EDITORIALE – L’illecito amministrativo tributario fra passato e futuro 

Di Alessio Lanzi -

I.(*) Quando, alla fine di dicembre del 1997, venne emesso il D.Lgs. n. 472/1997, destinato ad entrare in vigore il 1° aprile 1998, mi parve utile e necessario dedicarmi allo studio di tale nuova normativa (a tale proposito mi permetto rimandare al nostro manuale L’illecito tributario, di Lanzi A. – Aldrovandi P., Padova, la cui terza e ultima edizione è datata 2005)

Infatti il decreto legislativo in questione prevedeva, per l’individuazione e l’applicazione degli illeciti tributari amministrativi, tutta una serie di disposizioni di chiaro stampo penalistico che esaltavano la personalità di una tale responsabilità amministrativa e attribuivano un gran rilievo alla dimensione soggettiva dell’illecito.

In pratica l’illecito amministrativo tributario era messo al centro di un vero e proprio Sistema, configurato col ricorso ad istituti incentrati sul rilievo della responsabilità e punibilità del singolo individuo.

Ne erano chiaro indice le disposizioni in tema di imputabilità (art. 4), colpevolezza (art. 5), cause di non punibilità (art. 6), concorso di persone (art. 9), autore mediato (art. 10); il tutto alla luce del principio di legalità (art. 3) e di intrasmissibilità della sanzione agli eredi (art. 8).

Mentre, per il caso di illecito commesso nell’ambito della gestione di un ente, veniva previsto un meccanismo di responsabilità solidale a carico di quest’ultimo (art. 11).

II. Orbene, un tale Sistema di responsabilità – pur con qualche correttivo intervenuto, principalmente, coi decreti legislativi n. 203/1998 e n. 158/2015 – ancorchè tutt’ora in vigore, è stato in pratica grandemente indebolito, quanto alla sua efficacia, dall’ingresso nell’ordinamento giuridico dell’art. 7 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito in L. n. 326/2003), che così dispone:

«Art. 7 (Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie).

  1. Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
  2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  3. Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili».

E’ evidente che si tratta degli illeciti amministrativi tributari di maggior gravità, e ai quali conseguono le più gravi sanzioni, essendo quelli relativi ai rapporti fiscali delle persone giuridiche.

E’ altrettanto evidente che, di per sé, la responsabilità di una persona giuridica è incompatibile con molte delle disposizioni del D.Lgs. n. 472/1997; fra le altre con quelle di cui agli artt. 4, 5, 7, 8, 10, 11 ed altre ancora; e non a caso il terzo comma dello stesso art. 7 prevede che le disposizioni del D.Lgs. n. 472/1997 si applicano (solo) se compatibili.

Ma, oltre ad avere praticamente disatteso – e proprio per gli illeciti di maggior rilievo – i principi di responsabilità soggettiva e colpevole sui quali si era incentrata la riforma contenuta nel D.Lgs. n. 472/1997, questo art. 7 ha fatto ben di più.

Ha codificato una regola di responsabilità oggettiva, indubbiamente per fatto altrui, in relazione ad un illecito con gravi conseguenze sanzionatorie.

Orbene, è notorio che i nostri principi costituzionali incentrati sulla personalità della responsabilità si ritengano di esclusiva pertinenza della disciplina penalistica; ma è anche risaputo che nella legislazione europea, pure in quella convenzionale, con una ricaduta – diretta o indiretta – anche nell’ordinamento interno, la qualifica “penale” di un illecito non è data esclusivamente dal suo nomen iuris ma anche dalla gravità e afflittività della sanzione comminata dalla disposizione che lo prevede.

Sicché non può non destare serie perplessità una forma di responsabilità che comporta gravi e rilevanti sanzioni, ma che, dichiaratamente, si fonda su un fatto altrui.

Questo art. 7 sembra dunque evocare i contenuti (datati, anche lessicalmente, rievocandosi padroni e committenti) dell’art. 2049 c.c.

Ma almeno in quella sede si tratta di “danni arrecati”, mentre qui parliamo di “sanzioni” (potenzialmente gravi e rilevanti).

III. E’ chiaro pertanto che una siffatta disposizione genera non poche perplessità; e prova ne siano le recenti e numerose pronunce giurisprudenziali di legittimità che su di essa si sono formate.

Infatti così, anche da ultimo, si è pronunciata la Sezione V civile della Cassazione, con sentenza 17 gennaio 2023, n. 1358: «Questa Corte ha precisato che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7 del D.L. n. 269/2003 presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, “qualora risulti che il rappresentate o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio”, verrebbe meno la ratio giustificatrice dell’applicazione dell’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, dovendo essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. n. 28332 del 7/11/2018; Cass. n. 10975 del 18/4/2019; Cass. n. 32594 del 12/12/2019; Cass. n. 25757 del 13/11/2020; Cass. n. 29038 del 20/10/2021)».

Orbene, una tale interpretazione e applicazione dell’art. 7, con ogni probabilità condivisibile con riferimento ai risultati che produce, è però il chiaro segno che ci troviamo di fronte ad una disposizione inaccettabile nei suoi effettivi contenuti in quanto, per essere applicata, necessita di una vera e propria “interpretazione creativa”.

Risultato che, oltretutto, al di fuori di uno specifico sistema di nomofilachia, non può che generare incertezza del diritto e la concreta possibilità di risultati applicativi fra loro del tutto difformi.

Va anche segnalato che con siffatta consolidata interpretazione, l’illecito amministrativo tributario della persona giuridica sempre più si avvicina, per taluni rilevanti aspetti, a quello previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 sulla loro responsabilità amministrativa; responsabilità che, del resto, a seguito del D.L. n. 124/2019 (convertito in L. n. 157/2019) è stata estesa – con l’art. 25-quinquiesdecies – anche ai reati tributari.

IV. A seguito di tutto ciò va dunque considerato come, nel frattempo, sia venuto meno quel limite che, da sempre, aveva fatto ritenere inapplicabili le regole del ne bis in idem al tema degli illeciti penali tributari commessi nel corso della gestione delle persone giuridiche.

Vale a dire la considerazione che in tali casi sarebbe mancata l’identità tra il soggetto attivo dell’illecito e quello destinatario della sanzione amministrativa; peculiarità che, secondo consolidata giurisprudenza, non consentiva, appunto, l’applicazione del principio del ne bis in idem previsto, a livello normativo, dalla legislazione europea, anche convenzionale (soluzione costante, in giurisprudenza, sia in sede di legittimità [fra le tante, Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2014, n. 43809; Id. 9 aprile 2109, n. 22458; Id. 16 ottobre 2018, n. 54372; Id. 1° marzo 2017, n. 35156] che di giustizia tributaria (in termini chiarissimi, fra le altre, Comm. trib. prov. Veneto-Treviso, sez. II, 3 maggio 5 2018, n. 171)].

A questo punto, e proprio a proposito dei contribuenti di maggior rilievo, si è venuto dunque a creare un curioso sistema di responsabilità che ben si possono sommare (quella amministrativa ex art. 7 e quella ex D.Lgs. n. 231/2001), con la concreta possibilità di spropositate sanzioni, anche in presenza e in considerazione dei meccanismi di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, per la non punibilità del reato (sul punto mi permetto rimandare al nostro manuale Diritto penale tributario, di Lanzi A. – Aldrovandi P., III ed., Amsterdam, 2020, 301 ss.), e del ricorso alle procedure deflattive del contenzioso tributario cui può fare ricorso la stessa persona giuridica.

V. Tale rilevante tema comincia ad interessare l’applicazione concreta delle normative sulla responsabilità tributaria e cominciano anche a profilarsi soluzioni inclini al principio della equità e ragionevolezza delle decisioni giudiziarie.

Così la Procura della Repubblica di Milano, con decreto di archiviazione 9 novembre 2022 (reperibile in Sistema Penale on-line, 28 novembre 2022, con nota sostanzialmente adesiva di Scoletta M., Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari), nel procedimento NRG 39285/22 Mod. 21 a carico di una persona giuridica, ha ritenuto che fra l’illecito amministrativo tributario e quello ex D.Lgs. n. 231/2001 per reato tributario, entrambi contestati alla medesima società, vi possa essere un caso di ne bis in idem ai sensi degli artt. 4 Protocollo 7 CEDU e 50 CDFUE, poiché – in sintesi – vi sarebbe un idem factum a carico del medesimo ente e la sommatoria delle due distinte responsabilità con cumulo delle relative sanzioni violerebbe il criterio di proporzionalità della sanzione complessivamente irrogata, costituendo così un “eccesso punitivo”.

Per raggiungere un tale significativo risultato, i PM di Milano ritengono che nella specie non vi sarebbe neppure stata fra i due illeciti, già a livello di previsione normativa, una diversa manifestazione di colpevolezza, in quanto per quello ex D.Lgs. n. 472/1997 vi sarebbe la colpa (ex art. 5) presente anche come “colpa di organizzazione” per quello ex D.Lgs. n. 231/2001.

Ad avviso di chi scrive, una tale soluzione, con siffatti passaggi interpretativi, può generare delle perplessità; salvo una individuazione dell’idem factum non incentrata sulla condotta tipica (come del resto anche sostenuto talvolta dalla giurisprudenza, interna ed europea, che fa leva sul “fatto storico” e l’“accadimento materiale”, e non sulla sua qualificazione giuridica: così, nei precedenti citati dallo stesso decreto della Procura di Milano in questione, Corte EDU 10 febbraio 2009, Zolotoukhin c. Russia; Corte Cost., n. 200/2016).

Ciò in quanto, da un punto di vista astratto, mentre l’illecito amministrativo tributario si incentra sul fatto evasivo, quello ex D.Lgs. n. 231/2001 si realizza per non essersi dotati di una struttura e di una regolamentazione idonea ad impedire la realizzazione del reato.

In pratica, a livello di previsione giuridica, tale ultimo illecito consisterebbe in una organizzazione colpevolmente carente o inadeguata alla quale, come fatto oggettivo, è conseguito il reato.

In ogni caso va sottolineato che una tale soluzione consente di raggiungere un buon risultato nella prospettiva del criterio di “proporzionalità della sanzione”, sempre più posto al centro delle trattazioni in tema di ne bis in idem (anche recentemente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, con provvedimento 8 marzo 2022, n. 205/20, ha ritenuto, per le autorità nazionali, l’obbligo di disapplicare una normativa interna contraria al requisito della proporzionalità delle sanzioni).

A mio avviso, una possibile decisiva soluzione per evitare l’indiscutibile “eccesso punitivo” che si può realizzare, dovrebbe essere cercata nella categoria del concorso materiale di illeciti sanzionati con cumulo giuridico, in linea con le discipline dell’art. 12 D.Lgs. n. 472/1997.

VI. A tal proposito, e infine, va segnalato che il disegno di legge delega 23 marzo 2023, n. 1038 (la cosiddetta “delega fiscale”), in modo del tutto opportuno e condivisibile, all’art. 18 del Capo II (dedicato alle Sanzioni) espressamente prevede, oltre ad un adeguamento al principio del ne bis in idem (comma 1, lett. a.1 e lett. c.1), anche, ed espressamente (comma 1, lett. c.4), una nuova disciplina del concorso e della continuazione fra illeciti, proprio per renderla coerente coi principi della proporzionalità delle sanzioni tributarie e col ricorso agli istituti deflattivi.

Il futuro dell’illecito amministrativo tributario, dunque, sembra potersi aprire alle esigenze di una condivisibile e auspicabile disciplina giuridica, certa ed adeguata.

(*) Il presente scritto riproduce, in parte, i contenuti dell’intervento svolto al Convegno organizzato dall’Associazione dei Magistrati Tributari, “Il processo tributario tra passato, presente e futuro”, Bari 20 maggio 2023.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Lanzi A. – Aldrovandi P., L’illecito tributario, III ed., 2005, Padova

Lanzi A. – Aldrovandi P., Diritto penale tributario, III ed., Amsterdam, 2020

Scoletta M., Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari, in sistemapenale.it, 28 novembre 2022

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