Su di un trittico di questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: profili temporali, rapporto con l’art. 2697 c.c. ed estensione del principio di vicinanza alla prova

Di Giuseppe Melis -

Abstract  (*)

Il lavoro esamina tre questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis inserito dalla L. n. 130/2022 di riforma dell’ordinamento e del processo tributario nell’ambito dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: la prima, se la nuova disposizione sia applicabile o meno ai giudizi in corso; la seconda, se a seguito di tale introduzione l’art. 2697 c.c. sia ancora applicabile in materia tributaria; la terza, se il principio di vicinanza alla prova sia anch’esso tuttora applicabile.

The article investigates three general aspects related to the new paragraph 5-bis of Article 7 of Legislative Decree No. 546/1992, as inserted by Law No. 130 of 2022 reforming the tax and tax litigation systems. The first aspect regards the applicability of the new provision to pending litigations; the second one attains to the permanent applicability to tax litigations of Article 2697 of the Italian Civil Code further to the mentioned paragraph 5-bis; the third one deals with the permanent applicability to tax litigations of the principle of ‘proximity to evidence’.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Sull’efficacia temporale. – 3. Sul rapporto con l’art. 2697 c.c. – 4. Sull’estensione del principio di vicinanza alla prova.

 

 

1. La mia relazione si occupa di tre questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis inserito dalla L. n. 130/2022 di riforma dell’ordinamento e del processo tributari nell’ambito dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: la prima, se la nuova disposizione sia applicabile o meno ai giudizi in corso; la seconda, se a seguito di tale introduzione l’art. 2697 c.c. sia ancora applicabile in materia tributaria; la terza, se il principio di vicinanza alla prova sia anch’esso tuttora applicabile.

 

2. Muovendo dall’efficacia temporale, si riconosce in dottrina unanimemente l’applicazione immediata del nuovo comma 5-bis alle sentenze rese dopo l’entrata in vigore della L. n. 130/2022 (16 settembre 2022) e, dunque, l’applicazione ai giudizi pendenti a tale data. Si sottolinea a tal fine: l’assenza nelle disposizioni transitorie e finali di una specifica decorrenza[1], la volontà del legislatore di introdurre sin da subito una regola di giudizio volta a rendere più stringente l’onere della prova a carico dell’Amministrazione[2], il suo essere rivolta direttamente al giudice tributario[3], la sua fisionomia di norma a carattere processuale retta dal principio del tempus regit actum[4], la sua natura di regola finale del fatto incerto, applicabile, proprio in quanto tale, al momento in cui la decisione viene assunta[5].

La giurisprudenza di merito è concorde sull’applicazione del comma 5-bis ai giudizi in corso, facendo riferimento ai seguenti “indici”: la lettera della norma (“prova in giudizio”), la collocazione sistematica nell’ambito dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 e l’assenza di una norma espressa sulla decorrenza[6].

Ritengo che le argomentazioni a favore di questa tesi siano ampiamente condivisibili, non potendosi peraltro riconoscere alcun affidamento dell’Amministrazione finanziaria nelle “regole” preesistenti, vuoi per quanto attiene alla regola di giudizio, vuoi per quanto attiene alla “consistenza” della prova[7]. Per un verso, infatti, la tutela dell’affidamento opera nei confronti del contribuente, per altro verso l’Amministrazione non può confidare in alleggerimenti (o persino in “inversioni”) probatori di fonte giurisprudenziale, per altro verso ancora, essa è tenuta ad espletare l’attività istruttoria con la massima intensità possibile, essendo rimessa al legislatore la scelta su come “dosare” questa intensità, ricorrendo a presunzioni legali o a norme ad hoc – che non risultano, ed è opinione pacifica in dottrina, “toccate” dalla novella[8]; sicché, così come il legislatore è libero, nei limiti della ragionevolezza, di stabilire questa “intensità”, così esso è libero di decidere di imporla sin da subito, al limite proprio per contrastare un indirizzo giurisprudenziale sulla distribuzione e sulla consistenza della prova – e questa è stata, senza ombra di dubbio, la finalità che gli estensori del comma 5-bis si proponevano – ritenuto non sufficientemente garantista nei confronti del contribuente[9].

Sotto questo profilo, non avrebbe pertanto senso alcuno istituire un “parallelismo” con la questione relativa alla decorrenza solo pro futuro delle norme che invertono l’onere probatorio altrimenti spettante all’Amministrazione finanziaria; ciò per almeno due ordini di ragioni:

  • in primo luogo, perché in tal caso le norme sarebbero comunque qualificabili, secondo la classica distinzione chiovendiana, quali “norme probatorie particolari”, a differenza del caso che ci occupa il quale è pacificamente ascrivibile alla categoria delle “norme probatorie generali”, essendo la nuova disposizione dettata per tutti i rapporti tributari, da ciò derivandone la piana applicazione anche ai giudizi in corso[10];
  • in secondo luogo, perché in tali casi la “retroattività” si risolverebbe nella negazione della possibilità di “precostituzione” di quelle prove che la legge gli richiederebbe di offrire oggi con effetto appunto retroattivo, con buona pace della parità delle armi che deve caratterizzare l’iter processuale[11].

3. Venendo alla seconda questione, concernente il profilo del comma 5-bis quale regola sulla distribuzione dell’onere della prova, dunque come regola riguardante i fatti (allegati) incerti, è unanime in dottrina l’opinione secondo cui si tratterebbe della sostanziale conferma della regola secondo cui i fatti costitutivi del credito impositivo devono essere provati dall’Amministrazione finanziaria e così anche di quella secondo cui spetta al contribuente la prova dei fatti costitutivi del diritto al rimborso[12].

Tale ripartizione trovava fondamento, nella prospettiva costitutivistica, nel principio di precostituzione della prova, non potendo l’Amministrazione accingersi ad alcun atto senza aver procurato a se stessa la prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar vita a quell’atto[13] e, nella prospettiva dichiarativistica, nella disciplina di cui all’art. 2697 c.c.[14], come peraltro pacifico nella giurisprudenza della Corte di cassazione e anche della Corte costituzionale[15].

Diverse sono tuttavia le opinioni sia per quanto riguarda il rapporto con l’art. 2697 c.c., sia sulla perdurante applicabilità di quest’ultima disposizione nel diritto tributario.

Tra coloro che adottano la prospettiva “confermativa” secondo cui il comma 5-bis sarebbe sostanzialmente “riproduttivo” dell’art. 2697 c.c., taluni non prendono posizione sulla perdurante applicabilità di tale ultima disposizione[16], altri invece la ritengono tuttora applicabile[17].

Coloro che ritengono tale disposizione “confermativa” dell’art. 2697 c.c., ritengono altresì rafforzato il binomio fatto costitutivo – fatto impeditivo. A tale ultima categoria, parte della dottrina che ritiene appunto il 5-bis confermativo del 2697 c.c. anche per effetto dell’espressione “in coerenza con la normativa tributaria sostanziale” ivi contenuta[18], continua a ricondurre la “inerenza” degli specifici costi contestati[19], rilevando peraltro come nell’inerenza il giudizio rimanga sempre sul fatto, dovendo il giudice di merito accertare la relazione esistente fra acquisto e attività, mentre altri la negano[20]. Sono, invece, univoche le conclusioni cui si perviene in tema di prova sulla sussistenza della c.d. “buona fede” nelle fatture soggettivamente inesistenti, essendo la detrazione principio fondamentale del sistema IVA e ricadendo così la prova sull’assenza di buona fede interamente sull’Amministrazione finanziaria[21].

Altri affermano, invece, la definitiva inapplicabilità dell’art. 2697 c.c. e con esso anche della “ripartizione” della prova basata sulla “scomposizione dei fatti” ivi contenuta[22]: la nuova norma impone infatti in maniera chiara all’Amministrazione finanziaria la prova, che non dipende dalla “qualificazione” dei fatti. In tale ottica, la prova della insussistenza delle condizioni che legittimano la deduzione incombe sull’Amministrazione finanziaria[23]. Lo stesso si afferma per le agevolazioni[24] e per gli accertamenti DOCFA, in cui si registra una tendenza della giurisprudenza ad una più benevola valutazione di tali accertamenti anche in mancanza di una rigorosa prova sulla base di una (invero inesistente!) “partecipazione” del contribuente alla procedura di classamento[25].

Non v’è dubbio che la disposizione in commento sancisca con chiarezza ciò che la dottrina ha da tempo affermato, cioè che nel processo tributario, con l’eccezione dei giudizi di rimborso, l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa – nella nuova disposizione sinteticamente indicata con l’espressione “violazioni contestate con l’atto impugnato” – spetta sempre al Fisco, perché è esso che fa valere una pretesa in giudizio.

Questo principio viene adesso (finalmente) “incorporato” in una regola di giudizio squisitamente “tributaria” riguardante, appunto, il “come” il giudice tributario debba risolvere la controversia nel caso in cui la parte onerata non abbia raggiunto la prova dei fatti e si risolve nell’affermazione – di carattere omnicomprensivo – che fa riferimento tout court alle “violazioni contestate con l’atto impugnato”. Ed è evidente che così come si “contesta” l’omessa dichiarazione di un componente positivo, in modo non diverso si “contesta” l’indebita deduzione di un costo, l’indebita fruizione di un’agevolazione o, ad esempio, l’indebita fissazione di un “prezzo di trasferimento”. Sul fronte opposto delle “violazioni contestate” – id est, le liti “da impugnazione” – c’è solo l’onere della prova in capo al contribuente dei fatti costitutivi del diritto al rimborso – id est, le liti “da rimborso”, in cui il contribuente è attore anche in senso sostanziale –  sicché non esiste una “terra di mezzo” in cui poter ancora legittimamente collocare “contestazioni” sui costi, sulle agevolazioni et similia riconducendole a “fatti impeditivi” o addirittura a “fatti costitutivi” (a carico del contribuente), essendo tale distinzione ormai priva di qualsivoglia legittimazione nel sistema di ripartizione della prova in materia tributaria.

Così stando le cose il riferimento all’art. 2697 c.c. – assunto, come detto, da parte della giurisprudenza (diversamente dalla dottrina ma con conclusioni finali sostanzialmente analoghe) a fondamento della ripartizione dell’onere probatorio sin dalla storica sentenza 23 maggio 1979, n. 2990, con cui la Suprema Corte escluse definitivamente la c.d. “presunzione di legittimità degli atti” e ritenne, appunto, che ai sensi dell’art. 2697, comma 1, c.c. sia l’Amministrazione a dover provare in giudizio i fatti costitutivi del proprio diritto e il contribuente i relativi fatti estintivi, impeditivi o modificativi ai sensi del successivo comma 2 – sarebbe superato, non essendovene necessità per supplire all’assenza di una disposizione ad hoc ormai invece presente nell’ordinamento tributario[26]. Del resto, non solo l’applicabilità dell’art. 2697 c.c. al processo tributario costituisce da sempre tema controverso, ma la stessa “scomposizione” dei fatti giuridici tra fatti costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi, come è stato osservato, è tutt’altro che agevole ed appagante[27].

Sennonché, si potrebbe osservare che l’art. 2697 c.c. regola anche i fatti diversi da quelli “costitutivi” (impeditivi – contemporanei ai primi – modificativi ed estintivi), di cui il comma 5-bis non si occupa. Ebbene, ove dovesse ritenersi che l’onere sui fatti diversi da quelli “costitutivi” non sia altrimenti disciplinabile se non proprio attraverso l’art. 2697 c.c. medesimo, ciò non significherebbe affatto che il comma 5-bis sia privo di significato poiché sostanziale (e persino incompleto) “doppione” dell’art. 2697 c.c. Piuttosto, l’art. 2697 c.c. rimarrebbe semplicemente operante, quale norma generale, per tutto ciò che è diverso dalla “violazione contestata”, di cui invece si occuperebbe (ormai esclusivamente) il comma 5-bis. E poiché questa espressione abbraccia, evidentemente, ogni forma di “violazione” (come detto, del maggior ricavo non dichiarato, del costo ritenuto non deducibile, dell’agevolazione ritenuta non spettante, del prezzo di trasferimento non at arm’s lenght e via dicendo) – con conseguente violazione delle disposizioni che, rispettivamente, affermano la rilevanza impositiva di quel ricavo, fissano gli elementi costitutivi di quella determinata deduzione o di quella determinata agevolazione o, ancora, stabiliscono la necessità che una determinata transazione avvenga a valore normale – la conclusione non sarebbe comunque diversa, in punto di onere della prova della “pretesa” (rectius, “violazione”), da quella cui si giungerebbe ritenendo sic et simpliciter non (più) applicabile in parte qua l’art. 2697 c.c. Resta pertanto così assorbita ogni dicotomia tra fatti costitutivi e fatti impeditivi, precludendo all’interprete di ricondurre a questa seconda categoria di fatti qualsivoglia “sfaccettatura” della pretesa impositiva (la “violazione contestata”) diversa dai fatti – temporalmente successivi – di tipo modificativo ed estintivo.

Questa interpretazione “innovativa” e non meramente “dichiarativa” della disposizione in commento attua, peraltro, uno dei principi fondamentali dell’interpretazione delle leggi elaborato dalle stesse Sezioni Unite, secondo cui in presenza di una disposizione sopravvenuta, non è possibile svuotarne la portata precettiva, dovendosi a tal fine tenere conto «della generale regola ermeneutica c.d. “di conservazione degli atti”, espressamente codificata dall’art. 1367 c.c. in materia contrattuale, ma da ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione (normativa, amministrativa o negoziale), deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno»[28].

È chiaro, naturalmente, che occorre altresì tenere conto che del giudizio di fatto non può darsi una costruzione rigidamente meccanicistica, instaurandosi nel processo tributario un fenomeno dialettico che impone anche alla parte sulla quale non incombe l’onere probatorio di svolgere un ruolo attivo e non meramente passivo, che finirebbe altrimenti con il confermare, in sostanza, le tesi dell’avversario[29], sì che si confronteranno tutte le prove offerte e sulla base della loro comparazione si fonderà la decisione del giudice[30].

È in questa prospettiva che potrebbe in effetti trovare spiegazione quella ritrosia che talvolta si scorge, anche in qualche obiter della prima giurisprudenza di legittimità, a rinvenire un reale contenuto “innovativo” alla nuova disposizione[31]. Ma un conto è la dialettica del giudizio di fatto, ben altro è affermare che, in relazione alla prova della “pretesa” e alla regola del fatto incerto, tutto sia rimasto tale e quale. Il Fisco, infatti, non potrà ad esempio più limitarsi sic et simpliciter a rilevare, dopo aver motivato l’avviso di accertamento, che il contribuente, richiesto in tal senso, non ha addotto alcuna prova delle condizioni di fatto che legittimano le agevolazioni da esso fruite. L’Amministrazione finanziaria dovrà necessariamente farsi “parte attiva”, pena il mancato assolvimento dell’onere probatorio e l’applicazione della nuova regola di giudizio, a tal fine utilizzando appieno gli amplissimi poteri istruttori di cui dispone. Ed essa dovrà farsi parte attiva anche sull’irrogazione delle sanzioni amministrative, ambito in cui dalla riforma del 1997 ad oggi ha operato, come noto, un sostanziale “automatismo applicativo” in sede sia amministrativa che giurisprudenziale. E se non lo ha fatto in precedenza, come pur avrebbe dovuto, essa sarà destinataria sin da subito degli effetti che derivano dal nuovo comma 5-bis.

4. Collegata al tema dell’onere della prova appena svolto è la terza ed ultima questione riguardante la sorte adesso spettante al principio di vicinanza alla prova.

Una parte della dottrina ritiene che esso non sia stato “espunto” per effetto del nuovo comma 5-bis, ma al tempo stesso si sia fortemente ridimensionato, non legittimando più quell’ampia applicazione fattane dalla giurisprudenza di legittimità più recente e dovendosi limitare a quelle ipotesi in cui le fonti di prova non siano apprensibili dalla stessa Amministrazione finanziaria nella fase dell’istruttoria primaria, dove tale impossibilità deve essere provata dall’Amministrazione[32].

La perdurante applicabilità di tale principio è ammessa anche da chi ritiene definitivamente inapplicabile l’art. 2697 c.c., trattandosi di principio di rilievo costituzionale ed europeo e non già mero corollario dell’art. 2697 c.c.[33]. Su tale rilievo costituzionale insiste anche la dottrina che molto si è occupata del tema[34].

Altra parte della dottrina ne critica invece radicalmente l’applicazione in virtù degli amplissimi poteri (anche di cooperazione internazionale) di cui l’Amministrazione finanziaria dispone e delle conseguenze pregiudizievoli (sanzionatorie e di inutilizzabilità processuale) derivanti al contribuente dall’inadempimento alle richieste istruttorie, oltre ad escludere anche sul piano formale qualsivoglia trasposizione dell’art. 64 c.p.a. nel processo tributario poiché estraneo al rinvio di cui all’art. 1 D.Lgs. n. 546/1992. Ciò, dunque, già prima dell’entrata in vigore del comma 5-bis e, a maggior ragione, adesso alla luce della “specialità” della nuova norma, anche a solo titolo di mero criterio integrativo rispetto a quello basato sulla struttura della fattispecie, non essendovi alcun riferimento nella nuova disposizione alle “prove disponibili alle parti” e ponendosi la sua applicazione in una vera e propria contraddizione con la regola fondamentale stabilita dal comma 5-bis[35]. Del resto già la dottrina precedente all’introduzione del comma 5-bis aveva osservato che la regola della vicinanza alla prova ha l’effetto di comportare una deroga all’art. 2697 c.c., determinando il trasferimento dell’onere della prova dalla parte onerata ai sensi dell’art. 2697 c.c. a quella che non lo sarebbe ma che si trova più vicina alla prova, e che essa è nata in ambito civilistico come criterio eccezionale e di chiusura al fine di evitare un abuso dell’art. 2697 c.c. e di garantire una tutela giurisdizionale piena ed effettiva non altrimenti conseguibile: finalità, dette ultime, escluse in radice proprio dall’ampiezza dei mezzi conoscitivi – di dimensione nazionale e sovranazionale – attribuiti all’Amministrazione finanziaria[36].

Sotto questo profilo, unanime è in ogni caso la critica alla giurisprudenza in tema di transfer pricing in cui tale “vicinanza” del contribuente rispetto alla prova non sussiste affatto[37].

Mi pare che la prima opinione sia quella che maggiormente si conforma alla dimensione costituzionale del principio di vicinanza della prova, ma che al tempo stesso non possa prescindersi dallo specifico contesto in cui esso deve trovare applicazione, il che significa che di esso potrà farsi utilizzo nei soli – e ristrettissimi – limiti in cui si tratti di elementi probatori non apprensibili dall’Amministrazione finanziaria con gli strumenti istruttori che il legislatore ha messo a sua disposizione e che l’Amministrazione dimostri di non averli potuti utilmente utilizzare.

(*) Testo della relazione, opportunamente rielaborata e corredata da note, tenuta in occasione del “Laboratorio sul processo tributario”, VII edizione, “Onere della prova e rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione”, Corte di Cassazione, Roma, 10 maggio 2023.

[1] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2022, 3, 375; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, in il fisco, 2022, 40, 3811.

[2] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 375.

[3] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 376.

[4] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Rass. trib., 2023, 1, 28; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, cit., 3811.

[5] Glendi C., Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in Riv. giur. trib., 2023, 3, 257.

[6] Corte di Giustizia tributaria, II Liguria, sez. 1, n. 54/2023; Corte di Giustizia tributaria, I Reggio Emilia, n. 281/1/2022; Corte di Giustizia tributaria, I Reggio Emilia, n. 33/1/2023.

[7] Si allude al periodo posizionato al centro tra le due separate “regole di giudizio,” a mente della quale «il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni».

[8] Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, in Il nuovo diritto delle Società, 2023, 2, 315.

[9] Si rileva, peraltro, come la regola di condotta in sede istruttoria che emerge dalla parte centrale del comma 5-bis e che impone all’Amministrazione finanziaria di raccogliere le prove in modo esaustivo, circostanziato e puntuale, fosse già desumibile dal sistema, e ciò proprio in ossequio ai principi di completezza dell’istruttoria procedimentale e di non aggravamento di cui all’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente, che trova una conferma nella giurisprudenza Glencore sulla possibilità di contestare gli elementi giuridico-fattuali raccolti aliunde mediante diritto di accesso al fascicolo del procedimento connesso: v. Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 362. Sulla volontà del legislatore di porre «un argine alla deriva giurisprudenziale nel ricorrere con frequenza a presunzioni semplici a carico del contribuente che o sono addirittura prive di valore inferenziale, o rilevano quali meri indizi come tali da soli non decisivi in quanto privi dei requisiti necessari onde assurgere a dignità di prova imposta a tal fine dall’art. 2729 c.c. e consistenti nella gravità, precisione e concordanza», Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib, 2022, 2, XV, 1013.

[10] Cfr. Chiovenda G., La natura processuale delle norme sulla prova e l’efficacia della legge processuale nel tempo, in Saggi di diritto processuale civile, vol. I, Roma, 1930, 242 ss. In particolare, secondo la distinzione chiovendiana sarebbero norme probatorie generali quelle norme «determinate da ragioni prettamente processuali […] dettate per tutti i rapporti giuridici, o per grandi gruppi di svariati rapporti giuridici» in cui «il legislatore ha per fine immediato la miglior formazione del convincimento del giudice, regola l’attività intellettiva del giudice, in se stessa, nell’interesse della funzione giurisdizionale». Al contrario sarebbero norme probatorie particolari quelle «determinate da ragioni di diritto sostanziale» applicabili a specifici rapporti in cui il legislatore «ha principalmente di mira il singolo rapporto, intende alla sua disciplina e tutela, e se pone limiti alle prove e quindi al convincimento del giudice, ciò non fa perché, senza quei limiti, vi sarebbe maggior probabilità d’errare che negli altri casi, ma perché si preoccupa della condizione giuridica di una determinata parte».

[11] Si allude alla “svolta” della Cassazione sulla natura sostanziale e non meramente procedimentale dell’inversione probatoria ex art. 12 D.L. n. 78/2009 in tema di disponibilità estere non monitorate. Confermando, infatti, l’orientamento sostanzialmente unanime della giurisprudenza di merito, la Suprema Corte (nn. 2662/2018; 2562/2019; 7957/2021) ha evidenziato che la tesi procedimentale porrebbe il contribuente – che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione – in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

[12] Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, in Giustizia insieme, 14 marzo 2023, par. 4; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, Torino, 2023, 75; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, cit., 3809; Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 1.

[13] Allorio E., Diritto processuale tributario, Torino, 1962, 377 ss.

[14] Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, 195 ss.

[15] Corte cost., n. 109/2007.

[16] Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, cit., par. 4.

[17] Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit.

[18] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 371 e 377.

[19] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 334 ss. e 370.

[20] Così Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., aderendo alla tesi secondo cui l’imposta ha come presupposto non i ricavi, ma il reddito, che è appunto differenziale tra ricavi e costi, di talché sia l’esistenza degli uni che l’inesistenza degli altri devono formare oggetto di adeguata dimostrazione da parte dell’ente impositore.

[21] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 341.

[22] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 28 e 41; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, cit., 80, che ne evidenzia la dimensione processuale e procedimentale; Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 50.

[23] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 28 e 41; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, cit., 79.

[24] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 43; contra, Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 1014 che continua a ricondurle ai fatti impeditivi.

[25] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 28 e 41; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, cit., 79.

[26] Cfr. Glendi C., L’istruttoria del processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana!, in Ipsoa Quotidiano, 24 settembre 2022, secondo cui la nuova formulazione supera la difficile distinzione tra i vari fatti contenuta nei primi due commi dell’art. 2697 c.c., «essenzialmente di origine pandettistica, che se mai poteva aver senso per il processo civile, avente ad oggetto l’accertamento di diritti soggettivi, tuttavia mal si adattava ad un processo tributario volto all’impugnazione e all’annullamento o meno di provvedimenti, cioè atti direttamente produttivi dei propri effetti, emessi dall’Amministrazione finanziaria».

[27] Cfr. Cipolla G., La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 546 ss.

[28] Cass., SS.UU., n. 12644/2014. Sulla natura “innovativa” della parte della disposizione relativa alla qualità e valutazione delle prove ed inspecie dello strumento presuntivo, Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit., 1014. Sulla inaccettabilità di una tesi che «assume l’esistenza di un legislatore che perde tempo a riprodurre norme già esistenti e pacificamente applicabili anche in materia tributaria», anche Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, cit., 315.

[29] Sul punto, Lupi R., L’onere della prova nella dialettica del giudizio sul fatto, in Riv. dir. trib., 1993, 1213 ss.

[30] Vedi Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Padova, 1999, 677.

[31] Nella giurisprudenza di legittimità, così Cass. n. 31878/2022 per la quale: «è appena il caso di sottolineare che il comma 5 bis dell’art. 7 d.lgs. n. 546/1992, introdotto con l’articolo 6 della legge n. 130/2022, ha ribadito, in maniera circostanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente […]. Pertanto, la nuova formulazione legislativa […] non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetti ai principi già vigente in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».

[32] Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, cit., par. 4; sulla necessità di leggere il principio di vicinanza alla prova alla luce dei poteri invasivi di cui l’Amministrazione dispone e che conducono ad un atto che comporta l’irrogazione di sanzioni di stampo penalistico, Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. tel. dir. trib., 28 gennaio 2023, 8.

[33] Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 44.

[34] Muleo S., Le “nuove” regole sulla prova nel processo tributario, in Giustizia insieme, 20 settembre 2022, par. 2.

[35] Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 347 ss. e 367 ss.; ritiene che tale regola ceda dinanzi alla nuova normativa anche Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, cit., 43; nel senso che il principio di vicinanza non possa opporsi neppure alla lettura che pone l’onere della prova sui costi in capo all’Amministrazione in virtù dei numerosi ed incisivi poteri istruttori di cui l’Amministrazione finanziaria dispone, Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, cit.

[36] Vanz G., Criticità nell’applicazione in ambito tributario della regola giurisprudenziale della “vicinanza della prova”, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2585 ss.

[37] Giovannini A., La presunzione di onestà e la fondatezza del credito impositivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, cit., nota 19; Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, cit., 351 e 369; Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, cit., 45; Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, cit., 77; Della Valle E., La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, cit., 3810.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Rass. trib., 2023, 1, 25 ss.

Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Padova, 1999, 677

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Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 43 ss.

Lupi R., L’onere della prova nella dialettica del giudizio sul fatto, in Riv. dir. trib., 1993, I, 1197 ss.

Mercuri G., Onere della prova: dal contributo di Allorio alla recente riforma del processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2022, 3, 324 ss.

Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. tel. dir. trib., 28 gennaio 2023

Muleo S., Le “nuove” regole sulla prova nel processo tributario, in Giustizia insieme, 20 settembre 2022, par. 2

Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib, 2022, 2, 1013 ss.

Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, 195 ss.

Sartori N., I limiti probatori nel processo tributario, Torino, 2023, 75 ss.

Vanz G., Criticità nell’applicazione in ambito tributario della regola giurisprudenziale della “vicinanza della prova, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2584 ss.

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