La rilevanza della differenziazione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” ai fini procedimentali e sanzionatori, in attesa delle Sezioni Unite della Cassazione

Di Federica Campanella -

Abstract

Sulla differenziazione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” oggetto di compensazione sono emersi, negli ultimi anni, contrasti interpretativi nell’ambito della giurisprudenza di legittimità. Il tema, di grande attualità, ha una notevole rilevanza applicativa, in quanto l’espansione della normativa in materia di crediti d’imposta “agevolativi” ha, di fatto, determinato un più ampio ricorso all’istituto della compensazione tributaria da parte dei contribuenti, con la conseguente necessità di maggiori controlli da parte degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria volti a contrastare eventuali illeciti in materia. In questa prospettiva, è di fondamentale importanza l’intervento delle Sezioni Unite, sollecitato da due recenti ordinanze, finalizzato a definire con chiarezza le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” per individuare esattamente quali siano i termini decadenziali dell’azione di recupero dei crediti indebitamente o irregolarmente utilizzati in compensazione dal contribuente, nonché quale sia l’entità della sanzione in concreto irrogabile.

The relevance of the distinction between “non-existent credits” and “not usable credits” for procedural and sanctioning purposes, waiting the united sections of the court of Cassation. – In recent years, interpretative contrasts have emerged in the jurisprudence of legitimacy on the differentiation between “non-existent credits” and “not usable credits” subject to tax compensation. This issue, which is very topical, has a notable applicative relevance, since the expansion of the legislation on “facilitative” tax credits has, in fact, led to a wider application of the institute of the tax compensation, with the consequent need for greater controls by the Tax Administration Offices aimed at countering any offenses in the matter. In this perspective, the intervention of the United Sections of the Court of Cassation, prompted by two recent ordinances, is of fundamental importance to clearly define the notions of “non-existent credit” and “not usable credit” in order to identify exactly what are the time-limits of the action of recovery of credits unduly or irregularly used in compensation by the taxpayer, as well as what is the actual amount of the sanction that can be imposed.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. I persistenti contrasti giurisprudenziali in merito all’individuazione del termine di decadenza per il recupero dei crediti inesistenti e non spettanti. – 3. La rilevanza della dicotomia “credito inesistente/credito non spettante” ai fini sanzionatori. – 4. Credito inesistente e credito non spettante: ipotesi ricostruttive. – 5. Considerazioni conclusive.

1. Con due recenti ordinanze interlocutorie, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite affinché sia definita la questione relativa alla differenziazione, ai fini procedimentali e sanzionatori, tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti”, in relazione alla quale sono emersi, negli ultimi anni, contrasti interpretativi nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.

Più precisamente, con l’ordinanza Cass., sez. V, 2 dicembre 2022, n. 35536, è stata disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché sia valutata l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite la questione della rilevanza della dicotomia “credito inesistente/credito non spettante” ai fini dell’individuazione del termine decadenziale da applicare per il recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione dal contribuente.

Nella fattispecie esaminata dai giudici, la società contribuente contestava la legittimità dell’atto emesso dall’Agenzia dell’Entrate in relazione ai periodi di imposta 2006 e 2007, concernente il recupero di un credito d’imposta per l’acquisto di macchinari che, tuttavia, erano stati in concreto utilizzati in modo difforme rispetto a quanto stabilito dalla legge (L. 7 marzo 2001, n. 62), così perdendo il diritto all’agevolazione. Al riguardo, la contribuente eccepiva l’intervenuta decadenza del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria con riferimento all’anno di imposta 2006, ritenendo che, nel caso di specie, non potesse trovare applicazione il termine decadenziale di otto anni previsto dall’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, per il recupero di crediti inesistenti, posto che il credito contestato dall’Amministrazione finanziaria, invero, non avrebbe potuto essere qualificato come “inesistente”, bensì come “non spettante” in ragione della non corretta utilizzazione dei macchinari acquistati, dovendo, conseguentemente, applicarsi il più breve termine decadenziale di cui all’art. 43 D.P.R. n. 600/1973.

Con la successiva ordinanza Cass., sez. V., 8 febbraio 2023, n. 3784, i giudici, tenuto conto delle ulteriori ricadute che nel nostro ordinamento discendono dalla distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti (in particolare in tema di sanzioni), nonché della rilevanza della questione idonea a riproporsi in futuri giudizi, hanno ritenuto opportuno richiedere un intervento nomofilattico chiarificatore a più ampio raggio, sulla nozione stessa di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante.

Nel caso in esame, si era posta la questione relativa alla qualificazione come “inesistenti” ovvero come “non spettanti” dei crediti di imposta regolarmente maturati in capo alla società, ai sensi della L. n. 296/2006, in relazione agli investimenti in aree svantaggiate effettuati negli anni 2007, 2008 e 2009, i quali erano tutti utilizzabili a partire dall’anno 2014 e che, invece, la società aveva utilizzato in compensazione già dall’anno 2010.

Indubbiamente, il tema è di grande interesse e attualità, atteso che l’espansione della normativa in materia di crediti d’imposta “agevolativi” ha, di fatto, determinato un più ampio ricorso all’istituto della compensazione tributaria da parte dei contribuenti, con la conseguente necessità di maggiori controlli da parte degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria volti a contrastare eventuali illeciti in materia.

In questa prospettiva, è di fondamentale importanza definire con chiarezza le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” al fine di individuare esattamente quali siano i termini decadenziali entro cui l’Ufficio possa disporre il recupero dei crediti indebitamente o irregolarmente utilizzati in compensazione dal contribuente, nonché quale sia l’entità della sanzione in concreto irrogabile.

2. Per quanto concerne il primo profilo, occorre richiamare le disposizioni di cui agli artt. 1, comma 421, L. n. 311/2004, e 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, mediante le quali il legislatore ha definito un apposito procedimento per il recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione dal contribuente ed esposti nel modello di versamento F24; crediti che potrebbero non essere “intercettati” nell’ambito delle ordinarie procedure di liquidazione e controllo formale del dichiarato ex artt. 36-bis, 36-ter, D.P.R. n. 600/1973 o 54-bis D.P.R. n. 633/1972, qualora non emergano dalla dichiarazione ma siano utilizzati in compensazione direttamente nel modello di versamento unificato.

Nello specifico, l’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, prevede che «per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi, l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973». Nel caso in cui il contribuente non provveda al pagamento, in tutto o in parte, delle somme dovute entro il termine assegnato dall’Ufficio (comunque non inferiore a 60 giorni), si procede alla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo, secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 602/1973 (art. 1, comma 422, L. n. 311/2004).

La suddetta disposizione non contiene, tuttavia, alcuna specifica previsione in merito al termine decadenziale entro cui notificare l’avviso di recupero, per il quale si è, pertanto, ritenuto (almeno fino alle modifiche introdotte nel 2008) che potessero valere in ogni caso (vale a dire, senza distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti) i termini decadenziali ordinari previsti per la notifica del comune avviso di accertamento, stante il rinvio operato dallo stesso art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, alle disposizioni del D.P.R. n. 600/1973.

Con il successivo art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, il legislatore è intervenuto sul punto, precisando che «l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo».

Ebbene, dal raffronto tra tali disposizioni, è in linea di principio ragionevole ritenere che il termine di decadenza di otto anni previsto dall’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, si applichi nelle sole ipotesi in cui l’atto di recupero riguardi crediti inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione nel modello di versamento F24; laddove, invece, il recupero abbia ad oggetto crediti non spettanti, il termine decadenziale per la notifica dell’atto di cui all’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, sarebbe quello ordinario previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 600/1973, per la notifica dell’avviso di accertamento.

Eppure, nonostante la disposizione di cui all’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, si riferisca espressamente alle ipotesi in cui il contribuente utilizzi in compensazione nel modello di versamento F24 «crediti inesistenti», sono emersi, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, dei contrasti interpretativi in merito all’applicabilità del più ampio termine decadenziale anche in relazione alle fattispecie che involgono crediti non spettanti.

In proposito, si richiamano le sentenze della Corte di Cassazione nn. 10112 e 19237 del 2017, secondo cui «L’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, nel fissare il termine ottennale per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l’“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il comune avviso di accertamento» (in senso conforme, Cass., 16 luglio 2020, n. 24093; Cass., 13 gennaio 2021, n. 354).

Tale orientamento giurisprudenziale, che ritiene priva di fondamento la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti ai fini dell’applicazione del più lungo termine concesso all’Amministrazione per l’emissione dell’atto di recupero, è stato criticato dalla dottrina, in quanto non tiene in adeguata considerazione quanto disposto dal legislatore nell’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, il quale chiaramente riferisce l’applicabilità del termine di decadenza di otto anni alle fattispecie in cui l’atto di recupero riguardi «crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241».

Richiamando il contenuto della relazione illustrativa al D.L. n. 185/2008, è stato messo in evidenza che la suddetta norma è stata introdotta proprio allo scopo di «contrastare situazioni di fraudolenza nella condotta del contribuente in sede di autoliquidazione del debito funzionale ad ostacolare o, comunque, a rendere infruttuosa, l’azione di controllo ai danni dell’Erario» (Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., 2021, 4, 1529).

L’intenzione del legislatore, in definitiva, è stata quella di rendere più incisiva l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria (prevedendo un più ampio termine decadenziale per la contestazione della violazione del contribuente) in tutti i casi di “autoliquidazione del debito” in cui potrebbe emergere una condotta fraudolenta, particolarmente insidiosa in quanto rilevabile, essenzialmente, soltanto a seguito di specifici riscontri di natura contabile, non essendo possibile, nella maggior parte dei casi, riscontrare tale violazione partendo dal controllo delle dichiarazioni fiscali (perché, per esempio, il credito viene “generato” direttamente nel modello F24, senza prima essere esposto in dichiarazione; ovvero perché si tratta di un credito “falsamente” creato, pur se riportato in dichiarazione, e poi utilizzato. Così, Albano A., La compensazione di crediti “inesistenti” e “non spettanti”: regime sanzionatorio e profili procedimentali, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, VII, 245 ss.).

Tale condotta fraudolenta, evidentemente, non può che involgere l’utilizzo di crediti inesistenti, i quali, per essere utilizzati in sede di liquidazione/compensazione, richiedono, infatti, che il contribuente rappresenti situazioni di fatto inesistenti, artificiose, dichiarate come vere, ma invece false, ecc.; mentre l’utilizzo di crediti non spettanti presuppone dichiarazioni vere e genuine rappresentazioni dei fatti. Per i primi manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo, che viene falsamente rappresentato; per i secondi, invece, il presupposto costitutivo sussiste, ma per altre ragioni il credito è da considerarsi come non spettante. In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente non attua alcun comportamento artificioso, nessuna attività fraudolenta tale da ostacolare l’azione impositiva dell’Amministrazione finanziaria, la quale ne verifica la spettanza attraverso le normali attività di controllo (cfr. Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 219 ss.).

In questa misura, si giustifica l’applicazione del termine decadenziale di otto anni di cui all’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, in relazione alle sole ipotesi di contestazione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione nel modello di versamento F24.

Significativa, al riguardo, è inoltre la disposizione di cui all’art. 27, comma 17, D.L. n. 185/2008, la quale precisa che il maggior termine di decadenza «si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato nel quale sono indicati i crediti inesistenti utilizzati in compensazione».

Alla luce di tale contesto normativo, i giudici della Quinta Sezione civile della Suprema Corte, sollecitati dall’ordinanza interlocutoria Cass., sez. VI, 29 dicembre 2020, n. 29717, con tre sentenze del 16 novembre 2021 (Cass. nn. 34443; 34444; 34445), sono opportunamente intervenuti sul tema, superando il predetto orientamento giurisprudenziale ed affermando il seguente principio di diritto: «In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., in l. n. 2 del 1999, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997 (introdotto dall’art. 15, d.lgs. n. 158 del 2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972» (per un commento a tali pronunce, cfr. Albano A., La compensazione di crediti “inesistenti” e “non spettanti”: regime sanzionatorio e profili procedimentali, cit., 245 ss.; Letizia L., Crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”: la Corte di Cassazione precisa le differenze qualificatorie, in Riv. tel. dir. trib., n. 2021, 2, VII, 839 ss.).

L’interpretazione fornita dalle tre sentenze del 2021 – richiamata unicamente da Cass., 25 ottobre 2022, n. 31429 – non è stata, tuttavia, recepita dalla giurisprudenza successiva (Cass., 29 agosto 2022, n. 25436; Cass., 25 ottobre 2022, n. 31419), tant’è che, come rilevato in premessa, la Sezione tributaria della Cassazione, ravvisata la persistenza del contrasto interpretativo e tenuto conto della rilevanza della questione, con ordinanza interlocutoria n. 35536 del 2 dicembre 2022, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni Unite.

3. La distinzione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” assume una rilevanza decisiva anche ai fini sanzionatori, atteso che il legislatore ha previsto differenti sanzioni, sia sul piano amministrativo che sul piano penale, per le ipotesi in cui l’omesso versamento dei tributi sia conseguenza di un’irregolare compensazione di crediti esistenti, ovvero di una indebita compensazione, la quale, come noto, presuppone l’utilizzo di crediti del tutto inesistenti.

In particolare, per quanto concerne la sanzionabilità sul piano amministrativo delle violazioni in materia di compensazione fiscale, l’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, come modificato dal D.Lgs. n. 158/2015, prevede, al comma 4, l’applicazione di una sanzione nella misura del 30% «nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti». Nel caso in cui, invece, siano utilizzati in compensazione crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, il successivo comma 5 prevede l’applicazione di una sanzione che varia dal 100% al 200% della misura dei crediti stessi, escludendo espressamente che, in ipotesi siffatte, possa trovare applicazione la definizione agevolata prevista dagli artt. 16, comma 3, e 17, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

Lo stesso art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, definisce, opportunamente, la nozione di credito inesistente, per tale intendendosi «il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Come si legge nella relazione illustrativa alle modifiche apportate all’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, dal D.Lgs. n. 158/2015, «il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta condizione ulteriore a quella dell’esistenza sostanziale del credito, ed è volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur “sostanzialmente” inesistente, può essere facilmente “intercettato” mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente si connota per scarsa insidiosità».

Di conseguenza, è possibile che l’Ufficio proceda all’irrogazione della sanzione nella misura del 30%, ai sensi dell’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997, nei confronti di un contribuente che abbia omesso il versamento dei tributi dovuti in conseguenza dell’utilizzo in compensazione di un credito “sostanzialmente” non esistente, qualora tale inesistenza sia agevolmente riscontrabile per mezzo dei controlli formali della dichiarazione.

Anche sul piano penale, il legislatore ha differenziato la risposta sanzionatoria sulla base dell’inesistenza ovvero della non spettanza del credito utilizzato in compensazione dal contribuente.

L’art. 10-quater, al comma 1, prevede, infatti, la pena della reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versi le somme dovute utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. Per le ipotesi in cui il contribuente abbia omesso il versamento delle somme dovute in conseguenza dell’utilizzo in compensazione di un credito inesistente per un importo annuo superiore a cinquantamila euro è, invece, prevista, al secondo comma, la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

A questo punto, è bene sottolineare che la nozione di credito inesistente rilevante ai fini dell’irrogazione della sanzione penale ai sensi dell’art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, non coincide pienamente con quella di cui all’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997. Si è detto, infatti, che sul piano amministrativo è definito “inesistente” il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973, e 54-bis D.P.R. n. 633/1972. La norma penale non prevede, invece, una delimitazione della nozione di credito inesistente con riferimento alle procedure di cui agli articoli citati. È possibile, dunque, che l’utilizzo in compensazione di un credito inesistente sia sanzionato sul piano penale nella forma più grave di cui all’art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, nonostante l’inesistenza del credito possa essere riscontrata agevolmente dall’Ufficio nell’ambito dei controlli formali della dichiarazione, diversamente da quanto previsto dall’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, ai fini dell’irrogazione della sanzione amministrativa.

L’esigenza di definire con chiarezza la nozione di credito inesistente – rilevante, come visto, anche ai fini sanzionatori – ha, così, indotto i giudici della Suprema Corte a richiedere, anche su questo punto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

4. Nell’attesa dell’intervento delle Sezioni Unite, ci si propone di svolgere alcune considerazioni sul tema, nel tentativo di ricondurre a sistema le diverse soluzioni sin qui prospettate in relazione alle varie ipotesi di contestazione di violazioni in materia di compensazione fiscale.

A questo proposito, occorre prendere le mosse dalla definizione di credito inesistente fornita dallo stesso legislatore nell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, la quale, come già rilevato, richiede il verificarsi di due condizioni: la mancanza dei presupposti costitutivi del credito e (congiunzione) l’impossibilità di riscontrare tale inesistenza mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972.

Ebbene, per quanto concerne l’individuazione dei presupposti costitutivi, bisognerebbe opportunamente svolgere delle considerazioni specifiche in relazione alle diverse tipologie di crediti di imposta utilizzabili in compensazione dal contribuente (in merito alla difficoltà di inquadrare sistematicamente tutti i vari crediti di imposta e condurre, in relazione ad essi, un’analisi di carattere unitario, cfr. Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, cit., 202 ss., il quale osserva che «la categoria giuridica “credito d’imposta” non riesce ad assumere una ben precisa connotazione, non solo per la confusione di linguaggio diffusa fra i pratici, nella prassi e nella giurisprudenza, ma anche in ragione dell’abnorme ed asistematico ricorso alla formula da parte del legislatore, che spesso usa il termine in ottica descrittiva, ma allo stesso tempo modella variegati, multiformi e fantasiosi crediti d’imposta, speciali regimi di detrazione, bonus, ecc., dotandoli di un sub sistema proprio, appesantito da frequenti superfetazioni legislative». Su questi profili, si vedano, inoltre, Ingrosso M., Il credito d’imposta, Milano, 1984; Fregni M.C., Crediti e rimborsi d’imposta, in Cassese S., diretto da, Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006).

In questa sede, non essendo possibile procedere ad un’attenta disamina per ciascuna tipologia di credito d’imposta, si ritiene necessario evidenziare che, con riferimento ai crediti di natura agevolativa, generalmente, il sorgere del diritto del contribuente a beneficiare dell’agevolazione non soltanto è subordinato all’effettivo sostenimento della spesa meritevole in relazione alla quale il legislatore ha previsto l’attribuzione del credito d’imposta, ma presuppone, altresì, che il contribuente ponga in essere specifici adempimenti (anche di natura meramente formale) che, in base alla legge istituiva del credito, hanno valenza costitutiva. Si pensi, ad esempio, alla normativa sul bonus fiscale per gli interventi di riqualificazione ed efficientamento energetico degli immobili (art. 1, commi 344 e ss., L. n. 296/2006), in base alla quale l’omesso o il tardivo invio della comunicazione all’ENEA entro il termine specifico previsto dal legislatore costituisce una causa ostativa alla sua concessione (in proposito, cfr. Ingrao G., Mancato/tardivo invio della comunicazione all’Enea e decadenza dall’ecobonus fiscale: note a margine di una recente pronunzia della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 23 gennaio 2023).

Sicuramente, la circostanza che una irregolarità in un adempimento formale possa provocare il disconoscimento di un’agevolazione altrimenti spettante – in quanto correlata ad una spesa meritevole effettivamente sostenuta dal contribuente – può apparire come un’ingiustizia.

Non si possono, tuttavia, ignorare le disposizioni legislative che espressamente individuano determinati adempimenti formali quali elementi costitutivi del credito agevolativo, giungendo, in via interpretativa, ad attribuire a tali formalità una rilevanza differente rispetto a quella chiaramente definita dal legislatore. In ipotesi siffatte, appare chiaro, dunque, che l’inosservanza della prescrizione formale che, per legge, ha valenza costitutiva, impedisce il sorgere del diritto all’agevolazione.

In ogni caso, si rileva che la violazione delle regole procedurali prescritte a titolo costitutivo del credito, pur comportando la “sostanziale” inesistenza del credito stesso per difetto dei presupposti costitutivi, non è di per sé sufficiente a determinarne l’inesistenza ai sensi dell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997.

A tal fine, come già ribadito, è, altresì, necessario che tale inesistenza non sia riscontrabile dall’Ufficio nell’ambito dei controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972.

Il fatto che la suddetta disposizione ponga la nozione di credito inesistente in correlazione con la condizione (negativa) per cui tale inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati e cartolari della dichiarazione consente di ritenere che il discrimen tra le due fattispecie di indebita compensazione (sanzionata ai sensi dell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997) e compensazione irregolare (sanzionata ai sensi dell’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997) sia dato proprio dalla possibilità o meno per l’Ufficio di accertare “agevolmente” la violazione posta in essere dal contribuente mediante un esame diretto della dichiarazione e della documentazione di supporto ad essa.

Difatti, si è già evidenziato che potrebbero ricorrere delle ipotesi in cui, nonostante sia utilizzato in compensazione un credito sostanzialmente inesistente (perché privo dei presupposti costitutivi), sia comunque irrogata dall’Ufficio la sanzione più lieve prevista dall’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997, per l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti, dal momento che tale violazione può facilmente essere riscontrata mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973.

In questo senso, potrebbe, allora, risultare utile verificare quali siano effettivamente i crediti contestabili nell’ambito dei controlli formali della dichiarazione, al fine di individuare esattamente le fattispecie di illegittima compensazione da sanzionare in forma più lieve ai sensi dell’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997.

Da tale indagine, si potrebbero, inoltre, ricavare a contrario i crediti non accertabili secondo tali procedure che, pertanto, sarebbero da considerare “inesistenti” a fini sanzionatori ogniqualvolta si riscontri la violazione, da parte del contribuente, di una prescrizione (anche di natura meramente formale) avente rilevanza costitutiva.

Orbene, nell’ambito dei controlli automatizzati, l’Ufficio, com’è noto, non ha il potere di operare una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti nella dichiarazione, né può operare una propria valutazione o stima degli stessi, ma può solo compiere attività istruttoria dal raffronto tra la dichiarazione, documenti e le risultanze dell’anagrafe tributaria.

La liquidazione della dichiarazione ex art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973, (analogamente a quanto stabilito dall’omologa disposizione nell’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972), cui segue la formazione del ruolo e la notificazione della cartella di pagamento, consiste, infatti, in un controllo, mediante procedure automatizzate, dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria che, per queste sue caratteristiche, costituisce un’attività diversa da quella accertativa (cfr. Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, cit., 1531 ss.).

Lo stesso accade nel controllo formale del dichiarato operato ai sensi dell’art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973, nell’ambito del quale possono emergere solo violazioni rilevabili direttamente dalla dichiarazione e dell’allegata documentazione di supporto.

Come espressamente previsto dal legislatore, l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito delle suddette procedure, può, dunque, provvedere a «ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazione» (art. 36-bis, comma 2, lett. e, D.P.R. n. 600/1973), nonché, senza pregiudizio dell’azione accertatrice a norma degli artt. 37 ss., D.P.R. n. 600/1973, «determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti» (art. 36-ter, comma 2, lett. d, D.P.R. n. 600/1973).

Occorre, comunque, chiarire che il controllo formale della dichiarazione non riguarda necessariamente tutti i crediti esposti dal contribuente nel modello dichiarativo, ma soltanto quelli che confluiscono nel Quadro “RN”, nel quale sono riassunti tutti i dati, indicati negli altri quadri del modello di dichiarazione, utili per determinare l’imposta dovuta dal contribuente.

In particolare, concentrando l’analisi sul modello di dichiarazione “Redditi – Persone fisiche”, risultano di interesse, ai nostri fini, i crediti indicati nei righi “RN27” e seguenti (tra questi, crediti per erogazione sportiva, per bonifica ambientale, per monopattini elettrici e servizi di mobilità elettrica, per depuratori d’acqua e riduzione del consumo di plastica, ecc.), i quali potrebbero essere utilizzati in compensazione dal contribuente per estinguere altri debiti di natura fiscale o extrafiscale.

Con riferimento a tali crediti, è sostenibile che, qualora l’Ufficio dovesse accertare, nell’ambito di un controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973, che il contribuente non ha effettivamente sostenuto la spesa per la quale è prevista l’attribuzione del credito (perché, ad esempio, non è stata fornita la documentazione richiesta, comprovante l’acquisto del monopattino elettrico), l’eventuale utilizzo in compensazione di tale credito (sostanzialmente inesistente per difetto dei presupposti costitutivi) sarà, comunque, sanzionato nella misura del 30%, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997, dal momento che la sua inesistenza è stata “agevolmente” rilevata dall’Ufficio mediante un riscontro tra la dichiarazione e i documenti sulla base dei quali la stessa è stata redatta.

Vi sono, tuttavia, altri crediti da esporre in dichiarazione che non confluiscono nel “Quadro RN” e che, pertanto, non potrebbero essere contestati nell’ambito di un controllo formale.

Si pensi ai crediti indicati nel “Quadro RU” del fascicolo 3 del modello di dichiarazione “Redditi – Persone fisiche” (tra questi, crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, formazione 4.0, investimenti in beni strumentali nel territorio dello Stato, ecc.), i quali, se utilizzati in compensazione dal contribuente in violazione di regole (anche meramente formali) prescritte a titolo costitutivo, determineranno, in ogni caso, l’irrogazione della più grave sanzione di cui all’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, poiché si tratta di crediti sostanzialmente non esistenti e la cui inesistenza non è riscontrabile dall’Ufficio mediante i controlli formali della dichiarazione.

La contestazione di tali crediti, laddove utilizzati in compensazione nel modello di versamento F24, potrà, dunque, avvenire – previe indagini mirate e specifiche – con la notifica dell’avviso di recupero del credito di imposta di cui all’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, entro il termine decadenziale di otto anni di cui all’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, e sarà, conseguentemente, irrogata la sanzione nella misura dal 100% al 200% del credito stesso.

Qualora, invece, si tratti di un credito realmente esistente, il quale è stato, tuttavia, utilizzato in compensazione in modo irregolare (e dunque, in violazione di regole non prescritte a titolo costitutivo), la sua contestazione avrà luogo con la notifica dell’avviso di recupero del credito di imposta entro i termini ordinari di cui all’art. 43 D.P.R. n. 600/1973, con applicazione della sanzione nella misura del 30%, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997.

A questo punto, occorre, però, rilevare che le considerazioni sin qui svolte si basano sulla nozione di credito inesistente così come definita dal legislatore nell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, la quale, invero, non ha una portata generale, bensì una rilevanza limitata ai fini dell’irrogazione delle sanzioni amministrative previste per le violazioni in materia di compensazione fiscale.

Si è detto che, in ambito penale, la nozione di credito inesistente appare essere più ampia, dal momento che l’art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, non prevede una delimitazione di tale nozione con riferimento alle suddette procedure di controllo formale della dichiarazione.

Eppure, per ragioni di coerenza sistematica e in ossequio al principio di proporzionalità, sarebbe opportuno interpretare la disposizione di cui al citato art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, in senso conforme alla definizione di credito inesistente di cui all’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, posto che la condotta del contribuente espressiva di un disvalore tale da giustificare l’applicazione di una più grave sanzione (nella specie, la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) è quella che si caratterizza per l’utilizzo in compensazione di un credito che non solo non sussiste realmente, ma la cui inesistenza non risulti, altresì, agevolmente riscontrabile dall’Ufficio mediante i controlli automatizzati e cartolari della dichiarazione, richiedendo, piuttosto, lo svolgimento di una più penetrante attività istruttoria.

Se volessimo, dunque, tentare di ricostruire una definizione generale di credito inesistente – che possa valere sia ai fini dell’irrogazione della sanzione amministrativa, sia ai fini dell’irrogazione della sanzione penale, nonché in ambito procedimentale per l’individuazione del termine decadenziale da applicare – la nozione definita dal legislatore nell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, potrebbe costituire un utile e opportuno riferimento.

Si dovrebbero, così, ritenere “inesistenti” i soli crediti in relazione ai quali manchino, in tutto in parte, i presupposti costitutivi (anche di natura formale), e la cui inesistenza non sia riscontrabile dall’Ufficio mediante le procedure di controllo formale della dichiarazione; per tali soli crediti si dovrebbe ammettere l’applicazione del termine decadenziale di otto anni per la notifica dell’avviso di recupero e l’irrogazione delle sanzioni più gravi di cui agli artt. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, e 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000.

La nozione di credito non spettante sarebbe, invece, individuata in via residuale, ricomprendendo tutte quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso, nonché quelle ipotesi in cui l’inesistenza del credito emerga direttamente dai controlli ex artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972.

5. Dall’indagine sin qui svolta, è emerso che permangono ancora oggi in giurisprudenza contrasti interpretativi in merito alla rilevanza, ai fini procedimentali e sanzionatori, della distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti.

Si è reso evidente che, invero, tale differenziazione assume una rilevanza decisiva sia ai fini dell’individuazione del termine decadenziale entro cui procedere alla contestazione e al recupero del credito (inesistente o non spettante) illegittimamente utilizzato in compensazione dal contribuente, sia ai fini della determinazione della sanzione (amministrativa o penale) in concreto irrogabile.

In quest’ottica, appare, dunque, di primaria importanza definire con esattezza la nozione di credito inesistente e chiarire la sua differenziazione rispetto alla nozione di credito non spettante.

Su questi profili, sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione, dal momento che, ad oggi, manca una definizione normativa di credito inesistente che abbia una portata generale.

A questo proposito, si ritiene che la nozione definita dal legislatore nell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, possa costituire un utile e opportuno riferimento: il fatto che la suddetta disposizione ponga la nozione di credito inesistente in correlazione con la condizione (negativa) per cui tale inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati e cartolari della dichiarazione consente, infatti, di limitare l’applicazione della sanzione più incisiva soltanto nelle ipotesi in cui la condotta del contribuente risulti davvero essere particolarmente grave ed insidiosa.

Adottando, dunque, una nozione di credito inesistente di portata generale, corrispondente a quella definita dal legislatore nell’ambito della normativa sanzionatoria amministrativa, si dovrebbero, conseguentemente, escludere dall’ambito di applicazione delle più gravi sanzioni di cui agli artt. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, e 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, tutte quelle ipotesi in cui il credito sia utilizzato in compensazione in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo, nonché quelle ipotesi in cui l’inesistenza del credito emerga direttamente dai controlli formali della dichiarazione. In questi casi, infatti, non si potrebbe propriamente parlare di “credito inesistente” sul piano giuridico, bensì di “credito non spettante”, con la conseguente applicazione del relativo regime procedimentale e sanzionatorio, dal momento che la condotta posta in essere dal contribuente – pur nelle ipotesi in cui involga crediti sostanzialmente inesistenti – risulta connotata da scarsa insidiosità.

Ciò posto, si potrebbero avanzare delle perplessità in merito alla equiparazione sul piano sanzionatorio tra le fattispecie di irregolare compensazione di crediti esistenti (ma non spettanti) e quelle di indebito utilizzo in compensazione di crediti sostanzialmente inesistenti, laddove tale inesistenza possa essere riscontrata mediante le procedure di controllo formale della dichiarazione.

Nel primo caso, infatti, l’omesso versamento dei tributi da parte del contribuente è una conseguenza dell’utilizzo in compensazione di un credito esistente, seppur non utilizzabile in virtù di specifiche limitazioni legislative; nell’altro caso, invece, l’omesso versamento dei tributi consegue all’utilizzo in compensazione di un credito che realmente non esiste e che, in quanto tale, non può neppure essere chiesto a rimborso dal contribuente.

Potrebbe, pertanto, apparire irragionevole la previsione di una medesima sanzione per le due fattispecie nelle ipotesi in cui la violazione posta in essere dal contribuente risulti agevolmente accertabile dall’Ufficio nell’ambito delle suddette procedure.

D’altra parte, se si osserva che, in materia tributaria, il disvalore della condotta è rappresentato dalla capacità del contribuente di occultare materia imponibile, rendendo difficoltosa l’attività di accertamento dell’Ufficio, le suddette perplessità non hanno più ragione di porsi, dal momento che il disvalore espresso dalle due condotte sopra descritte appare essere identico.

Analoghe considerazioni possono svolgersi anche con riferimento alla questione relativa all’individuazione del termine decadenziale per il recupero dei crediti illegittimamente utilizzati in compensazione dal contribuente.

Indipendentemente dalla effettiva/sostanziale esistenza del credito, se la violazione posta in essere dal contribuente è agevolmente riscontrabile dall’Ufficio nell’ambito delle procedure di controllo formale della dichiarazione, non avrebbe senso prevedere l’applicazione di un termine di decadenza più lungo.

Un raddoppio dei termini decadenziali sarebbe, pertanto, ammissibile nelle sole ipotesi in cui il credito utilizzato in compensazione sia inesistente e tale inesistenza non possa essere riscontrata ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973, o 54-bis D.P.R. n. 633/1972.

Questa interpretazione risulta coerente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze gemelle del 2021, nn. 34443, 34444, 34445, secondo cui l’applicazione del termine di decadenza di otto anni, previsto dall’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, «presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997 – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972».

Alla luce di quanto sinora esposto, non appare, invece, condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti sarebbe priva di fondamento logico-giuridico, quanto meno ai fini dell’individuazione del termine decadenziale entro cui notificare l’avviso di recupero di cui all’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004.

L’attuale contesto normativo, come visto, non consente di sostenere una simile soluzione interpretativa, al punto da ritenere che forse – almeno per questo aspetto – non sarebbe stata davvero necessaria la trasmissione degli atti al Primo Presidente per un’eventuale pronuncia delle Sezioni Unite (in questo senso, Renda A., Alle SS.UU. i termini di accertamento dei crediti non spettanti e inesistenti, in Corr. trib., 2023, 3, 221 ss.).

L’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, infatti, riferisce chiaramente l’applicabilità del termine di decadenza di otto anni alle fattispecie in cui l’atto di recupero riguardi «crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241».

Un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite su questi profili sarebbe, pertanto, da apprezzare nella misura in cui consenta di superare definitivamente i contrasti interpretativi sinora emersi in materia.

La questione davvero centrale, in relazione alla quale si ritiene auspicabile un intervento delle Sezioni Unite – se non, addirittura, del legislatore – riguarda non già la rilevanza della distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti ai fini dei termini decadenziali da applicare per il recupero, bensì l’individuazione di una nozione di credito inesistente di portata generale, che possa valere sia in ambito procedimentale che in ambito sanzionatorio, amministrativo e penale.

In questo senso, è da apprezzare l’ordinanza Cass., sez. V., 8 febbraio 2023, n. 3784, mediante la quale i giudici hanno richiesto un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sulla nozione stessa di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante.

Non possiamo, dunque, che attendere eventuali ulteriori sviluppi.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Albano A., La compensazione di crediti “inesistenti” e “non spettanti”: regime sanzionatorio e profili procedimentali, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, VII, 245 ss.

Basilavecchia M., Il trattamento tributario dell’indebita compensazione, in Corr. trib., 2018, 8, 2155 ss.

Califano C., Indebita compensazione del credito d’imposta per ricerca e sviluppo e attività di controllo volte alla contestazione dell’inesistenza dei crediti, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, III, 254 ss.

Carinci A., Prime considerazioni sulla riforma delle sanzioni amministrative tributarie, in il fisco, 2015, 41, 3929 ss.

Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., 2021, 4, 1525 ss.

Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 201 ss.

Fregni M.C., Crediti e rimborsi d’imposta, in Cassese S. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006

Gaeta A., Inapplicabile il termine di decadenza di 8 anni per l’avviso di recupero se il credito è soltanto “non spettante”, in il fisco, 2022, 1, 81 ss.

Gargiulo G. – Lupi R., Controllo ordinario delle dichiarazioni e recupero dei crediti inesistenti “compensati”: un coordinamento possibile, in Dial. trib., 2009, 4, 458 ss.

Ingrao G., Mancato/tardivo invio della comunicazione all’Enea e decadenza dall’ecobonus fiscale: note a margine di una recente pronunzia della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 23 gennaio 2023

Ingrao G., Profili sanzionatori connessi all’irregolare o indebita acquisizione di rimborsi fiscali, in GT – Riv. giur. trib., 2013, 1, 62 ss.

Ingrosso M., Il credito d’imposta, Milano, 1984

Letizia L., Crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”: la Corte di Cassazione precisa le differenze qualificatorie, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, VII, 839 ss.

Logozzo M., Gli incerti confini dell’indebita compensazione dei crediti inesistenti, in Corr. trib., 2011, 33, 2661 ss.

Lovisolo A., Credito “inesistente” e credito “non spettante” ai fini del termine di decadenza: la Cassazione dimentica il credito “non utilizzabile” in relazione alle sanzioni, in GT – Riv. giur. trib., 2022, 1, 29 ss.

Renda A., Alle SS.UU. i termini di accertamento dei crediti non spettanti e inesistenti, in Corr. trib., 2023, 3, 221 ss.

Zaccaria F., Crediti non spettanti, crediti inesistenti e atti di recupero: cosa è cambiato dal 2016, in il fisco, 2016, 11, 1050 ss.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , , , , , , ,