Beneficiario effettivo, abuso del diritto e onere della prova al vaglio della Cassazione
Di Silvia Marinoni
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(commento a/notes to Cass., 28 febbraio 2023, n. 6005)
Abstract
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha delineato i passaggi del procedimento attraverso cui il percipiente degli interessi deve dimostrare di esserne il beneficiario effettivo, ai fini dell’individuazione del corretto regime fiscale applicabile e della spettanza dei vantaggi previsti dalla normativa unionale e da quella interna di recepimento
Beneficial owner, abuse of law and burden of proof under review by the Court of Cassation. – With the judgement in question, the Court of Cassation outlined the steps of the procedure through which the person perceiving the interests has to prove that he is the beneficial owner, for the purpose of identifying the correct applicable tax regime and the entitlement to the advantages provided for by the EU legislation and by the internal transposition legislation
Sommario:1. La vicenda processuale: la centralità della clausola del beneficiario effettivo per l’individuazione del regime fiscale applicabile. – 2. Abuso del diritto e beneficiario effettivo: differenze sul piano sostanziale e degli effetti. – 3. L’assenza della “partecipazione diretta”. – 4. Il nuovo approccio della Corte di Cassazione sul contenuto dell’onere probatorio di chi assume essere il beneficiario effettivo in tema di esenzione degli interessi (e di altri flussi reddituali) dall’imposta, ex art. 26-quater, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
1. La Corte di Cassazione, con sentenza 28 febbraio 2023, n. 6005 è intervenuta sul regime fiscale applicabile all’erogazione di interessi passivi da una società italiana (“GSE”, incorporata dalla ricorrente nel giudizio di cassazione: “Engie”) ad un’altra società italiana (“GSEI”), sulla base di contratti di finanziamento sottoscritti negli anni 2010 e 2011. La controversia originava dall’emissione di avvisi di accertamento per l’omessa applicazione della ritenuta a titolo di imposta, ex art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973, a fronte di un articolato schema societario che vedeva coinvolte più entità di Stati diversi, sulla base di due accordi di finanziamento: l’uno tra GSE e GSEI, l’altro tra GSEI e una società lussemburghese consociata (“EIL”) di GSE, da cui quest’ultima fruiva a sua volta di una linea di credito.
Ad avviso della sentenza della CTR della Lombardia, la società italiana GSEI, percettrice degli interessi passivi, costituiva una mero canale di transito interposto tra la debitrice GSE e il beneficiario effettivo lussemburghese EIL, con una duplice conseguenza: da un lato, doveva applicarsi una ritenuta a titolo di imposta per i proventi versati da una residente a favore di una non residente, ai sensi dell’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973; dall’altro non si poteva invocare l’art. 26-quater – che ammette l’esenzione da imposta degli interessi pagati a soggetti residenti in altri Stati dell’UE – in mancanza delle necessarie percentuali di partecipazione nei rapporti tra EIL e la ricorrente.
Secondo la lettura della Cassazione, adita dalla società soccombente, l’individuazione del regime fiscale applicabile ai flussi transfrontalieri di interessi impone «di stabilire se il percettore sia o meno il beneficiario effettivo», posto che «la controversia si colloca, sul piano normativo, nell’incavo della IRD (2003/49), che è alla base dell’introduzione, nella normativa nazionale, dell’art. 26-quater».
Così impostata la questione, va preliminarmente delineato il quadro normativo di riferimento.
La Direttiva Interessi e Royalty (2003/49/CE) prevede che gli interessi siano esentati da ritenuta nello Stato della fonte per essere assoggettati ad imposta una sola volta nello Stato di residenza del creditore, che deve esercitare il potere impositivo affidatogli in via esclusiva (v. CGUE, 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punti 151 e 152). Il meccanismo di esenzione ivi disciplinato passa attraverso la valutazione del ruolo assunto dalla società intermediaria e l’identificazione del beneficiario effettivo dei flussi corrisposti. Si tratta di indagini che, pur potendosi intersecare, hanno giustificazioni differenti e la Cassazione sembra muoversi proprio nel solco di queste diversità, individuandone i caratteri sul piano della sostanza e degli effetti.
2. In questa prospettiva si comprende il tentativo dei giudici di legittimità di identificare il discrimen tra abuso del diritto e beneficial owner clause, a fronte delle ripetute contaminazioni che, nel corso degli anni, si sono susseguite. Premesso che si tratta di diversi piani di indagine, anche dal punto di vista della concreta attività accertatrice e della ripartizione, tra Fisco e contribuente, dell’onere della prova, la Cassazione chiarisce che l’abuso in senso tecnico è integrato in presenza di una costruzione artificiosa tale per cui la società di un gruppo è posta nelle condizioni di beneficiare delle esenzioni fiscali concesse dalla IRD e dalla normativa nazionale di recepimento. È, invece, differenziata la verifica circa la sussistenza dei requisiti richiesti per fruire dei vantaggi in capo al percettore dei redditi (id est, l’accertamento sul beneficiario effettivo).
Le due figure, pur condividendo parzialmente una finalità antiabuso, riguardano ambiti che non sono sovrapponibili; circostanza, questa, confermata dal fatto che la presenza di un beneficial owner (meglio inserire per intero?) non esclude la configurabilità di un possibile abuso del diritto e, viceversa, l’inesistenza di un beneficial owner non può, ex se, indurre alla contestazione di un abuso, dovendo l’interprete svolgere un’analisi completa sugli elementi soggettivi e oggettivi rilevanti nel caso specifico.
Tale premessa di ordine generale consente alla Corte di ripercorrere la giurisprudenza, interna ed unionale, in tema di beneficiario effettivo, sia in relazione al Modello di Convenzione OCSE, sia rispetto alle Direttive europee di riferimento; tuttavia, v’è un profilo di assoluta novità in questa sentenza, che involge le modalità attraverso cui il soggetto che adduca di possedere la qualità di beneficiario effettivo debba darne prova.
La prova di essere il “beneficiario effettivo”, secondo la ricostruzione offerta dai giudici di legittimità, si raggiunge attraverso il superamento da parte del contribuente di tre test, autonomi e disgiunti, che, in rapporto alla fattispecie concreta, prendono in considerazione dei “parametri spia” o “indici segnaletici”: (v. Giannelli A., Finanziamenti “a cascata” ed esenzione dalla ritenuta sugli interessi ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973: l’assenza di un congruo margine (mark up) in capo alla società holding non implica di per sé la carenza del requisito del beneficiario effettivo, in Riv. tel. dir. trib., 23 febbraio 2023), il substantive business activity test, il dominion test e il business purpose test, il cui mancato superamento determina specifiche conseguenze in termini di disconoscimento dei vantaggi e tutela dei diritti.
Anzitutto rileva il c.d. substantive business activity test, che mira a verificare se l’entità interposta sia o meno una costruzione artificiosa: sul presupposto che gli Stati membri non possono avvalersi in maniera fraudolenta e abusiva delle norme di diritto eurounitario, il test impone di valutare la sostanza dell’attività economica esercitata (v. sul punto, Conseil d’Etat, 11 marzo 2022, n. 454980, Sté Alphatrad e Conseil d’Etat, 5 febbraio 2021, n. 430594, Performing Rights Society Ltd; si segnala, inoltre, COM (2021)565: Proposal for a COUNCIL DIRECTIVE laying down rules to prevent the misuse of shell entities for tax purposes and amending Directive 2011/16/EU, in https://eur-lex.europa.eu, con l’analisi di Pistone P. – Pinto Nogueria J.F. – Turina A. – Lazarov I., Abuse, Shell Entities and Right of Establishment:A Plea for Refocusing Current Proposals and Achieving Deeper Coordination within the Internal Market, in World Tax Journal, 2022, 2, 187-236). L’esito negativo di questo primo step è molto impattante, poiché, secondo Cass. n. 6005/2023, se una società non supera la prova dello svolgimento di un’attività economica effettiva, si è in presenza di un abuso, che preclude la possibilità di fruire del regime fiscale riservato dalla IRD (2003/49) al beneficiario effettivo, oltre che di avvalersi del fascio di libertà e diritti riconosciuti dal TFUE. Si tratta, dunque, di una situazione estrema, che coinvolge non solo il campo di applicazione dei benefici fiscali ritraibili dall’interposizione, bensì gli stessi diritti su cui poggia il sistema fiscale unionale.
Con il successivo strumento (c.d. dominion test), si valuta il potere discrezionale del percettore degli interessi, verificando se ne possa disporre liberamente e non sussistano obblighi di ritrasferimento che ne limitino la portata, siano essi di fonte legale, contrattuale o anche fattuale. Si coglie in questo passaggio l’ulteriore avvicinamento al Modello OCSE e al suo Commentario (a conferma del rinvio dinamico prescelto dalla CGUE nelle sentenze danesi, disattendendo il parere dell’Avvocato Generale Kokott) che richiedono, ai fini della sussistenza delle condizioni che legittimano il riconoscimento del beneficiario effettivo, proprio la mancanza di obbligazioni restitutorie.
Ove il contribuente non superi il dominion test, che punta al cuore del significato economico dell’operazione (substantial economic effect), non potrà essere considerato il beneficiario effettivo, con ogni conseguenza in termini di disconoscimento dei vantaggi fiscali correlati; ma ciò non osta al rispetto e al legittimo godimento degli altri diritti e libertà sanciti dalla normativa europea.
Da ultimo, il business purpose test indaga sulle ragioni dell’interposizione di una società nel flusso reddituale trasnfrontaliero, per appurare se la “triangolazione” sia finalizzata soltanto al risparmio fiscale o se risponda a differenti e valide motivazioni economiche.
In questa prospettiva, gli step delineati dalla sentenza che si annota possono assurgere a criterio guida che favorisce una verifica sostanziale attraverso cui analizzare il tipo di rapporto in concreto sussistente tra i vari soggetti coinvolti nell’operazione e l’effettiva percezione degli interessi erogati in capo a soggetti che li ricevono tramite percipienti in prima battuta che sono meri intermediari. Ciò posto, in tema di riparto dell’onere della prova i giudici di legittimità chiariscono che spetta alla società contribuente, anche per il principio di vicinanza (art. 2697 c.c.), dimostrare di essere il “beneficiario effettivo”, sul piano sostanziale e non meramente formale (Cass. n. 17746/2021); mentre all’Amministrazione spetterà dimostrare l’abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa (v. Glendi C., Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario – Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 3, 247-262).
3. Dopo aver delineato l’iter da seguire per l’accertamento, in sede di merito, della qualifica del beneficial owner e aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale che ne ha accompagnato l’evoluzione, la Cassazione riconosce come, nel caso di specie, il giudice d’appello abbia correttamente applicato i principi che presiedono e regolano la sua individuazione. Premesso che è da escludersi il carattere “domestico” dell’operazione invocato dalla ricorrente, trattandosi di un pagamento transfrontaliero di interessi, non è applicabile l’esenzione dalla ritenuta ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973, poiché la subholding italiana GSEI è un mero soggetto interposto che non ritrae alcun beneficio dalle somme corrisposte, né si assume alcun rischio, dovendo veicolare il flusso reddituale a favore di terzi.
A questa valutazione la C.T.R. lombarda aggiungeva un dato ulteriore: non può farsi ricorso all’art. 26-quater anche per la mancanza del requisito strutturale della partecipazione azionaria tra la lussemburghese EIL e la ricorrente Engie. Requisito sul quale la Cassazione interviene (par. 24) rigettando la tesi della ricorrente che auspicava il superamento del significato letterale di “partecipazione qualificata diretta” sulla scorta di tre obiettivi, ossia parità di trattamento fiscale delle operazioni nazionali e non; realizzazione e funzionamento del mercato interno; evitare una discriminazione in base allo schema partecipativo prescelto dalla struttura societaria. La Corte, richiamando Cass. n. 24297/2019, ha confermato la natura “diretta” della partecipazione, la quale non può essere messa in discussione in base alla portata e alla funzione dell’art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973 che, disciplinando un’agevolazione tributaria, deve essere interpretato restrittivamente. Ciò in accordo con il dato testuale della IRD, che prevede requisiti di partecipazione diretta tra società molto più stringenti rispetto alla Direttiva madre-figlia (2011/96/UE); impostazione, peraltro, avvalorata indirettamente dal mancato accordo degli Stati membri circa alcune proposte di modifica presentate dalla Commissione europea volte ad allineare le due Direttive europee, ammettendo una partecipazione indiretta ed abbassando la quota partecipativa dal 25 al 10%.
Sul punto, la Cassazione chiarisce che l’attuale rilevanza del requisito della partecipazione diretta tra le società di diversi Stati membri appare coerente con la finalità – non solo agevolativa, ma anche antiabuso – della IRD (2003/49), a fronte della funzione puramente espansiva della Direttiva madre-figlia, in un orizzonte di garanzia della parità delle armi a disposizione degli enti che operano sul Mercato Unico UE (par. 24).
4. Nella sentenza in nota la Corte di Cassazione ha posto l’attenzione sul profilo dinamico delle operazioni societarie che, sotto una parvenza domestica, celano un carattere transfrontaliero, con evidenti implicazioni sul sistema fiscale.
I giudici di legittimità chiariscono come la qualifica di beneficiario effettivo, che costituisce il baricentro della sentenza, reclami una dimostrazione sulla base di vari step che poggiano su una premessa di fondo, ossia la non commistione con la diversa ipotesi di abuso del diritto (cfr. Contrino A., La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir. prat. trib., 2016, 4, I, 1407 ss.). L’approfondita indagine contenuta nella sentenza, finalizzata al riconoscimento dei benefici unionali nel rispetto delle prerogative dei singoli Stati, valorizza i profili sostanziali della clausola e le finalità che il principio internazional-tributario mira a perseguire nei differenti ambiti coinvolti.
Questo approccio replica quello ormai prevalente tanto a livello OCSE, quanto nel diritto unionale (Corasaniti G., L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra ilModello di Convenzione OCSE e la giurisprudenza della corte di cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2493 ss.), e si fonda sulla consapevolezza che la beneficial owner clause cerca di perseguire una pluralità di obiettivi (Bizioli G., Le nuove “lenti” della Corte di Giustizia sul mercato interno: le cause danesi, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2019, 4, 150-169).
Richiedere per l’applicazione dei vantaggi fiscali la prova che il destinatario sia il beneficiario effettivo vuol dire privilegiare la sostanza sulla forma, con ciò evitando che a giovarsene sia un’entità priva di struttura economica e strumentalmente costituita nello Stato contraente al solo fine di poter formalmente usufruire del regime di favore ivi previsto, senza però che in concreto sussistano valide ragioni per la sua applicazione. La contrapposizione tra forma e sostanza è intrisa di significati e manifesta la ricerca di un equilibrio tra certezza del diritto (v. Aa.Vv., La certezza del diritto. Un valore da ritrovare, Atti del convegno, Firenze, 2-3 ottobre 1992, Milano, 1993, passim.; Alpa G., I principi generali, Milano, 1983; Gianformaggio L., Certezza del diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1988, 274-278; Longo M., Certezza del diritto, in Novissimo Digesto, Torino, 1966), e “certezza del tributo” (v. Allorio E., Ancora sulle cause della mancanza di certezza nel diritto tributario, in Giur. imp., 1984, 417 ss.; De Mita E., La legalità tributaria, Milano, 1993; Uckmar V., L’incertezza nel diritto tributario, in Aa. Vv., La certezza del diritto. Un valore da ritrovare, cit., 49 ss.).
Così posta la questione, è chiaro che il prospettato bilanciamento crea problemi non indifferenti, poiché la certezza del diritto, quale corollario del principio di legalità (cfr. Luzzati C., L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Milano, 1999), assolve la funzione fondamentale di poter prevedere e conoscere ex ante gli effetti giuridici delle proprie scelte. Il tema è di assoluta rilevanza per i riflessi economici che ad esso si correlano: una regolamentazione normativa chiara consente alle strutture societarie di pianificare i propri investimenti, di allocare le risorse in base ad una legittima aspettativa di maggior ricavo o di minor costo e di programmare l’attività indirizzando i propri obiettivi lungo un arco temporale ampio. Nondimeno, ancorare alla forma la valutazione di fenomeni economici molto articolati, che spesso sfuggono ad uno specifico inquadramento, rischia di pregiudicare le finalità di equa distribuzione del carico impositivo e di tradire la ratio sottesa alle direttive.
In conclusione, attraverso l’indicato arresto, la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sulla distinzione tra abuso del diritto e sussistenza dei requisiti per l’applicazione dei vantaggi fiscali (campo in cui s’inscrive il tema del beneficiario effettivo). A tal fine per un verso, fissa i passaggi attraverso cui dimostrare la qualifica soggettiva di beneficial owner, consapevole del fatto che la clausola non può essere considerata in una dimensione statica, dovendo confrontarsi con il crescente mutamento dei rapporti commerciali, le cui connotazioni si evolvono costantemente e spesso sfuggono ad un inquadramento rigido all’interno di nozioni predeterminate. Per altro verso, sottolinea a chiare lettere che, nonostante la matrice antielusiva degli artt. 26 e 26-quater, i precetti in essi contenuti «non sono sussumibili entro l’art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973, anche per quanto attiene alle prescrizioni endoprocedimentali recate da quest’ultimo».
L’individuazione del discrimen non è sempre agevole e l’esatta individuazione del beneficial owner non costituisce una questione meramente dogmatica, poiché ha implicazioni sistematiche rilevanti. In questa logica, la verifica in concreto della qualifica tratteggiata dalla Cassazione costituirebbe una sorta di soluzione ibrida tra quelle prospettate in dottrina e in giurisprudenza: verrebbe accolta l’esigenza di ancorare il beneficiario ad un dato formale, come sostenuto nelle Conclusioni presentate in relazione alle c.d. cause danesi dall’Avvocato Generale Kokott, con temperamenti dovuti all’accoglimento di un approccio sostanzialistico che mira a fare prevalere la realtà concreta rispetto a quella simulata. Il tutto nell’ottica di tutelare il mercato, la concorrenza (sul legame tra concorrenza e garanzie si veda Contrino A., La concorrenza fiscale tra gli Stati nel contesto della governance economica europea,in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XIV, 937 ss.), le libertà e i principi generali (Kokott J., Brevi riflessioni sui rapporti tra principi costituzionali e principi del diritto internazionale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 2022, 2, 598 ss.), che preesistono all’ordinamento stesso, evitando o limitando sia ipotesi di aggravio fiscale penalizzante, sia fattispecie di abuso dei trattati per ottenere vantaggi indebiti.
La complementarietà costituisce un elemento valoriale di assoluto pregio che deve essere coltivato e ampliato tanto più allorché ciò garantisca una tutela multilivello che, come chiarisce la Cassazione (par. 22), «poggia su solide fondamenta».
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Aa.Vv., La certezza del diritto. Un valore da ritrovare, Atti del convegno, Firenze, 2-3 ottobre 1992, Milano, 1993
Allorio E., Ancora sulle cause della mancanza di certezza nel diritto tributario, in Giur. imp.,1984, 417 ss.
Alpa G. , I principi generali, Milano, 1983
Bizioli G., Le nuove “lenti” della Corte di Giustizia sul mercato interno: le cause danesi, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2019, 4, 150-169
Contrino A., La concorrenza fiscale tra gli Stati nel contesto della governance economica europea,in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XIV, 937 ss.
Contrino A., La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir. prat. trib., 2016, 4, I, 1407 ss.
Corasaniti G., L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il Modello di Convenzione OCSE e la giurisprudenza della corte di cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2493 ss.
De Mita E., La legalità tributaria, Milano, 1993
Gianformaggio L., Certezza del diritto, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1988, 274-278
Giannelli A., Finanziamenti “a cascata” ed esenzione dalla ritenuta sugli interessi ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973: l’assenza di un congruo margine (mark up) in capo alla società holding non implica di per sé la carenza del requisito del beneficiario effettivo, in Riv. tel. dir. trib., 23 febbraio 2023
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Longo M., Certezza del diritto, in Novissimo Digesto, Torino, 1966
Luzzati C., L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Milano, 1999
Kokott J., Brevi riflessioni sui rapporti tra principi costituzionali e principi del diritto internazionale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 2022, 2, 598 ss.
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Uckmar V., L’incertezza nel diritto tributario, in Aa.Vv., La certezza del diritto. Un valore da ritrovare, Atti del convegno, Firenze, 2-3 ottobre 1992, Milano, 1993, 49 ss.
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2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
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3. L’interessato ha diritto di ottenere:
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