RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA  – Cass., 28 febbraio 2023, n. 6082 – Sui requisiti per l’applicazione dell’esenzione ex art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. n. 346/1990 ai trasferimenti di quote societarie

Di MATTEO MURGIA -

La massima della Suprema Corte  (*)

I trasferimenti di quote sociali e azioni sono esenti da imposta sulle successioni e sulle donazioni esclusivamente se consentono all’avente causa – che si impegni a detenerne la titolarità per almeno un quinquennio – di acquisire o integrare il controllo di una società che svolge effettivamente un’attività di impresa.

 

 

Il (tentativo di) dialogo

Nel caso vagliato dalla Suprema Corte, due coniugi avevano costituito una società in Lussemburgo per conferirvi la nuda proprietà di alcuni immobili e procedere alla donazione delle quote sociali ai figli, applicando l’esenzione dall’imposta di successione e donazione ex art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. n. 346/1990 (TUS).

L’Ufficio, mediante avviso di liquidazione, ha disconosciuto il beneficio fiscale, contestando la natura statica, non operativa e riconducibile al mero godimento della società le cui quote erano state oggetto di donazione.

I donatari hanno fatto ricorso fino in Cassazione, sostenendo che, per l’applicazione dell’esenzione nel caso dei trasferimenti di quote societarie, sarebbe sufficiente il verificarsi dei due (soli) requisiti dettati dalla norma, ossia che la quota trasferita consenta di ottenere o integrare il controllo di una società e che detto controllo venga detenuto per almeno cinque anni, indipendentemente dalla natura dell’attività svolta.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, e le relative argomentazioni di supporto, in forza delle seguenti considerazioni.

A più riprese, la Commissione europea ha ribadito agli Stati membri la necessità di introdurre negli ordinamenti strumenti anche di natura fiscale volti ad agevolare il passaggio generazionale dell’impresa, per tutelare anzitutto i dipendenti delle entità coinvolte e, da un punto di vista più generale, l’intero sistema economico, vedendo l’impresa come un veicolo per la produzione di ricchezza. Secondo la Corte, in questa “cornice” va inserita l’esenzione ex art. 3, comma 4-ter, TUS, con la conseguenza che le società immobiliari – come quella lussemburghese oggetto del caso vagliato – e, più in generale, le società che non svolgono un’effettiva attività di impresa devono considerarsi escluse dal perimetro dell’esenzione, in quanto non meritevoli della tutela suggerita a livello europeo.

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Quella fornita dalla Suprema Corte è una lettura che desta perplessità.

Se si muove, come in effetti si deve muovere, dal dato normativo siccome espresso nell’art. 3, comma 4-ter, TUS, in caso di trasferimento ai discendenti o al coniuge di quote sociali o azioni l’agevolazione fiscale spetta (i) per le partecipazioni che permettono di acquisire o integrare il controllo, (ii) a condizione che gli aventi causa si impegnino a proseguire l’attività di impresa o – ed è più che mai opportuno sottolineare la natura disgiuntiva – detengano il controllo per almeno un quinquennio.

Se ci si concentra sul requisito sub (ii), che – come evidente – è il nodo centrale dell’intera questione, è ben evidente che il tenore letterale della disposizione è inequivocabile nel senso che, ai fini dell’ottenimento dell’esenzione, il requisito della prosecuzione di un’attività di impresa alternativo, e tutt’al più eventualmente coesistente, alla detenzione del controllo sull’entità trasferita per il periodo stabilito, onde la prosecuzione della eventuale attività di impresa è condizione per l’ottenimento del beneficio esclusivamente nel caso in cui ad essere trasferiti siano un’azienda o un ramo di essa, e non quote sociali o azioni.

A rendere ancora meno soddisfacenti le argomentazioni della Cassazione circa la presunta volontà del legislatore di agevolare esclusivamente trasferimenti di quote e azioni di società esercenti effettiva attività di impresa è la seguente, condivisa riflessione: se è indubbio che l’obiettivo perseguito dal legislatore sia anche quello di favorire i passaggi generazionali delle imprese, come richiesto dalle raccomandazioni della Commissione europea, la disposizione in esame, per come è scritta, non limita il beneficio ai soli casi evidenziati dalla Cassazione, considerando sufficiente la detenzione del controllo per almeno cinque anni, prescindendo da qualsivoglia analisi di merito circa la natura dell’attività svolta o operatività della società.

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In altre parole, non sussistono argomenti sostenibili per obliterare il principio tralatizio, più volte richiamato dalla stessa Suprema Corte in altre occasioni, per cui “in claris non fit interpretatio”.

Il dato testuale di una norma chiara e inequivocabile, che non esplicita alcunché in merito alle caratteristiche dell’attività svolta dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di trasferimento, non permette di ricorrere all’interpretazione logico-sistematica utilizzata dalla Suprema Corte, se si vuole rimanere fedeli – come si deve – al dettato normativo di  cui all’art. 12 delle Preleggi.

In un’ottica di tutela della certezza del diritto, che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti gli operatori del diritto, la Cassazione dovrebbe pertanto rivedere in futuro la propria posizione, fornendo un’interpretazione dell’art. 3, comma 4-ter, TUS conforme alla lettera della disposizione, che, in quanto chiara, non consente di accedere ad altri e successivi canoni ermeneutici.

Tra l’altro, se fosse vera la soluzione sostenuta dalla Suprema Corte, si giungerebbe alla conclusione assurda che in caso di trasferimento di quote di una società semplice – che, in quanto, società di persone è espressamente contemplata fra quelle le cui quote possono essere agevolate – non potrebbe mai accedere al beneficio dell’agevolazione, posto che, per statuto legale, esse non possono mai esercitare attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., e l’evenienza che esercitino attività commerciale ai sensi dell’art. 55 TUIR, pur possibile e legittima, è alquanto remota ed eccezionale.

Va, peraltro, considerato – vagliando la questione proprio dalla prospettiva dei trasferimenti di quote di società semplici – che tra l’attività di impresa commerciale ex art. 2195 c.c. e quella di impresa agricola ex art. 2135 c.c. sembraci esserci spazio, come sostenuto già in dottrina, per un’ulteriore declinazione del concetto di “attività di impresa” (non commerciale): quella di gestione di beni immobiliari e mobiliari, funzionalmente collegati fra loro, finalizzata a generare utilità ulteriori rispetto a quelle derivanti dalla mera disposizione dei diritti su detti beni.

Ciò vale tanto per le società semplici di godimento, quanto per le società di gestione immobiliare – come la lussemburghese da cui è scaturita l’intera questione – e, se tenuto in debita considerazione, potrebbe comunque condurre a ritenere applicabile l’agevolazione di cui all’art. 3, comma 4-ter, TUS anche ai casi come quello oggetto della pronuncia in esame, permettendo di ritenere integrato anche il “nuovo requisito” introdotto per via interpretativa, ma in modo illegittimo, dalla Suprema Cassazione per restringere (immotivatamente, alla luce della lettera della disposizione in esame) la predetta agevolazione fiscale.

* La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

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