circa la compatibilità di tale pronunzia con il principio di neutralità dell’IVA.
L’ordinanza suscita l’interesse di chi scrive non tanto per la soluzione che essa fornisce rispetto al caso concreto, la cui descrizione, peraltro, è niente affatto dettagliata; piuttosto essa costituisce l’occasione per sviluppare alcune considerazioni circa il perimetro entro il quale sia possibile recuperare le eccedenze di imposta nel caso in cui siano stati commessi errori nella compilazione della dichiarazione.
2. Nella disciplina della imposta sul valore aggiunto sono due i casi principali in cui viene previsto il rimborso in favore dei soggetti passivi: quelli di cui all’art. 30 e all’art. 30-ter D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
La prima delle due disposizioni individua una fattispecie di rimborso diretta a porre rimedio a quelle situazioni attive dei soggetti passivi IVA che attengono alla fisiologia del meccanismo applicativo del tributo. Siffatta forma di rimborso, infatti, ha ad oggetto le eccedenze che emergono ove l’imposta assolta sulle operazioni passive sia superiore a quella addebitata in rivalsa nell’ambito delle operazioni attive. Quella appena esposta non è, tuttavia, la strada ordinariamente percorribile per il soddisfacimento delle situazioni attive di questo genere. Il comma 1 dell’art. 30 precisa, infatti, che, ove emergano delle eccedenze di imposta, «il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi». Appare così evidente che la disposizione individua quale via privilegiata il riporto a nuovo della eccedenza, cui si affianca anche la compensazione di cui all’art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Il rimborso, viceversa, rimane confinato ad ipotesi particolari, ad esempio, ove non sia possibile il riporto a nuovo o quando la situazione attiva del contribuente si sia protratta per più anni ovvero, ancora, quando sussista una situazione di costante squilibrio fra le aliquote applicabili alle operazioni attive e quelle applicabili alle operazioni passive.
Resta il fatto che il favor verso il riporto a nuovo viene meno ove ricorrano i presupposti per richiedere il rimborso della eccedenza; in questi casi vige piena parità tra i due meccanismi ed il rimborso può dirsi effettivamente alternativo al riporto a nuovo. Fanno eccezione a questa regola generale quelle ipotesi in cui la via della detrazione non può essere intrapresa dal soggetto passivo formale e cioè nei casi di cessazione di attività. Non a caso l’art. 30 specifica che il rimborso possa essere chiesto «nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività».
La via del rimborso può essere seguita anche rispetto alle situazioni attive diverse da quelle appena indicate. Sul punto sarebbe necessaria una indagine più approfondita che non può essere compiuta in questa sede. Si precisa comunque che talvolta possono sorgere nell’ambito dell’IVA delle situazioni attive che non attengono alla fisiologia dei meccanismi applicativi. La giurisprudenza in questi casi ha ritenuto applicabile la disposizione dell’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992 che, come è noto, prevede un termine decadenziale biennale per la presentazione della domanda di rimborso (si veda ad esempio Cass., 31 luglio 2020, n. 16471). Con l’art. 8 L. 20 novembre 2017, n. 167 è stato introdotto nel D.P.R. n. 633/1972 l’art. 30-ter. Tale articolo ripropone in materia IVA quanto previsto dall’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, prevedendo anch’esso un termine decadenziale biennale per il chiedere il rimborso dell’imposta non dovuta (sul rimborso di cui all’art. 30-ter si vedano ad esempio, Salvini L., IVA non dovuta: una nuova disciplina poco meditata, in Corr. trib. 2018, 21, 1607 ss.; Centore P., Detrazione dell’IVA non dovuta: una scelta di serietà, in Corr. trib., 2018, 30, 2307 ss.; Santin P., Le vicende dell’operazione imponibile IVA: profili sostanziali e procedimentali, Milano, 2020, 194 ss.). Questo parallelismo tra le due disposizioni induce a interrogarsi sul rapporto che corra tra esse. Ebbene, sembra possibile affermare che la disposizione speciale di cui all’art. 30-ter abbia assorbito il campo di azione che in materia IVA si riconosceva all’art. 21 delle norme sul processo.
Con riferimento alla ordinanza che si commenta può osservarsi che il richiamo all’art. 21 delle norme sul processo, ivi contenuto, si giustifica perché i fatti cui l’ordinanza si riferisce sono avvenuti prima che l’art. 30-ter venisse introdotto.
3. Il dato da cui si intende partire è la particolare attenzione che, nell’ordinanza in epigrafe, viene rivolta ai profili formali della vicenda. La Cassazione non affronta il tema della spettanza del rimborso che era stato contestato dall’Agenzia delle Entrate. Gli ulteriori motivi di ricorso proposti rimangono infatti assorbiti data la fondatezza del primo. Ci si potrebbe chiedere a questo punto se questo rigore sul piano formale sia giustificabile, tenuto conto di quanto già affermato dalla Suprema Corte in altri casi, con riferimento ai profili formali delle dichiarazioni IVA.
A ben vedere, non mancano dei precedenti in cui la Cassazione ha ammesso il rimborso IVA pur in assenza dei requisiti formali. Si tratta di casi diversi da quello in esame che vengono tuttavia richiamati nell’ordinanza. Nel caso di richieste di rimborso delle eccedenze formulate nella dichiarazione, ma non accompagnate dalla presentazione del modello “VR”, la Corte ha ritenuto che la mancata presentazione del modello appena menzionato non escluda la nascita di un rapporto credito-debito tra contribuente ed Amministrazione sottoposto a termine di prescrizione decennale, posto che la richiesta di rimborso tempestivamente effettuata nella dichiarazione sarebbe di per sé sufficiente (nell’ordinanza vengono citate Cass., 9 ottobre 2015, n. 20255; Id. 15 maggio 2015, n. 9941; Id. 28 giugno 2018, n. 17151; Id. 18 gennaio 2018, n. 1146; Id. 26 settembre 2019, n. 24006).
Avvicinandosi maggiormente al caso in esame, è possibile richiamare quelle pronunzie che hanno riguardato proprio le ipotesi in cui il contribuente, nel compilare la dichiarazione, abbia erroneamente riportato a nuovo l’eccedenza IVA in luogo della richiesta di rimborso. A tal proposito, la Corte ha ritenuto che in caso di cessazione di attività del soggetto passivo, l’errata richiesta di compensazione della eccedenza IVA non precluda la possibilità di chiedere il rimborso della stessa eccedenza entro il termine di prescrizione decennale (tra le più recenti si vedano Cass., 21 agosto 2020, n. 17495; Id., 5 dicembre 2022, n. 35717). Ad avviso della Cassazione «in questa evenienza non può disconoscersi il rimborso del credito IVA alla contribuente per aver avanzato richiesta di compensazione (e non di rimborso) in sede di dichiarazione annuale» (cfr. Cass. n. 35717/2022 cit.). Esplicitando meglio il ragionamento seguito dalla Corte, in caso di cessazione di attività, non potendosi utilizzare l’eccedenza in compensazione, l’unica forma di impiego praticabile dal soggetto passivo è la richiesta di rimborso, dunque, l’eventuale errore di compilazione non inficia la possibilità di richiedere il rimborso tramite istanza esterna alla dichiarazione ed entro il termine di prescrizione.
Sebbene i termini della vicenda non siano descritti nei particolari, è comunque agevole comprendere il ragionamento fatto dalla Corte nell’ordinanza in commento. Non trattandosi di cessazione di attività il contribuente avrebbe potuto comunque utilizzare l’eccedenza nei successivi periodi di imposta e se avesse voluto ottenerne il rimborso avrebbe dovuto presentare una istanza entro il termine di cui all’art. 21 delle norme sul processo.
Sulla applicazione del termine decadenziale biennale nel campo delle eccedenze IVA sarebbe necessaria una indagine approfondita che non può essere svolta in questa sede. Ci si limita solo a richiamare le perplessità manifestate da parte della dottrina circa l’impiego dell’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992 in questo campo (cfr. La Rosa S., Differenze e interferenze tra diritto a restituzione, diritto di detrazione e credito da dichiarazione, in Riv. dir. trib., 2005, 2, II, 146 ss., cui pure si deve il virgolettato riproposto nell’immediato prosieguo). Con riferimento alle maggiori imposte detraibili non risultanti dalle dichiarazioni, si osserva che esse vanno tenute distinte dalle altre situazioni creditorie del contribuente che si fondano sulla assenza di una giustificazione causale del prelievo subito. Le eccedenze, infatti, sono il risultato della «coesistenza di situazioni soggettive attive e passive nella struttura interna dei singoli tributi e dalla prevalenza … del secondo ordine di situazioni rispetto al primo». E non si trascuri neppure il fatto che le eccedenze IVA possono anche non essere il risultato di versamenti già eseguiti (cfr. Basilavecchia M., Situazioni creditorie del contribuente ed attuazione del tributo. Dalla detrazione al rimborso nella imposta sul valore aggiunto, Pescara, 2000, 74 ss.).
Il ragionamento appena riportato riguarda delle situazioni diverse da quelle esaminate nell’ordinanza. Vi è comunque un aspetto che giustifica anche nel caso in esame le medesime perplessità, ossia l’individuazione del momento a partire dal quale il termine decadenziale decorra. Nell’ordinanza tale termine viene ritenuto pacificamente decorso ma non si precisa quale fosse il momento iniziale di decorrenza. Si potrebbe collegare il termine al momento della presentazione della dichiarazione ovvero, ancora, si potrebbe farlo decorrere a partire dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione (cfr. Cass., 20 agosto 2004, n. 16477). Resta il fatto che queste difficoltà dovrebbero essere tenute in debito conto, nel caso in cui si pensi di sottoporre la domanda di rimborso delle eccedenze IVA al termine decadenziale.
Rispetto agli ulteriori profili oggetto pronunzia in commento sembra opportuno approfondire ulteriormente l’indagine.
4. L’alternatività tra riporto a nuovo e rimborso non esclude che il riporto a nuovo della eccedenza sconti talvolta limiti formali e temporali.
Ci si riferisce in particolar modo alle ipotesi (quale quella che si suppone essere avvenuta nel caso di specie) in cui dopo il riporto a nuovo di una eccedenza nel successivo periodo di imposta non venga presentata la dichiarazione. In questi casi l’orientamento della Cassazione subordina l’utilizzo della eccedenza al rispetto dei termini previsti per l’esercizio della detrazione. Per questa via, l’eccedenza viene considerata quale imposta che non è stato possibile detrarre nel periodo in cui è sorta e la cui detrazione viene rinviata ad un periodo successivo (si vedano ad esempio Cass., 11 agosto 2017, n. 20051; Id. 12 maggio 2022, n. 15060).
Tale orientamento è stato tuttavia criticato dalla dottrina. Infatti si è rilevato che l’eccedenza di IVA detraibile può già considerarsi detratta ed il suo impiego non sconta il termine decadenziale previsto per l’esercizio del diritto di detrazione, sicché la detrazione operata dopo il riporto a nuovo può considerarsi una seconda detrazione «per il fatto che nella liquidazione di provenienza l’IVA detraibile è stata non solo considerata, ma effettivamente calcolata…» (cfr. Basilavecchia M., Omessa dichiarazione e riporto del credito IVA, in Corr. trib., 2022, 8/9, 718 ss.).
È evidente che nella prospettiva della Corte vengono ristrette inopinatamente le possibilità di recuperare le eccedenze di IVA, ledendo il principio di neutralità dell’imposta per i soggetti passivi in senso formale.
Allora sorge spontanea la seguente domanda: è davvero ragionevole una interpretazione che per un verso consente al soggetto passivo che abbia cessato la propria attività di chiedere il rimborso dell’eccedenza erroneamente riportata a nuovo entro il termine di prescrizione e che per altro verso denega al soggetto passivo che non abbia cessato la propria attività il rimborso dell’eccedenza erroneamente riportata a nuovo pur a fronte delle stringenti limitazioni che la Cassazione frappone all’impiego della eccedenza ove la dichiarazione successiva sia stata omessa?
È ben vero che nelle ipotesi di cessazione di attività viene meno la alternatività fra rimborso e riporto a nuovo, donde risulta facile superare gli ostacoli formali al recupero delle eccedenze. Ma è anche vero che fuori dei casi di cessazione di attività rimangono fermi i limiti all’utilizzo delle eccedenze, introdotti a livello interpretativo dalla Cassazione, che possono compromettere la neutralità dell’IVA.
Nell’attesa dell’auspicata riforma dell’orientamento della Suprema Corte rispetto alla utilizzabilità delle eccedenze riportate a nuovo, sarebbe opportuno minor rigore nella valutazione degli aspetti formali del rimborso, quando risulti che il soggetto passivo ne abbia diritto. Cosa che sarebbe dovuta accadere già nel caso deciso nell’ordinanza in commento, tant’è vero che la stessa Cassazione in casi analoghi ha fornito una soluzione diametralmente opposta (cfr. Cass., 25 febbraio 1998, n. 2063). Del resto la dottrina ha già affermato che per il contribuente «non opera un principio di tipicità degli atti e una riserva di legge sulle modalità di esternare le proprie pretese, che, invece, gravano sull’azione impositiva dell’Amministrazione» (cfr. Contrino A., Sulla lenta “agonia” della decadenza nei tributi diretti e il “colpo di grazia” della sentenza delle SS. UU. n. 8500/2021, in Riv. dir. trib., 2022, 6, 661).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Basilavecchia M., Situazioni creditorie del contribuente ed attuazione del tributo. Dalla detrazione al rimborso nella imposta sul valore aggiunto, Pescara, 2000
Basilavecchia M., Conseguenze dell’omissione della dichiarazione IVA sul riporto del credito alle annualità successive, in Corr. trib., 2015, 4, 281 ss.
Basilavecchia M., Omessa dichiarazione e riporto del credito IVA, in Corr. trib., 8/9, 2022, 715 ss.
Centore P., Detrazione dell’IVA non dovuta: una scelta di serietà, in Corr. trib., 2018, 30, 2307 ss.
Contrino A., Sulla lenta “agonia” della decadenza nei tributi diretti e il “colpo di grazia” della sentenza delle SS. UU. n. 8500/2021, in Riv. dir. trib., 2022, 6, I, 653 ss.
Ficari V., La dichiarazione, in Imposta sul valore aggiunto, a cura di Tesauro, Torino, 2001, 457 ss.
La Rosa S., Differenze e interferenze tra diritto a restituzione, diritto di detrazione e credito da dichiarazione, in Riv. dir. trib., 2005, 2, II, 146 ss.
Salvini L., IVA non dovuta: una nuova disciplina poco meditata, in Corr. trib., 2018, 21, 1607 ss.
Santin P., Le vicende dell’operazione imponibile IVA: profili sostanziali e procedimentali, Milano, 2020
Tesauro F., Credito di imposta e rimborso da indebito nella disciplina dell’IVA, in Boll. trib., 1979, 1466 ss.
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