Divisione ereditaria: collazione di beni donati in vita e imposta di registro

Di Simone Ghinassi -

(commento a/notes to Cass. sez. V, 27 gennaio 2023, n. 2588)

Abstract

Con la sentenza n. 2588/2023, adeguandosi alle plurime sollecitazioni dottrinali in tal senso, la Cassazione muta orientamento in tema di collazione di beni donati in vita e imposta di registro per riconoscere rilevanza, anche ai fini fiscali, alla collazione: ciò sulla base dell’argomentazione, fondata principalmente sul disposto dell’art. 53 Cost., secondo la quale condurrebbe a una tassazione non conforme al principio di capacità contributiva non tener conto, ai fini fiscali, del regime civilistico che impone al condividente di imputare alla propria quota il donatum.

Inheritance division: collation of assets donated during life and registration tax. – With sentence no. 2588 of 2023, adapting to the multiple doctrinal solicitations in this sense, the Cassation changes its orientation on the subject of collation of assets donated during life and registration tax to recognize relevance, also for tax purposes, to the collation: this on the basis of the argument, founded mainly on the provisions of art. 53 of the Constitution, according to which it would lead to a taxation that does not comply with the principle of ability to pay not to take into account, for tax purposes, the civil regime which requires the sharer to attribute the donatum to his share.

La sentenza in commento (sez. V, 27 gennaio 2023, n. 2588) torna dopo poco meno di due anni su un argomento già affrontato e risolto in termini esattamente opposti da Cass., sez. V, ord. 27 aprile 2021, n. 11040.

La fattispecie esaminata è molto semplice e frequente. Risulta infatti assai comune che il defunto abbia effettuato in vita liberalità dirette o indirette a favore dei futuri eredi; questi ultimi pertanto, se figli o coniuge del de cuius, quando dopo la morte del donante andranno a stipulare un atto di divisione ereditaria con gli altri eredi, legittimi o testamentari, «devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati» (art. 737, comma 1, c.c.). Ovviamente, precisa il secondo comma del predetto art. 737 c.c., la dispensa non produce effetti se non nei limiti della legittima.

Tale procedimento, definito dal legislatore “collazione” (così è intitolato il Capo II del Titolo IV, libro II, c.c. in oggetto), avviene per i beni mobili mediante “imputazione”, ossia imputando alla propria quota il valore dei beni donati all’epoca dell’apertura della successione (art. 750 c.c.), mentre per i beni immobili, a scelta del condividente, o mediante conferimento degli stessi in natura o mediante imputazione, sempre avendo riferimento al valore del bene all’epoca di apertura della successione (art. 746 c.c.).

Orbene, se il procedimento divisionale apparirebbe del tutto chiaro dal punto di vista civilistico, lo stesso non varrebbe a fini fiscali in quanto l’Amministrazione finanziaria, con l’avallo prima dell’ultima sentenza in commento della Suprema Corte, ha sempre ritenuto l’irrilevanza ai predetti fini della collazione civilistica, fondando il proprio assunto, precipuamente, sul disposto dell’art. 34, comma 1, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), ai sensi del quale la «massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dall’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione».

Invero, poiché il bene donato in vita non è compreso della base imponibile soggetta ad imposta di successione, non sarebbe possibile dare rilevanza ai fini fiscali al valore dello stesso, computandolo nella massa da dividere, da ciò discendendo che l’assegnazione a taluno degli eredi di beni che eccedono la propria quota ereditaria (c.d. “quota di diritto”), calcolata tenendo conto del solo relictum e non anche del donatum, determinerebbe l’esistenza di un conguaglio fiscale fittizio, tassabile ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, TUR.

Nella fattispecie elementare di relictum pari a 100 e donatum in vita ad altro coerede di 100, l’assegnazione divisionale dell’intero relictum a favore dell’erede non donatario, perfettamente legittima ai sensi degli artt. 737 ss. c.c., determinerebbe invece ai fini fiscali l’assoggettamento a tassazione dell’intera predetta somma di 100, con l’aliquota proporzionale degli atti traslativi (9% o 15%) e non di quelli dichiarativi 1%; e ciò, si ripete, alla stregua di (fittizio) conguaglio.

Come accennato, la Suprema Corte nel precedente arresto del 2021 aveva sposato in toto l’orientamento ministeriale, fondando la propria conclusione sul citato disposto letterale dell’art. 34 TUS che appare individuare l’imponibile delle divisioni ereditarie nell’«asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione». E ciò ancorché in motivazione la Suprema Corte operasse una certa confusione concettuale, sostenendo che la collazione civilistica troverebbe spazio, ai fini fiscali, tramite l’istituto del “coacervo” di cui all’art. 8, comma 4, TUS. Risulta al contrario evidente che trattasi di istituti assolutamente distinti tra loro sia dal punto di vista sostanziale ed effettuale sia da quello delle rispettiva sfera applicativa: civilistica, quanto alla collazione, meramente fiscale, quanto al coacervo. Senza poi considerare che la medesima Suprema Corte, con giurisprudenza ormai consolidata a seguito delle due sentenze gemelle 6 dicembre 2016, n. 24940 e 16 dicembre 2016, n. 26050, ritiene tacitamente abrogato ad opera della L. n. 342/2000 il predetto art. 8, comma 4, regolante il coacervo ai fini dell’imposta di successione (sia consentito rinviare sulla questione a Ghinassi S., Il coacervo delle donazioni pregresse, in L’imposta sulle successioni e donazioni: stato dell’arte e prospettive di riforma, in  NEΩTEPA, 2020, 2, 126 ss.).

Orbene, la sentenza in esame muta radicalmente orientamento, adeguandosi alle plurime sollecitazioni dottrinali in tal senso e riconoscendo rilevanza, anche ai fini fiscali, alla collazione sulla base dell’argomentazione fondata principalmente sul disposto dell’art. 53 Cost., in quanto condurrebbe ad una tassazione non conforme al principio di capacità contributiva non tener conto, ai fini fiscali, del regime civilistico, che impone al condividente di imputare alla propria quota il donatum.

Si legge invero nella sentenza: «In tal modo il coacervo tra donatum e relictum (già, come detto, escluso ai fini dell’imposta di successione) viene si recuperato, ma:

in forza di un istituto di portata generale (la collazione) esperibile non solo ai fini dell’azione di riduzione, ma ogniqualvolta si renda necessario ricostruire l’asse ereditario, il che supera l’obiezione dell’Amministrazione secondo cui delle donazioni in vita non potrebbe tenersi conto ai fini in esame sol perché relative a beni non ricompresi nella massa ereditaria da dividere, in quanto estranei al patrimonio del de cuius al momento della successione».

A tale argomentazione la dottrina che da ultimo ha trattato del tema ha correttamente aggiunto che il precedente indirizzo contrario della Suprema Corte risultava incongruo con l’orientamento, per certi versi opposto (e forse eccessivamente lato), relativo ai conguagli divisionali, in base al quale gli stessi non avrebbero rilevanza, purché rientranti nei limiti del valore della quota di diritto, ancorché corrisposti con somme non comprese dall’asse oggetto di divisione (v. sul punto Tassani T., Profili fiscali della divisione, in NEΩTEPA, cit., 149-151 e, tra le più recenti, Cass. sez. V, ord. 27 gennaio 2022, n. 2378).

Ed in effetti sarebbe veramente incongruo e contradditorio ipotizzare un fittizio conguaglio divisorio in caso di collazione da parte di uno dei condividenti di beni donati in vita dal de cuius, ove poi invece si nega (forse troppo benevolmente) l’esistenza di un conguaglio tassabile perfino nel caso in cui lo stesso sia corrisposto con somme estranee all’asse ereditario.

Ancora si può osservare, a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale in commento, che tale interpretazione della normativa risulta coerente con il canone, particolarmente utile e denso di risvolti applicativi in tema di imposta di registro, in base al quale, in mancanza di espresse deroghe da parte del legislatore fiscale, la norma tributaria, ove assuma ad elementi costitutivi della fattispecie istituti di altre branche dell’ordinamento, debba essere in linea di principio applicate in coerenza con il significato e la portata che detti istituti assumono nell’ordinamento di derivazione (v. per tutti Russo P., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 104-105).

Principio che tra l’altro, in tema di imposta di registro, risulta espressamente enunciato nell’art. 20 TUR, sempre che a tale norma voglia attribuirsi il suo reale significato e non quello, frutto di derive giurisprudenziali fortunatamente oggi molto ridimensionate, che la hanno in passato considerata una sorta di norma antielusiva (cfr. Fedele A., La Cassazione porta alla Corte costituzionale la questione della rilevanza dei collegamenti negoziali ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, in Riv. dir. trib., 2020, 1, II, 14 ss. e Mastroiacovo V., Abuso del diritto o elusione nell’imposta di registro e negli altri tributi indiretti, in Della Valle E. – Ficari V. – Marini G. (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, 243 ss.

Pertanto, anche sotto tale aspetto, non vi è motivo che la rilevanza fiscale della collazione possa essere reputata diversa da quella civilistica; cioè, come giustamente osserva la Suprema Corte, al precipuo fine di tassare l’effettiva manifestazione di capacità contributiva risultante dagli effetti dell’atto soggetto a registrazione.

Non si può dunque che aderire al più recente orientamento giurisprudenziale, oggetto della presente nota, solo auspicandosi che, al fine dell’adeguamento allo stesso da parte dell’amministrazione finanziaria, non si rendano necessarie decine e decine di ulteriori decisioni conformi (come è avvenuto per il trust e come invece non è ad oggi ancora avvenuto per il coacervo) o addirittura l’intervento delle Sezioni Unite.

Resta solo un ultimo aspetto da precisare, ossia, nell’ottica qui condivisa della rilevanza anche fiscale della collazione delle liberalità effettuate in vita a favore di alcuno dei condividenti, quale debba essere considerata la base imponibile della divisione. Ciò, in particolare, al fine di stabilire se la più mite aliquota dell’1% prevista dall’art. 3, Tariffa, parte prima, TUR per gli atti aventi effetti dichiarativi (quale, quanto meno a fini fiscali, è a tutt’oggi reputata la divisione; cfr. anche su tale aspetto Tassani T., op. cit., 145-148), debba essere applicata solo sul relictum, ovvero non tenendo conto del valore del bene oggetto di collazione, od anche sul donatum.

Anche su tale aspetto la motivazione della sentenza in esame appare chiara ed illuminante in quanto, nel sancire la rilevanza della collazione al fine dell’imposizione fiscale della divisione ereditaria, precisa che ciò avviene «nell’ambito di un’operazione di riunione fittizia e per imputazione avente immediata incidenza sulla massa comune e non sulla base imponibile dell’imposta di registro applicabile all’atto di divisione».

Val quanto dire che, ai fini della determinazione dell’imponibile, solo il valore del relictum deve essere considerato e tassato.

Così il cerchio si completa e si chiude, nel senso di attribuire rilevanza alla collazione (per imputazione) ai fini della tassazione della divisione ereditaria, ma ciò nell’ottica, coerente con la dinamica civilistica, della c.d. riunione fittizia. Pertanto il valore dei beni oggetto di collazione viene fittiziamente considerato al fine di ricostruire i lotti dei condividenti e, così facendo, di evitare che si evidenzino conguagli fiscali inesistenti, ma non costituisce oggetto della base imponibile assoggettata ad imposta di registro, in quanto in realtà il bene non viene attribuito al condividente attraverso l’atto di divisione, ma è già stato allo stesso attribuito in vita dal defunto attraverso la liberalità oggetto di collazione.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Cannizzaro S., La divisione nell’imposta di registro. Collazione ed emersione di conguaglifiscalmente rilevanti, in Notariato, 2012, 5, 589 ss.

Fedele A., La Cassazione porta alla Corte costituzionale la questione della rilevanza dei collegamenti negoziali ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, in Riv. dir. trib., 2020, 1, II, 14 ss.

Formica F., (voce) Divisione nel diritto tributario, in Dig. dir. priv. sez. comm., V, Torino, 2007, 90 ss.

Ghinassi S., Il coacervo delle donazioni pregresse, in L’imposta sulle successioni e donazioni: stato dell’arte e prospettive di riforma, in NEΩTEPA, 2020, 2, 126 ss.

Mastroiacovo V., Abuso del diritto o elusione nell’imposta di registro e negli altri tributi indiretti, in Della Valle E. – Ficari V. – Marini G. (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, 243 ss.

Pistolesi F., Commento art. 34 TUR, in Marongiu G. (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie, vol. IV, Milano, 2011, 836 ss.

Russo P., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 104-105

Salanitro G., Divisione con collazione nell’imposta di registro tra codice civile e norme tributarie, in Riv. tel. dir. trib., 18 aprile 2023

Tassani T., Profili fiscali della divisione, in  L’imposta sulle successioni e donazioni: stato dell’arte e prospettive di riforma, in NEΩTEPA, 2020, 2, 145 ss.

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