Sull’assoggettamento a IRAP dei dividendi bancari, a margine di una contrastante giurisprudenza di merito

Di Alessia Funari -

(commento a/notes to Comm. trib. prov. Reggio Emilia, sez. I, 23 marzo 2022, n. 53, e Corte di Giustizia tributaria II grado Emila Romagna, sez. XIII, 21 ottobre 2022, n. 1204)

 

Abstract

Due recenti sentenze della giurisprudenza tributaria di merito offrono l’occasione per tornare sul tema del concorso dei dividendi bancari alla formazione della base imponibile IRAP e sulla compatibilità art. 6 decreto IRAP con la Direttiva Madre-Figlia. Per una migliore comprensione della fattispecie, accanto all’analisi della normativa fiscale di riferimento, verranno sviluppate alcune brevi considerazioni in ordine alla contabilizzazione dei dividendi nei bilanci bancari.

About the taxation of bank dividends to IRAP, a side note of conflicting case law. – Two recent rulings issued by the tax courts provide an opportunity to return to the issue of the contribution of bank dividends to the formation of the IRAP tax base and the compatibility Article 6 of the IRAP Decree with the parent-subsidiary Directive. For a better understanding of the case, alongside the analysis of the relevant tax legislation, some brief considerations will be developed regarding the accounting of dividends in bank financial statements.

 

Sommario: 1. L’oggetto dei giudizi tributari di merito in contrasto fra loro e le statuizioni incidentali della Corte Costituzionale. – 2. La base imponibile IRAP per gli intermediari finanziari e il concorso parziale dei dividendi alla formazione del c.d. margine di contribuzione rilevante. – 3. La questione centrale e controversa “a monte”: i dividendi effettivamente imponibili ai fini IRAP e i diversi metodi di contabilizzazione. – 4. (Segue). Sulla rilevanza ai fini IRAP dei soli dividendi da trading, con conseguente esclusione dei dividendi interni e di quelli delle partecipazioni valutate con l’equity method. – 5. La prima questione affrontata dalla giurisprudenza di merito e respinta dalla Consulta: una base imponibile IRAP inclusiva anche dei dividendi interni si pone in violazione dell’art. 3 Cost. – 6. La seconda questione affrontata dalla giurisprudenza di merito e sollecitata dalla Consulta: l’incompatibilità della disciplina dei dividendi ai fini IRAP con la normativa europea. – 7. (Segue). La propedeutica verifica dell’applicabilità o meno della Direttiva Madre-Figlia anche all’IRAP e le ragioni che militano per una risposta affermativa. – 8. (Segue). Il successivo problema dell’estensione della portata della Direttiva anche ai casi di distribuzioni interne di dividendi e la possibilità di contestare l’esistenza di una discriminazione alla rovescia.

1. Il tema della determinazione della base imponibile IRAP delle società che esercitano attività bancaria è da sempre al centro dell’attenzione di studiosi e professionisti, non solo perché intrinsecamente complesso, ma anche in ragione dei contrasti giurisprudenziali sorti in ordine alla corretta interpretazione e applicazione della normativa di riferimento.

Emblematiche, in questo senso, sono la sentenza della Comm. trib. prov. Reggio Emila, 23 marzo 2022, n. 53 – in seno al cui procedimento, giova ricordarlo, si è instaurato anche un giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 446/1997 (“decreto IRAP”), di cui si dirà oltre – e la successiva pronuncia di appello resa sullo stesso caso dalla Corte di Giustizia tributaria II grado Emila Romagna, 21 ottobre 2022, n. 1204.

Nel caso oggetto delle citate pronunzie, la controversia verteva sull’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso dell’IRAP presentata da una holding di partecipazioni, che percepiva sia dividendi da una controllata italiana, i c.d. “dividendi interni”, contabilizzati alla voce 70 di conto economico (“Dividendi e proventi simili”), e specificamente alla lett. D (“Partecipazioni”), sia dividendi distribuiti da società “terze”, c.d. “dividendi da trading”, anch’essi registrati alla voce 70 di conto economico ma alla lett. A (“Attività finanziarie detenute per la negoziazione”).

Come risulta dalle sentenze, nel ricorso introduttivo la contribuente lamentava: (i) la violazione dell’art. 4, parr. 1 e 3, della Direttiva 2011/96/UE del 30 novembre 2011 (“Direttiva Madre-Figlia”), come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, da parte dell’art. 6 decreto IRAP, laddove dispone l’assoggettamento a imposizione dei dividendi in misura pari al 50 per cento, rispetto alla soglia massima del 5 per cento stabilita dalla Direttiva; (ii) la violazione del diritto di stabilimento di cui agli artt. 49-55 TFUE, del principio di libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE e dei principii di uguaglianza e capacità contributiva di cui all’art. 3 e 53 Cost.; (iii) la violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui il medesimo art. 6, comma 1, lett. a), stabilisce l’assoggettamento a IRAP in misura forfetaria (il 50 per cento) di tutti i dividendi iscritti nella voce 70 di conto economico, compresi quelli non percepiti nell’esercizio della attività caratteristica.

I giudici di prime cure, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con ordinanza 1° dicembre 2020, n. 374, hanno disposto la sospensione della causa e la trasmissione degli atti alla Corte Cost., la quale, tuttavia, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 6 decreto IRAP (sent. 20 gennaio 2022, n. 12), individuando la ratio della riduzione al 50 per cento dei dividendi nella specifica volontà del legislatore di evitare un eccesso di imposizione su tali componenti. Nel contempo, e seppur non investita della questione, la Consulta ha evidenziato che il giudice rimettente aveva escluso l’applicabilità all’IRAP della Direttiva 2011/96/UE senza confrontarsi con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in particolare, sentenza 17 maggio 2017, in causa C-365/16, AFEP e altri; sentenza 17 maggio 2017, in causa C-68/15, X), pur evocata nel giudizio principale dalla società contribuente al fine di dedurre – data l’esistenza di un’unica controllata italiana – la c.d. discriminazione “alla rovescia”.

Tornato a decidere sulla controversia – e alla luce dei rilievi formulati dalla Consulta – il giudice a quo ha accolto il ricorso della società contribuente, e la sottostante richiesta di rimborso, sancendo che: «2) per quanto attiene la normativa italiana la suddetta direttiva si applica anche all’Irap e non solo all’Ires; 3) sussiste il divieto di discriminazione rovesciata per cui non può derivare dall’applicazione della normativa nazionale ad una ‘fattispecie domestica’ un trattamento deteriore rispetto a quello conseguente all’applicazione della direttiva madre-figlia ad una similare ‘fattispecie europea’; 4) l’art. 6, comma lett. a), d.lgs. 446/97 assoggetta i ‘dividendi interni’ erogati dalla controllata italiana ad una doppia imposizione inibita dalla  direttiva madre-figlia, applicabile alla fattispecie concreta dedotta in giudizio stante il divieto di discriminazione rovesciata, con la conseguenza che l’art. 6, 1 comma, lett. a) d.lgs.446/1997 va disapplicato in quanto contrario alla suddetta direttiva».

Tale decisione è stata impugnata dalla parte pubblica e completamente riformata dalla Corte di Giustizia tributaria II grado Emilia Romagna con la recente sentenza 21 ottobre 2022, n. 1204.

In particolare, per i giudici del gravame due ordini di motivi ostano alla ricostruzione della Commissione tributaria di primo grado: in primo luogo, il fatto che la Direttiva Madre-Figlia prevede il divieto di doppia imposizione sugli utili della partecipata soltanto per l’IRES e non per l’IRAP, imposta pacificamente reale che determina una tassazione sul valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate e non sul reddito prodotto (i.e. l’utile che deriva dalle operazioni finanziarie); e, in secondo luogo, la circostanza che, essendo le disposizioni europee volte a evitare una doppia imposizione sugli utili distribuiti da società-figlie residenti in uno Stato membro a società-madri residenti in altro Stato membro, «non appare (…) pertinente estendere detta disciplina ai dividendi corrisposti tra società nazionali all’interno del relativo territorio, in quanto ogni Stato può avere una propria disciplina che viene armonizzata quando il rapporto intercorre tra società di Stati membri diversi per garantire un trattamento paritario».

Disegnata la cornice del contrasto, è possibile approfondire le tre specifiche questioni che, in modo diretto e indiretto, emergono dalle pronunce in commento in punto di assoggettamento a IRAP dei dividendi bancari, ossia: (i) la loro effettiva imponibilità a tale imposta e i diversi metodi di contabilizzazione: (ii) l’incompatibilità della disciplina dei dividendi ai fini IRAP con la normativa europea; (iii) l’estensione della portata della Direttiva anche ai casi di distribuzioni interne di dividendi.

2. Propedeutico a tale approfondimento è il vaglio delle regole di determinazione della base imponibile IRAP, che – come noto – è costituita dal “valore della produzione netta” realizzata in ogni Regione: esse variano in ragione dei tipi di attività svolta dal soggetto passivo, coerentemente con la logica del tributo che – come è stato chiarito fin dal momento della sua introduzione nel nostro ordinamento tributario – è quella di tassare il valore aggiunto prodotto (cfr. Gallo F., Proposte per la realizzazione del federalismo fiscale, in il fisco, All. speciale al n. 21, maggio 1996; Id., Ratio e struttura dell’IRAP, in Rass. trib., 1998, 3, 627, che è stato il “padre” del tributo), anche se parte della dottrina ha sin da subito manifestato opinioni diverse e non poche perplessità sulla sua legittimità costituzionale (sul punto la letteratura è assai ampia; v. per tutti: Baggio R., Profili di irrazionalità e illegittimità costituzionale dell’imposta reginale sulle attività produttive, in Riv. dir. trib., 1997, I, 641 ss.; Falsitta G., Aspetti e problemi dell’IRAP, in Riv. dir. trib., 1997, I, 495 ss.; Lupi R., L’IRAP tra giustificazioni costituzionali e problemi applicativi, in Rass. trib., 1997, 1407 ss.; Fedele A., Prime osservazioni in tema di IRAP, in Riv. dir. trib., 1998, 453 ss.; Gaffuri G., La compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive con i precetti fondamentali dell’ordinamento giuridico: stato delle questione, in Riv. dir. trib., 1999, 843 ss.), poi risolte dalla Consulta con la sentenza del 21 maggio 2001, n. 156 (v. i commenti di Basilavecchia M., Sulla costituzionalità dell’IRAP: un’occasione non del tutto perduta, in Rass. trib., 2002, 1, 292 ss. e Castaldi L., Considerazioni a margine della sentenza n. 156 del 2001 della Corte costituzionale in materia di Irap, in Rass. trib., 2002, 3, 856 ss.).

In particolare, per le società di capitali e gli enti commerciali che non esercitano attività finanziaria e assicurativa, il valore della produzione netta è dato, in via generale, dalla differenza tra i costi e i valori della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 c.c. risultanti dal conto economico, con esclusione di talune voci di costo (art. 5, comma 1, decreto IRAP); per le banche e gli intermediari finanziari, il valore della produzione netta è dato, invece, dalla somma algebrica di determinate voci di conto economico (art. 6 decreto IRAP), secondo gli schemi di bilancio bancario, notoriamente diversi da quelli ordinari previsti dagli artt. 2424 ss., c.c., che obbediscono ai principi contabili IAS/IFRS e alle regole e ai criteri di cui ai Provvedimenti della Banca d’Italia (l’ultimo aggiornamento è del 17 novembre 2022) periodicamente emanati (per approfondimenti, v. Schiavolin R., L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, Milano, 2007, 355 ss. e Molinaro G., La ‘nuova’ Irap per banche ed enti finanziari, in Corr. trib., 2008, 12, 930 ss., nonché, quanto alla prassi amministrativa, circ. 26 maggio 2009, n. 27/E).

La voce principale del valore della produzione netta delle banche e degli intermediari finanziari è rappresentata dal c.d. margine di intermediazione (voce 120 di conto economico) e che si compone, sua volta, di una serie di sottovoci, tra le quali spiccano “i dividendi e i proventi simili” (voce 70), il cui ammontare, ai sensi del richiamato art. 6, concorre alla formazione della base imponibile nella misura del 50 per cento (in altre parole, riprendendo e usando l’espressione contenuta nella citata disposizione, concorre alla formazione della base imponibile IRAP il “margine di intermediazione ridotto del 50 per cento dei dividendi”).

3. A monte delle due questioni vagliate nelle due sentenze in commento vi è quella dei confini dei dividendi effettivamente tassabili ai fini IRAP, sia pur nella misura ridotta sopra indicata: se solo i dividendi dell’attività caratteristica, ossia i “dividendi da trading” contabilizzati alla lett. A (“Attività finanziarie detenute per la negoziazione) della voce 70 di conto economico oppure tutti i dividendi iscritti in tale voce, a prescindere dalla lettera, comprendendo pertanto anche i “dividendi interni” che sono specificamente rilevati nella lett. D (“Partecipazioni”), e anche quelli relativi alle partecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto, per i quali la rivalutazione corrispondente va contabilizzata nella voce 220 (“Utili (Perdite) delle partecipazioni”) estranea al margine di intermediazione.

Secondo autorevole dottrina che si è espressa in merito (cfr. Schiavolin R., Sul concorso dei dividendi all’imponibile IRAP delle banche, in Riv. dir. trib., 2021, 4, 219 ss.), il riferimento alla riduzione dei dividendi al 50 per cento dovrebbe riguardare solo quelli che rilevano per il calcolo del margine di intermediazione secondo gli schemi di bilancio predisposti dalla Banca d’Italia, ossia quelli risultanti dalla voce 70 di conto economico e, in particolare, “i dividendi relativi ad azioni o quote detenute in portafoglio diverse da quelle valutate in base al metodo del patrimonio netto”, con esclusione anche dei dividendi relativi a partecipazioni che rientrano o costituiscono “attività operative cessate”, che vanno contabilizzati alla voce 290 (“Utile [Perdita] dell’operatività corrente al netto delle imposte”). Con la precisazione che i dividendi percepiti su partecipazioni valutate in base al criterio del patrimonio netto dovrebbero figurare non nella voce 220 (“Utili [Perdite] delle partecipazioni”), ma come variazione negativa della voce 70 (“Partecipazioni”) dello stato patrimoniale.

Invero, sebbene l’art. 6 decreto IRAP si riferisca a specifiche voci dello schema di bilancio bancario predisposto da Banca d’Italia, le regole recate dai principi contabili internazionali assumo un ruolo fondamentale, oltre che gerarchicamente preminente, in quanto incidono (soprattutto in punto di classificazione) sulla contabilizzazione a conto economico e determinano una maggiore o minore base imponibile del tributo (sul tema, v. Vicini Ronchetti A., La determinazione dell’imponibile IRAP, in Zizzo G., a cura di, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2018, 1031 ss.).

Rimanendo nel settore degli intermediari finanziari, un esempio è quello delle banche che detengono interessenze in società controllate e collegate che, in aggiunta al bilancio consolidato (IFRS 10), presentano il bilancio separato (obbligatorio ai sensi del  D.Lgs. n. 38/2005) secondo le regole contenute negli IAS 27 e IAS 28.

In caso di adozione dello IAS 27 la società che redige il bilancio separato deve contabilizzare le partecipazioni o al costo o in conformità all’IFRS 9 o con il metodo del patrimonio netto secondo lo IAS 28: se viene scelto il metodo del costo, i dividendi sono registrati a conto economico nel momento in cui è accertato il diritto alla relativa percezione; se, invece, si utilizza il criterio del patrimonio netto, il dividendo è contabilizzato a riduzione del valore contabile della partecipazione (fermo restando che in entrambi i casi, nel parallelo bilancio consolidato le partecipazioni vanno valutate con il metodo del patrimonio netto). In caso di adozione dello IAS 28, il par. 35 rimanda alle regole di cui ai parr. 37-42 dello IAS 27, con possibilità dunque di contabilizzare le partecipazioni o con il metodo del patrimonio netto o con il criterio dell’investimento diretto, ossia il fair value dello IAS 9, oppure al costo (cfr. Dezzani F. – Biancone P.P. – Busso D., a cura di, IAS/IFRS, Milano, 2016, 962-1009).

La scelta di una banca di contabilizzare, nel proprio bilancio separato, una partecipazione di controllo o di collegamento con un metodo piuttosto che un altro (ciò soprattutto dopo le modifiche apportate nel 2014 dall’International Accounting Standard Board allo IAS 27 e, in specie, dell’introduzione del criterio dell’Equity, come esplicato ai punti 10 A e 10 B del paper Basis for conclusion, amendments, Related to AASB 2014-9) determina rilevanti conseguenze in punto di concorso alla base imponibile e tassabilità ai fini IRAP dei relativi dividendi.

4. (Segue). In particolare, in caso di contabilizzazione con il metodo del costo, i dividendi – che costituiscono frutto dell’impiego di capitale e che teoricamente derivano dall’attività straordinaria (perché, si ripete, derivano da una mera gestione improduttiva del patrimonio consistente nel mettere un bene a disposizione di altri o al fine di goderne personalmente) – confluiscono nella lettera D) della voce 70, unitamente ai dividendi derivanti dall’attività caratteristica di cui alla lettera A), concorrendo così alla formazione del margine di intermediazione rilevante ai fini del calcolo della base imponibile IRAP (sul punto v. anche Gianelli R., Il regime impositivo dei dividendi e i principi contabili internazionali, in Maisto G., a cura di, La tassazione dei dividendi intersocietari, Quaderni della Rivista di diritto tributario, Milano, 2011, 219-222).

Diversamente, in caso di valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto le conseguenze ai fini IRAP per i dividendi sono controverse.

Sotto il profilo bilancistico, l’applicazione dello IAS 28 comporta che la partecipazione sia inizialmente contabilizzata al costo e rettificata in conseguenza delle variazioni (in aumento o in diminuzione) nella quota di pertinenza della società partecipante nelle attività nette della società partecipata: come conseguenza, da un lato, non si può rilevare un provento all’atto della distribuzione del dividendo, dall’altro, il costo originario di iscrizione della partecipazione viene ciclicamente aggiornato per riflettere gli utili o le perdite derivanti dalla gestione, che sono rilevati nella voce 220 (“Utile [perdita] delle partecipazioni”) esclusa dal margine di intermediazione (voce 120).

Per l’effetto, non essendo mai rilevati nel patrimonio netto o nell’OCI (Other Comprehensive Income), in quanto incidono direttamente sul valore della partecipazione nell’attivo dello stato patrimoniale, i dividendi dovrebbero essere irrilevanti ai fini dell’IRAP.

La posizione dell’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza di merito è tuttavia diversa.

Quanto alla prima, dopo aver in passato affermato il concorso alla formazione della base imponibile IRAP «tassativamente gli importi a titolo di dividendo nella voce 70 del conto economico inclusa nel margine» (così, circ. n. 27/E/2009), l’Amministrazione finanziaria sostiene, oggi, l’irrilevanza del fatto che i dividendi in questione non rientrino in una delle voci espressamente rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, argomentando che – dopo l’emanazione del c.d. “Decreto IAS” (D.M. 8 giugno 2011, modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a, n. 2, D.M. 3 agosto 2017) – i dividendi in questione rientrerebbero nella sfera applicativa dell’art. 2, comma 2 di tale decreto, in forza del quale i componenti che transitano soltanto a stato patrimoniale sarebbero comunque imponibili ai fini IRAP in applicazione delle disposizioni previste per i componenti aventi la medesima natura che sono imputati a conto economico (questa posizione sarebbe stata espressa in due interpelli inediti di cui danno notizia Committeri G.M. – Di Vittorio D., [Ir]rilevanza IRAP dei dividendi da partecipazioni valutate con l’equity method per gli intermediari finanziaria, in il fisco, 2021, 42, 4031 ss.). In senso analogo è la giurisprudenza di merito (almeno quella nota): dopo aver assunto la prima posizione (cfr. Corte di Giustizia tributaria I grado Milano, sez. 7, 17 ottobre 2022, n. 2789), essa si è repentinamente appiattita sulla nuova posizione dell’Amministrazione finanziaria, affermando, mediante espresso richiamo del più recente orientamento della prassi, l’imponibilità IRAP dei dividendi relativi a partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto (cfr. Corte di Giustizia tributaria I grado Milano, sez. 16, 12 dicembre 2022, n. 3442: nel caso di specie si trattava di dividendi incassati da una società partecipata e non transitati a conto economico in ragione dell’adozione dell’equity method).

Questo cambio di orientamento e la nuova posizione assunta dalla prassi sia amministrativa che giurisprudenziale non paiono condivisibili, se la ragione è quella illustrata.

La specifica modalità di determinazione della base imponibile IRAP per banche e intermediari finanziari, che è imperniata sulla rilevanza di voci determinate del solo conto economico, conferisce rilevanza soltanto ai dividendi classificati nel bilancio in quelle specifiche voci, e tale conclusione non può essere sovvertita dal sopravvenuto art. 2, comma 2 del “Decreto IAS”.

Per un verso, infatti, la limitazione del principio di derivazione dell’imponibile dal bilancio (c.d. presa diretta) è riferibile, quanto ai soggetti IAS adopter, soltanto alle imprese che determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’art. 5 (società di capitali ed enti commerciali che non esercitano attività finanziaria e assicurativa): è solo per tali imprese che si pone, infatti, la questione della determinazione della base imponibile IRAP in modo analogo ai soggetti non IAS adopter (come chiarito nella circ. Assonime, n. 20/2010, par. 2.6.3.), e non anche per quelle che calcolano il valore della produzione netta ai sensi dell’art. 6 (ossia banche e intermediari finanziari), ove lo specifico riferimento a voci determinate del conto economico non determina problematiche di equivalenza. Per altro verso, poi, i dividendi derivanti da partecipazioni valutate con il metodo patrimoniale non passano mai per il conto economico e, dunque, il citato art. 2, comma 2, non è applicabile, posto che il meccanismo di recapture è ivi previsto solo per i componenti rilevanti ai fini IRAP e l’imputazione a conto economico dei predetti dividendi avviene – come si è detto – attraverso l’aggiornamento periodico del costo della partecipazione, che – se positivo – è la rivalutazione, la quale va contabilizzata nella voce 220 (“Utile [perdita] delle partecipazioni”) esclusa dal margine di intermediazione (cfr., in tale senso, anche Committeri G.M. – Di Vittorio D., cit., 4031 ss. e, di recente, Dodero A. – Russetti G., Dividendi su partecipazioni rilevate con equity method: regole IRAP per gli intermediari finanziari, in Corr. trib. n. 2023, 1, 15 ss.).

5. Tanto chiarito, è possibile affrontare la prima questione oggetto della giurisprudenza in esame: la sussistenza di una violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., nella parte in cui l’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 446/1997, stabilisce l’assoggettamento a IRAP in misura forfetaria (il 50 per cento) di tutti i dividendi iscritti nella voce 70 di conto economico, compresi quelli non percepiti nell’esercizio della attività caratteristica.

Come anticipato in apertura, il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente tale violazione, sollevando la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione, sul presupposto che la sua ratio sarebbe stata quella di intercettare ai fini impositivi i soli dividendi da trading, con conseguente necessità di un riferimento più analitico e preciso, essendo questi ultimi iscritti all’interno della specifica lett. A) della voce 70 di conto economico.

La Corte costituzionale ha respinto tale ricostruzione.

In particolare, essa ha ritenuto che l’imponibilità dei dividendi a fini dell’IRAP discende «esclusivamente dal principio di derivazione rafforzata» e che, considerata la composizione della voce 70 di conto economico bancario, «non è in alcun modo ascrivibile alla volontà legislativa di intercettare i soli “dividendi da trading” attraverso un meccanismo forfettario». Quanto alla «riduzione al 50 per cento dei dividendi che rientrano nella voce 70 del conto economico – ovvero non solo i cosiddetti dividendi da trading, ma anche quelli derivanti da partecipazioni diverse da quelle di controllo, collegamento o influenza notevole; nonché quelli che pur derivanti da partecipazioni di controllo, collegamento o influenza notevole sono stati valorizzati, nei limiti del consentito, con un metodo diverso da quello del patrimonio netto (costo storico o fair value) (…) – essa appare rivolta principalmente a evitare (…) un eccesso d’imposizione su tali dividendi, rilevanti sia in capo al percettore che all’emittente».

Alla luce della ricostruzione effettuata nei paragrafi precedenti, la conclusione rassegnata dalla Consulta non è totalmente condivisibile, ma risulta comunque utile per delimitare la sfera dei dividendi tassabili ai fini IRAP.

Non è condivisibile perché, se è vero che il riferimento specifico alla voce 70 comporta l’inclusione nel margine di intermediazione anche dei c.d. dividendi interni, non si può non considerare che l’IRAP intende colpire soltanto il risultato della gestione caratteristica delle imprese, che, in relazione ai dividendi, nel caso delle banche e degli enti finanziari è rappresentato dai soli dividendi da trading alla lett. A (“Attività finanziarie detenute per la negoziazione”) della voce 70 di conto economico. È comunque utile, ai fini della delimitazione dei dividendi tassabili ai fini IRAP, perché la valorizzazione da parte della Corte costituzionale delle specifiche voci di bilancio richiamate dall’art. 6, comma 1, lett. a), ai fini del calcolo della base imponibile IRAP, dovrebbe condurre a escludere – per le ragioni che sono state illustrate – i dividendi relativi a partecipazioni valutate con l’equity method, contrariamente a quanto sostenuto di recente dalla prassi amministrativa e giurisprudenziale: alla luce di tale pronunzia, non è pertanto ammissibile trasformare dividendi non imponibili ai fini IRAP, quali sono quelli relativi a partecipazioni valutate con il metodo patrimoniale, in dividendi imponibili, sia pur nella misura parziale del 50 per cento.

In linea con la propria, consolidata giurisprudenza – secondo cui il suo controllo «si riconduce a un “giudizio sull’uso ragionevole o meno, che il legislatore abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”» (Corte cost., 19 novembre 2020, n. 262; Corte cost. 5 giugno 2013, n. 116; Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 10; Corte cost. 11 ottobre 2012, n. 223; Corte cost. 22 aprile 1997, n. 111 e, sulla legittimità di forme di deducibilità parziale o di forfetizzazione, v. specificamente Corte cost. 19 novembre 2020, n. 262) – la Consulta ha evidentemente ritenuto che nel caso di specie la soluzione adottata rientrasse nel potere discrezionale proprio del legislatore tributario e che non fosse né arbitraria né manifestamente irragionevole e sproporzionata (su tali limiti, v. Corte cost.10 maggio 2019, n. 115; Corte cost., 12 settembre 2019, n. 212 e Corte cost. 19 novembre 2020, n. 262).

6. La seconda questione oggetto della giurisprudenza in esame riguarda la possibilità di disapplicare l’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 446/1997, per incompatibilità con la normativa europea nella parte in cui prevede l’assoggettamento a IRAP di tutti i dividendi iscritti nella voce 70 del conto economico, a prescindere dalla sottovoce, nella misura forfetaria del 50 per cento in luogo del 5 per cento che è previsto dalla Direttiva madre-figlia.

Come evidenziato all’inizio, il giudice di primo grado aveva ritenuto insussistente tale incompatibilità, ma la Corte Costituzionale, sia pur non espressamente investita, aveva chiesto di approfondire meglio la questione, sotto il profilo dell’esistenza di una discriminazione “a rovescio”, alla luce della giurisprudenza europea, come invocato dal ricorrente nel giudizio principale. Tornato a decidere sulla controversia il giudice a quo ha accolto il ricorso della società contribuente sotto tale profilo, ritenendo la Direttiva applicabile anche ai fini IRAP e, per l’effetto, sussistente una discriminazione “al rovescio”, perché l’applicazione della normativa IRAP a una fattispecie domestica comportava un trattamento deteriore rispetto a quello applicabile ad una fattispecie europea in applicazione della citata Direttiva.

Questa ricostruzione è stata respinta dal giudice tributario di appello, che è giunto a conclusioni opposte sia in punto di applicabilità della Direttiva madre-figlia anche ai fini IRAP, sia in punto di configurabilità di una discriminazione a rovescio, perché «non appare (…) pertinente estendere detta disciplina ai dividendi corrisposti tra società nazionali all’interno del relativo territorio, in quanto ogni Stato può avere una propria disciplina che viene armonizzata quando il rapporto intercorre tra società di Stati membri diversi per garantire un trattamento paritario».

7. (Segue). Come è emerso dalla sintesi appena effettuata, per risolvere la questione in esame è propedeutica la verifica dell’applicabilità o meno della Direttiva Madre-Figlia anche all’IRAP.

Senza indugiare in questa sede sui contenuti e sugli aspetti caratterizzanti della suddetta Direttiva (si rinvia, in merito, a Maisto G., Il regime tributario nei rapporti tra “società madri” e “società figlie”, Milano, 1996; Fedele A., La direttiva “madre-figlia” e la disciplina attuativa come complesso normativo unitario e sistematico: i criteri interpretativi, in Rass. trib., 2001, 5, 1256 ss. e, nella manualistica recente, Pistone P., Diritto tributario europeo, Torino, 2018, 226 ss.), l’indagine da effettuare non può che prendere le mosse da due sentenze rese dalla Corte di Giustizia europea del 17 maggio 2017, ossia le cause C-365/16 e C-68/15, che avevano a oggetto la compatibilità di talune misure fiscali (una francese e l’altra belga) con l’art. 4, parr. 1 e 3 della Direttiva Madre-Figlia (per uno specifico commento, v. Corasaniti G., Il divieto di imposizione dei dividendi intracomunitari ai fini della Direttiva madre-figlia: i chiarimenti della Corte di Giustizia UE e le ricadute sulla legislazione interna, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2017, 31, 77 ss. e circ. Assonime, 28 giugno 2017, n. 17).

In specie, nella prima causa la misura fiscale era un contributo aggiuntivo all’imposta sul reddito delle società pari al 3 per cento dell’ammontare degli utili ridistribuiti dalla società madre residente in Francia; nella seconda causa, si trattava di un prelievo speciale, distinto dall’imposta sulle società, ma la cui base imponibile era costituita dalla differenza positiva tra i dividendi lordi ridistribuiti dalla società madre nel periodo d’imposta e il risultato d’esercizio definitivo imponibile (assoggettato all’imposta sulle società). Tanto l’imposta aggiuntiva francese quanto la Fairness Tax belga si applicavano al momento della distribuzione dei dividendi e colpivano direttamente la società̀ erogante.

La CGUE ha censurato entrambe le misure fiscali, a prescindere dal fatto che esse configurassero o meno un’imposta diversa dall’imposta sulle società: secondo i giudici europei, infatti, la doppia imposizione non è esclusa né dal nomen iuris del tributo né dalla circostanza che l’imposizione della società madre abbia come fatto generatore la ridistribuzione di tali utili anziché la loro percezione (come invece previsto nella Direttiva Madre-Figlia).

Scendendo in dettaglio, nel giudizio C-365/16 è stato affermato che l’art. 4, par. 1, lett. a), della Direttiva 2011/96/UE «deve essere interpretato nel senso che tale disposizione osta ad una misura fiscale prevista dallo Stato membro di una società madre, quale quella di cui al procedimento principale, che prevede la riscossione di un’imposta in sede di distribuzione dei dividendi da parte della società madre e la cui base imponibile è costituita dagli importi dei dividendi distribuiti, compresi quelli percepiti dalle società figlie non residenti di tale società». Anche nella causa C-68/1 è stato affermato che «tale disposizione osta a una normativa tributaria nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, nei limiti in cui tale normativa, in una fattispecie in cui gli utili percepiti da una società madre da parte della sua controllata siano distribuiti dalla società madre stessa in un esercizio successivo a quello del loro percepimento, implica la sottoposizione di tali utili ad un’imposizione eccedente la soglia del 5 per cento prevista da tale disposizione».

In definiva, posto che la Francia e il Belgio hanno optato per il criterio dell’esenzione in capo alla società madre del 95 per cento degli utili distribuiti dalle società figlie, esattamente come l’Italia, l’inclusione dei dividendi europei nella base imponibile dei tributi nazionali a parere della CGUE dà luogo a una illegittima doppia imposizione degli stessi.

Se si segue tale approccio spiccatamente sostanzialistico, in relazione alla nostra questione si dovrebbe poter concludere, nel senso che l’art. 6, comma 1, lett. a), decreto IRAP, si pone effettivamente in contrasto con il citato art. 4 della Direttiva laddove prevede un’imposizione pari al 50 per cento di tutti i dividendi, con conseguente dovere del giudice di disapplicare la norma nazionale per incompatibilità.

È appena il caso di ricordare che, in quanto volte a garantire il rispetto e l’applicazione uniforme del diritto unionale, le sentenze interpretative della Corte di Giustizia vincolano i giudici nazionali anche al di fuori del caso specifico, salva la possibilità di rimettere nuovamente la questione innanzi alla medesima CGUE (sul delicato tema dell’efficacia delle pronunce della CGUE, v., fra gli altri, Carpentieri L., Le fonti del diritto tributario, in Fantozzi A., a cura di, Diritto tributario, Torino, 2012, 221 ss.; Gianoncelli S., I principi UE nella giurisprudenza tributaria della cassazione: primato del diritto europeo e discriminazioni a rovescio, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 3, 613 ss. e Melis G., Lezioni di diritto tributario, Torino, 2017, 171 ss.).

Alla luce di quanto osservato, non può essere condivisa la conclusione raggiunta dai giudici di secondo grado dell’Emilia Romagna secondo cui la Direttiva Madre-Figlia si applicherebbe solo all’IRES, con la conseguenza di non comportare alcun contrasto per la disciplina IRAP dei dividendi

Per completezza, va evidenziato che, oltre nella pronuncia di primo grado n. 53/2022 in commento, l’art. 6 decreto IRAP è stato disapplicato (almeno a quanto consta) solo dalla Corte di Giustizia tributaria per il Lazio, 24 maggio 2022, n. 2303, argomentando che «in modo inequivoco (…) la Corte Costituzionale ha ritenuto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sia concorde nell’affermare la piena applicazione del principio del divieto di doppia imposizione dei dividendi UE anche all’Irap». È, invece, molto più nutrito il numero delle sentenze che si sono espresse in senso contrario (cfr. Comm. trib. prov. Milano, 29 giugno 2021, n. 2893; Comm. trib. prov. Roma, 29 novembre 2019, 16331; Comm. trib. prov. Milano, 10 settembre 2019, nn. 3583 e 3584; Comm. trib. prov. Firenze, 12 marzo 2019, n. 265).

8. (Segue). Se si accoglie la tesi qui sostenuta, avversata – come si è evidenziato – dalla prevalente giurisprudenza di merito, ci si può porre il successivo problema dell’estensione della portata della Direttiva anche ai casi in cui i dividendi percepiti dalla società madre derivino da partecipazioni detenute in una società figlia residente nel suo stesso Stato, ciò al fine di evitare una “discriminazione alla rovescia” rispetto alle società madri che ricevono questi stessi proventi da società figlie residenti in altri Stati membri e che godono del regime unionale contro la doppia imposizione.

Il problema può essere affrontato in concreto, sebbene il percorso sia complicato: infatti, l’iter che la società interessata dovrebbe intraprendere, per contestare l’esistenza di una discriminazione a rovescio, è quello di sollevare questione di illegittimità costituzionale della normativa nazionale per violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost., nonché del principio di non discriminazione ex art. 18 TFUE (v., in dottrina, Corasaniti G., cit., 83-84).

Certamente non appaiono condivisibili le motivazioni addotte dalla Commissione tributaria regionale per negare la possibilità di estendere ai dividendi corrisposti tra società nazionali il regime unionale.

Nel fare riferimento a quanto dichiarato dalla Consulta in ordine alla ratio giustificativa del criterio forfettario – si legge, infatti, nella motivazione della sentenza di secondo grado che «la stessa sentenza della Corte costituzionale (n. 12/2022) ha implicitamente ammesso la razionalità ed il carattere non discriminatorio della disciplina IRAP sui dividendi quando afferma la riduzione al 50 per cento» – il giudice di appello trascura completamente la lettura costituzionalmente orientata sugli effetti diretti della Direttiva e sulla configurazione di una forma di discriminazione alla rovescia, ma soprattutto non si confronta, al contrario di quanto aveva correttamente fatto il giudice di primo grado, con la giurisprudenza europea, che – come si è dimostrato – sembra andare nella direzione esattamente opposta.

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