La disciplina del contributo di solidarietà temporaneo nel settore energetico (art. 1, commi 115 ss., L. n. 197/2022) nella prospettiva sistematica e comparatistica

Di Roberto Iaia -

Abstract

Per l’anno 2023, la Legge di Bilancio (art. 1, commi 115 ss., L. n. 197/2022) ha previsto un contributo temporaneo di solidarietà afferente gli eccezionali profitti maturati da esercenti determinate attività nel settore energetico, in attuazione del Regolamento (UE) n. 2022/1854. La disciplina italiana rivela svariate aporie in rapporto a quella europea, enfatizzate dalla comparazione con le normative di attuazione negli Stati membri e dalle coordinate desumibili dal sistema ordinamentale multilivello.

The discipline of the temporary solidarity contribution in the energy sector (art. 1, paras. 115 and sequ. Law no. 197/2022) in a systematic and comparative perspective. – For the year 2023, the Italian Budget Law (Article 1, paras. 115 et sequ., L. no. 197/2022) has provided for a temporary solidarity contribution, referring to the exceptional profits accrued by taxpayers who carry out certain activities in the energy sector, in the implementation of reg. (EU) no. 2022/1854. The Italian discipline reveals various aporias in relation to the European one, emphasized by the comparison with the implementation regulations in the Member States and the coordinates inferable from the multilevel legal system.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La natura tributaria del prelievo. – 3. (Segue): la (controversa) morfologia di imposta sui redditi. – 4. L’ampia platea dei soggetti passivi. – 5. La territorialità. – 6. I pregi della disciplina rispetto a quella del contributo “caro bollette”. – 7. I limiti delle regole di determinazione dell’imponibile e del contributo. – 8. Esempi di assenza di discriminazione qualitativa: i produttori, i distributori e il regime delle riserve in sospensione d’imposta. – 9. Il problematico tentativo di un’esegesi adeguatrice alla Costituzione. – 10. Aporie in ordine ai profili territoriali. – 11. Radicali criticità di ordine sistematico. – 12. Elementi di contrasto tra il Regolamento (UE) n. 2022/1854 e i principi generali dell’ordinamento dell’Unione. Riflessi patologici per la normativa nazionale. Conclusioni e prospettive.

1. La L. n. 197/2022, relativa al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e al bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, ha istituito un contributo di solidarietà temporaneo a carico di esercenti determinate attività nel settore energetico, nel territorio dello Stato, ai fine della successiva vendita dei relativi beni.

Il prelievo è concepito al «fine di contenere gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico per le imprese e i consumatori» (art. 1, comma 115). Il legislatore italiano ha, così, inteso attuare gli artt. 14 ss. del Regolamento (UE) n. 2022/1854, mirato a realizzare un «intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia» nel Mercato Unico europeo (così, il titolo dell’atto normativo).

Il presente contributo si propone di esaminare il nuovo regime, tramite un approccio sistematico alla luce sia del Regolamento (UE) di riferimento sia di una prospettiva necessariamente sensibile alle norme primarie dell’ordinamento nazionale ed europeo, nel quale la disciplina si incapsula.

La stessa dimensione sistematica suggerisce di affiancare l’analisi comparatistica, onde appurare come gli Stati membri abbiano recepito il regolamento, in un costante confronto con i principi di governo dell’ordinamento multilivello.

2. Anzitutto, dalla prospettiva dogmatica italiana, non vi è dubbio che il contributo di solidarietà riveli la morfologia di un tributo. Si tratta di un prelievo coattivo, che trova origine nella legge, per il conseguimento di finalità pubblicistiche di contenimento dei prezzi del settore, come dianzi rilevato (in merito ai connotati giuridici dei tributi, Corte Cost., nn. 149/2021 e 304/2013; v., per esempio, Viotto A., voce Tributo, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1999, vol. XVI, 221 ss.; Fichera F., L’oggetto della giurisdizione tributaria e la nozione di tributo, in Rass. trib., 2007, 4, 1059 ss. nonché in Giurisdizione tributaria e nozione di tributo. Il caso della c.d. TIA-2, in Rass. trib., 2020, 1, 66 ss.; Fedele A., per esempio in La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, 1, I, 1 ss.; in senso specifico, v. Ingrosso M., Contributi, in Boll. trib., 1987, 6, 453 ss. e alla voce Contributi, in Dig. disc. priv., Sez. comm., IV, Torino, 1989, 113 ss.).

D’altronde, in apicibus, nel sistema europeo, la coattività di una prestazione e, in caso di inadempimento, il “perseguimento del soggetto passivo”, da parte di una “autorità pubblica”, rappresentano profili dirimenti per identificare un “tributo”, «indipendentemente dalla qualificazione che viene (…) attribuita nel diritto nazionale» (proprio in riferimento al settore dell’energia, Corte di Giustizia, 18 gennaio 2017, causa C-189/15, IRCCS, punto 29, cit. anche da Fichera F., Giurisdizione tributaria, cit., ivi, 76; v. pure Corte di Giustizia, 3 marzo 2021, causa C-220/19, Oliva Park, punto 45 e Corte di Giustizia, 27 ottobre 1998, causa C-4/97, Nonwoven, punto 19; sulla natura tributaria del contributo di solidarietà, nella prospettiva sovranazionale, Lammers J. – Kuźniacki B., The EU Solidarity Contribution and a More Proportional Alternative: A Study Under EU and International Investment Law, in Intertax, 2023, 6/7, 453-455).

Risultano, altresì, evidenti ulteriori lineamenti distintivi dei tributi quali la proiezione solidaristica, la funzione redistributiva della ricchezza fra i consociati e, dunque, l’atteggiarsi dell’onere straordinario quale strumento di rimozione di disuguaglianze sociali (artt. 2 e 3, comma 2, Cost.; cfr. Corte cost., n. 288/2019, par.  6.2. del “Considerato in diritto”; Moschetti F., Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 59 ss.; Falsitta G., Commento all’art. 2 Cost., in Aa.Vv., Comm. breve leggi trib., Padova, 2011, I, 3 ss., curato dallo stesso Autore).

Proprio in ordine alla individuazione della destinazione del gettito, il Regolamento n. 1854 precisa come sia destinato a variegate misure pubbliche di sostegno finanziario (art. 17, par. 1) alle «famiglie vulnerabili» (lett. a) e alle imprese «ad alta densità energetica», purché investano in energie rinnovabili, in interventi strutturali di efficienza energetica,  in altre tecnologie di decarbonizzazione (lett. c).

Ulteriori misure sono orientate a favorire la riduzione dei consumi (lett. b), lo sviluppo dell’autonomia energetica dell’Unione da Paesi terzi, soprattutto dalla Russia (lett. d; v. anche il piano della Commissione “REPower EU” COM[2022] 230 final del 18 maggio 2022, prefigurato dalla comunicazione dell’8 marzo 2022 COM[2022] 108 finalREPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili”).

Si ragiona, altresì, di una destinazione del gettito al finanziamento comune di misure, ispirate da «spirito di solidarietà fra Stati membri», per limitare le conseguenze della crisi energetica, il sostegno dell’occupazione, la riqualificazione professionale, la promozione di investimenti di efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili (lett. e).

Alla luce di tale fisionomia, il prelievo è annoverabile fra le imposte, dato che non è correlabile ad alcuna “controprestazione” del pubblico potere, in termini di atti, beni, funzioni, servizi da erogare verso gli obbligati. Non sussiste, insomma, un rapporto commutativo fra lo Stato creditore del contributo e i soggetti passivi (v., per esempio, Fedele A., La definizione del tributo, cit., ivi, 1 ss.; Fichera F., Giurisdizione tributaria, cit., ivi, 66 ss.; Del Federico L., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000).

In particolare, può essere inquadrato fra le imposte “assegnate allo scopo” (o imposte di scopo in senso improprio, dato) che non alterano la fisionomia disciplinare del tributo, ma stabiliscono un vincolo legale esplicito e specifico del gettito nei confronti della Pubblica Amministrazione (Ricci C., Tributi di scopo tra giustificazioni politiche e categorie giuridiche, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 2, 357 ss., spec. 366 ss. e in Sulla natura tributaria del contributo al Consiglio Nazionale Forense, commento a Cass. n. 30964/2021, in Riv. dir. trib., 2022, 4, II, 110 ss., spec. 131 ss.; valorizza la cogenza giuridica del vincolo di destinazione, Ingrosso M., voce Contributi, cit., ivi, 117).

3. In seno al genus dei tributi, l’Agenzia delle Entrate ha negato che l’onere in esame sia «annoverabile nell’ambito delle imposte sui redditi» (circ. 23 febbraio 2023, n. 4/E, la “Premessa”).

Tuttavia, l’affermazione è confutata dalla stessa disciplina in esame.

In primo luogo, il contributo si applica sul 50% della quota di reddito dell’anno d’imposta anteriore a quello corrente al 1° gennaio 2023, ove superiore al 10% della media di quelli maturati nei quattro periodi precedenti l’annualità in corso al 1° gennaio 2022 (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022 cit.; c.d. “average earnings method”).

Inoltre, e per l’effetto, lo stesso legislatore italiano rinvia alla disciplina dell’accertamento, della riscossione, delle sanzioni e del contenzioso in tema di imposte sui redditi (art. 1, comma 119, L. n. 197/2022).

Sicché, alcun dubbio può nutrirsi in proposito.

La contraria opinione amministrativa ritiene di far leva principalmente su due argomenti (v. circ. cit., ivi, nt. 6).

Il primo di essi tocca l’estraneità della materia delle imposte reddituali a quelle armonizzate a livello europeo. Qualora il contributo avesse natura di imposta sui redditi, il legislatore sovranazionale non lo avrebbe disciplinato, oltretutto tramite regolamento.

Tale posizione non coglie nel segno per varie ragioni.

In primo luogo, pretende di “provare troppo” e realizza una inversione di piani.

La natura, o meno, di tributo sui redditi è determinata dalle caratteristiche strutturali (del contenuto) della disciplina. Non affatto dall’essere regolato o meno a livello sovranazionale.

Piuttosto, il ragionamento deve muoversi in direzione contraria rispetto a quella che ha orientato l’opinione erariale.

Acclarata la natura del contributo quale imposta sui redditi, al più, si potrebbe dubitare della legittimità dello stesso Regolamento n. 1854, stante l’estraneità di tale area impositiva da quelle governate dal diritto sovranazionale, se non per il tramite di «direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno» (art. 115 TFUE; per questo approccio, Allevato G., L’adozione di una excess profit tax europea tra opportunità e criticità, in Riv. tel. dir. trib., 6 dicembre 2022, 11, circa la morfologia di imposta sui redditi e 15-16, riguardo al rapporto con la norma europea primaria, che ricorda altresì la presa di posizione di alcuni Stati orientali dell’Unione con la Comunicazione n. 4715/22 del 6 ottobre 2022, all. 1, sull’approvazione della proposta del Regolamento cit.).

Nondimeno, il primo alinea della premessa del Regolamento. n. 1854 pone in luce come sia stato emanato in base all’art. 122, par. 1 TFUE, in forza del quale «il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia».

Semmai, allora, il tema di fondo consiste nell’appurare la sussimibilità del contributo di solidarietà fra le varie “misure adeguate” del Regolamento (UE) n. 1854 per un intervento nel settore energetico, accanto a (e dopo) quelle afferenti la riduzione del consumo lordo di energia elettrica (artt. 3-4), della domanda (art. 5), il “price cap” sui corrispettivi praticati (artt. 6-7), ecc., ecc.

Insomma, occorre interrogarsi se il Regolamento potesse fisiologicamente disciplinare la materia sulla base dell’art. 122 TFUE (sul tema, in termini sostanzialmente positivi, Lammers J. – Kuźniacki B., The EU Solidarity Contribution, cit., ivi, 451 ss., spec. 455 ss.), ferma la morfologia di imposta sui redditi, ravvisabile per il contributo.

Il secondo argomento dell’interpretazione amministrativa riposa sulla indeducibilità del contributo dai tributi diretti (art. 1, comma 118, L. n. 197/2022), precisazione che sarebbe superflua qualora avesse natura di imposta reddituale, stante l’art. 99, D.P.R. n. 917/1986 (circ. n. 4/E/2023, nt. 6 cit.).

Anche da tale versante, la questione deve essere apprezzata in senso opposto.

Nella legislazione italiana, l’art. 99, comma 1, statuisce che “Le imposte sui redditi (…) non sono ammesse in deduzione” dall’IRES. Sicché, a tutto concedere, la previsione sulla indeducibilità del contributo (art. 1, comma 118 cit.) non smentisce affatto, ma rappresenta un ulteriore elemento sintomatico dell’inquadramento giuridico del prelievo in esame quale imposta reddituale.

D’altronde, e in contraddizione con le proprie premesse, la stessa esegesi amministrativa ammette che «il dettato normativo (…) ai fini del calcolo della base imponibile, fa specifico riferimento alla “quota del reddito complessivo  determinato ai fini delle imposte sul reddito delle società”» (art. 1, comma 116). Da qui, conclude che «siano riconducibili all’ambito soggettivo di applicazione del prelievo in commento (…) esclusivamente i soggetti passivi IRES (…)» (circ. n. 4/E/2023 cit., par. 1.1.; v. anche par. 1.2., circa le modalità di determinazione del contributo).

4. Proprio riguardo ai soggetti passivi, la disciplina italiana disegna un’area più ampia di contribuenti rispetto a quella del regime sovranazionale.

Infatti, quest’ultimo si rivolge a chi esercita «attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione» (art. 15, par. 1, Regolamento n. 1854) e, dunque, a soggetti che si avvalgono di fonti che si trovano allo stato fossile e, perciò, inquinanti.

Invece, la normativa nazionale non reca tali limitazioni, dato che considera pure «l’attività di produzione di energia elettrica, (…) dei soggetti rivenditori di energia elettrica» e di coloro che «importano a titolo definitivo energia elettrica» (art. 1, comma 115, L. n. 197/2022) e, così, estende il contributo anche ai produttori, importatori, rivenditori di energia rinnovabile.

Da un certo punto di vista, la ratio dell’estensione soggettiva potrebbe essere individuata nella volontà di evitare discriminazioni con altri operatori del settore ove avessero profittato della generalizzata lievitazione di prezzi e tariffe energetiche (v. infra, amplius, al par. 11.2.).

Tuttavia, limitatamente al settore energetico, che qui ci interessa, il testo europeo sembra attuare il noto principio “chi inquina paga” di rango primario nel sistema sovranazionale (art. 191, par. 2, TFUE), alla luce delle esternalità negative per l’ambiente che caratterizza l’utilizzo di fonti fossili (cfr., mutatis mutandis, Boria P., L’illegittimità costituzionale della “Robin Hood Tax”. E l’enunciazione di alcuni principi informatori del sistema di finanza pubblica, in GT – Riv.giur.trib., 2015, 5, 388 ss., in part. 394 ss.; Carpentieri L., La Corte costituzionale e i tributi al tempo della crisi: l’“autogoverno” degli effetti delle declaratorie di incostituzionalità e la prospettazione di una incostituzionalità solo pro futuro, in Riv. dir .trib., 2017, 3, I, 223 ss., in part. 240, in ordine a un altro prelievo su “extraprofitti” nel settore energetico, qual era la “Robin Hood Taxex art. 81, commi 16 ss., D.L. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133/2008).

Pertanto, una dilatazione dell’area dei soggetti passivi da parte del legislatore italiano verso gli operatori che si avvalgono di fonti rinnovabili non risulta in armonia con tale superiore principio, cui pare ispirarsi la normativa derivata sovranazionale (similiter, riguardo all’analoga platea di soggetti passivi del contributo “caro bollette” dell’art. 37 D.L. n. 21/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 51/2022, v. De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione degli utili extraprofitti delle imprese energetiche, in Dir. prat. trib., 2022, 6, 2107).

L’indagine comparatistica avalla la conclusione.

In linea con il regime europeo, alludono solo a fonti fossili le normative afferenti il contributo europeo per la crisi energetica (“EU-Energiekrisenbeitrags”) in Germania (art. 40, par. 1 e par. 2 della Jahressteuergesetz – JStG – 2022) e il contributo temporaneo di solidarietà (“contribution temporaire de solidarité”) in Francia (art. 40, par. II della Loi de finances pour 2023 n. 2022-1726), Portogallo (“contribuição de solidariedade temporária”; v. art. 2, par. 1, Lei n. 24-B/2022), nei Paesi Bassi (“tijdelijke solidariteitsbijdrage”: art. 2.1., Wet tijdelijke solidariteitsbijdrage del 21 dicembre 2022) e in Danimarca (“midlertidigt solidaritetsbidrag”: par. 2, Lov n. 502/2023).

Nell’ordinamento svedese, poi, la legge (2022:1843) su un’imposta temporanea sugli utili straordinari per talune società nel 2023 (“Lag [2022:1843] om en tillfällig skatt på extraordinära vinster för vissa företag under 2023”) reca un perentorio riferimento alla sovraimposizione di proventi ritratti esclusivamente da “attività nel settore dei combustibili fossili” (“verksamhet inom sektorn för fossila bränslen”: 5 par.).

D’altronde, in apicibus, pure la stessa scelta del regolamento quale fonte normativa non appare casuale. Le istituzioni europee hanno inteso concepire una «misura congiunta e coordinata (…), garantendo condizioni di parità in tutta l’Unione» (considerando 14). Da qui, il ricorso al Regolamento, di norma contraddistinto da precetti puntuali e specifici, immediatamente vincolanti per tutti gli Stati membri (art. 288, par. 2, TFUE), onde assicurare una disciplina uniforme nel Mercato Unico (Corte di Giustizia, 7 luglio 2016, causa C-70/15, Lebek, punto 52).

Al contrario, in linea di principio, l’Unione avrebbe dovuto emanare una Direttiva, ove avesse inteso fissare solo un minimum standard disciplinare, aperto a integrazioni o variazioni da parte degli Stati membri (art. 288, par. 3, in rapporto all’art. 115 TFUE).

Vero è che pure i regolamenti possono recare c.d. “clausole di apertura” (“opening clauses”) e, così, dare adito a margini di discrezionalità nell’attuazione della disciplina da parte dei legislatori domestici che possono prevedere anche norme supplementari, più rigorose o derogatorie (v., per esempio, Corte di Giustizia, 30 marzo 2023, causa C-34/21, Hauptpersonalrat der Lehrerinnen und Lehrer beim Hessischen Kultusministerium, punti 51 e 78).

Tuttavia, non persuade del tutto l’opinione che ha ravvisato nel Regolamento n. 1854 un atto sui generis, che imporrebbe determinate misure, affidandone il disegno ai legislatori nazionali, dato che il testo europeo salva apertis verbis eventuali “norme analoghe”, (pre-)esistenti a livello nazionale (Assonime, circ. 30 marzo 2023, n. 8, par. 5, p. 20, in rapporto all’art. 14, par. 2, Regolamento n. 1854; in tal senso, anche Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 16).

Per conformarsi all’ordinamento dell’Unione, le previsioni interne devono pur sempre contemplare “misure equivalenti” al contributo europeo tramite, appunto, “norme analoghe” a quelle regolamentari e, così, rispecchiarne il contenuto.

Inoltre, la quasi totalità delle disposizioni regolamentari dedicate al prelievo non reca “opening clauses”. Tanto vale proprio per l’individuazione dei soggetti passivi, dato che il tenore del Regolamento n. 1854 non apre alcun varco a un ampliamento del raggio dei destinatari del contributo di solidarietà (riv. art. 14, par. 1).

Movendo dalla delineata prospettiva, nell’ordinamento italiano, l’applicazione del prelievo pure a soggetti esercenti attività nei settori delle fonti rinnovabili non sembra consentito dall’enunciato principio “chi inquina paga”, recepito con la delimitazione dell’area dei contribuenti, scolpita dalla normativa derivata europea.

5. In secondo luogo, la normativa italiana allude all’esercizio delle attività fiscalmente rilevanti, nel territorio dello Stato. La precisazione sembra riecheggiare la disciplina dell’IVA (art. 1 D.P.R. n. 633/1972) e, non a caso, è ripresa dal regime del contributo relativo al “caro bollette” (art. 37, comma 1, D.L. n. 21/2022), il quale presenta molti addentellati con tale imposta (sul punto specifico, Iaia R., Prime riflessioni sistematiche in ordine al contributo straordinario sul c.d. “caro bollette” [art. 37 D.L. n. 21/2022], in Riv. tel. dir. trib., 24 giugno 2022, in part. 11 ss.; in generale, sulla disposizione, Stevanato D., Extraprofitti: una tassa ingiusta, inutile e dannosa, in IBL Focus, 21 marzo 2022; De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione, cit., ivi, 2093 ss.; Marini F.S. – Marini G., Profili di dubbia costituzionalità del contributo sugli extraprofitti energetici, in il fisco, 2022, 39, 3745 ss.).

Allora, da questo punto di vista, potrebbe apparire fuori contesto nella cornice di regolamentazione di un contributo, invece concepito come una sorta di “appendice” dell’IRES, dato che l’imposizione dei redditi si appunta sul c.d. “utile mondiale”, maturato dal contribuente residente e, dunque, anche su proventi di fonte estera (“worldwide income principle” o “worldwide taxation principle”: v. art. 81 e, ai fini IRPEF, l’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 917/1986).

Ne deriva che le attività, considerate dal regime del contributo di solidarietà per il 2023, dovrebbero rilevare non solo e non tanto perché  esercitate nel territorio dello Stato, ma in quanto poste in essere da soggetti residenti o dotati di stabile organizzazione in Italia (artt. 73, comma 1, lett. d e 162, D.P.R. n. 917/1986), come, d’altronde, sancisce il Regolamento n. 1854 (art. 14, par. 1).

Tuttavia, la soluzione normativa deve essere considerata, da altri angoli di visuale.

L’indole di (sovra)imposta sui redditi dovrebbe attrarla al regime delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 11).

In proposito, il Modello convenzionale, elaborato dall’OCSE, prevede, fra l’altro, la possibile estraneità di redditi esteri dall’imposizione del soggetto localizzato in uno degli Stati contraenti (c.d. exemption method : v. OCSE, Model Tax Convention on Income and on Capital 2017, Paris, 2017, art. 23A).

Con il riferimento ad attività qualificate (e, dunque, ai proventi ritratti) dall’esercizio nel “territorio dello Stato”, il regime nazionale elide ab imis qualsiasi pericolo di doppia applicazione del contributo su redditi esteri del soggetto nello Stato di residenza o di ubicazione della stabile organizzazione (l’Italia) e in quello di maturazione degli stessi imponibili (oltre confine).

L’assetto che ne deriva trova eco pure nell’ordinamento tedesco, il quale esclude dall’imponibile la frazione di redditi esteri, sottoposti a «un contributo di solidarietà o un prelievo basato su una misura nazionale equivalente» (“ein Solidaritätsbeitrag oder eine Abgabe aufgrund einer gleichwertigen nationalen Maßnahme”) a quella del Regolamento n. 1854 (art. 40, par.4 [1], JStG 2022, in rapporto all’art. 14, par. 1 della normativa sovranazionale).

Piuttosto, da un altro crinale, occorre interrogarsi se tale approccio sia proprio del tutto coerente con quello recepito in Convenzioni stipulate dall’Italia, che guardano, invece e soprattutto, al riconoscimento di un credito d’imposta proporzionale ai redditi colpiti da imposizione all’estero per scongiurare la doppia imposizione cross-border (c.d. “credit method”, sul paradigma dell’art. 23B del Model Tax Convention cit.: v., per esempio, l’art. 24, par. 1 della Convenzione con la Francia, 5 ottobre 1989, ratificata ed eseguita in Italia dalla L. n. 20/1992; art. 24, par. 2 della Convenzione con la Germania, 18 ottobre 1989, recepita dalla L. n. 459/1992; cfr., poi, l’art. 165 D.P.R. n. 917/1986).

6. In relazione a taluni profili oggettivi del prelievo, il nuovo regime segna un deciso miglioramento rispetto a quello del contributo sul “caro bollette” del 2022.

Difatti, questo risulta calibrato su un rapporto incrementale acriticamente estrapolato dalle liquidazioni periodiche ai fini IVA (art. 37, comma 3, D.L. n. 21/2022 cit., che rinvia all’art. 21-bis D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122/2010).

Tuttavia, già la prima Comunicazione RePowerEU della Commissione europea dell’8 marzo 2022 prefigurava misure destinate a colpire «profitti elevati», gli «utili inframarginali», maturati dagli operatori del settore (v. par. 1.1. e all. 2).

I concetti di “profitto” e, soprattutto, di “utile”, cui guarda lo stesso Regolamento n. 1854 (v., per esempio, art. 15, par. 1) inducono a porre attenzione alle risultanze del conto economico (art. 2425 c.c.), sulle quali, almeno di regola e in prima battuta, è permeata l’imposizione italiana del reddito d’impresa (art. 83 D.P.R. n. 917/1986).

Allora, un prelievo che voglia colpire introiti speculativi meglio riposa su tale microsistema rispetto, invece, a quello dell’IVA (Iaia R. Prime riflessioni sistematiche, cit., ivi, 5-6; De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione, cit., ivi, 2097 ss.; Assonime, Osservazioni sul disegno di legge n. 2564, “Conversione in legge del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, recante misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, 2 ss.).

La disciplina del nuovo contributo del 2023 risponde a questa esigenza, dato che è correlato all’imposizione reddituale, come appurato (par. 3.).

In secondo luogo, proprio il riferimento all’IRES comporta la rilevanza dell’imponibile al netto dei componenti negativi (art. 75 D.P.R. n. 917/1986).

L’approccio è in sintonia con quella tesi che ravvisa una manifestazione di capacità contributiva, suscettibile di concorso alle spese pubbliche (art. 53, comma 1, Cost.), solo nel reddito, depurato da componenti negativi, quale indicatore di effettiva ricchezza tassabile (Moschetti F., Il principio della capacità contributiva, cit., passim; Falsitta G., Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico prima e dopo la Costituzione repubblicana, Milano, 2014, passim; per una diversa ricostruzione, che non ravvisa le possibili espressioni della capacità contributiva solo nel patrimonio e nel reddito netto, cfr. Corte cost., n. 288/2019, par. 6.5.2., ult. periodo del “Considerato in diritto”; Corte cost., ord. n. 165/2021; Gallo F., per esempio in Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. trib., 2015, 4, 771 ss. e in Il tributo quale indispensabile strumento di politiche ridistributive, in Rass. trib., 2021, 2, 273 ss., in part. 282 ss.)

Sul piano temporale, poi, appare senz’altro apprezzabile l’ancoramento del prelievo al periodo d’imposta, cui si correla la nascita di una distinta obbligazione tributaria ai fini dell’imposizione reddituale (v. art. 76 D.P.R. n. 917/1986).

La soluzione è preferibile rispetto a quella adottata per il contributo “caro bollette” del 2022, il quale, invece, si riferisce arbitrariamente a due frazioni di sette mesi (1° ottobre – 30 aprile del 2021 e 2022), comprese fra più annualità (art. 37, comma 2, D.L. n. 21 cit.; in senso critico, Iaia R., Prime riflessioni sistematiche, cit., ivi, 7-8; Marini F.S. – Marini G., Profili di dubbia costituzionalità, cit., ivi, 3748).

Tuttavia, rispetto al prelievo del 2022, sembrano arrestarsi qui i miglioramenti apportati dal nuovo regime, peraltro in buon parte determinati dal Regolamento n. 1854.

Il nuovo contributo sollecita perplessità a causa di aporie sia proprie del tenore della disciplina sia rispetto ai principi di governo dell’ordinamento, in modo piuttosto simile a quelle che contraddistinguono l’onere del 2022.

Procediamo con ordine.

7. Quanto alle criticità del nuovo regime in sé, è opportuno considerare la macchinosa determinazione dell’entità del contributo. Per i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, il prelievo è calcolato su un incremento del reddito per il 2022, ove superiore al 10% della media degli imponibili degli anni 2018-2021 (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022 cit., da intendersi al lordo di perdite pregresse e della deduzione “Aiuto alla crescita economica” – ACE – ex 84, D.P.R. n. 917/1986 e 1 D.L. n. 201/2011, abrogato dall’art. 1, comma 1080, L. n. 145/2018, di nuovo previsto, con modifiche, dall’art. 1, comma 287, L. n. 160/2019; circ. n. 4/E/2023, par. 1.2.).

Tanto dischiude vari scenari patologici sul piano sistematico.

7.1. Nell’ordinamento italiano, il contributo in esame trova un importante precedente in una maggiorazione dell’imposta sui redditi societari: la ricordata “Robin Hood Tax” nel settore energetico (art. 81, commi 16 ss., D.L. n. 112/2008 cit.). In relazione a simile prelievo, la Corte costituzionale ha posto l’accento su una necessaria “discriminazione qualitativa” dei redditi la quale giustificherebbe prelievi straordinari su profitti molto elevati, siccome rivelatori di una capacità contributiva peculiare (art. 53, comma 1, Cost.; v. Corte cost. n. 10/2015, parr. 6.2. del “Considerato in diritto”; contra, Stevanato D., Extraprofitti: una tassa ingiusta, cit., 1-2 e, in precedenza, in La «Robin Hood Tax» e i limiti alla discrezionalità del legislatore, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 10, 841 ss., ove constata che la maggiore ricchezza è già assoggettata a una superiore imposizione per effetto dell’aliquota proporzionale “ordinaria” dell’IRES; sulla “Robin Tax” e la cit. sentenza, v. Marongiu G., Robin Hood Tax: taxation without “constitutional principles”?, in Rass. trib., 2008, 5, 1335 ss.; Tundo F., «Robin tax»: come conciliare la formulazione della norma con le finalità del legislatore?, in Corr.trib., 2011, 40, 3269 ss.; Bizioli G., L’incostituzionalità della Robin Hood Tax fra discriminazione qualitativa dei redditi ed equilibrio di bilancio, in Rass. trib., 2015, 5, 1079 ss.; Boria P., L’illegittimità costituzionale della “Robin Hood Tax”, cit., ivi, 388 ss.; Carpentieri L., La Corte costituzionale e i tributi al tempo della crisi,  cit., ivi,  223 ss.; lo stesso Stevanato D., anche in “Robin Hood Tax” tra incostituzionalità e aperture della Corte a discriminazioni qualitative dei redditi societari, in Corr. trib., 2015, 13, 951 ss.).

La necessità della discriminazione qualitativa dei redditi trova vari riscontri nella giurisprudenza costituzionale (v. anche Corte cost. n. 288/2019, parr. 6.3. e 6.5.2. del “Considerato in diritto”, in rapporto all’art. 2, comma 2, D.L. n. 133/2013, convertito, con modificazioni, nella L. n. 5/2014, riguardo a una maggiorazione dell’8,5% dell’IRES a carico degli enti operanti sul mercato creditizio e assicurativo per l’anno d’imposta in corso al 31 dicembre 2013; v. già Corte cost., n. 42/1980, par. 4., sulla incostituzionalità degli artt. 4, n. 1, L. n. 825/1971 e 1, comma 2, D.P.R. n. 597/1973 in ordine all’ILOR sui redditi di lavoro autonomo, non assimilabili a quelli d’impresa).

Orbene, il terreno di elezione entro il quale intercettare possibili excess profits sarebbe quello dei ricavi e, dunque, di peculiari componenti del reddito d’impresa (art. 85 D.P.R. n. 917/1986).

La disciplina è parzialmente sensibile a questo aspetto, ove applica il contributo solo qualora dalle attività interessate si generi almeno il 75% dei ricavi «del periodo d’imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 (…) dalle attività» testé indicate (art. 1, comma 115, L. n. 197/2022).

Tuttavia, il parametro di riferimento non è sufficiente a scongiurare l’imposizione di redditi che nulla hanno a che vedere con la ratio anti-inflazionistica del prelievo.

Dal versante tributaristico nazionale, la determinazione del reddito, sulla base di variazioni in aumento e in diminuzione rispetto al risultato contabile civilistico (art. 83 D.P.R. n. 917/1986, cit.), pone in luce come l’imponibile IRES, rilevante ai fini del contributo, non abbracci solo redditi chiaramente ascrivibili a un approfittamento di condizioni congiunturali per incrementare i prezzi.

Si pensi, ad esempio, alle liberalità, che affluiscono nell’imponibile complessivo o ai proventi da beni immobili c.d. “meramente patrimoniali” (e, quindi, diversi da quelli produttivi di ricavi e dai beni strumentali), determinati su base catastale per i beni nel territorio dello Stato (artt. 88, comma 3, lett. b e 90, D.P.R. n. 917/1986).

Dal lato dei componenti negativi, si considerino le varie ipotesi di forfetizzazione nella determinazione di componenti negativi di reddito quali gli interessi passivi (art. 96 D.P.R. n. 917, ora in attuazione dell’art. 4 della Direttiva “ATAD”, n. 2016/1164), le spese di rappresentanza, per la telefonia mobile (artt. 108, comma 2 e 102, comma 9, D.P.R. n. 917/1986 cit.), ecc., ecc.

Sono previsioni che incrementano il reddito assoggettato all’IRES e, di riflesso, il contributo di solidarietà, senza alcun trait d’union con un corrispondente “utile”  contabile di derivazione speculativa.

In simili ipotesi, l’assenza di una simile origine permarrebbe anche se i ricavi delle attività in questione valicassero il 75% dell’ammontare complessivo.

Insomma, con le forfetizzazioni del regime in esame, riecheggia una felice espressione della Corte costituzionale: la discriminazione qualitativa dei redditi pare degradarsi a una sorta di “discriminazione quantitativa” (Corte cost., n. 42/1980, cit., punto 6).

7.2. Sempre in punto di determinazione dell’imponibile, si impongono ulteriori riflessioni.

L’ordinaria imputazione dei componenti reddituali e, in primis, dei ricavi, al lume del principio di competenza che permea di sé la disciplina del reddito d’impresa (art. 109, comma 1, D.P.R. n. 917/1986), non permette una sicura emersione di proventi eccezionali per un ammontare definitivamente determinato nell’an e nel quantum.

Agli introiti di competenza potrebbe seguire la loro mancata percezione in successivi periodi d’imposta.

Sarebbe possibile applicare quelle poste “correttive” che sono le sopravvenienze passive, stante «il mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi» (art. 101, comma 4, prima ipotesi, D.P.R. n. 917/1986). Tuttavia, ciò rileverebbe per l’IRES di annualità posteriori, non per un contributo una tantum quale quello di solidarietà, circoscritto al 2023 su un imponibile del 2022, la cui disciplina non prevede un simile strumento di riequilibrio rispetto al principio di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.).

Insomma, non solo il regime del prelievo non realizza una corretta discriminazione qualitativa, ma rischia di sfociare in una sovraimposizione su redditi anche solo figurativi.

A voler assecondare l’approccio che valorizza la possibilità di considerare nuove espressioni di capacità contributiva, diverse dal patrimonio e dal reddito (v. retro, par. 6.), resterebbe comunque che siffatte “espressioni” dovrebbero manifestarsi nella propria effettività.

Da questo punto di vista, appare significativo constatare come già il primo documento di soft law europeo sul tema additasse la necessità di tassare «extraprofitti», qualora «effettivamente percepiti», ossia «quota di utili effettivamente realizzati» (Comunicazione REPowerEU, 8 marzo 2022, cit., all. 2).

La disciplina italiana non realizza certamente tale obiettivo.

7.3. Peraltro, ai fini della commisurazione dell’imponibile, la scelta di una franchigia del 10% è ispirata dal Regolamento n. 1854., il quale, in proposito, ha precisato che «parte del margine di profitto, che non è dovuto all’andamento imprevedibile dei mercati dell’energia a seguito della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, possa essere utilizzata dalle imprese e dalle stabili organizzazioni interessate per investimenti futuri o per salvaguardare la propria stabilità finanziaria durante l’attuale crisi energetica, anche a favore dei settori industriali ad alta intensità energetica. La base di calcolo determinata in questo modo assicurerebbe la proporzionalità del contributo di solidarietà nei diversi Stati membri» (Considerando 54; v. già la Comunicazione RePowerEU, 8 marzo 2022, all. 2).

In ambito nazionale, la proporzionalità, invocata dal Regolamento citato, è alla base del principio costituzionale di ragionevolezza, che domina quello di eguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.; per  tali espressioni, cfr., per esempio, Corte cost., n. 40/1990).

Nella declinazione del principio  di proporzionalità, la dogmatica tedesca ha posto in luce come il primo test del principio attenga alla “idoneità” della disciplina a conseguire lo scopo che si prefigge (Nolte G., General Principles of German and European Administrative Law. A Comparison in Historical Perspective, in The Modern Law Review, 1994, 191 ss., spec. 193; Marsch N. – Tunsmeyer V., The principle of proportionality in German administrative law, in Ranchordas S. – de Waard B., a cura di, The Judge and the Proportionate Use of Discretion. A Comparative Study, Oxon – New York, 2016, 13 ss.; Moschetti G., Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nel diritto tributario. Premesse generali, Milano, 2017, 108 ss.).

Proprio la determinazione dell’imponibile sollecita alcune riflessioni dalle prospettive di principi fra loro correlati, quali quelli di capacità contributiva e di proporzionalità, sotto il profilo della “idoneità” della misura al conseguimento del fine, per cui è concepita.

Difatti, la scelta normativa è indirizzata verso una forfetizzazione e, così, devia dal punto di mira della “discriminazione qualitativa” verso una “discriminazione  quantitativa”. Il valicamento del 10% risulta de jure rivelatore di “extraprofitti” meritevoli di (sovra)imposizione, anche quando non traggano origine dall’eccezionale incremento dei prezzi nel settore.

Fra l’altro, una simile forfetizzazione del 10% può suggerire un’artificiosa diluizione degli excess profits tra più soggetti in modo da non superare tale confine (cfr. Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 16). L’evenienza è più verosimile per i contribuenti in seno a un medesimo gruppo societario, accomunati da una linea di azione imprenditoriale comune e dall’assenza di conflitti di interessi; fattori, questi, che possono facilitare la concertazione di simili arbitraggi.

Né dissipa ogni perplessità l’apposizione di un tetto nel quantum del contributo, pari al 25% del valore del patrimonio netto «alla data di chiusura dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022» (art. 1, comma 116, cit.; da intendersi riferito al fondo di dotazione ex art. 152, comma 2, secondo periodo, D.P.R. n. 917/1986, per le stabili organizzazioni in Italia, secondo Agenzia delle Entrate, circ. n. 4/E/2023 cit., par. 1.2. e senza considerare le riserve, c.d. “cash flow hedge” per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, Risposta ad interpello 5 giugno 2023, n. 339).

La norma vuole evitare che sui contribuenti gravino oneri tali da incidere sulle risorse fondamentali che assicurano l’operatività e permanenza sul mercato.

Da questo crinale di analisi, semmai, bisogna chiedersi se tale effetto potesse essere preferibilmente conseguito, tramite un ancoramento al 25% del patrimonio dello stesso periodo di imposta 2022, al quale il contributo si riferisce.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la scelta dell’anno 2021 tocca l’ultimo bilancio approvato; pertanto, è stata verosimilmente dettata dalla necessità di coordinare la scadenza del versamento (sesto mese dell’anno d’imposta corrente nel 2023) con i tempi di approvazione del bilancio del 2022.

Peraltro, vi è da rilevare che, in non pochi casi, la pandemia da SARS-Cov2 abbia determinato una svalutazione degli assets da rilevare a bilancio (art. 2426, comma 1, n. 3, c.c.) proprio nel 2021.

Sicché, il limite del 25% calibrato sul 2021, nel cuore dell’emergenza sanitaria, potrebbe rivelarsi un presidio “inidoneo” a scongiurare riflessi espropriativi nell’applicazione dell’onere straordinario e, perciò, in contrasto con i principi di capacità contributiva e proporzionalità.

In ogni caso, il temperamento non elimina dalla scena la questione di fondo.

Sarebbe stata pur sempre preferibile un’apertura a un riscontro di tipo qualitativo che lasciasse fuori dal prelievo componenti reddituali non affatto correlabili a una lievitazione speculativa dei prezzi e delle tariffe del settore, cui guarda la disciplina (quali, ad esempio, liberalità, forfetizzazioni, ecc.).

La discriminazione qualitativa, proprio perché tale, dovrebbe prescindere dal superamento o meno di confini numerici, per quanto rispondano indubbiamente ad esigenze di semplificazione applicativa (Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 8).

Difatti, imposizioni diversificate devono «pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell’imposta» (Corte cost., n. 10/2015, cit., par. 6.5. del “Considerato in diritto”).

In altre parole, la semplificazione non può comunque dare adito a un’imposizione affrancata dai principi, dalla intercettazione della puntuale idoneità del singolo alla contribuzione, palesata da specifici componenti reddituali rivelatori di “extraprofitti” (per similari osservazioni, mutatis mutandis, sulla “Robin Tax”, v. Corte cost., n. 10/2015 cit., par. 6.5.1. del “Considerato in diritto”)

Gli aspetti sui quali ci siamo intrattenuti toccano certamente i profili sostanziali dell’imposizione.

Volendo attingere alle categorie giuridico-dogmatiche, proprie del procedimento amministrativo e del processo, si potrebbe affermare che la normativa de qua sancisca una sorta di presunzione legale assoluta di origine speculativa dei redditi, a fronte di incrementi superiori a una determinata soglia (sul rapporto tra le forfetizzazioni e le presunzioni, Tosi L., Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale. Contributo alla trattazione sistematica dell’imposizione su basi forfettarie, Milano, 1999, 21 ss. e 93 ss.).

Difatti, la normativa non dà adito alla prova contraria circa l’assenza di una connotazione locupletativa dei redditi interessati dal contributo, in contrasto, di nuovo, con gli enunciati principi di capacità contributiva e di proporzionalità.

7.4. Anche a voler assecondare la forfetizzazione della soglia di speculatività, resterebbe comunque un dato ineludibile.

Nel determinare tale forfetizzazione, la disciplina europea ha sancito un confine rivelatore di “extraprofitti”, pari al 20% della media reddituale del quadriennio precedente il 2022 (art. 15 Regolamento n. 1854).

A livello domestico, il limite del 20% è stato recepito ut sic per il c.d. EU-Energiekrisenbeitrags tedesco (art. 40, par. 4 [1], JStG 2022), il contribution temporaire de solidarité francese (art. 40, par. III-A, Loi n. 2022-1726), il contribuição de solidariedade temporária portoghese (art. 3, par. 2, Lei n. 24-B/2022), il tijdelijke solidariteitsbijdrage olandese (art. 1.2.[1][f], Wet 21 dicembre 2022), il midlertidigt solidaritetsbidrag danese (par. 3, par. 2, Lov n. 502/2023), nonché dalla legge croata sull’imposta sul reddito complementare (art. 5, parr. 1-2, “Zakon o dodatnom porezu na dobit” NN 151/22, 09/23) e da quella svedese (6par. e 7par., Lag [2022:1843] cit.).

Invece, nell’ordinamento italiano, la soglia legislativa corrisponde, inspiegabilmente, alla metà di quella europea e, così, attrae a imposizione redditi che dovrebbero esserne, invece, estranei al lume della normativa sovranazionale, ove superiori al 10%, ma non al 20%.

Ancora una volta, ci troviamo al cospetto di una previsione europea (l’art. 15 Regolameno n. 1854 sul 20%), che non stabilisce affatto un minimum standard, un confine lasciato a disinvolte modifiche degli Stati membri, per di più in pejus. Piuttosto, sancisce un parametro specifico e invariabile, veicolato tramite una disposizione, appunto, di un Regolamento (non di una Direttiva), con la conseguenta inconcepibilità in thesi di spazi di intervento da parte dei legislatori nazionali.

Pertanto, non appare affatto peregrino ventilare una disapplicazione della norma nazionale in rapporto al limite del 10% perché contrastante con il più lontano confine del 20%, tracciato a livello europeo, in modo vincolante e puntuale (cfr. Corte di Giustizia, 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal).

8. I profili qualitativi rilevano, naturalmente, ai fini di una corretta formulazione di norme di esclusione dall’imponibile, che dovrebbero toccare tutti i proventi non scaturiti da politiche imprenditoriali inflazionistiche.

Tanto sollecita particolari osservazioni da almeno due crinali di analisi.

8.1. Desta riserve l’attrazione a (sovra)imposizione anche dei distributori di prodotti petroliferi, dato che rilevanti incrementi dei prezzi sono determinati “a monte”, dagli estrattori e produttori di petrolio (upstream) non già da chi lo commercializza “a valle” (downstream), in specie nel mercato italiano (Marongiu G., Robin Hood Tax, cit., ivi, 1339; Stevanato D., Extraprofitti: una tassa ingiusta, cit., 6 e in “Robin Hood Tax”, cit., ivi, 953).

In una più ampia prospettiva, anche altri soggetti passivi del contributo di solidarietà, attivi nella distribuzione e commercializzazione di prodotti nel settore, risentono e subiscono l’aumento dei prezzi praticati dai produttori, senza realizzare margini così significativi, in sé e per sé, quale esclusivo frutto di proprie policies d’impresa.

Da questo punto di vista, sono ravvisabili profili di ingiustificata discriminazione interna, a seconda del livello della “catena” produttiva o distributiva nei quali si collocano gli operatori del settore (De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione, cit., ivi, 2099 e 2105).

8.2. Dal versante degli elementi oggettivi del prelievo, invece, ulteriori riflessioni sono stimolate dalle riserve in sospensione d’imposta. In senso lato, sono inquadrabili quali poste di patrimonio netto in relazione alle quali, specifiche norme prevedono un differimento temporale dell’imposizione sui redditi alle medesime ascrivibili.

Il recentissimo art. 5 D.L. n. 34/2023 (c.d. “Decreto bollette”, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 56/2023) ha escluso dall’imponibile del contibuto gli utilizzi delle riserve del patrimonio netto, per il 30% di quelle risultanti al termine dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022, ove oggetto di regimi di sospensione d’imposta.

La norma ha esteso l’esclusione del 30% agli utilizzi di riserve vincolate a copertura di eccedenze dedotte per ammortamenti, rettifiche di valore e accantonamenti rispetto a quelli imputati a conto economico, al netto del fondo imposte differite, correlato agli importi dedotti, con rinvio all’art. 109, comma 4, lett. b), D.P.R. n. 917/1986, nel testo anteriore all’art. 1, comma 33, lett. q), L. n. 244/2007.

In primo luogo, alle riserve in sospensione d’imposta, si riferiscono svariate norme tributarie sulle rivalutazioni e sui riallineamenti dei valori fiscali a quelli contabili, soprattutto in riferimento a beni d’impresa, diversi da quelli produttivi di ricavi, e alle partecipazioni (cfr., per esempio, i fondamentali artt. 13 e 14, L. n. 342/2000, cui rinviano molteplici disposizioni successive: v. l’art. 110, spec. commi 7 ss. D.L. n. 104/2020, c.d. “Decreto agosto”, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 126/2020).

In rapporto al maggior valore attribuito al cespite, è iscritta a bilancio una riserva nel patrimonio netto non attratta a imposizione sino a un determinato, futuro utilizzo. Così, affiora una temporanea divaricazione tra il valore contabile e fiscale della riserva, che comporta l’iscrizione a bilancio di imposte differite rispetto al momento di rilevazione iniziale ossia alla data della rivalutazione (OIC, Principio contabile n. 25, 13, punto 64).

Qualora il saldo attivo di rivalutazioni o riallineamenti venga distribuito ai soci o partecipanti, le somme a loro attribuite, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare l’imponibile IRES della società o dell’ente (oltre che di quello dei soci o partecipanti).

Si tratta della c.d. riserve sottoposte vincolo di sospensione d’imposta “moderato” o di “tipo 2”: il presupposto insorge non per qualsiasi fattispecie di utilizzo, ma solo in caso di distribuzione ai soci, alla luce della più fedele e corretta esegesi testuale degli artt. 13, comma 3 e 14, comma 2, L. n. 342/2000 (v. Assonime, circ. 8 giugno 2021, n. 18, 13 ss., spec. 14, in senso critico verso ondivaghe interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate sul punto).

Secondo l’esegesi amministrativa, i redditi si considerano maturati nell’anno di distribuzione delle riserve ai soci (v., per esempio, Risposte ad interpello 8 agosto 2019, n. 332 e 10 dicembre 2019, n. 505).

Nondimeno, pur devolute nel 2022, traggono origine da rivalutazioni e riallineamenti sensibilmente anteriori.

Pertanto, il loro ammontare è ben lungi dall’essere stato determinato dall’eccezionale «aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico» (art. 1, comma 115, L. n. 197/2022) il quale non risale a prima del «settembre 2021» (v. Regolamento n. 1854, cit., l’incipit del considerando 1).

Né varrebbe obiettare che l’utilizzo di una riserva ridurrebbe la consistenza del patrimonio e, così, potrebbe favorire il raggiungimento del tetto del 25% del valore di esso che circoscrive l’entità del debito contributivo. L’utilizzo della riserva riduce il patrimonio del 2022, mentre il richiamo al 25% impinge il valore del patrimonio al 2021 (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022 cit.).

Soprattutto, quand’anche entrambi i riferimenti toccassero il 2022, non sarebbe scalfita la questione ab imis. Le ipotesi di utilizzo di riserve, considerate dall’art. 5 D.L. n. 34/2023, irriferibili all’«aumento dei prezzi e delle tariffe» energetiche dal «settembre 2021», sarebbero attratte a una superiore imposizione, senza un apprezzabile radicamento giustificativo nei rammentati principi fondamentali di governo dell’ordinamento tributario.

La limitazione del 30%, di nuovo, costituisce un parametro quantitativo, mentre  sarebbe più coordinata con il sistema l’esclusione dal prelievo, sul piano qualitativo, di redditi scaturiti dall’utilizzo di riserve, di formazione estranea a (e lontana da) locupletazioni sul generalizzato incremento dei corrispettivi di settore.

Da ultimo, l’art. 22, comma 1, D.L. n. 61/2023 (c.d. decreto Alluvioni) ha abrogato la norma in esame, solamente tre giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della L. di conversione del D.L. n. 34/2023 che aveva confermato l’esonero da imposizione degli utilizzi delle riserve in sospensione d’imposta, da essa sancito, entro il descritto confine del 30%.

Pertanto, ora, l’intero ammontare (e non più il 70%) dell’utilizzo delle riserve in sospensione è assoggettato al contributo temporaneo di solidarietà.

Le illustrate considerazioni, dunque, si impongono a fortiori: una simile dilatazione dell’imponibile non intercetta affatto quella peculiare e più intensa capacità contributiva, cui, invece, mira la disciplina dello stesso prelievo straordinario.

 

9. Riportare l’imposizione a un approccio di tipo qualitativo, suggerisce un diverso approccio ermeneutico.

Proprio la discriminazione qualitativa dei redditi, additata dalla giurisprudenza costituzionale, dovrebbe comportare che nessuna attitudine alla partecipazione alle pubbliche spese più intensa dell’ordinario (art. 53, comma 1, Cost.) possa accreditarsi in redditi dalla genesi non speculativa.

L’enunciato principio di proporzionalità, alla base di quello di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.), non consentirebbe una maggiore imposizione ove eccedente il fine anti-inflazionistico per il quale il contributo è stato previsto (c.d. test della “necessarietà”).

Allora, sul piano esegetico, si potrebbe tentare di prefigurare un’apertura delle norme domestiche a una sorta di etero-integrazione, al lume di tali principi superiori.

Tanto comporterebbe che la normativa della Legge di Bilancio 2023, “arricchita” dai principi di capacità contributiva e proporzionalità, potrebbe escludere dal contributo i componenti reddituali, non ascrivibili a speculazioni sui corrispettivi.

In ambito procedimentale amministrativo e processuale, il soggetto passivo potrebbe così provare l’assenza di tale connotazione in componenti reddituali e, così, scongiurare l’onere straordinario, evitando il rilevato accostamento della fattispecie alle presunzioni legali assolute (v. par. 7.3.).

Si tratterebbe di un’interpretazione adeguatrice, che armonizzerebbe la disciplina al sistema.

Tuttavia, sarebbe una lettura “additiva”, che farebbe affermare alla disciplina ciò che la lettera non afferma sul piano testuale, pur di allontanare il contrasto di essa con le  enunciate norme primarie sulle quali si radica il sistema tributario (sul tema, v., incidenter, Cass., sez. trib., ord. 19 giugno 2020, n. 11991, par. 4.3).

In altre parole, qui, il tentativo di interpretazione conforme sembrerebbe poco ortodosso: forzerebbe il tenore delle disposizioni, solo in nome di una loro necessaria conformità alle norme primarie dell’ordinamento (Sorrenti G., L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006, 243), quali sono i principi di capacità contributiva e proporzionalità.

D’altro canto, larvati addentellati di una siffatta interpretazione adeguatrice extra-testuale parrebbero desumersi dalla stessa esegesi amministrativa, in ordine alle riserve “cash flow hedge” per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi.

Sono «destinate ad essere girate a conto economico “nello stesso esercizio o negli stessi esercizi in cui i flussi finanziari futuri attesi coperti hanno un effetto sull’utile (perdita) d’esercizio” (cfr. IFRS 9, par. 6.5.11, lettera d), ii) e articolo 2426, comma 1, n.11-bis)», in linea di principio, rilevante ai fini della commisurazione del reddito (art. 83 D.P.R. n. 917/1986, cit.) e, per l’effetto, dell’imponibile del prelievo (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022 cit.).

Ciò nonostante, secondo il Fisco, «non possono essere considerate espressione in tale momento degli extraprofitti obiettivo del contributo qui in esame» (Agenzia delle Entrate, Risposta ad interpello n. 339/2023, cit.).

Allora, secondo l’approccio ermeneutico erariale, i flussi finanziari sembrerebbero estranei all’orbita dell’onere straordinario, benché incisivi sul risultato di esercizio e sul reddito, proprio in quanto inespressivi di “extraprofitti” speculativi, sebbene la lettera della disciplina che ci occupa non preveda apertis verbis una simile esclusione.

10. Nella formulazione testuale del regime in esame, destano perplessità non solo l’assenza di discriminazione qualitativa dei redditi, ma pure alcuni risvolti della disciplina dei profili territoriali, al lume del principio di proporzionalità.

Soggetti del settore energetico potrebbero essere non residenti e non stabiliti in Italia e, dunque, non assoggettati a IRES, ma qui rivendere energia elettrica, gas metano o naturale o commerciare e distribuire prodotti petroliferi.

Costoro potrebbero applicare prezzi molto elevati e favorire parossistici livelli di prezzo; ciò nonostante, non sarebbero colpiti dal contributo né in Italia, né in altri Stati dell’Unione se, parimenti, qui non residenti o stabiliti.

Per certi versi, soggetti localizzati in un Paese dell’Unione potrebbero essere indotti a trasferire la propria ubicazione in ambito extra-europeo pur continuando a perfezionare cessioni di beni e/o prestazioni di servizi in seno al Mercato Unico a prezzi elevati, con effetti inflazionistici sui mercati di riferimento e a livello generale (in termini affini, Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 16).

Anche il segnalato varco normativo non sembra consentire un pieno superamento del test di “idoneità” del regime ad assicurare il conseguimento degli obiettivi che si prefigge.

 

11. Oltre alle criticità testé illustrate, il contributo del 2023 ne condivide di ulteriori, ab imis, comuni al prelievo sul “caro bollette” del 2022.

11.1. La mancanza di efficaci strumenti ostativi al ribaltamento in avanti della maggiorazione di imposta è stata una delle principali ragioni alla base della pronuncia di incostituzionalità del regime della “Robin tax” (Corte cost., n. 10/2015, par. 6.5.3. del “Considerato in diritto”).

In sostanza, i contribuenti interessati avevano buon gioco a lievitare i corrispettivi dei propri beni e servizi, mediante una “rivalsa occulta” della maggiorazione verso le proprie controparti negoziali.

Così, si alimentava un evidente circolo vizioso: l’assenza di efficaci meccanismi impeditivi del recupero occulto del maggiore onere sui prezzi, favoriva quegli effetti inflazionistici che la superiore imposizione voleva, invece, scoraggiare.

La stessa problematica si affaccia per il contributo temporaneo di solidarietà del 2023, dato che la disciplina non ha contemplato alcuno strumento di prevenzione e repressione di fattispecie di “rivalsa occulta” dell’onere sui corrispettivi.

Neppure, è stato previsto il, pur timidissimo, tentativo di una comunicazione sui prezzi praticati all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM), non sanzionata, in caso di mancato invio, dal regime del contributo “caro bollette” del 2022 (art. 37, commi 8-9, D.L. n. 21/2022; in termini critici, Iaia R., Prime riflessioni, cit., 10-11; De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione, cit., ivi, 2105-2106).

Da questo punto di vista, l’indeducibilità del contributo dalle imposte sui redditi e dall’IRAP, da un lato, appare allineata al sistema dei tributi reddituali (v. art. 99, comma 1, D.P.R. n. 917/1986: v. par. 3.). Dall’altro, favorisce la tendenza a una traslazione “in avanti” dell’onere in questione.

Da questo specifico punto di vista, la disciplina spagnola rappresenta un modello cui guardare, per chiarezza, semplicità ed efficacia preventivo-dissuasiva. Alla perentoria statuizione del divieto di ribaltamento del “gravamen”, in via diretta o indiretta, accompagna l’inquadramento ex lege della violazione del divieto come “muy grave” con la previsione di una sanzione amministrativa pari al 150% dell’importo ripercosso (art. 1, par. 8, commi 1, 2 e 3, Ley n. 38/2022).

L’assenza di previsioni simili nella normativa italiana non la rende consonante rispetto al principio di proporzionalità, giacché “inidonea” a raggiungere il fine di contrastare l’incremento dei prezzi energetici, nella misura in cui non evita l’orizzonte di una traslazione in avanti del contributo sui destinatari dei prodotti e servizi energetici.

 

11.2. Vi è di più.

L’onere straordinario risulta di incerta compatibilità con il principio di ragionevolezza, correlato a quello di eguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.) da un ulteriore versante.

L’idea che permea di sé la disciplina consiste nell’apprezzamento dei mercati di riferimento in termini oligopolistici. I pochi, grandi operatori del settore “farebbero cartello” per determinare politiche generali di prezzi, tali da influenzare profondamente i settori interessati (cfr. Corte cost., n. 10/2015, cit., par. 6.4. del “Considerato in diritto”).

Se questo è vero, è altrettanto vero per molti altri che, pure, nello stesso periodo, hanno ritratto “extraprofitti” speculativi dalle proprie attività in diversi ambiti (esempio: le tecnologie informatiche, la grande distribuzione di massa, in particolare per i generi alimentari, le imprese farmaceutiche), senza essere assoggettati a forme straordinarie di prelievo (Stevanato D., Extraprofitti: una tassa ingiusta, cit., ivi, 1 e in “Robin Hood Tax”, cit., ivi, 953).

Sicché, occorre domandarsi se tale selettività nell’ascrivere il contributo solo a soggetti del settore energetico, adombri un possibile aiuto di Stato c.d. “negativo” (art. 107-108 TFUE) a favore di contribuenti residenti o stabiliti in Italia, che abbiano ritratto rilevanti “extraprofitti” in differenti settori commerciali (in rif. all’art. 37, D.L. n. 21/2022, Marini F.S. – Marini G., Profili di dubbia costituzionalità, cit., ivi, 3751; De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione, cit., ivi, 2104-2105; in termini più sfumati, Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 7-8; per un esempio di aiuto “negativo”, v. Corte di Giustizia, 17 novembre 2009, causa C‑169/08, Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Sardegna).

Da questo angolo prospettico, le rilevate disparità di trattamento sono parzialmente mitigate da una normativa, come quella portoghese, che prevede un contributo di solidarietà, anche a chi opera, ad esempio, nella distribuzione di generi alimentari (contribuição de solidariedade temporária – “CST” – Distribuição Alimentar) e con un regime affine a quello previsto per i soggetti del settore energetico (artt. 5 ss., spec. art. 8, Lei n. 24-B/2022).

Ancora più radicale risulta la scelta del legislatore croato, il quale ha emanato una generale legge sull’imposta sul reddito complementare per le società che abbiano maturato imponibili superiori a trecento milioni di kune (art. 4, par. 1, “Zakon o dodatnom porezu na dobit”, cit.), pari a poco più di trentanove milioni e ottocentomila euro, in base al tasso di cambio cristallizzato a livello europeo al 1° gennaio 2023, data di ingresso della Croazia nel c.d. eurosistema (v. Banca d’Italia – La Croazia dal 1 gennaio 2023 nell’area dell’euro, in bancaditalia.it).

La scelta vuole superare ab imis le segnalate riserve sulla ventilata disparità di trattamento, con una generalizzata applicazione di una sovraimposta.

Dal crinale opposto, rimane la constatazione che il Regolamento n. 1854 (che pure la disciplina croata ha, così, inteso attuare: art. 2, “Zakon o dodatnom porezu na dobit”, cit.) pare colpire chi abbia ritratto spropositati guadagni da proprie politiche locupletative (non tout court, ma) per il tramite di attività inquinanti, mediante fonti fossili di energia. Alla luce di simile ratio, un ampliamento dei soggetti passivi non sembra allinearsi al Regolamento (UE) n. 2022/1854 (v. par. 4.).

11.3. L’avallo della tesi della Corte costituzionale circa la discriminazione qualitativa, che legittima una maggiore imposizione, non elide comunque seri interrogativi circa la correttezza di una sovrapposizione di più prelievi su excess profits qual è quella che riguarda i proventi degli operatori nei settori interessati.

Il contributo temporaneo del 2023 impinge un incremento di reddito del 2022, seppure con il temperamento della invalicabilità del limite del 25% del valore del patrimonio netto del 2021 (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022; circa l’imputazione temporale del prelievo, v. Assonime, circ. n. 8/2023, par. 6, 25-27).

Lo stesso reddito del 2022 è assoggettato all’IRES.

A tanto, per gli operatori del settore delle fonti rinnovabili, può aggiungersi il meccanismo compensativo “a due vie” che si esprime in un prelievo gius-pubblicistico su prezzi superiori a un livello predeterminato ex lege (art. 15-bis, D.L. n. 4/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 25/2022), il quale presenta lineamenti non affatto lontani da un tributo su redditi lordi (Iaia R., Il meccanismo compensativo a due vie nei confronti dei produttori di energia rinnovabile [art. 15-bis D.L. n. 4/2022] nel sistema tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, I, 549 ss.).

Per gli altri operatori, è applicabile il nuovo meccanismo compensativo “a una via”, il quale prevede anch’esso un prelievo in caso di superamento dei prezzi superiori a un confine legale (art. 1, commi 30 ss., L. n. 197/2022, in attuazione degli artt. 6 ss. Regolamento n. 1854 cit.). Interessa l’arco di tempo fra il 1° dicembre 2022 e il 30 giugno 2023 (art. 1, comma 30) e, così, include anche l’ultimo mese del 2022, colpito dal contributo straordinario qui in esame.

Seppure con modalità determinative che riecheggiano il regime dell’IVA (Iaia R., Prime riflessioni sistematiche, cit., 11 ss.), corrispettivi dei medesimi soggetti passivi dell’onere che qui ci occupa possono essere pure sottoposti al contributo “caro bollette” in riferimento ai mesi 1° gennaio – 30 aprile dell’anno 2022 (art. 37, comma 2, D.L. n. 21/2022 cit.) e, dunque, per il primo quadrimestre dello stesso anno, cui guarda l’imponibile del contributo di solidarietà del 2023.

Di conseguenza, in relazione a tale primo quadrimestre del 2022, l’imponibile del contributo di solidarietà comprende, fra l’altro, l’ammontare corrispondente al contributo “caro bollette”, parimenti indeducibile dall’IRES (art. 37, comma 7, D.L. n. 21/2022; in termini critici, Salvini L., Sugli extraprofitti scelta irragionevole: il nuovo prelievo si somma al vecchio, in Norme & Tributi – Plus, Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2022).

Così, i condivisibili obiettivi di reprimere la straordinaria inflazione del settore, con finalità solidaristiche e redistributive, sono perseguiti tramite una concentrazione di plurimi carichi sui medesimi proventi, che non appare allineata ai ricordati principi, fra loro connessi, di capacità contributiva e proporzionalità dell’imposizione (artt. 53, comma 1 e 3, comma 1 Cost. cit.; v. anche Corte EDU, 11 gennaio 2007, n. 35533/04, Mamidakis c. Grecia, punto 44, in rapporto alla tutela della proprietà ex art. 1, Primo Prot. CEDU, norma integrativa dell’art. 117, comma 1, Cost., ove assoggetta la legislazione interna ai vincoli internazionali: Corte cost., nn. 348-349/2007).

 

11.4. Non è ancora tutto in ordine ai risvolti critici della normativa.

La Legge di Bilancio 2023 ha assunto come pari a zero la media dei redditi 2018-2021, ove negativa.

La soluzione mira a depurare il meccanismo di computo da riflessi negativi di un periodo storico straordinario come quello della pandemia e un conseguente aumento del reddito, almeno in parte non ascrivibile a speculazioni (art. 1, comma 117, L. n. 197/2022).

A fronte di una media negativa, “azzerata” ex lege, l’imponibile del 2022 dovrebbe essere pur sempre quello superiore al 10%, dato che la norma di riferimento (art. 1, comma 116) trova applicazione in ogni caso, senza alcuna esclusione per l’ipotesi in esame (similiter, Assonime, circ. n. 8/2023, p. 26, in senso critico verso la contraria posizione di Agenzia delle Entrate, circ. n. 4/E/2023, par. 1.2.).

Nondimeno, pur con l’azzeramento delle medie negative, è raggiunto solo in modo parziale l’obiettivo di neutralizzare crescite reddituali, inquinate dal considerare pure periodi economicamente depressivi come quelli interessati dalla pandemia.

Non necessariamente, l’emergenza sanitaria può avere cagionato riduzioni di reddito tali da generare perdite e determinare una media negativa. Si sono verificate anche significative contrazioni di proventi, rispetto a quelle di periodi “ordinari”, che, comunque, non hanno determinato “esercizi” (e conseguenti periodi di imposta) in perdita per le annualità 2020 e 2021.

In simili ipotesi, riduzioni di reddito anche molto accentuate non sfocerebbero in una media negativa e, così, non opererebbe alcun azzeramento ex lege (ai sensi dell’art. 1, comma 117).

Di conseguenza, l’incremento di imponibile del 2022 sarebbe pur sempre generato, anche solo in parte, da fattori che poco o nulla hanno a che vedere con la straordinaria inflazione nel settore, quanto, piuttosto, da un fisiologico “rimbalzo” di proventi a seguito di periodi di generalizzata crisi (cfr., mutatis mutandis e più in generale, in riferimento all’art. 37 D.L. n. 21/2022, Stevanato D., Extraprofitti: una tassa ingiusta, cit., 5; Iaia R., Prime riflessioni sistematiche, cit., ivi, 8; De Marco S., Riflessioni in tema di tassazione,  cit., ivi, 2099).

11.5. Sempre dal crinale di questi principi, stimola alcune riflessioni anche la rilevata indeducibilità del contributo dalle imposte dirette (art. 1, comma 118, L. n. 197/2022).

Da un lato, la soluzione normativa pare corretta, giacché il prelievo ha natura di tributo sui redditi e tale imposta prevede, appunto, l’indeducibilità dei tributi reddituali dal proprio imponibile (art. 99, comma 1, D.P.R. n. 917/1986), come rilevato (par. 3.).

D’altro canto, il contributo sembra atteggiarsi a “costo” d’impresa incisivo sull’imponibile IRES e IRAP. Sicché, non parrebbero esclusi risvolti disarmonici quantomeno rispetto al principio di eguaglianza, sub specie di ragionevolezza, rispetto a imposte ancorate sull’imposizione al netto (artt. 77, D.P.R. n. 917/1986 e D.Lgs. n. 446/1997; cfr. Corte cost., n. 262/2020, parr. 3.3. e 3.4. del “Considerato in diritto”, commentata da Tundo F., Per un Fisco ragionevole occorre un “self-restraint” del legislatore, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 2, 105 ss., circa la deducibilità dell’IMU dalle imposte sui redditi, in rapporto ai beni strumentali dell’impresa; v. anche Corte cost., n. 288/2019, cit.).

 

11.6. Si è osservato come il nuovo contributo di solidarietà sia dovuto entro il sesto mese successivo a quello  di chiusura dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023, in riferimento a un incremento di reddito registrato nello stesso periodo precedente (art. 1, commi 117 e 116, L. n. 197/2022 cit.).

Ora, nel 2022, si poteva forse prevedere l’an della debenza di un contributo siffatto, alla luce del Regolamento (UE) n. 1854.

Sennonché, il testo europeo risale solo al 6 ottobre dello stesso anno.

Oltretutto, con una “opening clause”, fissa una aliquota pari «ad almeno il 33%» dell’imponibile del prelievo (art. 16, par. 1 Regolamento n. 1854/2022).

In simile contesto normativo, appare difficile sostenere che, al principio e nel corso del 2022, gli operatori del settore potessero ragionevolmente prevedere un’imposizione straordinaria su incrementi reddituali con un’aliquota del 50%.

Per di più, non in sostituzione, ma in aggiunta a un’altra misura dedicata agli “extraprofitti” come il contributo “caro bollette” per i primi quattro mesi del 2022.

In proposito, la disciplina è in vigore dal 2023, ma è “retrospettiva”, proprio perché guarda a un imponibile del 2022.

I soggetti interessati avevano concepito i propri programmi imprenditoriali, di investimento e accantonamento, alla luce di un quadro normativo che non poteva razionalmente immaginare ex ante un prelievo straordinario di simile entità ex post.

Per questo motivo, Stati membri, come la Danimarca, hanno optato per l’applicazione del contributo solo in riferimento a redditi maturati nel 2023 (par. 3, par. 1, Lov n. 502/2023; ne accennano pure Lammers J. – Kuźniacki B., The EU Solidarity Contribution, cit., ivi, 457 ss.).

Da questo punto di vista, la normativa italiana non sembra rispettosa del principio di tutela dell’affidamento, che trova chiari addentellati nei principi costituzionali di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.; cfr. Corte cost. n. 210/2021, punto 7.2. del “Considerato in diritto”; v. Trivellin M., Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009, spec. 166 ss.; Mastroiacovo V., I limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano, 2004, passim) oltre che di libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41, comma 1, Cost.; Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2020, 106-107).

12. Si potrebbe obiettare che buona parte delle rilevata criticità scaturiscano dal Regolamento (UE) n. 2022/1854, che la disciplina italiana ha inteso attuare.

Si pensi, ad esempio, all’assenza di norme che evitino il ribaltamento in avanti del contributo, alla mancanza di specifico rilievo testuale dei proventi non ritratti da speculazione (v. artt. 14 ss.), al cumulo di pretese pubbliche afferenti “extraprofitti” (v., per esempio, art. 16, par. 2 ove prevede che il contributo «si applica in aggiunta alle imposte e ai prelievi ordinari applicabili conformemente al diritto nazionale dello Stato membro»), ecc.

Tuttavia, non sarebbe corretto invocare ricordati i principi costituzionali interni di capacità contributiva, proporzionalità, ragionevolezza, anche sub specie di tutela dell’affidamento, alla stregua di “controlimiti”, ostativi all’ingresso di norme del Regolamento n. 1854, in seno all’ordinamento italiano (in tema di “controlimiti”, cfr. Corte cost., n. 24/2017, par. 2.; Bernardi A., a cura di, I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017; Pellegrini D., I controlimiti al primato del diritto dell’Unione europea nel dialogo tra le Corti, Firenze, 2022).

Piuttosto, i termini della questione devono essere diametralmente rovesciati.

Gli stessi principi costituzionali italiani trovano puntuali corrispondenze nei principi generali dell’ordinamento dell’Unione, in seno al quale assumono rango primario (v., per esempio, Corte di Giustizia, 15 ottobre 2009, causa C-101/08, Audiolux e a., punto 63).

Nel case law europeo, risalenti e numerose sono le affermazioni del principio di proporzionalità (v., ex plurimis, Corte di Giustizia, 20 gennaio 2021, causa C-484/19, Lexel, punti 46 e 51; 8 dicembre 2020, causa C-620/18, Ungheria contro Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, punto 111; 18 dicembre 1997, cause C-286/94 e a., Molenheide e a.).

Il principio di capacità contributiva affonda le proprie radici nelle “tradizioni costituzionali degli Stati membri” (oltre all’art. 53, comma 1, Cost. in Italia, v. già l’art. 13 della Declaration des Droits de l’Homme et du Citoyen in Francia del 26 agosto 1789, inclusa nella Cost. vigente del 4 ottobre 1958; art. 31, comma 1, Cost. in Spagna). È concepito quale articolazione del principio di eguaglianza, alla stregua del par. 3 della Grundesetz in Germania (Falsitta G., Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., 179 ss.; in modo sensibilmente più sfumato, Vanistendael F., The ability to pay principle in the EU legal order, in Salvini L. – Melis G., a cura di, L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, Padova, 2014, 197 ss.; Pistone P., Diritto tributario europeo, Torino, 2022, 174 ss.; per alcuni riferimenti giurisprudenziali europei alla capacità contributiva, v. Corte di Giustizia, 15 luglio 2021, causa C-241/20, BJ, punto 25; 15 marzo 2021, causa C-562/19 P, Commissione c. Repubblica di Polonia, punti 40-41; 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, punti 32-33).

Anche la tutela dell’affidamento, correlato al principio di certezza del diritto, è oggetto di un principio generale europeo, che si impone «con particolare rigore in presenza di una normativa idonea a comportare conseguenze finanziarie» qual è quella del contributo di solidarietà qui analizzato (cfr. Corte di Giustizia, 29 aprile 2021, causa C-504/19, Banco de Portugal e a., punto 52; Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, causa C-81/15, Karelia, punto 45; Corte di Giustizia, 20 giugno 2013, causa C-568/11, Agroferm, punto 47; Perrone L., L’armonizzazione dell’IVA: il ruolo della Corte di giustizia, gli effetti verticali delle Direttive e l’affidamento del contribuente, in Rass. trib., 2006, 2, 423 ss., spec. 434).

Pertanto, non sarebbe esatto affermare che l’ingresso del Regolamento n. 1854 nell’ordinamento italiano sarebbe “contolimitato” dagli enunciati principi costituzionali.

All’opposto, tali principi sono di rango primario anche a livello sovranazionale, come testé rilevato. Rispetto ad essi, è lo stesso Regolamento n. 1854 a palesare profili di dubbia compatibilità (rispetto al rapporto fra la disciplna europea del contributo e i principi sovranazionali di proporzionalità e tutela dell’affidamento, v. Lammers J. – Kuźniacki B., The EU Solidarity Contribution, cit., ivi, 451 ss.).

Non è ancora tutto.

Sempre dall’angolo prospettico dei principi generali, sollecita ulteriori riserve il medesimo Regolamento n. 1854, da cui la disciplina italiana ha avuto origine.

La segnalata “clausola di apertura” nella determinazione di un’aliquota di «almeno il 33%» (art. 16, par. 1) ha favorito un’ampia diversificazione disciplinare sul punto in ambito nazionale.

L’aliquota è nella misura minima del 33% tout court in Germania (art. 40, par. 4 [3], JStG 2022), Francia (art. 40, par. V, Loi n. 2022-1726), Paesi Bassi (art. 4.1., Wet tijdelijke solidariteitsbijdrage, 21 dicembre 2022), Portogallo (art. 4, Lei n. 24-B/2022), Croazia (art. 9, “Zakon o dodatnom porezu na dobit” cit.), Svezia (8 par. Lag [2022:1843], cit.), Danimarca (par. 4, Lov n. 502/2023).

Invece, la legislazione belga ha previsto un contributo, per le (sole) società petrolifere, di 6,90 euro per tonnellata di greggio lavorato e di 7,80 euro per metro cubo di prodotti immessi in consumo tra il 1° gennaio 2022 e il 31 dicembre 2023 (art. 4, par. 2 della Loi instaurant une contribution de solidarité temporaire à charge du secteur pétrolier, 16 dicembre 2022). La stessa costruzione normativa sembra quella propria di una maggiorazione sulle accise.

In Italia, l’aliquota è del 50% sul rilevato incremento del 10% dell’imponibile ai fini IRES (art. 1, comma 116, L. n. 197/2022 cit.).

La “clausola di apertura” del Regolamento non autorizza un regime quale quello belga, ma sembrerebbe consentire prima facie un’aliquota così elevata, come quella italiana.

Nondimeno, anche per quest’ultima, occorre rammentare che «gli Stati membri, allorché esercitano la facoltà ad essi conferita da una clausola di apertura (…), devono avvalersi del loro margine di discrezionalità alle condizioni ed entro i limiti stabiliti dalle disposizioni di tale regolamento e devono dunque legiferare in modo da non pregiudicare il contenuto e gli obiettivi di detto regolamento» (cfr. Corte di Giustizia, 30 marzo 2023, causa C-34/21, Hauptpersonalrat der Lehrerinnen und Lehrer beim Hessischen Kultusministerium, cit., punto 79).

La misura italiana del 50% rispetta «condizioni» e «limiti» della stessa normativa europea, mentre appare più problematico affermare che non pregiudichi «il contenuto e gli obiettivi» della disciplina europea, fra i quali rientra «una risposta (…) coordinata a livello dell’Unione» per fronteggiare l’eccezionale inflazione (considerando 6 nonché il 9) e, nello specifico, che lo stesso contributo in esame rappresenti una «misura (…) coordinata» fra gli Stati membri (considerando 14).

In sostanza, v’è da chiedersi se il variegato assetto così favorito dal Regolamento n. 1854 sia, a propria volta, “idoneo” al conseguimento degli obiettivi di uniformità e coordinamento disciplinare, additati dal medesimo atto normativo, in rapporto al principio di proporzionalità.

Se non bastasse, le rilevate differenze disciplinari si innestano su quelle che gemmano dalle multiformi ed eterogenee regole nazionali sull’imposizione reddituale nei singoli Stati membri, dalle quali possono scaturire imponibili di diversa entità, pur a fronte di analoghi indici di forza economica (Allevato G., L’adozione di una excess profit tax, cit., ivi, 16).

Tali divergenze sembrano incidere sulla libera concorrenza, espressione della parità di trattamento dei protagonisti del relativo settore economico, in seno al mercato unico e, così, paiono turbarne la neutralità e il regolare funzionamento (v., per esempio, artt. 101 ss.; 116, TFUE; Lang J., I presupposti costituzionali dell’armonizzazione del diritto tributario in Europa, in Amatucci A., diretto da, Tratt. dir. trib., Padova, 1994, vol. I, t. II, 798 ss.; Terra B.J.M. – Wattel P.J., European Tax Law, Den Haag, 2005, 240; Malke C., Taxation of European Companies at the Time of Establishment and Restructuring: Issues and Options for Reform with regard to the Status Quo and the Proposals at the Level of the European Union, Wiesbaden, 2010, 32).

Dalla constatazione di queste patologie, possono aprirsi scenari di assoluto rilievo.

Come già verificatosi nel case law europeo, una pronuncia di “invalidità” del Regolamento n. 1854 per violazione delle norme primarie dell’Unione (art. 267, par. 1, lett. b, TFUE) si rifletterebbe, in via derivata, sulle previsioni nazionali che lo attuano, quali quelle della Legge italiana di bilancio per il 2023 (v., per esempio, mutatis mutandis, proprio in materia fiscale, Corte di Giustizia, 12 dicembre 2002, causa C-395/00, Cipriani circa il rapporto fra l’art. 20, n. 3, della Direttiva n. 92/12/CEE in tema di accise e il principio generale di rispetto del contraddittorio ante-provvedimentale; v. anche Corte di Giustizia, 8 dicembre 2022, causa C-694/20, Orde van Vlaamse Balies e a., riguardo all’art. 8-bis-ter, par. 5 della Direttiva n. 2011/16/UE, introdotto dalla Direttiva UE n. 2018/822, c.d. “DAC6”, circa l’estensione degli obblighi di disclosure al Fisco dell’intermediario, alla luce dell’art. 7 della “Carta di Nizza”).

Da qui, è possibile trarre le relative conclusioni.

Per effetto del Regolamento (UE) n. 2022/1854, la disciplina italiana del contributo di solidarietà si inserisce nella dimensione europea.

Tanto impone inevitabilmente la necessità di considerare il delineato percorso giurisdizionale, mirato a una declaratoria di “invalidità” dello stesso Regolamento n. 1854, con il corollario della caducazione della normativa nazionale di attuazione.

Non rappresenterebbe l’esito finale, quanto, piuttosto, un approdo intermedio aperto verso il successivo orizzonte, de jure condendo: la elaborazione di una disciplina orientata verso finalità solidaristiche e perequative, ma che assicuri la “giusta imposizione” di excess profits in ogni settore, mediante previsioni sistematicamente armoniche e lineari.

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