Anche la Corte Costituzionale (sent. 21 marzo 2023, n. 47) si esprime sull’essenzialità del contraddittorio endoprocedimentale (in nuce nella recente delega fiscale)

Di Andrea Colli Vignarelli -

Abstract

Con la pronuncia in commento la Consulta, pur rigettando la questione di legittimità a lei sottoposta con riguardo all’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, afferma l’essenzialità del contraddittorio preventivo tra Amministrazione e contribuente, e richiede un intervento legislativo volto a generalizzarne la portata.

Even the Constitutional Court (21 March 2023, n. 47) pronounces on the essentiality of the right to be heard in tax proceedings (in nuce in the recent tax delegation). – With the decision in comment the Constitutional Court, while rejecting the question of legitimacy submitted to her with regard to art. 12 paragraph 7, of the Statute of the Taxpayer, affirms the essentiality of the prior ‘contradictory procedure’ between the Administration and the taxpayer, and requires a legislative intervention aimed at generalizing its scope.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La questione sollevata dal giudice remittente. – 3. Le osservazioni della società ricorrente. – 4. L’essenzialità del contraddittorio procedimentale. – 5. La risposta della Corte Costituzionale. – 6. Il disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale.

1. Con un’importante recente sentenza – sia pure di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione regionale per la Toscana (oggi Corte di Giustizia tributaria di secondo grado), con l’ordinanza 12 maggio 2022, n. 75, in riferimento all’art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente) – anche la Corte Costituzionale (al pari della Corte di Cassazione in numerose pronunce) si esprime sul principio del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, evidenziando la sua essenzialità, come dimostrato (anche) da un convergere del sistema normativo in quella direzione; la Corte peraltro “invita” il legislatore a completare il sistema stesso mediante una espressa previsione generalizzata del principio.

2. Il giudice remittente – dopo aver evidenziato che nella legislazione nazionale manca, nel caso di tributi non armonizzati, un generale obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo tra Amministrazione e contribuente, operando questo solo nei casi previsti dalla legge – evidenzia che una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12, comma 7, dello Statuto, volta ad estenderne la portata al di là dell’ambito, espressamente previsto dalla norma, degli accertamenti preceduti da accessi, ispezioni e verifiche nei locali di svolgimento dell’attività del contribuente (c.d. verifiche “in loco”, escluse quindi quelle c.d. “a tavolino”[1]), sarebbe impedita dal diritto vivente risalente alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, 9 dicembre 2015, n. 24823 (per una critica a tale sentenza si rinvia, per tutti, a Colli Vignarelli A., Il contraddittorio endoprocedimentale e l’“idea” di una sua “utilità” ai fini dell’invalidità dell’atto impositivo, in Riv. dir. trib., 2017, 1, II, 21 ss.).

La sentenza citata si caratterizza, come noto, per aver specificato, in tema di contraddittorio preventivo, la distinzione tra tributi “armonizzati” e tributi “non armonizzati”.

In particolare: a) per i tributi “armonizzati” (IVA e diritti doganali), per i quali opera direttamente il diritto dell’Unione, «la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso … l’invalidità dell’atto». Ciò, peraltro, solo nel caso in cui «in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato» (c.d. “prova di resistenza”[2]), e sempre che «l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (analogamente, da ultimo, Cass., 15 marzo 2023, n. 7464; Cass., 1° marzo 2023, n. 6098; Cass., 27 gennaio 2023, n. 2541); b) per i tributi “non armonizzati”, invece, il diritto nazionale «non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto». Quindi, per i tributi in questione, «l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito».

Come conseguenza di ciò, l’obbligo del contraddittorio anticipato, ex art. 12, comma 7, citato, non sussisterebbe nel caso di indagini c.d. “a tavolino” (in tal senso le già citate Cass. n. 7464/2023 e n. 6098/2023, Cass. n. 2541/2023, nonché Cass., 13 gennaio 2023, n. 861), non essendo espressamente previsto dalla normativa nazionale, operando quindi esclusivamente nel caso di «accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali» (per approfondimenti sul tema della violazione dell’obbligo di interlocuzione con il contribuente, salvi i «casi di particolare e motivata urgenza» cui fa riferimento l’art. 12, comma 7, Cass., 11 settembre 2019, n. 22644, con nota di Colli Vignarelli A., La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di violazione del contraddittorio endoprocedimentale in assenza di motivi d’urgenza, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, IV, 273 ss. e, tra le altre, Cass. nn. 701 e 702/2019; Cass. n. 474/2020; Cass. n. 7584/2020; Cass. n. 26650/2020; più di recente, v. Cass., 13 marzo 2023, n. 7282; Cass. n. 6098/2023, cit., Cass. n. 2541/2023, cit., e Cass. n. 861/2023, cit.).

Il “diritto vivente” che, secondo il giudice a quo, sarebbe ostativo di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12, comma 7 – idonea a sostenere che «l’obbligo del contraddittorio deve precedere in ogni caso l’emissione di un avviso di accertamento all’esito di qualsiasi tipo di controllo» – è rappresentato dalle sopra riportate considerazioni delle Sezioni Unite (e da quello che, sempre per il giudice remittente, sarebbe «il pacifico orientamento della Corte di cassazione»).

Da ciò conseguirebbe la violazione dell’art. 3 Cost., per evidente e irragionevole disparità di trattamento, in quanto, ogniqualvolta viene svolto un accertamento fiscale, a prescindere dalla circostanza che questo si realizzi con verifiche presso il contribuente, ovvero sulla base della documentazione da questi acquisita, «il contribuente stesso deve essere messo in condizione di fornire elementi utili a verificare la fondatezza della pretesa tributaria». E ciò non solo nell’interesse del contribuente, ma della stessa Amministrazione finanziaria: infatti, osserva il giudice a quo, «il contraddittorio endoprocedimentale servirebbe a garantire, da un lato, il diritto di difesa del contribuente, potendo far emergere elementi idonei a contestare i presupposti dell’accertamento fiscale; dall’altro, il diritto ad una buona amministrazione, potendo deflazionare il contenzioso fiscale, in ogni ipotesi di controllo effettuato dall’amministrazione finanziaria, indipendentemente dalle relative modalità».

In senso analogo si era già espressa la Corte di Cassazione, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza 29 luglio 2013, n. 18184 (in Corr. trib., 2013, 36, 2836 ss., con nota di Tundo F., Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, ivi, 2825 ss., e in Rass. trib., 2013, 5, 1129 ss., con nota di Tesauro F., In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato ante tempus), e con la successiva sentenza 18 settembre 2014, n. 19667 (in Corr. trib., 2014, 39, 3024 ss., con commento favorevole di Marcheselli A., Il contraddittorio deve precedere ogni provvedimento tributario, ivi, 3019 ss., e in Riv. giur. trib., 2014, 12, 937 ss., con nota favorevole di Tundo F., Diritto al contraddittorio endoprocedimentale anche in assenza di una previsione normativa), ove viene affermato che «il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.».

Ai fini di valorizzare il principio del contraddittorio, la stessa Consulta fa riferimento agli stessi concetti, là dove (al punto 5.6) afferma che il contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione del «principio del “giusto procedimento” (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti)», «ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento», e «ciò vale … anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di “ottimizzare” l’azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell’amministrazione finanziaria; dall’altro, garantisce i diritti del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli».

3. Anche la società ricorrente nel giudizio principale, fonda l’illegittimità dell’art. 12, comma 7, in relazione all’art. 3 Cost., in quanto la limitazione del contraddittorio endoprocedimentale alle sole verifiche “in loco” «sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. La ratio di detto contraddittorio, infatti, non sarebbe da ravvisare nella peculiarità delle verifiche eseguite dall’Amministrazione finanziaria, bensì nell’esigenza di garantire l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, nonché la preventiva difesa del contribuente»; irragionevole sarebbe anche, pur esulando questo profilo dall’ordinanza di rimessione, «la disparità di trattamento tra “tributi armonizzati” e tributi “non armonizzati”, nonostante l’unicità del procedimento istruttorio che porta al loro accertamento» (su questo aspetto v. Colli Vignarelli A., Il contraddittorio endoprocedimentale e l’“idea” di una sua “utilità” ai fini dell’invalidità dell’atto impositivo, cit., 29; Ragucci G., Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, 2, 581 e 597 s.; Muleo S., Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescente?, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 1, 251 ss.; Basilavecchia M., Si rafforza il contraddittorio in materia doganale, in Riv. giur. trib., 2010, 10, 880; Ferrari C. – Tortorelli M., Omessa attivazione del contraddittorio. Violazione dei principi comunitari e costituzionali, in il fisco, 2010, 23, 3605; Marcheselli A., Il “giusto procedimento” tributario. Principi e discipline, Padova, 2012, 107 ss.; Pierro M., Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2013, 106; in proposito v. anche Galetta D.U., Diritto ad una buona amministrazione e ruolo del nostro giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in Dir. amm., 2010, 3, 601 ss.). In tale senso anche la giurisprudenza: per la perentorietà dell’affermazione, basta richiamare Cass., 14 gennaio 2015, n. 406, ove si legge che «il principio generale del diritto comunitario secondo cui il soggetto destinatario di un atto della pubblica autorità suscettivo di produrre effetti pregiudiziali nella sua sfera giuridica, deve essere messo in condizione di contraddire prima di subire tali effetti, non può tollerare discriminazioni in relazione alla natura armonizzata o meno del tributo»). Inoltre, a sostegno della portata generale del diritto al contraddittorio procedimentale, vengono in generale richiamati dalla società contribuente i principi risultanti dal diritto dell’Unione Europea, ai quali, «ai sensi dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 …, deve conformarsi l’amministrazione, anche finanziaria».

 

4. I richiami da ultimo effettuati consentono di esplicitare, sia pur brevemente, le “fondamenta” alla base dell’essenzialità del principio del contraddittorio procedimentale, sia a livello eurounionale, sia a livello di legislazione interna, costituzionale e ordinaria (cfr. Colli Vignarelli A., Il contraddittorio endoprocedimentale tra pronunce giurisprudenziali e scelte legislative “pro fisco”, in Dir. proc. trib., 2020, 2, 211 ss.; Id., La Cassazione ribadisce ulteriormente l’essenzialità del contraddittorio endoprocedimentale, in Riv. tel. dir. trib., 12 luglio 2022).

Per quanto riguarda l’ambito eurounionale, occorre considerare:

  • a livello di normativa, l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, rubricato «Diritto ad una buona amministrazione»; la disposizione, dopo aver stabilito, al paragrafo 1, che «ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione», precisa il contenuto di tale diritto – come evidenziato dalla stessa Corte Costituzionale – al paragrafo 2, là dove «prevede espressamente “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”»;
  • a livello giurisprudenziale, si possono richiamare alcune delle più importanti sentenze che hanno affermato e ribadito il principio: in ordine cronologico, la sentenza (fondamentale, e richiamata anche dalle successive) 18 dicembre 2008, causa C-349/07, “Sopropé”, ove il diritto del soggetto ad essere sentito preventivamente dall’Amministrazione che stia per adottare un provvedimento in ipotesi lesivo nei suoi confronti, è stato affermato in modo esplicito (v. tale sentenza in giur. trib., 2009, 3, 203 ss., con nota di Marcheselli A., Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, e in Rass. trib., 2009, 2, 570 ss., con nota di Ragucci G., Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, cit.); sentenza 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, “Kamino” (in Corr. trib., 2014, 33, 2542 ss., con commento di Marcheselli A., Il contraddittorio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso); sentenza 16 ottobre 2019, causa C-189/18, “Glencore”, ove viene ribadito che il contraddittorio tra Amministrazione e soggetto interessato (nel nostro caso, il contribuente), «secondo una giurisprudenza consolidata, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione» (sottolineato/sottolineatura nostro); sentenza 4 giugno 2020, causa C-430/19, “SCCF srl”; sentenza 24 febbraio 2022, causa C-582/20, “SC Cridar Cons srl”, richiamata, “da ultimo”, dalla stessa Consulta. Di recente, e più in generale, nella sentenza 19 gennaio 2023, causa C-680/20, con riferimento alla particolare ipotesi di una controversia tra una società operante in Italia e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, «in merito ad una sanzione inflitta da tale autorità alla suddetta società per abuso di posizione dominante», si legge, al punto 54, che «in ogni caso la produzione, nel corso del procedimento, di prove idonee a dimostrare l’inidoneità a produrre effetti restrittivi fa sorgere l’obbligo, per detta autorità garante della concorrenza, di esaminarle. Infatti, il rispetto del diritto di essere ascoltato, il quale, secondo giurisprudenza costante, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, esige che le autorità garanti della concorrenza ascoltino l’impresa in posizione dominante, il che implica che esse prestino tutta l’attenzione richiesta alle osservazioni prodotte da quest’ultima ed esaminino, con cura e imparzialità, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e, in particolare, le prove prodotte da detta impresa» (sottolineato nostro). Anche in questa sentenza viene dunque ribadito il diritto di essere ascoltato, che va considerato un principio generale del diritto dell’Unione secondo giurisprudenza costante e dunque da considerare consolidata.

Per il diritto nazionale, a livello di normativa ordinaria, come già evidenziato, e come sottolineato dalla stessa società ricorrente nel giudizio principale, viene in considerazione:

  • l’art. 1, comma 1, L. 7 agosto 1990, n. 241 che prevede che l’attività amministrativa deve svolgersi, tra l’altro, «secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario», in particolare, per quel che qui interessa, il sopra visto principio del contraddittorio procedimentale. Analogo richiamo ai principi comunitari, a livello di legislazione di rango costituzionale, viene effettuato dall’art. 117, comma 1, Cost., a norma del quale «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»), stabilendo la supremazia dell’ordinamento comunitario sull’ordinamento interno, con un’ulteriore conferma (a livello costituzionale) dell’applicabilità generalizzata del principio del contraddittorio, di origine comunitaria, il che priva di rilievo la sua previsione espressa in una norma di diritto interno e (come già sopra evidenziato) il tipo di tributo che rileva nel caso concreto. Infine, occorre fare riferimento all’art. 97 Cost. che, come osservato in dottrina, ha una portata analoga al prima citato art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che tutela a livello generalizzato il principio del contraddittorio (sul tema, Carinci A. – Deotto D., Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della Suprema Corte, in il fisco, 2016, 3, 211; Accordino P., Problematiche applicative del “contraddittorio” nei procedimenti tributari, Milano, 2018, 197).

5. La Corte innanzitutto specifica i termini della questione, evidenziando che il remittente considera irragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., la circostanza che la speciale procedura garantista prevista dall’art. 12, comma 7, dello Statuto[3], debba operare esclusivamente nel caso delle verifiche “in loco” e non in quelle c.d. “a tavolino”, in quanto (giustamente, aggiungiamo noi) il contribuente «dovrebbe essere messo in condizione di fornire elementi utili a verificare la fondatezza della pretesa tributaria ogniqualvolta vengano svolte, nei suoi confronti, verifiche fiscali sia presso i locali di sua pertinenza, sia presso gli uffici dell’amministrazione» (essendo analoga la ratio del contraddittorio in entrambi i casi).

La Corte prosegue illustrando il quadro normativo in materia, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità. Molto schematicamente, può dirsi che la Consulta indica l’esistenza di una pluralità di soluzioni accolte, con riguardo al principio del contraddittorio, dal legislatore, a seconda della tipologia di accertamento o controllo posto in essere dall’Amministrazione, con una tendenza ad estendere sempre più il principio anzidetto. Osserva infatti che si «deve evidenziare che, pur a fronte della mancanza, in ambito tributario, di una previsione generale sulla formazione partecipata dell’atto impositivo, si è assistito a progressive e ripetute aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale», con soluzioni «specifiche, che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti differentemente declinati a seconda della dinamica istruttoria seguita dall’amministrazione e delle esigenze, di matrice tipicamente collaborativa o più prettamente difensiva, ad essa sottese». La Corte richiama, in particolare, la fattispecie prevista dall’art. 38, comma 7, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in tema di accertamento sintetico; la normativa sugli studi di settore; il controllo automatizzato e il controllo formale delle dichiarazioni ex artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973; il caso degli accertamenti in tema di abuso del diritto ex art. 10-bis dello Statuto del contribuente; e, ovviamente, l’ipotesi degli «accessi, ispezioni e verifiche» disciplinata dalla norma censurata (art. 12, comma 7, in esame).

Prosegue la Corte evidenziando che: 1) la partecipazione del contribuente esprime «una esigenza di carattere costituzionale» e «ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento»; 2) «la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», caratterizzata, come evidenziato, da una sempre maggiore “espansione” applicativa, aspirando «ad assurgere a principio generale».

Tutto ciò premesso, peraltro, il giudice delle leggi “non se la sente” di estendere in via generale il principio espresso dall’art. 12, comma 7, dello Statuto, tramite una sua sentenza, in quanto ciò «potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche “a tavolino”».

A conclusione di questo iter argomentativo, la Corte, dichiarata inammissibile, per il motivo indicato, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice remittente, “lancia” un preciso segnale al legislatore, ritenendo «necessario un tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata».

6. Nel disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale, approvato pochi giorni prima della pubblicazione della sentenza della Consulta (depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023, ma emanata il 7 febbraio dello stesso anno), il 16 marzo 2023, troviamo rilevanti riferimenti al principio del contraddittorio, che rispondono a quanto affermato dalla Corte.

E in particolare: all’art. 4 («Revisione dello Statuto dei diritti del contribuente»), comma 1, lett. e), ove si stabilisce di «prevedere una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità»; e all’art. 15 («Procedimento accertativo»), comma 1, lett. b), ove si stabilisce di «applicare in via generalizzata il principio del contraddittorio, a pena di nullità, fuori dai casi dei controlli automatizzati e delle ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato e prevedere una disposizione generale sul diritto del contribuente a partecipare al procedimento tributario, secondo le seguenti caratteristiche: 1) disciplina omogenea indipendentemente dalle modalità con cui si svolge il controllo; 2) termine congruo a favore del contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento; 3) obbligo da parte dell’ente impositore di motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente; 4) estensione del livello di maggior tutela previsto dall’articolo 12, comma 7, della citata legge n. 212 del 2000» (cosa, quest’ultima, che la Corte si è “rifiutata” di fare con la sentenza in commento).

In conclusione, sembra finalmente giunto il momento di un pieno e generalizzato accoglimento nel nostro ordinamento fiscale di un principio considerato da anni essenziale a livello europeo e a livello interno in numerose interpretazioni, sia giurisprudenziali che dottrinali.

[1] Ciò sarebbe avvenuto, secondo il giudice a quo, nel caso di specie, ove l’avviso di accertamento «è scaturito da una mera richiesta di documentazione contabile alla società senza che, prima della sua emissione, fossero contestate le violazioni individuate in modo da consentire al contribuente di proporre le proprie difese».

[2] La c.d. “prova di resistenza” è stata prevista anche a livello legislativo dall’art. 4-octies, comma 1, D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 giugno 2019, n. 58), che ha introdotto, a far data dal 1° luglio 2020, nel corpo del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 («Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale»), l’art. 5-ter (intitolato «Invito obbligatorio»). La norma citata, al comma 5, stabilisce che, «fuori dei casi di cui al comma 4» (cioè fuori dei casi di particolare urgenza o di ipotesi di fondato pericolo per la riscossione), il mancato avvio del contraddittorio mediante l’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento (invito che è escluso nei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo), «comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato» (sottolineato/sottolineatura  nostro). A tale norma fa riferimento anche la Consulta al punto 5.4, ove afferma che «l’esigenza di superare la disarmonia del vigente sistema tributario, per cui non sussiste un obbligo generale di attivare il contraddittorio con il contribuente al di fuori delle ipotesi espressamente previste, ha portato, di recente, a un nuovo intervento del legislatore», appunto con l’introduzione della norma in esame.

[3] Come precisato dalla Corte, il comma 7 in questione «impone all’amministrazione finanziaria la compilazione del processo verbale di chiusura delle operazioni di indagine da parte degli organi di controllo, il suo rilascio al contribuente, il decorso di un termine dilatorio di sessanta giorni prima dell’adozione dell’avviso di accertamento, durante il quale questi può presentare osservazioni, e, in caso di mancato accoglimento delle stesse, un obbligo di motivazione rafforzato».

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Tundo F., Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, in Corr. trib., 2013, 36, 2825 ss.

Tundo F., Diritto al contraddittorio endoprocedimentale anche in assenza di una previsione normativa, in Riv. giur. trib., 2014, 12, 945 ss.

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