Già ad una prima lettura balza agli occhi come alcune disposizioni del disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale approvato dal Consiglio dei ministri il 16 marzo 2023 siano sostanzialmente in “bianco”, contenendo “principi e criteri direttivi” a tal punto vaghi da far dubitare del rispetto dell’art. 76 Cost., specialmente se interpretato alla luce dell’art. 23 Cost. La questione più rilevante si riferisce alla mancata indicazione delle aliquote o di elementi oggetti ai quali parametrarle funzionali alla revisione dell’IRPEF, dell’IRES, dell’IRAP, dell’imposta sostitutiva sui redditi di natura finanziaria e all’introduzione della sovrimposta all’IRES. Ma si riferisce pure alla mancata disciplina dell’aliquota costante e della deduzione alla base dell’istituenda flat tax. Le considerazioni sviluppate in questo breve scritto sono rivolte, proprio, a verificare se e fino a che punto il dettato costituzionale si possa considerare rispettato.
Notes on “blank” delegations and the Constitution. – Already at a first reading it is evident how some provisions of the draft law enabling the Government for the tax reform approved by the Council of Ministers on 16 March 2023 are substantially in “blank”, containing “principles and directive criteria” so vague as to cast doubts on compliance with art. 76 of the Constitution, especially if interpreted in the light of art. 23 of the Constitution. The most relevant issue refers in particular to the failure to indicate the rates or elements to which they can be parameterised, functional to the revision of IRPEF, IRES, IRAP, the substitute tax on income of a financial nature and the introduction of the surcharge on IRES. But it also refers to the failure to regulate the constant rate and the deduction at the basis of the flat tax being instituted. The considerations developed in this short paper are aimed precisely at verifying whether and to what extent the constitutional provision can be considered respected.
Sommario: 1. Il disegno di legge delega sulla riforma fiscale: l’oggetto delle noterelle. – 2. Le leggi delega e lo “spostamento” del potere legislativo nell’art. 76 della Costituzione: la garanzia per le prerogative del Parlamento e delle minoranze in generale. – 3. La riserva parlamentare dell’art. 23 della Costituzione e i limiti al Governo nell’individuazione degli elementi costitutivi del tributo. – 4. Il potere autocefalo del Governo nella pari-ordinazione formalistica delle fonti del diritto. – 5. Le modifiche in sede parlamentare del disegno di legge delega e la non idoneità delle clausole finanziarie ad integrare l’art. 76 della Costituzione.
1. Il disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023 ha obiettivi ambiziosi: riformare i principali tributi, i procedimenti d’accertamento e riscossione, il processo, il sistema sanzionatorio penale e amministrativo, rivedere la disciplina degli interpelli, della cooperative compliance, delle tax expenditure, elaborare un codice tributario e molto altro ancora[1].
Con queste brevi riflessioni non intendo però entrare nel merito delle proposte, né compiere valutazioni sull’ampiezza del campo da arare o sulla qualità della terra che lo compone. Voglio svolgere solo alcune considerazioni sulle sue zolle fondative, ossia, fuor di metafora, sulla delegazione legislativa e sulla riserva di legge, i cui princìpi sono dettati, rispettivamente, dagli artt. 76 e 23 della Costituzione.
2. Già ad una prima lettura del disegno di legge balza agli occhi come alcune delle sue disposizioni siano sostanzialmente in “bianco”, contenendo “principi e criteri direttivi” a tal punto vaghi da far dubitare del rispetto dell’art. 76.
La questione più rilevante si riferisce alla mancata indicazione delle aliquote, almeno massime o contenute in una “forchetta”, o di parametri oggettivi idonei alla loro determinazione, funzionali all’introduzione della sovrimposta all’IRES e alla revisione dell’IRPEF, dell’IRES, dell’IRAP e dell’imposta sostitutiva sui redditi di natura finanziaria[2]. Ma si riferisce pure alla mancata disciplina dell’aliquota costante e della deduzione alla base dell’istituenda flat tax[3].
Io credo che l’omissione di questi elementi, presenti invece in precedenti leggi delega, possa contrastare con il dettato costituzionale[4].
I “principi e criteri direttivi” richiesti dall’art. 76, anzitutto, non sono un orpello formalistico o un vezzo d’antan che, proprio perché vezzo o mero orpello, possono essere trascurati con indifferenza o, peggio, con protervia. La richiesta della loro individuazione è il cemento fondativo dello Stato costituzionale per quanto riguarda i rapporti fra potere legislativo e quello esecutivo, ed è formulata in primo luogo a garanzia delle prerogative parlamentari, ad iniziare – e non sembri un paradosso perché non lo è nella logica sostanzialistica del testo costituzionale – da quelle delle minoranze che nelle assemblee elettive trovano rappresentanza[5].
La delega, è perfino banale ricordarlo, è uno strumento per sua natura eccezionale, come osservò Umberto Terracini nella seduta dell’Assemblea costituente del 20 dicembre 1946 e come conferma il primo comma dell’art. 77 Cost., giacché priva il Parlamento, ancorché in termini circoscritti, di una porzione dell’ordinario potere di normazione primaria[6]. E’ per questo che può essere concessa solo dalle assemblee[7] ed a condizione che siano queste ad individuare parametri sufficientemente stringenti affinché l’organo esecutivo non superi la riserva politica propria delle assemblee stesse. In altri termini, lo spostamento del potere o della funzione[8] di normazione primaria dal Parlamento al Governo può bensì avvenire, ma soltanto se la discrezionalità – tecnica – di lì in poi a questo riservata non sia a tal punto ampia da sconfinare nell’indeterminatezza e perfino, nell’ipotesi estrema, da tracimare nell’arbitrio, come ebbe a preoccuparsi Costantino Mortati in Assemblea costituente il 18 settembre 1947[9].
In conclusione, a costo di ripetere nozioni scontate, il servizio reso dall’art. 76 all’intero ordinamento è in prima battuta di garanzia relazionale, di salvaguardia delle prerogative degli organi che ordinariamente incarnano i diversi poteri, di salvaguardia dei diritti delle assemblee elettive ed in seno a queste delle minoranze, in una visione sostanzialistica e non meramente formalistica della democrazia costituzionale[10].
3. Vi è di più. Nelle materie coperte da riserva di legge, fra le quali, in forza dell’art. 23 Cost., è compresa quella fiscale, l’art. 76 è preordinato a garantire l’ulteriore dimensione “della libertà personale e patrimoniale dei privati”, nella loro individualità e nella loro socialità[11].
Il rapporto fra art. 76 e art. 23 è scarsamente indagato nella prospettiva che qui indico, sul presupposto che le due norme abbiano ad oggetto profili diversi: l’art. 23 il consenso al tributo e le regole formali di esercizio del potere impositivo; l’art. 76 lo “spostamento” della funzione legislativa da un organo ad un altro. Cosicché, se v’è delega, s’è scritto, la verifica di conformità non può che essere compiuta assumendo a parametro quest’ultima norma, la sola preposta a regolare il potere di delegazione e quello delegato[12].
Penso che questa impostazione, pur seria, non sia la sola prospettabile. Mi spiego.
L’art. 23 incide su molte dimensioni dello Stato costituzionale[13]. Esso garantisce un “adeguato processo politico di bilanciamento”[14] a presidio non solo degli interessi politici propri di una democrazia pluralistica, ma anche e forse primariamente, almeno dal punto di vista storico, dei diritti della persona che nella loro sostanza economica finiscono per porsi in contatto con il prelievo. Ma pure la giustizia sociale entra in questo processo politico di bilanciamento e con essa vi entrano i criteri idonei ad assicurare un’equa distribuzione dei carichi impositivi. Equità che, siccome esternazione dei princìpi di solidarietà, uguaglianza e progressività[15], diventa essa stessa principio fondamentale intorno al quale si ordinano le relazioni di reciprocità democratica fra i consociati, ulteriore valore fondante, questo, dell’ordinamento e della convivenza sociale.
È su tali aspetti che si determina l’intreccio fra gli artt. 76 e 23, ed è alla luce di quest’ultimo che deve essere interpretato lo stesso art. 76. Questo, infatti, non può non guardare agli interessi e ai diritti la cui protezione l’art. 23 rimette alla “legge”, sicché fra i princìpi e i criteri direttivi deve giocoforza riservare spazio adeguato agli elementi che consentono di realizzare quella protezione e così quelli costitutivi dei tributi: i soggetti, il presupposto, le aliquote o i parametri oggettivi idonei alla loro determinazione[16].
D’altra parte questa esigenza si fa ancor più stringente se si analizzano gli effetti che la tassazione determina sui diritti dei privati nella dimensione della distribuzione dei carichi impositivi. Se la legge di delegazione, come preannuncia il disegno in esame, rimetterà al Governo il compito di modificare questi aspetti con l’introduzione della flat tax, di modificarli, cioè, in termini tali da porre sostanzialmente in discussione perfino la progressività del sistema, il rispetto rigoroso dei princìpi diventa ancora più essenziale[17]. E lo diventa non per assecondare una volontà imbalsamatrice dell’azione di governo, ma per proteggere gli interessi e i diritti fin qui indicati.
4. Mi faccio carico di una possibile obiezione. Seguendo il suggerimento di interpretare l’art. 76 alla luce dell’art. 23, offerto sin qui, potrebbe balenare l’idea che sia proprio quest’ultima norma a legittimare, paradossalmente, le deleghe “in bianco”. Si potrebbe dire: giacché quest’ultima disposizione si riferisce alla “legge” e siccome il riferimento comprende senz’altro anche i decreti legislativi in quanto leggi “sostanziali”, l’autonomia del governo può perfino contare sul tenore letterale dello stesso art. 23. Il suggerimento, perciò, non può essere raccolto.
Questa argomentazione, se avanzata, disvelerebbe un proposito ingannatorio. Utilizzarla per garantire al Governo libertà di manovra sugli elementi costitutivi dei tributi radicherebbe una contraddizione insanabile nell’ordinamento, con l’unico scopo – e qui starebbe l’inganno – di svirilizzare le prerogative parlamentari e quelle delle minoranze. Infatti, se fosse consentito allo stesso organo delegato di auto-disporre degli elementi riempitivi della delega che ricadono, in forza di un’altra norma costituzionale, sotto l’ombrello protettivo della riserva, si creerebbe un cortocircuito relazionale fra poteri simile a quello che si avrebbe se la delega potesse assumere la forma del decreto legge, ossia se venisse adottata dall’organo destinatario della delega medesima. La fonte sarebbe bensì primaria, il “decreto legge-delega”, ma il potere delegato sarebbe autocefalo[18].
In realtà, la pari-ordinazione sul terreno delle fonti della legge e del decreto legislativo[19] non esclude affatto l’esistenza di un’asimmetria contenutistica fra le stesse, pure se formalmente collocate sullo stesso gradino gerarchico.
Se il ragionamento svolto non è viziato da errori logici, si deve allora ritenere che gli elementi di cui si discute siamo coperti da una vera e propria “riserva parlamentare” o di legge formale o di legge ordinaria, che dir si voglia, per una sorta di “gerarchizzazione contenutistica” delle fonti.
Questa soluzione, d’altra parte, altro non è che il riflesso del carattere sostanzialistico della democrazia costituzionale, il quale impone scelte adeguate all’architettura complessiva del sistema e all’ethos delle norme che lo compongono. Proprio quello che ora si è fatto e che fin qui si è tentato di dimostrare.
5. Le osservazioni svolte comprovano, a mio parere, i dubbi di legittimità delle disposizioni del disegno di legge indicate in precedenza. Non dico che la delega debba contenere il dettaglio minuzioso di tutti gli elementi che concorrono a determinare l’ammontare del debito d’imposta, come conteneva – peraltro assai sapientemente – la legge delega n. 825/1971. L’evoluzione giurisprudenziale dell’interpretazione dell’art. 76 e dell’art. 23 Cost., le esigenze vieppiù pressanti connesse alla pratica di governo e le difficoltà di previsione sui conti pubblici, renderebbero velleitaria una richiesta siffatta.
Ciò nondimeno è da auspicare una qualche correzione in sede parlamentare, magari riprendendo alcuni dei criteri utilizzati in deleghe diverse da quella del 1971[20], o individuando “forchette” di aliquote o ancora, per la flat tax, indicando l’aliquota costante massima e la deduzione minima dalla base del reddito[21], così da lasciare al Governo margini di discrezionalità relativamente ampi.
D’altra parte, per integrare le norme costituzionali finora analizzate non si può considerare idonea la disposizione dell’art. 22 del disegno sulla invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica, sul non incremento della pressione fiscale e sul reperimento delle risorse a pareggio.
Le previsioni finanziarie, pure importanti per la tenuta dei conti, non sono in grado di soddisfare gli interessi ai quali si riferiscono, a mo’ di presidio, le norme sulla delega e sulla riserva. Allo Stato costituzionale non bastano i “numeri”. Quel che esso anzitutto richiede è il rispetto dell’idea primigenia che lo sorregge, che sta altrove, fuori e prima dei “numeri”[22].
[1] Se diverrà legge, non sarebbe la prima volta che un esecutivo si trova investito di un compito riformatore di cotanto respiro. Anche la delega contenuta nella L. 11 marzo 2014, n. 23, tendeva ad una larga revisione dell’ordinamento ed ancor di più vi ambiva la L. 7 aprile 2003, n. 80, che addirittura prevedeva la codificazione di un nuovo sistema basato su soli cinque tributi (imposta sul reddito delle persone fisiche, delle società, imposta sul valore aggiunto, sui servizi e accisa). Altrettanto ambiziosa, poi, era la L. 23 dicembre 1996, n. 662, che disciplinava non solo la revisione delle principali imposte, ma anche l’istituzione di nuove, l’IRAP, e l’abrogazione di altre, la costituzione delle Agenzie fiscali, l’introduzione di un sistema duale di tassazione delle società, un nuovo sistema sanzionatorio, la normazione del terzo settore. Il disegno di legge delega licenziato dal Consiglio dei Ministri presieduto da Mario Draghi il 5 ottobre 2021, presentato in Parlamento il 29 ottobre 2021, invece, non fu approvato delle Camere per il loro sopraggiunto scioglimento anticipato.
[2] Mi riferisco agli artt. 5, 6 e 8 del disegno di legge delega.
[3] A meno che il riferimento dell’art. 5 alla flat tax costituisca, più che oggetto di delega, annuncio politico. La legge delega verrebbe quindi usata come manifesto ideologico, in maniera del tutto impropria rispetto alla natura normativa delle leggi.
[4] Erano indicati nella legge delega n. 825/1971, nella L. n. 80/2003 e nella L. n. 662/1996. La prima conteneva nelle tabelle A) e B) ad essa allegate l’indicazione precisa, vien da dire millimetrica, delle aliquote, degli scaglioni e delle detrazioni d’imposta. La seconda conteneva ugualmente l’indicazione delle aliquote, così ad esempio, per l’IRPEF, l’art. 3 ne prevedeva la percentuale minima del 23 e quella massima del 33 per cento, e individuava gli scaglioni ai quali riferirle, mentre, per l’IRES, l’art. 4 prevedeva l’aliquota del 33 per cento. Anche la L. n. 662/1996 prevedeva, nell’art. 1, comma 143 e successivi, le aliquote minime e massime dell’IRPEF, quella dell’IRAP, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitale, quelle delle addizionali, le aliquote relative alla dual income tax in seno all’IRPEG.
[5] Zagrebelsky G., Diritto costituzionale, I, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1988, 54; Carlassare L., Legge (riserva di), in Enc. giur., Torino, 1991.
[6] In termini simili anche la Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 3/1957. La Corte tuttavia, lo rilevo fin d’ora, ha spesso “ceduto” ad esigenze di conservazione dell’ordinamento, introducendo criteri interpretativi assai laschi per la verifica della conformità dei prodotti normativi deleganti e dell’esercizio del potere collegato. Su questi aspetti, che qui possono essere solo accennati, cfr. per tutti Anzon Demmig A., Il problemi attuali del sindacato della Corte costituzionale sulla delega legislativa, in Aa.Vv., La delega legislativa. La delega legislativa. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Milano, 2009, 3 ss.; Tarli Barbieri G., La delega legislativa nei più recenti sviluppi, ivi, 93 ss.
[7] L’art. 72, comma 4, Cost., esclude infatti che i disegni di “delegazione legislativa” siano approvati dalle Commissioni in sede deliberante, rimettendoli sempre alla “procedura normale di esame e di approvazione diretta” delle assemblee. È la così detta riserva di assemblea.
[8] Uso a bella posta espressioni il più possibile generiche per non portare il discorso su temi assai complessi di diritto pubblico generale e di diritto costituzionale relativi al tipo di “spostamento” determinato dalla delega, se traslativo del potere o della funzione legislativa, secondo lo schema tipico della delegazione piuttosto che secondo quello della alienazione, oppure se costitutivo di un terzo genere di “spostamento” attributivo di un “nuovo” potere legislativo. Per un’efficace sintesi, cfr. Ruotolo M., Delega legislativa, in Cassese S. (diretto da), Diz. dir. pubblico, vol. III, Milano, 2006, 1760 ss.
[9] Cfr. Paladin L., La formazione delle leggi, sub art. 76 Cost., in Branca G. (a cura di), Comm. Cost., II, Bologna – Roma, 1979, 7 ss., 8, per il quale vero è che «il Governo, quantunque delegato, non dispone mai delle attitudini a legiferare che in quello stesso settore spettano al Parlamento».
[10] La logica sostanzialistica alla quale mi riferisco è essenziale sia per l’interpretazione dei singoli princìpi in esame, sia per dare al sistema valutato nella sua interezza un senso conforme, per riprendere le parole di Zagrebelsky, all’ethos che tutti i principi costituzionali contengono e che a maggior ragione esprimono se distesi ed ordinati sull’intera tavola costituzionale. Cfr. Zagrebelsky G., Il diritto mite, Torino, 1992, passim, ma specie 39 ss., 84 ss.; si vedano inoltre, ex pluris, Bobbio N., Il futuro della democrazia, Torino, 1985, passim, ma specie 149 ss.; Ferrajoli L., Poteri selvaggi, Roma – Bari, 2011, 3 ss.; Baldassarre A., Il costituzionalismo e lo Stato costituzionale, Modena, 2020; Omaggio V., Saggi sullo stato costituzionale, Torino, 2022, 147 ss.; Zaccaria G., Postdiritto, Bologna, 2022, passim.
[11] Così Fedele A., Sub art. 23 Cost., in Branca G. (a cura di), Comm. Cost., Bologna-Roma, 1978, 32.
[13] Per riflessioni più approfondite mi permetto di rinviare a Giovannini A., Postdemocrazia e consenso alla tassazione, in Rass. trib., 2022, 2, 477 ss., e in Id., Per princìpi, Torino, 2022.
[14] In questi termini Antonini L., Sub art. 23 Cost., in in Bifulco R. – Celotto A. – Olivetti M. (a cura di), Comm. Cost., Torino, 2006, 484 ss., spec. 491.
[15] La progressività, in realtà, è solo una modalità, uno strumento di attuazione dell’uguaglianza verticale. Qui l’ho evidenziata autonomamente per agevolare la comprensione del ragionamento.
[16] Si tratta, è fin troppo noto, dell’ambito minimo di disciplina che necessariamente deve essere rimesso alla legge (legge parlamentare o formale, come vedremo subito). Quanto alle aliquote, come già detto, si può considerare sufficiente, alla luce della prassi interpretativa dell’art. 23 di vero e proprio slabbramento della riserva, seppure applicata ai rapporti gerarchici tra le fonti, anche l’individuazione di una loro “forchetta” o dell’aliquota massima, oppure di parametri oggettivi ai quali ancorarne l’individuazione. Anche per tracciare l’evoluzione interpretativa che contrappunta la giurisprudenza della Corte costituzionale, cfr. Fedele A., Sub art. 23 Cost., cit., 100 e 101; Id., La riserva di legge, in Amatucci A. (diretto da), Trattato di diritto tributario, vol. I, tomo I, Padova, 1994, 157 ss.; Marongiu G., I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria: profili storici e giuridici, Torino, 1995, 28 ss.; Grippa Salvetti M.A., Riserva di legge e delegificazione nell’ordinamento tributario, Milano, 1998, 35 ss.; Cipollina S., La riserva di legge in materia fiscale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, in Perrone L. – Berliri C. (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 163 ss.; Carpentieri L., Riserva di legge e consenso al tributo, in Treccani online, 2015.
[17] Non è questa la sede per tornare ad approfondire il tema della tassa piatta. Sia consentito rinviare, anche per riferimenti bibliografici, al mio Sulla progressività e sulla tassa piatta, in Id., Per princìpi, cit., 75 ss.
[18] Ipotesi, questa, respinta da tutta la dottrina. Di nuovo, cfr. Paladin L., op. cit., 5 e 6, ove riferimenti anche a risalenti sentenze, tuttora di stringente attualità, della Corte costituzionale, che fin dall’inizio dei suoi lavori negò cittadinanza ai decreti-legge delega, invece in uso nel ventennio precedente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
[19] Sulla loro pari-ordinazione formale non è lecito dubitare, come ha precisato anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 224/1990.
[21] Sempreché, come ho scritto nella nota 3, la previsione nel disegno di legge dell’introduzione della tassa piatta non sia solo un annuncio politico.
[22] Lo descrive con parole diamantine Zagrebelsky G., Il diritto mite, cit., 3 e 4.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Antonini L., Sub art. 23 Cost., in Bifulco R. – Celotto A. – Olivetti M. (a cura di), Comm. Cost. Torino, 2006, 484 ss.
Anzon Demmig A., I problemi attuali del sindacato della Corte costituzionale sulla delega legislativa, in Aa.Vv., La delega legislativa. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Milano, 2009, 3 ss.
Baldassarre A., Il costituzionalismo e lo Stato costituzionale, Modena, 2020
Bobbio N., Il futuro della democrazia, Torino, 1985
Carlassare L., Legge (riserva di), in Enc. giur., Torino, 1991
Carpentieri L., Riserva di legge e consenso al tributo, in Treccani online, 2015
Cipollina S., La riserva di legge in materia fiscale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, in Perrone L. – Berliri C. (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 163 ss.
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Ferrajoli L., Poteri selvaggi, Roma – Bari, 2011, 3 ss.
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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