RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Un (tentativo di) dialogo fra dottrina e giurisprudenza – Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5984
Di Adriana Salvati
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Sulla risarcibilità civilistica in caso di accertamento colposamente erroneo e produttivo di danni ingiusti. (*)
La massima della Suprema Corte
L’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c.: è consentito, allora, al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e di tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. È, dunque, legittimo il riconoscimento del risarcimento del danno sofferto dal contribuente a causa dell’accertata responsabilità colposa dei verificatori, per i fatti fiscali erroneamente attribuiti al danneggiato e che, all’esito dell’ispezione fiscale, hanno dato origine a procedimenti penali e tributari a suo carico.
Il (tentativo di) dialogo
La sentenza della Suprema Corte, premessa la giurisdizione del giudice ordinario in materia di responsabilità aquiliana, affronta la delicata questione del danno subito dal contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria, individuandone chiaramente presupposti e limiti.
Nel caso di specie, la verifica operata dall’Amministrazione era stata eseguita con alcuni errori grossolani, commessi dai verificatori, comprovati nei due procedimenti penali scaturiti dalla stessa verifica e definiti, rispettivamente, con un provvedimento di archiviazione e con una sentenza di non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”. Tali vicende avevano prodotto notevoli ripercussioni sulla salute, sulla vita lavorativa e di relazione del contribuente.
La Cassazione richiama i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., che regolano l’azione amministrativa, e li qualifica come limiti esterni della discrezionalità della pubblica amministrazione, la cui violazione comporta l’assoggettamento ad azione ex art. 2043 c.c. E questo perché l’attività amministrativa deve comunque svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., di modo che, a fronte di comportamenti colposi o dolosi l’Amministrazione, che abbiano determinato la violazione di un diritto soggettivo, il danno cagionato deve essere risarcito.
La pronuncia è certamente condivisibile e tanto soprattutto nella parte in cui connette la responsabilità civile dell’Amministrazione finanziaria alla violazione dei principi che regolano il suo agire, valorizzando la centralità del tema dei doveri riconducibili all’Amministrazione e delle conseguenze connesse alla relativa violazione ed enfatizzando la responsabilità di ruolo.
Riconoscere la responsabilità dell’Amministrazione finanziaria equivale a dare contenuto agli obblighi di protezione di quest’ultima nei confronti del contribuente, doveri generici connessi alla specificità della funzione e che costituiscono il limite all’autorità, in un delicato equilibrismo tra azione del soggetto e esigenze di garanzia dei destinatari dell’azione.
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Come noto, il sistema si è progressivamente orientato verso una formalizzazione in capo all’Amministrazione finanziaria di precisi doveri anche di protezione del contribuente, recependo in parte le istanze che, nella giurisprudenza amministrativa, avevano portato all’elaborazione della teoria della responsabilità “da contatto” tra Amministrazione e privato (Cass. civ., 22 novembre 2019, n. 30502; 26 luglio 2019, n. 20285 e 25 luglio 2018, n. 19775). Basti pensare, nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente, al disposto dell’art. 10, che impone alle parti del rapporto tributario e, quindi, anche all’Agenzia delle Entrate, di comportarsi con correttezza e buona fede, e alle ulteriori specificazioni negli artt. 6 ss. che prevedono una fitta rete di tutele per il contribuente nella fase dell’attuazione amministrativa del tributo. Con riferimento alla riscossione, poi, è prevista l’applicabilità dei principi statutari all’attività dell’Agente della riscossione. Confermano il trend di progressiva enfasi sulla responsabilità amministrativa anche i codici di comportamento dei dipendenti pubblici, adottati, a norma dell’art. 54 del D.Lgs. n. 165/2001, con il regolamento di cui al D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62. Nel codice di condotta adottato dall’Agenzia delle Entrate, con provvedimento del Direttore del 16 settembre 2015, si ribadisce che il dipendente deve osservare la Costituzione e conformare la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, oltre a svolgere i propri compiti nel rispetto della legge. All’art. 2, poi, il suddetto provvedimento stabilisce che il funzionario deve rispettare altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e deve agire in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi. Infine, il dipendente deve esercitare i propri compiti orientando l’azione amministrativa alla massima efficacia, efficienza, economicità e trasparenza.
Alla previsione dei doveri corrisponde l’attribuzione di responsabilità, sicché il fondamento e il limite della responsabilità amministrativa sono ravvisabili nei principi che ne informano l’azione e in quello di neminem laedere, come ribadito dalla sentenza in commento.
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Lo stretto nesso tra doveri e responsabilità deve consentire una più agile ed efficace tutela del contribuente tramite l’esercizio di azioni di risarcimento danni: al potere corrisponde sempre il dovere e la responsabilità e l’effettività della tutela è essenziale per un equilibrato rapporto tra fisco e contribuente.
La connessione tra doveri e responsabilità costituisce, quindi, il sostrato concettuale della nozione di colpevolezza: una volta riferito l’illecito commesso dal funzionario all’amministrazione, per effetto del rapporto organico e della funzionalizzazione dell’atto alla realizzazione di fini istituzionali dell’ente, occorre provare la sussistenza della colpevolezza dell’agire. Ecco allora che l’accertamento in concreto della colpa dell’Amministrazione finanziaria è configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali, in punto di imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, in punto di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (in tal senso, già Cass. civ., 20 dicembre 2018, n. 32929, che richiamava la nota sentenza 21 ottobre 2005, n. 20358).
La giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, chiarito che, in caso di domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della pubblica amministrazione, al fine di stabilire se la fattispecie concreta integri un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., il giudice deve procedere a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; c) accertare, sotto il profilo causale, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della pubblica amministrazione; d) stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della stessa (cfr. Cass. civ., 9 novembre 2018, n. 28798; 22 novembre 2017 n. 27800; 29 marzo 2004, n. 6199).
Sotto quest’ultimo aspetto, la prova dell’elemento soggettivo della colpa presuppone un comportamento contrastante con le regole di diligenza, prudenza e perizia, secondo parametri di ragionevolezza: si tratta, cioè, di dimostrare che l’atto, così come strutturato, oltre ad essere illegittimo costituisce anche cattivo esercizio della funzione amministrativa, evidenziando il contrasto tra l’atto illegittimo e i principi che governano l’azione dell’amministrazione, vale a dire l’imparzialità, la correttezza, il buon andamento.
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Trasferendo tali principi nell’ambito del procedimento tributario, la prova dell’illiceità dell’atto di accertamento dovrebbe, quindi, articolarsi nella dimostrazione del grado di gravità degli errori, di diritto e di fatto, a fondamento degli atti e della sussistenza dell’elemento psicologico.
La dimostrazione della colpevolezza riferita all’amministrazione finanziaria può essere semplificata con l’utilizzo delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., che consentono al contribuente, danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo, di dimostrare più facilmente l’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa: pur non essendo configurabile una generalizzata presunzione di colpa dell’Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo, possono operare regole di comune esperienza che consentono una dimostrazione semplificata della gravità della stessa. In quest’ottica, forniti gli indici rivelatori della colpa, con un’inversione dell’onere probatorio, spetterebbe poi all’Amministrazione finanziaria provare che, nel caso di specie, non vi era colpevolezza dell’agire per la scusabilità dell’errore (Cass. civ., 4 aprile 2019 n. 9348; 2 febbraio 2007, n. 2305).
È possibile, allora, offrire al giudice elementi indiziari che comportino, di per sé, una presunzione di colpevolezza idonea a supportare una condanna al risarcimento. Si pensi, ad esempio, alla gravità della violazione, all’univocità della normativa di riferimento ed eventualmente degli stessi orientamenti amministrativi. Ecco allora che, tra tali elementi, possono essere incluse le istanze di autotutela presentate dal contribuente, le memorie e i documenti depositati nel contraddittorio con l’Amministrazione, tutti indizi che concorrono a costituire i tasselli del sostrato probatorio idoneo a dimostrare il grado di consapevolezza, che l’Amministrazione avrebbe dovuto maturare in ordine all’illegittimità dell’atto, e la gravità della colpa nel perseverare nell’azione di accertamento.
Questo è il percorso seguito dalla Suprema Corte, con la sentenza in commento, laddove, nel ribadire la necessità che l’azione dannosa sia stata compiuta con dolo o colpa, valorizza, come tassello conoscitivo della gravità della colpa, la presentazione di un’istanza di autotutela da parte del contribuente, che avrebbe consentito all’Amministrazione di rivalutare il proprio operato. Ferma restando l’irrilevanza della denuncia penale inoltrata dai verificatori, atto dovuto, e quindi in sé ininfluente, la sentenza richiama la colpa grave dei verificatori nella effettuazione dei loro accertamenti, che, se fossero stati effettuati correttamente, non avrebbero indotto il P.M. ad esercitare l’azione penale. Alla gravità della colpa consegue la responsabilità amministrativa e la legittimità del risarcimento a favore del contribuente danneggiato.
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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