Riflessioni in ordine all’impatto del nuovo comma 5-bis, art. 7, D.Lgs. n. 546/1992 in riferimento alle imposte indirette

Di Matteo Golisano -

Abstract

Il lavoro esamina l’impatto del nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 inserito dalla L. n. 130/2022 in riferimento alle imposte indirette e, in particolare, ai casi di oggettiva o soggettiva inesistenza dell’operazione, alla responsabilità solidale ex art. 60-bis D.P.R. n. 633/1972 e all’obbligo di depositare l’atto oggetto di tassazione nelle controversie afferenti l’imposta di registro.

Reflections on the impact of the new paragraph 5-bis, art. 7, Legislative Decree no. 546/1992 with reference to indirect taxes – The work examines the impact of the new paragraph 5-bis of Article 7, Legislative Decree no. 546/1992, inserted by Law no. 130 of 2022, with reference to indirect taxes and, in particular, to cases of objective or subjective non-existence of the transaction, the joint and several liability according to Article 60-bis of Presidential Decree no. 633/1972, and the obligation to deposit the taxed document in disputes relating to the stamp duty.

 

Sommario: 1. Il nuovo comma 5-bis dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992. – 2. L’impatto della novella rispetto alle imposte indirette in generale. – 3. (Segue) …sulle operazioni oggettivamente inesistenti. – 4. (Segue) …sulle operazioni soggettivamente inesistenti. – 5. (Segue) …sull’art. 60-bis D.P.R. n. 633/1972. – 6. (Segue) …in materia di imposta di registro.

1. E’ noto come il legislatore, in seno alla più ampia riforma degli aspetti ordinamentali del processo tributario attuata con la L. n. 130/2022[1], sia altresì intervenuto su taluni aspetti processuali e, fra questi, sul tema della prova avendo nella specie introdotto in seno all’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, il comma 5-bis il quale espressamente dispone che: «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».

La novella in discorso, sin dalla sua introduzione, ha sollevato un acceso dibattito interpretativo in riferimento sia ai profili di diritto intertemporale, sia in riferimento a quelli relativi al rapporto[2] fra il comma 5-bis cit. e l’art. 2697 c.c. sia, ed in maniera ancor più radicale, in riferimento alla stessa portata precettiva della norma[3].

Per quanto più specificatamente concerne tale ultimo profilo, alla lettura fortemente svalutativa proposta, seppur solo a livello di obiter, dalla Suprema Corte[4], si è infatti affiancata la diversa lettura interpretativa fornita dalla dottrina[5] e – ciò che particolarmente conforta – dalle Corti di merito[6], le quali si sono trovate concordi[7] nell’evidenziare il sicuro cambiamento che la norma impone in relazione al modo di intendere l’onere della prova gravante sull’Ufficio, sebbene poi non vi sia uniformità di vedute rispetto alla latitudine di tale mutamento[8] discutendosi se la norma abbia inciso, a monte, sulla ripartizione dell’onere dalla prova tipica del giudizio tributario[9] e, a valle, sulle modalità attraverso cui tale onere può essere assolto.

Posto quanto sopra e premesso che deve a nostro avviso condividersi l’idea di chi[10], sulla base di una interpretazione sistematica, ha evidenziato il valore assorbente del concetto di “violazione contestata” tale da far gravare l’onere probatorio in capo all’Ufficio finanche nel caso limite delle agevolazioni in quanto, pur se autorevolmente[11] contestata, appare l’unica idonea a non privare di significato la novella legislativa, ai fini dell’esame che si vuole qui condurre, può prescindersi da un maggior approfondimento della questione ciò in quanto, come si avrà modo di vedere fra poco e con particolare riferimento alle imposte indirette, la novella parrebbe in realtà aver confermato la distribuzione dell’onere probatorio condivisa già ante riforma.

Ciò che invece ai fini che ci occupano parrebbe giocare un ruolo determinante è la diversa regola di giudizio o, se si preferisce, il diverso standard probatorio[12] introdotto con la novella in commento laddove, in parte anticipando le conclusioni cui si giungerà più oltre, il legislatore parrebbe aver sostituito alla regola della “preponderance of evidence” di derivazione civilistica, la regola della “clear and convincing evidence” assai prossima al modello penale.

Circostanza, detta ultima, già da sola idonea a produrre un impatto significativo quantomeno nelle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti e, in particolare, per quel che concerne la prova della mala fede del cessionario.

2. Tanto premesso, possiamo ora iniziare ad approfondire l’esame rispetto al tema di interesse – ossia il possibile impatto del nuovo comma 5-bis, art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 in riferimento alle imposte dirette – precisandosi che il discorso sarà condotto in modo unitario salvo poi effettuarsi talune precisazioni per le operazioni soggettivamente inesistenti.

In via del tutto preliminare, appare però opportuno sgombrare sin d’ora il campo dalla possibile interferenza della normativa di fonte unionale rispetto alla tematica dell’onere della prova.

Ed infatti, quantomeno per l’IVA, si potrebbe essere tentanti dal ritenere che sia precluso al legislatore incidere a piacimento sulla materia della prova in quanto ciò sarebbe precluso dalla fonte sovrannazionale del prelievo considerato.

Ebbene, a tal riguardo giova rilevare che, anche ove si dovesse concludere che l’art. 7, comma 5-bis abbia introdotto una più severa regola di giudizio degli elementi di prova forniti dall’Amministrazione (o un più alto standard probatorio), ciò non confliggerebbe affatto con il diritto UE per almeno due ordini di considerazioni:

(i) in primo luogo ed a monte, perché manca una disciplina di fonte europea che regolamenti il tema delle prove sicché, come anche costantemente osservato dalla CGUE[13], questa è rimessa alla legislazione dei singoli Stati membri con il solo limite che tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione.

Sotto tale profilo appare utile peraltro osservare che la clausola di salvaguardia dell’efficacia del diritto dell’Unione è posta, nell’ottica della giurisprudenza citata, nel dichiarato intento di tutelare il diritto di detrazione del contribuente – in quanto meccanismo essenziale per garantire la neutralità dell’imposta – e non già le ragioni dell’Amministrazione. Sicché, nella valutazione di compatibilità si deve verificare non già e non tanto che la disciplina analizzata garantisca maggiormente il diritto di detrazione quanto e piuttosto che lo limiti;

(ii) in secondo luogo e collegato a quanto sopra, perché si tratta comunque di una norma generale[14] sul processo applicabile a tutte le controversie a prescindere dalla tipologia di imposta, armonizzata o meno, oggetto di contestazione così escludendosi in radice qualsivoglia possibile profilo in termini di disparità di trattamento.

Assodato quindi che anche in materia IVA la disciplina sulla prova è integralmente rimessa alla normativa nazionale, è stato unanimemente osservato[15] come l’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 sia norma che appaia caratterizzata da una doppia anima, essa integrando sia una norma sulla distribuzione dell’onere della prova, sia una regola di giudizio sulla consistenza della prova[16].

Principiando dal primo profilo, è noto come secondo la costante e più recente giurisprudenza della Suprema Corte[17], in materia IVA la fattura rappresenti, di regola, titolo sufficiente per il contribuente ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione, essendo posto in capo all’Ufficio l’onere di dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.

Il che val quanto dire che, ove l’Amministrazione intenda contestare il diritto di detrazione per i casi che ci occupano, dovrà provare, alternativamente:

(i) nel caso in cui venga contestata la soggettiva inesistenza, cumulativamente:

(a) l’oggettiva fittizietà del prestatore;

(b) la consapevolezza da parte del cessionario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta.

(ii) nel caso in cui venga contestata la oggettiva inesistenza:

(a) che l’operazione, per come dedotta in fattura, non si sia mai realizzata.

Solo ove l’Ufficio abbia soddisfatto tale onere, l’onere della prova contraria si appunterà in capo al contribuente, dovendo cioè nella specie egli dimostrare:

(i) nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, alternativamente:

(a) che il fornitore non era fittizio;

(b) la propria buona fede, nel senso che con l’utilizzo della normale diligenza non si sarebbe potuto avvedere della fittizietà del prestatore.

(ii) nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, l’esistenza dell’operazione.

Come in parte già anticipato, il nuovo art. 7, comma 5-bis cit., parrebbe ulteriormente confermare la distribuzione ora riferita, in parte perché pone in via generale e senza eccezioni l’onere di provare il fondamento della pretesa in capo all’Amministrazione, in parte perché sotto tale frangente essa rappresenta la conferma della regola[18] ex art. 2697 c.c.[19].

Più complesso si presenta invece il profilo relativo alla regola di giudizio sulla prova, esso involgendo due aspetti della dinamica della prova di cui uno preliminare e l’altro conseguente, segnatamente:

(i) per un verso, i mezzi di prova a disposizione dell’Amministrazione per provare l’inesistenza, ora oggettiva, ora soggettiva, dell’operazione;

(ii) per altro verso, le regole cui deve attenersi il giudice onde considerare raggiunta la prova del fatto allegato.

Per quanto più specificatamente concerne il primo profilo, si tratta in sostanza di verificare, a quali condizioni e attraverso quali mezzi di prova l’Amministrazione possa provare la inesistenza dell’operazione facendo così scattare in capo al contribuente l’onere di prova contraria, dovendosi in concreto indagare se la prova “puntuale”, “non contraddittoria” e “compiuta” indicata dall’art. 7 possa essere fornita anche attraverso un mero “quadro indiziario”.

Anticipando in parte le conclusioni, si ritiene che la risposta alla domanda dipenda in buona misura dalla latitudine del concetto di “quadro indiziario” che si intenda assumere.

Ed infatti, se può condividersi in linea generale che la presunzione non rappresenti un mezzo di prova inferiore agli altri, dovendosene quindi reputare la perdurante applicabilità pur a fronte della nuova norma, a non eguale conclusione deve giungersi per le c.d. prove prima facie, le quali sovente vengono confuse con le prime pur avendo caratteri strutturali sensibilmente diversi.

Telegraficamente, nelle presunzioni semplici:

(i) l’onere di provare il fatto secondario (id est l’indizio o il quadro indiziario) su cui si fonda il ragionamento presuntivo è pieno ed incondizionato;

(ii) i requisiti di gravità precisione e concordanza devono assistere l’indizio stesso, essi rappresentando al contempo condizioni di ammissibilità della presunzione e, a monte e prima ancora, attributi di cui l’indizio deve essere necessariamente dotato per potervi basare il ragionamento inferenziale ex 2727 c.c.[20].

Al contrario, le prove prima facie rappresentano uno strumento concepito per alleviare l’onere probatorio della parte che ne è onerata, comportando in via di fatto un suo abbassamento, dovendo essa nella sostanza dimostrare le sole circostanze tipiche idonee a determinare l’apparenza del fatto[21].

La parte dimostra cioè di trovarsi in una situazione tipizzata sulla base dell’esperienza e quindi ricorrente nella pratica, allegando qualche elemento, pur indiretto, di convincimento. La verosimiglianza o l’apparenza di tale situazione sarebbe sufficiente a soddisfare l’onere della prova che incombe sulla parte che la invoca; spettando di conseguenza all’altra parte l’onere di dimostrare che in realtà i fatti sono diversi da come appaiono prima facie[22].

Alla luce di tali caratteri distintivi si possono svolgere due considerazioni.

In primo luogo ed a monte, appare evidente che la “mera apparenza del fatto” o la sua semplice “verosimiglianza” non risulti certo idonea ad assolvere all’onere della prova precisa, puntuale e non contraddittoria[23] prevista dall’art. 7, comma 5-bis cit..

In secondo luogo ed a valle, si tratta allora di prestare la massima attenzione a come l’indizio, o il quadro indiziario, si atteggia nel singolo caso di specie analizzandone tutti gli elementi, dovendosi in concreto verificare se gli elementi indiziari addotti siano connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, così da potervi fondare il ragionamento inferenziale ex art. 2729 c.c., ovvero si arrestino ad un mero giudizio di verosimiglianza del fatto ignoto e, quindi, per ciò solo inidonei ad assurgere al rango di prova, ancorché indiretta.

Allorquando il “quadro indiziario” sia connotato dai predetti requisiti subentrerà la regola di giudizio in riferimento alla prova del fatto, il quale è concetto diverso rispetto alla verifica degli attributi minimi cui deve essere dotato l’indizio per ritenere ammissibile la presunzione.

Ed infatti, e con questo venendo ad analizzare il secondo profilo della dinamica della prova qui interessata, da tempo la dottrina più attenta ha sottolineato la necessità di non «confondere l’intrinseca qualità rappresentativa della fonte di prova (elemento indiziario o prova in senso stretto), che appunto deve essere grave, precisa e concordante, con il grado di probabilità (necessario e sufficiente) richiesto per ritenere che l’esistenza del fatto A provato (fatto noto probante), rappresenti a sua volta la prova dell’esistenza del fatto B ignoto (fatto probando[24].

Detto altrimenti, un conto è il giudizio relativo all’ammissibilità del meccanismo presuntivo e, quindi, al riscontro dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, il quale è normativamente rimesso al prudente apprezzamento del giudice; altro conto è, invece, il giudizio di concludenza della presunzione così ammessa e, più in generale, delle altre prove acquisite, rispetto alla prova dei fatti posti a fondamento della pretesa.

Se in ambito civilistico tale differenziazione, seppur presente, tende a farsi più labile stante l’identità del parametro di riferimento (id est il prudente apprezzamento) dei due momenti decisori, complice la novella in ambito tributario la distinzione parrebbe ora assumere un ruolo centrale.

E’ stato infatti da più parti evidenziato[25] in dottrina che la novella legislativa ha sostituito una valutazione rigorosa al prudente apprezzamento dell’art. 116 c.p.c.[26], dovendo egli procedere all’annullamento dell’atto non solo quando la prova della sua fondatezza manchi o sia contraddittoria, ma anche allorquando questa sia insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive sui cui si fonda la pretesa.

Ad onor del vero a tale affermazione si potrebbe obiettare che la novella non parrebbe aver introdotto, expressis verbis, una diversa regola di giudizio rispetto alla valutazione della prova mediante la sostituzione del parametro del prudente apprezzamento.

Purtuttavia una simile obiezione non coglierebbe nel segno in quanto, la circostanza che il giudice debba annullare l’atto anche quando la prova sia contraddittoria o insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni della pretesa, dovrebbe quantomeno essere letta quale voluntas legislativa di incidere sullo standard probatorio del fatto incerto.

Il che val quanto dire che anche ove si dovesse ritenere che la norma non abbia inciso direttamente sulla regola di giudizio della prova, non si potrebbe cionondimeno però negare che lo abbia fatto in via indiretta incidendo sullo standard probatorio, avendo ivi sostituito la regola del “più probabile che non” di derivazione civile con una assai prossima al modello penale stante la similitudine con l’art. 530, comma 2, c.p.p.[27].

Di conseguenza il giudice ben potrà ammettere la presunzione fondata su un “quadro indiziario”, beninteso se connotata dai requisiti di gravità, precisione e concordanza ma, per ciò solo, non potrà ritenere assolto l’onere probatorio dell’Ufficio, dovendo poi egli verificare, secondo uno standard probatorio significativamente più stringente, se la prova ammessa sia idonea a dimostrare le ragioni su cui si fonda la pretesa.

La precisazione assume una importanza fondamentale nelle ipotesi che ci occupano, non già e non tanto perché in via formale i principi di diritto formulati dalla Suprema Corte offrano uno spaccato sensibilmente difforme rispetto a quello qui rappresentato, quanto e piuttosto perché in via applicativa tali principi vengono spesso e volentieri assunti tralaticiamente senza una vera e propria contestualizzazione rispetto alle peculiarità del caso di specie, finendo per assumere i connotati di una mera verosimiglianza più che di una prova precisa e puntuale.

3. Esemplificando, la natura del cedente quale società cartiera è generalmente considerata indizio sufficiente a provare l’oggettiva inesistenza dell’operazione.

L’affermazione si può ritenere condivisibile in astratto ma a condizione che sul piano concreto, nel giudizio prima e nella motivazione della sentenza poi, la natura di cartiera della società cedente venga fatta oggetto di una prova rigorosa ed in termini assoluti, rimanendo altrimenti l’indizio relegato al mero piano dell’apparenza o della verosimiglianza e come tale inidoneo a fondare la decisione.

Detto altrimenti, il “quadro indiziario” qualora sia oggetto di una prova rigorosa e sia connotato dai caratteri di gravità, precisione e concordanza potrà essere assunto a fatto secondario base. Al tempo stesso, dalla presunzione così costruita il giudice potrà ritenere provata la pretesa dell’Amministrazione solo a condizione che ritenga, con conseguente obbligo di motivazione non potendo altrimenti verificarsi la legittimità del percorso logico seguito, che la stessa sia idonea a dimostrare sufficientemente, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fonda l’atto impositivo.

4. Ciò posto per le operazioni oggettivamente inesistenti, una notazione a parte meritano le ipotesi di contestazione della soggettiva inesistenza dell’operazione dedotta in fattura, per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, perché ancora oggi ed a prescindere dalla novella, la giurisprudenza nazionale stenta a fare propri gli insegnamenti della Corte di Giustizia, in particolar modo per quel che concerne gli “indizi” assumibili a fatto secondario base della presunta mala fede del cessionario.

In secondo luogo, perché il nuovo standard probatorio impone oggi una più rigorosa verifica dell’effettiva mala fede del cessionario, non essendo più sufficiente un giudizio espresso in termini probabilistici per far scattare l’inversione dell’onere della prova.

Principiando dal primo profilo, di frequente si continua a ritenere che elementi fattuali quali l’assenza di una sede fisica del cedente, ovvero l’assenza di un doppio passaggio fisico della merce ovvero ancora l’inidoneità del cedente/prestatore a fornire i beni o servizi dedotti in fattura, non solo siano elementi assumibili a fatto secondario base ma, viepiù, siano da soli sufficienti onde ritenere provata la mala fede del cessionario.

Se così è, val la pena allora ricordare come la Corte di Giustizia UE, sulla base della quasi assoluta incomprimibilità del diritto di detrazione, abbia escluso a più riprese la rilevanza, singolarmente e cumulativamente, di taluni elementi sovente richiamati dall’Ufficio, prima, e posti a fondamento della decisione dalla giurisprudenza, poi.

In particolare dall’analisi della giurisprudenza della CGUE emerge come debbano essere reputate del tutto irrilevanti ai fini della prova circa la malafede del cessionario le seguenti circostanze:

(i) che il soggetto emittente disponesse di una sede[28] ubicata in un immobile fatiscente, non potendosi escludere che quel soggetto svolgesse la propria attività in luoghi diversi dalla sede sociale;

(ii) che la merce non subisse un doppio passaggio fisico, ben potendosi il rivenditore dei beni limitare ad impartire istruzioni al primo fornitore “a monte” di trasportare i beni in questione direttamente al secondo acquirente[29];

(iii) l’impossibilità per l’Amministrazione finanziaria di stabilire un contatto con la società o con un suo rappresentante al momento dell’attività istruttoria, non essendo ciò incompatibile con un precedente svolgimento di un’attività economica[30];

(iv) che il soggetto disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli[31];

(v) il mancato versamento dell’imposta all’Erario[32];

(vi) la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali[33];

(vii) la mancata pubblicazione dei bilanci da parte del cedente[34];

(viii) il mancato possesso delle autorizzazioni necessarie da parte del soggetto cedente[35];

(ix) la mancata tenuta della contabilità[36].

La questione, per vero e come anticipato, involge solo indirettamente la novella legislativa in quanto, anche a prescindere da essa, dal giudizio di irrilevanza dei predetti elementi non può che derivarne automaticamente, che gli stessi non siano assumibili a fatto secondario base ai sensi dell’art. 2729 c.c. essendo già a monte esclusa la gravità del fatto noto rispetto al fatto ignoto.

Purtuttavia, essa acquista ancor più pregnanza a cospetto del diverso standard probatorio introdotto.

Venendo dunque ad affrontare il secondo profilo sopra rilevato, appare anzitutto evidente che se l’indizio non è di per sé connotato dal carattere della gravità, a maggior ragione non può essere ritenuto idoneo a provare in maniera sufficientemente precisa e puntuale il fondamento della pretesa.

In secondo luogo, non potendo più ritenere provato il fatto incerto (id est la mala fede del cessionario) sulla base di un mero giudizio di maggiore probabilità, il giudice non potrà più fondare la propria decisione solo sulla base delle condizioni oggettive del cedente o delle circostanze relative alle operazioni a monte, non essendo questi elementi sufficienti per ritenere provata, in maniera “oggettiva[37] o, se si preferisce, al di là di ogni ragionevole dubbio, la partecipazione al meccanismo fraudolento da parte del terzo cessionario[38] e, quindi, a far scattare l’onere di prova contraria in capo a quest’ultimo.

5. Ciò posto per le operazioni IVA oggettivamente e soggettivamente inesistenti, discorso in parte diverso vale in riferimento all’impatto della novella rispetto alla responsabilità solidale ex art. 60-bis D.P.R. n. 633/1972.

Richiamata la doppia anima del comma 5-bis cit. più sopra analizzata, quesito preliminare da porsi è se la novella legislativa abbia inciso sulla distribuzione dell’onere della prova.

Anticipando in parte le conclusioni, a tal riguardo la risposta parrebbe dover essere negativa alla luce del fatto che l’art. 60-bis cit. rappresenta una delle poche ipotesi in cui la distribuzione dell’onere della prova, in uno con i fatti oggetto di prova, è espressamente stabilita in via legislativa in seno allo stesso art. 60-bis cit., potendo quindi operare la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 5-bis cit. il quale al riguardo pone un vincolo di coerenza con la “normativa tributaria sostanziale”.

Sicché, indipendentemente dalla novella legislativa, l’Ufficio dovrà provare che: 1) la cessione si riferisca a determinati beni individuati nell’apposito decreto ministeriale; 2) la cessione dei beni sia stata effettuata ad un prezzo inferiore al loro valore normale; 3) il cessionario sia soggetto passivo IVA; 4) il cedente non abbia versato l’imposta relativa alla cessione effettuata.

A tal riguardo merita peraltro osservare, stante la commistione di piani che di frequente si rinviene nelle Corti di merito, che al pari delle operazioni oggettivamente inesistenti anche in questo caso l’elemento psicologico non gioca alcun ruolo sul piano della prova, né in riferimento alla prova diretta cui è onerato l’Ufficio, né in riferimento alla eventuale prova contraria cui è onerato il contribuente.

Ove l’Ufficio abbia assolto il proprio onere probatorio il contribuente sarà onerato della prova contraria, dovendo nella specie provare che il prezzo inferiore è stato determinato da eventi o situazione oggettivamente rilevabili non connesse con il mancato pagamento dell’imposta così dimostrando la plausibilità del minor corrispettivo.

Fermo quanto sopra, il punto più delicato della questione è notoriamente rappresentato dalla prova del “valore normale” incombente sull’Ufficio il cui onere può essere assolto, per costante giurisprudenza, anche attraverso meccanismi presuntivi.

Ora, a tal riguardo si rendono necessarie due osservazioni di cui una generale e l’altra particolare.

Per quanto concerne la prima, muovendo dalla considerazione da cui siamo partiti in ordine alla posizione equi ordinata propria della presunzione rispetto agli altri mezzi di prova, si può condividere che, anche a fronte del comma 5-bis cit., l’Amministrazione possa assolvere il proprio onere probatorio attraverso meccanismi presuntivi purché gli stessi abbiano gli attributi sopra rammentati e purché il giudice verifichi se la prova così fornita sia sufficiente a dimostrare in maniera circostanziata e puntuale la fondatezza della pretesa.

Qualche problema ulteriore solleva, invece e con questo venendo alla considerazione particolare, l’individuazione dei fatti secondari base idonei.

Il tema, per vero, anche in questo caso prescinde in parte dalla novella legislativa esso ponendo criticità già nella disciplina ante-riforma.

In particolare, rappresenta insegnamento anche di recente ribadito quello per il quale ai fini della prova dello scostamento del valore normale possa essere assunto a fatto secondario base le tariffe di chi ha fornito, a monte, i beni al cedente[39].

Sulla base di tale principio sovente accade che gli Uffici contestino la solidarietà del cessionario sulla base della sola circostanza che la cessione sia avvenuta per un prezzo inferiore rispetto a quello sopportato dal fornitore del cedente nell’operazione a monte, pur se lo stesso (valore di cessione) appaia conforme rispetto ai prezzi medi praticati nel settore per come rilevati da riviste specializzate ed altrettanto soventemente accade che le Corti territoriali fondino su tale presunto indizio il proprio convincimento.

Tale modus operandi, a meno che non sia rigidamente relegato a quelle sole ipotesi in cui non vi sia alcun riferimento per individuare il valore normale, deve essere recisamente contestato perché si pone in aperto con la stessa ratio dell’art. 60-bis cit.

E’ noto, infatti, che la finalità dell’articolo in commento sia quella di sanzionare, con la previsione di una responsabilità solidale, il cessionario per incauto acquisto.

Se così è, appare evidente che intanto un acquisto può essere “incauto” in quanto l’acquirente sia messo nella possibilità di percepire di star “incautamente” acquistando un bene o servizio.

L’acquirente deve cioè potersi avvedere che: a) il prezzo pattuito è inferiore rispetto a quello mediamente praticato sul mercato; b) tale prezzo inferiore non sia giustificato da alcuna ragione oggettiva apprezzabile.

Stando così le cose, nessun ruolo può allora essere giocato dal prezzo cui abbia acquistato il bene o il servizio il fornitore del cedente a monte ove il prezzo di cessione fra cedente e cessionario sia conforme rispetto a quello mediamente praticato sul mercato per almeno due ordini di ragioni:

(i) perché è regola che il cessionario non abbia alcun modo per conoscerlo, basandosi anzi le marginalità presenti negli scambi economici proprio sull’ignoranza del prezzo di acquisto originario;

(ii) perché lo stesso sarebbe comunque ultroneo rispetto al valore normale, a tal fine contando il prezzo mediamente praticato fra parti indipendenti e non già il (solo) valore di acquisto del bene dal fornitore a monte.

6. Venendo infine a svolgere alcune rapide considerazioni in riferimento all’imposta di registro, anche in questo caso non sembrerebbe che la novella legislativa possa produrre un impatto significativo.

Ed infatti, giusta la natura di imposta d’atto assunta dal prelievo, è sempre stato pacifico che: i) gravasse sull’Ufficio l’onere di provare l’esistenza e la consistenza dell’atto soggetto a tassazione, e; ii) che tale onere dovesse essere assolto, eccezion fatta chiaramente per i contratti verbali, a mezzo del deposito dell’atto oggetto di tassazione[40].

Distribuzione, quella sopra riferita, oggi quindi confermata dall’art. 7, comma 5-bis cit.

In riferimento alla verifica dell’assolvimento del predetto onere probatorio continueranno a seguirsi quindi le ordinarie regole codicistiche, per ciò che delle due l’una:

(i) ove il contribuente non contesti la fondatezza della pretesa, l’allegazione del fatto costitutivo (l’esistenza e qualità dell’atto soggetto ad imposizione) rappresenterà un fatto non contestato ex 115 c.p.c. e potrà essere considerato come provato ai fini della decisione, anche in assenza del deposito da parte dell’Amministrazione;

(ii) ove invece il contribuente contesti la fondatezza della pretesa, sarà specifico onere dell’Amministrazione quello di depositare in giudizio l’atto soggetto ad imposizione, non risultando altrimenti provato uno dei principali fatti costitutivi della propria pretesa.

[1] Sulla quale si è pronunciata già buona parte della dottrina. Per una analisi in termini generali, senza pretese di esaustività si v. Contrino A., La riforma della giustizia della giustizia tributaria di cui al d.d.l. n. 2636/2022: riforma “suicida” o “gattoperdesca”, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XV, 999 ss.; Giovanardi A., La riforma della giustizia tributaria nel disegno di legge di iniziativa governativa AS/2636: decisivo passo in avanti o disastrosa iattura?, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, VI, 687 ss.; Glendi C., Riforma della giustizia tributaria: perché è a rischio di incostituzionalità, in Dir. prat. trib., 2022, 4, 1357 ss.; Tundo F., Giustizia tributaria: una riforma perfettibile, ma con interventi non negoziabili, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, VI, 725 ss.

[2] Cfr., per le rispettive posizioni interpretative: Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XV, 1013 ss.; Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2023, 2, spec. 313 ss.

[3] Per un esame dei vari dubbi interpretativi che la novella ha sollevato, per tutti, si v. Melis G., Sul nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: sui profili temporali e sui rapporti con l’art. 2697c.c. e con il profilo di vicinanza della prova, in Riv. tel. dir. trib., 19 maggio 2023.

[4] Cass. n. 31878/2022 per la quale: «è appena il caso di sottolineare che il comma 5 bis dell’art. 7 d.lgs. n. 546/1992, introdotto con l’articolo 6 della legge n. 130/2022, ha ribadito, in maniera circostanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente […] Pertanto, la nuova formulazione legislativa […] non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetti ai principi già vigente in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».

[5] In dottrina si sono occupati della modifica in discorso, senza pretese di esaustività: Melis G., L’onere della prova e la “consistenza” della prova, primi disorientamenti giurisprudenziali, in Modulo24 Contenzioso, 2023, 1, 12 ss.; Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario riformato, in Carinci A. – Pistolesi F. (a cura di), La riforma della giustizia e del processo tributario, Milano, 2022, 85 ss.; Marinello A., Processo tributario e controversie in materia di transfer pricing, in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 775 ss.; Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. tel. dir. trib., 28 gennaio 2023; Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 D.Lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 43 ss.; Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Rass. trib., 2023, 1, 25 ss.; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, in il fisco, 2022, 40, 3807 ss.; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, Torino, 2023, 24 ss.; Carinci A., L’onere della prova nel processo tributario dopo l’art. 7, co. 5-bis, d.Lgs. n. 546/1992, in iltributario.it, 17 marzo 2023; Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2022, 3, I, 324 ss.

[6] Per tutte si v. CGT, I, Sez. XII, n. 1866/2023 per la quale: «Nella norma si stabilisce, come noto, da un lato, che spetta all’amministrazione “provare le violazioni contestate con l’atto impugnato” e quindi indicare le “ragioni oggettive” della pretesa – a conferma del fatto che le stesse devono trovare espressa indicazione nella motivazione originaria dell’atto – senza più tener conto della tutt’altro che facile distinzione tra fatti “costitutivi” ovvero fatti “modificativi”, “impeditivi” od “estintivi” contenuta nei due commi dell’art. 2697 c.c. che, come ha da sempre confermato la migliore dottrina, se mai poteva aver senso per il processo civile avente ad oggetto l’accertamento di diritti soggettivi, ma mal si adatta al processo tributario volto all’impugnazione e all’annullamento o meno di provvedimenti, cioè atti direttamente produttivi dei propri effetti emessi dall’Amministrazione finanziaria. […] Nella seconda parte del comma 5-bis si codifica, infine, espressamente, il potere del Giudice di annullare l’atto impositivo se manca la prova. In tal modo esprimendosi in modo netto la voluntas del legislatore della riforma di riportare la disciplina dell’onere della prova per il processo tributario a una dimensione tipicamente processuale, astraendola perciò dal contenuto dell’art. 2697 c.c., ormai assorbito nella nuova disciplina e non più applicabile al processo a far data dal 16 settembre 2022, che assegna al Giudice tributario un ruolo decisivo nell’apprezzamento della prova specifica agli atti di causa. Il comma 5-bis indica, a tal fine, una serie di “corollari” rimessi all’apprezzamento del Giudice per stabilire che la prova dei fatti costitutivi della pretesa incombente sull’Ufficio “non c’è” (al netto, quindi, degli atti impositivi in cui la prova contraria ricade sul contribuente come nei casi di presunzioni legali relative) che ampliano, di fatto, i casi in cui l’atto impugnato, se non è provato in giudizio nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, va direttamente annullato dal Giudice. Ed infatti, la prova della maggiore pretesa “non c’è”, non solo se “manca” o è “contraddittoria”, ma anche ove dovesse essere “comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”, intendendo in tal modo chiarire la legge il dovere degli uffici di fornire una prova circostanziata, puntuale, e specifica in riferimento a quanto di volta in volta è richiesto dalle diverse (e complesse) norme tributarie, dei fondamenti di fatto della maggiore pretesa e delle correlate sanzioni».

[7] Con maggiori riserve Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, cit., 3807 ss.

[8] Per un esame della dottrina sul tema v. Melis G., Sul nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: sui profili temporali e sui rapporti con l’art. 2697c.c. e con il profilo di vicinanza della prova, cit., 2 ss.

[9] Tipico esempio è la ripartizione dell’onere della prova in materia di costi deducibili il cui onere viene fatto gravare, a seconda della lettura interpretativa della novella legislativa, ora sull’Amministrazione, ora sul contribuente.

[10] Melis G., Sul nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: sui profili temporali e sui rapporti con l’art. 2697c.c. e con il profilo di vicinanza della prova, cit., per il quale: «Ebbene, ove dovesse ritenersi che l’onere sui fatti diversi da quelli “costitutivi” non siano altrimenti disciplinabile se non proprio attraverso l’art. 2697 c.c. medesimo, ciò non significherebbe affatto che il comma 5-bis sia privo di significato poiché sostanziale doppione dell’art. 2697 c.c.. Piuttosto, l’art. 2697 c.c. rimarrebbe semplicemente operante, quale norma generale, per tutto ciò che sia diverso dalla “violazione contestata”, di cui invece si occuperebbe il comma 5-bis. Poiché questa espressione abbraccia, evidentemente, ogni forma di contestazione (dal maggior ricavo non dichiarato al costo ritenuto non deducibile, dall’agevolazione ritenuta non spettante al prezzo di trasferimento non at arm’s lenght), con conseguente violazione delle disposizioni che, rispettivamente, affermano la rilevanza impositiva di quel ricavo, fissano gli elementi costitutivi di quella determinata deduzione o di quella determinata agevolazione o ancora stabiliscono la necessità che una determinata transazione avvenga a valore normale), la conclusione non sarebbe comunque diversa, in punto di onere della prova della “pretesa” (rectius violazione), da quella cui si giungerebbe ritenendo sic et simpliciter non (più) applicabile in parte qua l’art. 2697 c.c.».

[11] Contra Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 1013 ss. il quale, muovendo dal diverso presupposto concettuale della tesi qui condivisa, tale per cui il comma 5-bis cit. non avrebbe eliminato la tipica ripartizione dei fatti in costitutivi, impeditivi modificativi ed estintivi propria dell’art. 2697 c.c., ritiene che per le fattispecie agevolative l’onere della prova continui a gravare sul contribuente.

[12] Anche sotto tale profilo si assiste ad un vivace dibattito dottrinale laddove, se è opinione pacifica che il legislatore abbia “tentato” di incidere sulla regola di giudizio delle prove, non vi è uniformità di vedute quanto ai risultati predicandosi ora l’assoluta inutilità della novella, in quanto già grazie alla corretta interpretazione dell’art. 2697 c.c. si sarebbe dovuti pervenire ad identico risultato, ora invece l’intervenuta introduzione per effetto della novella di un rigore maggiore nella valutazione delle prove, essendo stata affrancata la regola di giudizio tributaria da quella civilistica. In riferimento a tali opposte posizioni, per tutti si v., quanto alla prima: Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 3, e, quanto alla seconda, Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, cit., 215.

[13] Si v. a titolo esemplificativo, CGUE C-289/22, par. 54, per la quale: «Poiché il diritto dell’unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’amministrazione finanziaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione». In termini consimili CGUE, C-521/21, par. 31: «Poiché il diritto dell’unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale». Similmente si v. altresì: CGUE, C-227/21, par. 34; CGUE, C-281/20, par. 51; CGUE, C-610/19, par. 58 e 59; CGUE, C-189/18, par. 36 e 37.

[14] Peraltro, proprio per tale ragione, la norma è finanche classificabile quale «norma probatoria generale» nell’accezione Chiovendiana da ciò conseguendone la sua immediata applicabilità anche ai giudizi in corso. Sul punto si v. Chiovenda G., La natura processuale delle norme sulla prova e l’efficacia della legge processuale nel tempo, in Saggi di diritto processuale civile, vol. I, Roma, 1930, 16 ss.

[15] Per tutti si v. Melis G., L’onere della prova e la “consistenza” della prova, primi disorientamenti giurisprudenziali, in Modulo24 Contenzioso, cit., 12 ss. e l’ulteriore bibliografia ivi richiamata.

[16] In generale sulla tematica dell’onere della prova nel processo tributario si v.: Muleo S., Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000, 391 ss.; Cipolla G.M., La prova tra procedimento e processo tributario, Milano, 2005, 2 ss.

[17] Da ultimo Cass. n. 21733/2021.

[18] Sulla qualificazione della malafede quale fatto costitutivo del diniego di detrazione e, quindi, della pretesa da ultimo si v. Mercuri G., Onere della prova dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 341.

[19] Melis G., L’onere della prova e la “consistenza” della prova, primi disorientamenti giurisprudenziali, cit., 12 ss.; Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, in Giustizia Insieme, 14 marzo 2023, par. 4; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, cit., 75; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, cit., 3809; Russo R., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 1015.

[20] Frasca R., I presupposti di legittimità delle presunzioni semplici, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 79 ss.

[21] Patti S., Le presunzioni semplici: rilievi introduttivi, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 3 ss.

[22] Per ulteriori approfondimenti sulla c.d. prova prima facie e su come questa, frequentemente nell’applicazione giuridica, finisca per confondersi con il ben diverso concetto di presunzione, si v. altresì: Taruffo M., Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 733 ss.; nonché Patti S., Note in tema di presunzioni semplici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 3, 891 ss. Per un recente esame di come l’istituto della prova prima facie si intrecci con il diritto tributario sostanziale e, in particolare, con l’accertamento induttivo si v.: Randazzo F., La prova “prima facie” nell’accertamento induttivo, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 23 ss.

[23] In senso analogo si v. Melis G., La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia Insieme, 19 dicembre 2022; nonché Carinci A., L’onere della prova nel processo tributario dopo l’art. 7, co. 5-bis, d.Lgs. n. 546/1992, cit.

[24] Poli R., Gli elementi strutturali del ragionamento presuntivo, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 27 ss.

[25] Contra Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 3.

[26] Profilo, detto ultimo, per primo rilevato da Muleo S., Le “nuove” regola sulla prova nel processo tributario, in Giustizia Insieme, 20 settembre 2022. Da ultimo si v. Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, cit., per il quale: «Non più dunque ricostruzioni “soggettivistiche”, opinabili, creative, cautelative, bensì “oggettive” in quanto “circostanziate e puntuali”», nonché similmente Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, cit., 315.

[27] Falcone G., Valutazione delle prove e riforme, in Boll. trib., 2022, 19, 1359 ss.

[28] Corte di Giustizia UE, 22 ottobre 2015, C-277/14, PPUH Stehcemp. In termini consimili Cass. n. 5059/2022.

[29] Ordinanze Forvards V, C‑563/11, EU:C:2013:125, punto 34, e Jagiełło, C‑33/13, EU:C:2014:184, punto 32.

[30] Par. 36 sentenza Stehcemp

[31] Par. 52 sentenza Stehcemp: «l’amministrazione tributaria non può tuttavia esigere in maniera generale che detto soggetto passivo, da un lato, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli».

[32] «Tale status non può neanche dipendere dal rispetto degli obblighi del soggetto passivo, risultanti dai paragrafi 4 e 5 di detto articolo 22, di depositare una dichiarazione fiscale e di pagare l’IVA»: par. 39 sentenza Stehcemp.

[33] «Tale status non può neanche dipendere dal rispetto degli obblighi del soggetto passivo, risultanti dai paragrafi 4 e 5 di detto articolo 22, di depositare una dichiarazione fiscale e di pagare l’IVA»: par. 39 sentenza Stehcemp.

[34] «A maggior ragione, il riconoscimento dello status di soggetto passivo non può essere sottoposto all’obbligo di pubblicare conti annuali»: par. 39 sentenza Stehcemp.

[35] «Non emerge dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della sesta direttiva che lo status di soggetto passivo dipenda da una qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica»: par. 37 sentenza Stehcemp

[36] «Gli Stati membri sono tenuti a verificare le dichiarazioni fiscali dei soggetti passivi, la loro contabilità e gli altri documenti utili»: par. 63 sentenza Mahagében (sulla irrilevanza della mancata tenuta della contabilità, anche Cass. n. 5059/2022).

[37] CGUE, C-285/11, par. 39.

[38] Cfr. A. Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, cit., 317 per il quale: «Per effetto della nuova disposizione, non è più sufficiente un mero quadro indiziario, per quanto ricco, ma l’Amministrazione dovrà dimostrare in modo puntuale e non contraddittorio, attraverso testimonianze di terzi, email, documenti bancari che il soggetto è stato consapevolmente partecipe della frode, che ha incassato una parte dell’Iva frodata, direttamente o sotto forma di riduzione di prezzo».

[39] In questo senso si v. Cass. n. 877/2019; Cass. n. 13425/2017.

[40] Non deve infatti essere confuso il piano della motivazione dell’atto, per il quale come noto esiste tutt’ora un contrasto in seno alla Suprema Corte in riferimento alla necessità di allegare l’atto tassato ai fini dell’adempimento dell’obbligo motivazionale gravante sull’Ufficio (a titolo esemplificativo si v. Cass. n. 1973/2022; Cass. n. 31966/2021, per la tesi favorevole all’Amministrazione e Cass. n. 29491/2018; Cass. n. 13402/2020 per la tesi favorevole al contribuente), con il diverso piano della prova in giudizio della pretesa il cui onere grava pacificamente in capo all’Ufficio ed è del tutto insensibile rispetto alla conoscenza/conoscibilità dell’atto tassato da parte del contribuente ed alla motivazione stessa dell’avviso, eccezion fatta ovviamente per l’ipotesi in cui a mezzo del deposito successivo l’Ufficio tenti surrettiziamente di operare un modifica e/o integrazione postuma della motivazione.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Carinci A., L’onere della prova nel processo tributario dopo l’art. 7, co. 5-bis, d.Lgs. n. 546/1992, in iltributario.it, 17 marzo 2023

Chiovenda G., La natura processuale delle norme sulla prova e l’efficacia della legge processuale nel tempo, in Saggi di diritto processuale civile, vol. I, Roma, 1930, 16 ss.

Cipolla G. M., La prova tra procedimento e processo tributario, Milano, 2005

Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2023, 2, 299 ss.

Contrino A., La riforma della giustizia della giustizia tributaria di cui al d.d.l. n. 2636/2022: riforma “suicida” o “gattoperdesca”, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XV, 999 ss.

Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, in il fisco, 2022, 40, 3807 ss.

Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Rass. trib., 2023, 1, 25 ss.

Falcone G., Valutazione delle prove e riforme, in Boll. trib., 2022, 19, 1359 ss.

Frasca R., I presupposti di legittimità delle presunzioni semplici, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 79 ss.

Giovanardi A., La riforma della giustizia tributaria nel disegno di legge di iniziativa governativa AS/2636: decisivo passo in avanti o disastrosa iattura?, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, VI, 687 ss.

Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, in Giustizia Insieme, 14 marzo 2023

Glendi C., Riforma della giustizia tributaria: perché è a rischio di incostituzionalità, in Dir. prat. trib., 2022, 4, 1357 ss.

Gucciardo L., Sull’onere della prova dell’inerenza dei costi anche alla luce della recente novella, in Riv. tel. dir. trib., 9 febbraio 2023

Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 D.Lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 43 ss.

Marinello A., Processo tributario e controversie in materia di transfer pricing, in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 775 ss.

Melis G., Sul nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: sui profili temporali e sui rapporti con l’art. 2697c.c. e con il profilo di vicinanza della prova, in Riv. tel. dir. trib., 19 maggio 2023

Melis G., L’onere della prova e la “consistenza” della prova, primi disorientamenti giurisprudenziali, in Modulo24 Contenzioso, 2023, 1, 12 ss.

Melis G., La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia Insieme, 19 dicembre 2022

Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2022, 3, I, 324 ss.

Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. tel. dir. trib., 28 gennaio 2023

Muleo S., Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000

Muleo S., Le “nuove” regola sulla prova nel processo tributario, in Giustizia Insieme, 20 settembre 2022

Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario riformato, in Carinci A. – Pistolesi F. (a cura di), La riforma della giustizia e del processo tributario, Milano, 2022, 85 ss.

Patti S., Le presunzioni semplici: rilievi introduttivi, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 3 ss.

Patti S., Note in tema di presunzioni semplici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 3, 891 ss.

Poli R., Gli elementi strutturali del ragionamento presuntivo, in Patti S. – Poli R. (a cura di), Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino, 2022, 27 ss.

Randazzo F., La prova “prima facie” nell’accertamento induttivo, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 17 ss.

Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, XV, 1013 ss.

Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, Torino, 2023

Taruffo M., Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 733 ss.

Tundo F., Giustizia tributaria: una riforma perfettibile, ma con interventi non negoziabili, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, VI, 725 ss.

Scarica il commento in formato pdf 

Tag:, , , , , , , , ,