Se le caratteristiche strutturali della materia tributaria non appaiono decisive per farne una terra d’elezione di sperimentazioni di giustizia predittiva, non può tuttavia tacersi che le persistenti criticità (dalle rilevanti ricadute anche economiche) che connotano lo stato della giustizia tributaria (sia di merito, che di legittimità), costituiscono una ragione di spinta del potenziamento di strumenti di e-justice in questo ambito. Sulle potenzialità e sui limiti di tali strumenti occorre vigilare nella prospettiva della tutela dei diritti, anche per evitare che soluzioni emergenziali snaturino permanentemente, senza una ponderata considerazione, la struttura stessa della decisione giudiziale.
Predictability, predictivity and humanity of judging in tax matters. – If the structural characteristics of tax matters do not appear decisive for making it a land of choice for experiments in predictive justice, one cannot however keep silent about the fact that the persistent critical issues (making significant economic repercussions) that characterize the state of tax justice (both of merit, than legitimacy), are a driving force behind the strengthening of e-justice tools in this area. The potential and limits of these instruments need to be monitored from the perspective of the protection of rights, also to prevent emergency solutions from permanently distorting, without thoughtful consideration, the very structure of the judicial decision.
Sommario:1. Una doverosa precisazione sul titolo: perché una riflessione in materia tributaria? – 2. Prolegomeni: la predittività, la prevedibilità e l’umanità. – 3. Gli effetti della predittività e prevedibilità sulla risoluzione delle controversie in materia tributaria.
1. Il titolo della mia relazione trae spunto da quello della XIII Assemblea degli osservatori sulla giustizia civile tenutasi nel 2018, appunto Prevedibilità, predittività e umanità del giudicare. Sono passati ormai quattro anni e la dottrina sia nazionale che internazionale ha dedicato al tema ampie riflessioni, non solo in saggi su riviste giuridiche, ma anche in trattazioni monografiche. Applicazioni informatiche e piattaforme finalizzate alla cosiddetta predictive justice sono ormai una realtà in diversi Paesi, seppure in via sperimentale e limitata ad alcuni specifici settori, ancorché in effetti nella maggior parte dei casi si tratti, in verità, di utilizzi di vario genere, comunque riconducibili al vasto panorama dell’e-justice connessa all’implementazione della digitalizzazione nella gestione dei diversi aspetti finalizzati, in senso lato, all’amministrazione della giustizia.
Mi è stato chiesto di declinare questi aspetti nella specifica prospettiva della funzione giurisdizionale in materia tributaria.
In effetti, secondo una parte della dottrina tributaria, alcune “storicamente radicate” caratteristiche di questa materia (in particolare il tecnicismo della disciplina; la normativa casistica “a fattispecie esclusiva”, riferibile a una casistica spesso seriale e necessariamente declinabile in misure numeriche; la mancanza di principi generali da interpretare e le conseguenti considerazioni sulla natura eccezionale e quasi penale della norma fiscale con conseguente divieto di interpretazione analogica) la renderebbero, forse più di altre, idonea a costituire un valido campo di riferimento da cui cogliere buoni frutti per elaborazioni automatizzate di dati finalizzate alla risoluzione di controversie. Ciò sia a volere applicare sequenze algoritmiche all’interpretazione automatizzata della disciplina (intesa quale complesso di fonti normative rispetto un determinato ambito all’uopo delineato) funzionale alla decisione da adottare (secondo meccanismi induttivi di logica formale), sia invece volendo fare riferimento alla più generale capacità di estrarre il “senso” delle decisioni precedenti per individuare la soluzione dei nuovi casi (secondo meccanismi deduttivi).
Sembrerebbe quasi un campo di elezione per l’applicazione di sistemi automatizzati di interpretazione e di elaborazione probabilistica sulla base delle precedenti applicazioni.
Ciò sembrerebbe ulteriormente avvalorato dalla circostanza che l’attuazione della quasi totalità dei tributi è oggi mediata da dichiarazioni, in parte addirittura precompilate, e in generale mediate da standardizzazioni di comportamenti dei contribuenti rappresentanti mediante modulistica.
Tale considerazione non appare convincente. Essa si fonda, infatti, su una sopravvalutazione del cosiddetto particolarismo della materia tributaria che per lungo tempo ha caratterizzato questo ambito dell’ordinamento.
Del resto, anche nella teoria generale, sembrano ormai tramontati i miti della fattispecie esclusiva, della natura eccezionale e del correlato divieto di analogia, tutti progressivamente caduti di fronte all’egemone ricerca della ratio della norma estensibile ad altre fattispecie appunto in conseguenza di un’identità di rationes. Si può e si deve dunque affermare con fermezza che anche la norma tributaria, sia essa norma impositiva o agevolativa, al pari di ogni altro precetto dell’ordinamento giuridico, può e deve essere ricondotta a sistema.
Peraltro, non sembra parimenti corretto affermare che la materia tributaria sia strutturalmente scevra di norme generali. Si pensi per tutti alle norme sulle valutazioni utili ai fini della determinazione sui redditi o, ancora, a quelle finalizzate a definire i concetti di abuso del diritto e di elusione da imposta, che il legislatore del 2015, proprio superando un modello normativo casistico, ha ancorato a una clausola generale. A ciò si aggiunga che, sempre più spesso la giurisprudenza (non solo di legittimità, ma anche di merito) decide su fattispecie facendo diretta applicazione di precetti costituzionali (in particolare del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.), anche enfatizzando formule metagiuridiche quali, in particolare, il cosiddetto principio di prevalenza della sostanza sulla forma.
Non si può inoltre sottovalutare il fatto che l’ipertrofia della disciplina tributaria (che, nonostante numerosi tentativi, non ha mai conosciuto una codificazione in senso tecnico), ha portato a un’abnorme complessità dell’ordinamento con fenomeni di stratificazione normativa. Una disciplina che, nonostante sia uno dei pochi settori dell’ordinamento che ha disciplinato specifici principi di drafting e norme sulla produzione legislativa (agli artt. da 2 a 4 dello Statuto dei diritti del contribuente), ne è reiteratamente irrispettosa, e non solo in sede di emendamenti a leggi finanziarie (come noto approvate in unico articolo con una molteplicità di commi che superano spesso i mille) e di decreti cosiddetti milleproroghe caratterizzati dai più intricati rinvii normativi.
Infine, da una prospettiva ancora diversa occorre riscontrare che la qualità della giurisprudenza tributaria risente, spesso negativamente, di alcune sue intrinseche peculiarità.
Come è noto si tratta di una giustizia che, in forza della VI disposizione transitoria e finale della Carta costituzionale, è amministrata nei gradi di merito da giudici non togati (tra cui possono – certo – figurare giudici togati che scelgano di accedere, in aggiunta al loro ministero, a tale ufficio) che svolgono questo compito in modo non esclusivo e che sono stipendiati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ovviamente le pronunce delle Commissioni sono ricorribili in Cassazione, ove è attiva una sezione civile (la V) dedicata, con ruolo di filtro della VI sezione stralcio.
La particolarità sta dunque nella circostanza che nel merito la funzione non è esercitata da giudici togati e nel giudizio di legittimità la funzione è esercitata da giudici togati che tuttavia – salvo eccezioni di presidenti di Commissioni tributarie – non si sono formati nella materia tributaria e soprattutto non aspirano a rimanere nell’ambito di quella sezione, anche perché “sovrastati” da un numero esorbitante di cause iscritte ruolo. Peraltro, per ciò che concerne le decisioni dei gradi di merito, al momento è impossibile attestarne la consistenza, individuarne i principali filoni interpretativi o gli indirizzi prevalenti o minoritari, poiché la divulgazione dei precedenti è frutto esclusivamente di scelte editoriali, massimazioni e catalogazioni a cura di iniziative su base locale con ausilio, talvolta, di singole Università.
A ciò si aggiunga che, dopo una fase facoltativa, solo dal 1° luglio 2019 è divenuto obbligatorio il processo tributario telematico (in forza del quale i ricorsi devono esser presentati secondo il sistema SIGIT). Cosicché la fase della digitalizzazione degli atti processuali è praticamente appena iniziata.
Tutto ciò tende a confutare l’affermazione di cui sopra per cui la materia tributaria sarebbe strutturalmente un luogo privilegiato per sperimentare la predittività della giustizia o meglio porta a constatare che mancano le precondizioni affinché una tale materia, possa, allo stato, trovare beneficio da sistemi di automatizzazione delle decisioni giudiziali. Sarà semmai proprio l’afflusso massiccio di dati digitalizzati a costituire la base necessaria per dovere ipotizzare un efficiente sistema di e-justice, anche tenuto conto della tutela di tutte quelle garanzie, ad esso riconducibili, insite nella nostra Carta costituzionale (accesso alla giustizia, diritto di difesa, equo processo, diritto al contraddittorio, imparzialità e indipendenza del giudice, ragionevole durata del processo).
Non si può infatti tralasciare che l’AI Act elaborato dalla Commissione europea riconduce l’amministrazione della giustizia tra i sistemi ad alto rischio, precisando (in particolare agli artt. da 10 a 15) pertanto che questi possono essere resi operativi solo previa una verifica di conformità a determinati requisiti e con precise responsabilità e obblighi in capo agli operatori (in particolare quanto al tracciamento dei dati, alla formazione dell’algoritmo e alla riproducibilità delle risultanze), proprio in ragione del significativo impatto che essi possono avere innanzitutto sulla democrazia e sullo Stato di diritto, oltre che, sia in via diretta che mediata, sulla tutela delle libertà individuali.
Perché, allora, nella materia tributaria una predittività della giustizia pare addirittura auspicata?
Perché sulla digitalizzazione degli atti del processo, sull’implementazione della massimazione delle decisioni e sulla convergenza delle banche dati in materia tributaria il Governo ha addirittura fissato uno specifico obiettivo del PNRR?
Più precisamente, nel PNRR si è affermato che il contenzioso tributario costituisce un settore cruciale per l’impatto che può avere sulla fiducia degli operatori economici, anche nella prospettiva degli investimenti esteri risente fortemente delle criticità legate ai tempi della amministrazione della giustizia. Criticità che attengono sia a profili quantitativi (arretrati del 2021 sono 47.364 su 111.241 ricorsi in Cassazione e una contrazione del contenzioso in appello dovuta per lo più agli stralci dei ruoli e alle proroghe delle rottamazioni), che qualitativi (nel 2020 la Cassazione ha annullato il 47% delle decisioni di appello), che temporali (tempi di giacenza tra 6 e 8 anni dei ricorsi in Cassazione, ovviamente in aggiunta ai gradi di merito).
Il PNRR ha posto come obiettivi specifici interventi volti a ridurre il numero dei ricorsi alla Cassazione, individuando i seguenti strumenti: a) migliore accesso alle fonti giurisprudenziali mediante il perfezionamento delle piattaforme tecnologiche e la loro piena accessibilità da parte del pubblico (con impegno del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria con un progetto concreto da realizzarsi nell’arco di un triennio); b) introduzione del rinvio pregiudiziale «per risolvere dubbiinterpretativi e prevenire la formazione di indirizzi difformi dai consolidati della Corte di cassazione» (questo istituto dovrebbe favorire il raccordo e il dialogo tra gli organi di merito e la Cassazione, valorizzando il suo ruolo nomofilattico); c) rafforzamento della dotazione di personale (ampliamento di organico della sezione tributaria), incentivi economici e personale ausiliario; d) relativamente al merito la revisione – in termini di potenziamento – dell’istituto della mediazione tributaria, che è una fase obbligatoria precontenziosa deflattiva per controversie di valore non superiore a cinquantamila euro.
A ben vedere, il contenzioso tributario è ampio, variegato per oggetto e per valore economico, coinvolge gli operatori economici, le aziende grandi e piccole, i professionisti come i semplici cittadini e per ognuno di essi la pendenza di un giudizio tributario può incidere sulle condizioni di vita.
Questi in sintesi i motivi dell’urgenza di una risposta di giustizia tempestiva, equa e certa, improntata all’insegna dell’indipendenza e qualità di coloro che esercitano la funzione giurisdizionale.
La calcolabilità giuridica – recte la possibilità di misurare ex ante gli esiti di un contenzioso – diventa evidentemente un fattore determinante per lo sviluppo economico: è indubbio che la prevedibilità dell’esito di una lite inciderà sulla pianificazione attenta dei costi in particolare nel contesto d’impresa e di investimenti da parte di soggetti stranieri (in particolari di quei Paesi abituati a concordare ex ante con il Fisco – attraverso moduli di tax ruling – il regime tributario da applicare in concreto soprattutto su operazioni economiche di importante spessore economico). In questo ambito, proprio a livello internazionale, arrivano notizie di software predittivi delle decisioni giudiziali (ancorché, andando poi a vedere in concreto la loro operatività, essi costituiscono per lo più solo forme avanzate e raffinate di digitalizzazione di dati da poter compulsare ordinatamente).
A nostro avviso la risposta agli interrogativi posti risiede paradossalmente nelle medesime ragioni di criticità sopra individuate; ed infatti, sono cioè proprio queste stesse ragioni a costituire il volano per superare (o dare l’illusione di superare) lo stato di esasperazione e congestione che attualmente caratterizza la giustizia tributaria, cosicché una decisione automatizzata appare quantomeno più certa, rapida, equa ed efficiente di quella attualmente adottata dagli uomini (!).
In altri termini, “il tributario” costituisce un ambito in cui la consapevolezza dei sette vizi capitali dell’AI evidenziati dalla dottrina (Gambino A., I sette vizi capitali dei giudici-robot, in Rivista online Diritto Mercato Tecnologia, 2018): imperfezione, opacità, insufficienza, disumanità, comodità, inaccuratezza e incompletezza, non sembrano essere di ostacolo a considerare positivamente una riforma attuata nella prospettiva di perseguire un maggior grado di predittività e prevedibilità degli esiti del contenzioso.
Una giustizia automatica quale sorta di salvifico Justizklavier. Il riferimento è al racconto di uno scrittore satirico austriaco (Alexander Roda Roda) dei primi del Novecento che narrava di un inventore di pianoforte, con i tasti neri per i reati e le circostanze aggravanti e i bianchi per gli elementi di discolpa e attenuanti, in grado di fornire un verdetto immediato. Uno strumento salutato con favore dal Governo, che si limitò solo ad aggiungere pedali “piano” per il partito di maggioranza e “forte” per quello di opposizione, riscontrandone così il sicuro successo presso l’opinione pubblica.
Da quanto premesso si può dunque concludere che, ammesso e non concesso che la materia tributaria (per la serialità e il tecnicismo di alcuni contenziosi in specifici ambiti, ad esempio si pensi alle contestazioni sui dati catastali) si presti più di altre a poter essere governata nella prospettiva della certezza del diritto da macchine in grado di elaborare dati, essa è allo stato manchevole, sotto diversi aspetti, di un’infrastruttura idonea a far convergere dati utili per trarre informazioni ovverosia deduzioni statisticamente attendibili e utilizzabili ai fini della gestione del contenzioso da parte degli Uffici preposti.
Persistono le patologie croniche che affliggono la materia e il cui superamento costituisce l’antefatto necessario e imprescindibile per poter utilmente confrontarsi con il tema della predittività della giustizia tributaria, in un ambito, cioè, in cui – ad oggi – è già difficile confrontarsi con quello della prevedibilità rispetto a una giustizia amministrata da umani.
Diversi sono gli elementi che paiono confermare l’urgenza di una riforma in questa direzione.
È infatti da segnalare che, il Comitato di gestione e coordinamento del progetto Governance, attuativo del «Programma operativo nazionale governance e capacità istituzionale 2014-2020», varato a livello europeo, ha presentato il progetto “PRODIGIT”, «progetto sperimentale a supporto della giustizia tributaria: dalla digitalizzazione dei servizi alla creazione dell’hub del Giudice Tributario; dalla prevedibilità della decisione alla competitività del comparto; tecnologie ICT ed AI al servizio di Contribuenti, Difensori, Giudici». Tale progetto, dichiaratamente finalizzato ad avvalersi «della tecnologia digitale e della intelligenza artificiale», è stato da ultimo inserito nel PNRR, nel capitolo «La riforma della Giustizia Tributaria», in quanto la sua attuazione è stata considerata funzionale al raggiungimento degli obiettivi del Piano. Per la sua realizzazione è attualmente in corso un bando di selezione esperti per la disciplina ed il funzionamento del laboratorio digitale del giudice tributario (reperibile sul sito www.giustizia-tributaria.it).
A ciò si aggiunge che proprio nelle more della pubblicazione di questo scritto, in attuazione del PNRR è stata approvata la L. 31 agosto 2022, n. 130, recante «Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari» che, tra l’altro, prevede l’istituzione dell’Ufficio del massimario nazionale (art. 24-bis D.Lgs. n. 545/1992), composto da quindici giudici, che provvederà a rilevare, classificare e ordinare in massime le decisioni delle Corti di giustizia tributaria di secondo grado e le più significative tra quelle emesse nel primo grado. La stessa disciplina prevede inoltre che mediante convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e la Corte di Cassazione sono stabilite le modalità per la consultazione della banca dati della giurisprudenza tributaria di merito da parte della Corte di Cassazione.
Infine sembra parimenti di grande rilievo che il Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva – Anno 2022 – allegato alla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (c.d. NADEF) abbia precisato che i positivi risultati in termini di recupero di imposte «sono stati raggiunti anche grazie all’adozione di nuovi approcci operativi, basati sull’utilizzo di soluzioni tecnologiche innovative e di tecniche di intelligenza artificiale applicate alle attività di analisi del rischio fiscale».
Tutto lascia presagire che nella materia tributaria, a breve termine, la predittività algoritmica avrà un ruolo non indifferente sia ai fini dell’attività di controllo e di accertamento dell’Amministrazione finanziaria e della Guardia di finanza, che ai fini del contenzioso. Appare dunque necessario un certo grado di vigilanza da parte della dottrina affinché l’entusiasmo per un salvifico Justizklavier non si tramuti nella constatazione di un “efficiente” sistema di attuazione dei tributi dominato dittatura del calcolo (Zellini P., La dittatura del calcolo, Milano, 2018) pagandone un prezzo troppo alto in termini di diritti fondamentali e connotazione strutturale del nostro ordinamento.
2. Nel rispetto del tema assegnatomi e nella consapevolezza che il dibattito di questo Convegno vuole collocarsi nella prospettiva dell’evoluzione tecnologica e dell’implementazione digitale, amplificata dall’eventuale ricorso all’intelligenza artificiale per processare un’ingente quantità di dati, ritengo necessario dei prolegomeni.
Credo che sia ancora immaginifica la prospettiva di un’algocrazia (Danaher J., The threat of algocracy: Reality, resistance and accommodation. Philosophy and Technology, 2016, 29-3: 245–268.), ma è ormai tempo di prestare attenzione, in una prospettiva giuridica, alla governance dell’algoritmo. Sviluppare, realizzare e rendere operativi algoritmi costituisce, infatti, un importante mezzo di regolamentazione e di esercizio del potere in un contesto ormai complessivamente trasformato dalla rivoluzione digitale (definibile, secondo la classificazione di Marcell Mauss, un «fatto sociale totale»).
Occorre infatti muovere dalla constatazione pacifica, confermata dagli elementi sopra accennati, che non si può arginare l’avanzamento tecnologico, ma che la tecnologia deve essere regolata fin dalla costruzione del codice perché essa si nutre di dati e che dunque elemento imprescindibile è la bontà del dato immesso, sia esso legislativo, giurisprudenziale, di prassi (nella specie circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate), di dottrina, di scritti difensivi, istruzioni ministeriali, eccetera, poiché gli elaboratori, in modo più o meno complesso, procedono sulla base di sillogismi.
La nota formula garbage in, garbage out, coniata in epoca ormai risalente dai primi programmatori dei computer per imputare al dato immesso le imperfezioni di risultato degli elaboratori, appare oggi ancora calzante. Ciò ancorché attualmente il livello di sofisticazione della programmazione consente alla macchina, mediante sistemi di machine learning, di apprendere ed evolversi nelle sue determinazioni, poiché questo avviene comunque sulla base di input direzionali originariamente immessi. Proprio da tali input possono peraltro scaturire bias che, nella complessità e velocità dell’elaborazione algoritmica, possono essere difficilmente rinvenibili, quanto meno nell’immediato.
La dottrina ha già chiarito che pervenire a decisioni mediante l’utilizzo di algoritmi non significa delegare la decisione ad un altro soggetto (la macchina) ma spostare il potere decisionale ad altri soggetti più o meno consapevoli dei singoli “segmenti” attraverso cui si forma la decisione. Essi saranno nella maggior parte dei casi gli ingegneri, i programmatori e coloro che insieme al legislatore disegnano le regole alla base del funzionamento della macchina che processa i dati sulla base di indicazioni immesse.
Se si accede a tale prospettiva, dunque, la macchina non è un soggetto, non comprende, non decide: essa esegue istruzioni, a monte delle quali ci sono uomini che operano scelte, che si ripercuotono sulla selezione dei dati e conseguentemente sulla decisione finale, in attuazione di una funzione numerica strutturalmente fallibile.
È questa la dittatura del calcolo.
Molto sinteticamente può dirsi che esistono dati, metadati e, poi, su di essi operano algoritmi che su base statistica e leggi probabilistiche (dunque fallibili e non matematiche ed esatte) creano modelli di previsioni complesse. Questo percorso di scelte viene ulteriormente guidato inserendo delle regole di livello diverso che possono portare a risultati incrementativi e potenziati mediante il machine learning. Proprio perché basato su probabilità, l’efficienza del risultato algoritmico è direttamente proporzionale al tasso randomico consentito nel codice sorgente (ovverosia al margine di scelta che “apparentemente” non segue criteri regolari). Tale tipo di elaborazione per essere affidabile richiede non solo un numero davvero notevole di dati da processare, ma anche una rilevante e variegata tipologia di varianti da considerare, con conseguente opacità del percorso decisionale algoritmico (sand box). Si tratta evidentemente di caratteristiche tecniche non necessariamente soddisfacenti il profilo delle tutele giuridiche.
Nel titolo di questa relazione figurano tre lemmi: predittività, prevedibilità e umanità.
In termini generali, in un’ottica giuspositivista, la predittività può significare l’inverazione di una interpretazione normativa costruita come progressione di postulati quale conseguenza della certezza del diritto e della prefigurabilità degli esiti dell’applicazione in concreto della norma generale e astratta: una disciplina generale e astratta rivolta al futuro che appunto si invera nella singola fattispecie “predicendo” il diritto da applicare in concreto. In questa prospettiva risulta determinate la confezione della regola e la sua intellegibilità: rispetto ad essa la buona legistica consentirebbe di attuare il brocardo in claris non fit interpretatio e il giudice diverrebbe la bouche de la loi. È evidente, allora, che il tecnicismo delle regole e la natura di dettaglio della disciplina, costituirebbero un elemento positivo per una loro uniforme applicazione, poiché, al contrario, regole generali e principi lasciano ampi margini di interpretazione e applicazione del diritto.
Tuttavia, per quanto la logica informatica (Viola L., Interpretazione della legge con modelli matematici. Processo, a.d.r., giustizia predittiva, II ed., Milano, 2018) si stia cimentando in esercizi di tal fatta, non sembra verosimile che sia questo il futuro dello sfruttamento di AI in materia tributaria.
La prevedibilità, invece, può essere intesa quale principale portato del giusrealismo giuridico, che si basa sulle decisioni già assunte in sede giurisdizionale le quali rilevano in termini di precedente. Si tratta di una prospettazione del futuro che si fonda sul passato e si nutre delle fattispecie concrete.
In questa prospettiva risulta fondamentale sia il rigore nella formazione del precedente rispetto al quale sviluppare poi le determinazioni successive, sia la classificazione dello stesso nell’ambito di sistemi di massimazione o catalogazione (in base a principio di diritto e/o descrizione della fattispecie, ecc.). Pertanto, le continue modificazioni della disciplina tributaria rendono il basket di dati (necessariamente del passato) di riferimento o non uniforme o estremamente variabile e difficilmente attendibile se non attraverso regole di progressiva correzione dell’apprezzamento dei dati stessi.
L’umanità è il motore di queste dinamiche: è l’uomo a stabilire le regole (quale legislatore) in termini di predittività, è l’uomo ad assumere le decisioni (quale giudice e quale amministratore) sulla base delle quali strutturare la prevedibilità, è l’uomo ad elaborare l’algoritmo da cui scaturiscono gli esiti della compulsazione.
Da sempre l’uomo persegue la predittività del diritto e la prevedibilità della decisione per la certezza dei rapporti nell’ambito della comunità in cui si svolgono le relazioni tra soggetti. Ciò nell’assunto che la certezza sia foriera di ordine e che progresso ed evoluzione si sviluppino più favorevolmente nell’ordine inteso quale prevedibile e reiterata identità di esiti.
In una prospettiva weberiana tali elementi caratterizzano la machina della giustizia in funzione del progresso. Su tutti i fronti la materia tributaria è, allo stato, – come già detto – decisamente manchevole.
Un assunto, tutto da dimostrare, ma su cui si basa l’apprezzamento valoriale della predittività è che l’ordinamento debba perseguire l’uniformità del diritto e che ciò debba essere assicurato dalla Corte di Cassazione (art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario, che ne precisa la funzione nomofilattica) e che ciò costituisca un inveramento del principio di uguaglianza (e non differenziazione) di cui all’art. 3 Cost.
Tutto ciò da contestualizzare in un tempo in cui il sistema delle fonti diventa liquido (articolato nella prospettiva multilivello nazionale, comunitaria e internazionale), la gerarchia delle fonti sembra soccombere di fronte alla predominanza del principio di competenza e la giurisprudenza, lungi da essere una bocca della legge, diventa un «dire il diritto che non viene dal sovrano» (Scoditti E., Dire il diritto che non viene dal sovrano, in Giustiziainsieme, 2016, 4) attraverso l’inveramento di principi costituzionali nella fattispecie concreta e l’interpretazione adeguatrice.
Nella più recente letteratura con l’espressione “giustizia predittiva” si tende generalmente a far convergere entrambi i lemmi della prevedibilità e predittività in un effetto conseguente ad una valutazione di una massa di dati da parte di un’entità non umana. Massa in cui convergono, sub specie di dati, elementi eterogenei: tendenzialmente non solo legislazione, ma anche giurisprudenza, e finanche prassi amministrativa, dottrina, eventualmente scritti difensivi. Da qui la contrapposizione con l’“umanità del giudicare”.
3. L’elemento essenziale perché si converga verso il valore della certezza sembra in questa prospettiva essere la processabilità dei dati, secondo un sistema che predilige elaborazioni di tipo quantitativo, pur potendo prevedere una programmazione che tenga conto di particolare “pesature” della diversa tipologia di dati. Nella programmazione si può cioè stabilire di attribuire una diversa rilevanza del dato a seconda che, ad esempio, esso sia confermato dalla dottrina o dalla prassi, piuttosto che dalla giurisprudenza di merito o di legittimità.
Diversi sono i livelli di predittività della giustizia data da applicazione della tecnologia alla massa di dati elaborabili: dall’analisi di modelli argomentativi per le migliori difese, alla previsione di probabili esiti di un giudizio (anche nella prospettiva deflattiva del contenzioso attraverso strumenti alternativi più vantaggiosi), al supporto dei giudici nello spoglio e stralcio dei precedenti da porre a supporto della propria decisione, all’ipotesi estrema della decisione robotica (anche supportata da algoritmi di AI).
Il PNRR, come già accennato, sia sulla giustizia in generale, che per il processo tributario in particolare, si riferisce genericamente alla necessità della digitalizzazione degli uffici giudiziari e del processo, così lasciando intuire la prodromica canalizzazione di ogni aspetto del processo in piattaforme uniformemente accessibili dal punto di vista della tipologia dei dati immessi. Precisa il piano che si deve aumentare il grado di digitalizzazione della giustizia mediante strumenti evoluti di conoscenza, il recupero del patrimonio documentale, il potenziamento del software e delle dotazioni tecnologiche.
Inoltre, per raggiungere l’obiettivo della riforma della giustizia tributaria il piano ha puntato sul reclutamento dei giudici per concorso e sulla loro professionalizzazione, specializzazione e formazione permanente, oltre che su una moderna digitalizzazione che sia un valido strumento al loro servizio. È stato inoltre previsto il rafforzamento dell’attività di spoglio dei fascicoli e della catalogazione dei ricorsi arretrati per razionalizzare la trattazione in udienza (anche facendo ricorso ad udienze tematiche).
Sembra una prospettiva che pone ancora al centro l’umanità del decidere, che investe sulla qualità del “capitale umano”, potenziandone la capacità decisionale attraverso strumenti di supporto innovativi. Sembrerebbe una semplice evoluzione tecnologica al servizio dell’uomo e tuttavia, proprio perché – come si è cercato di illustrare – la governance alla base delle regole di calcolo è decisiva ai fini dell’esito della compulsazione della macchina, il momento inziale dell’ideazione e della strutturazione del sistema di massimazione appare di fondamentale importanza perché su di esso verosimilmente si baseranno le successive applicazioni algoritmiche con valenza più spiccatamente predittiva (significative sotto tale profilo le esperienze – allo stato fallimentari – già sperimentate nei progetti Certalex e Certanet da parte del CED della Cassazione).
Si anticipa fin d’ora quello che appare, però, il principale rischio che si profila all’orizzonte: tanto più sarà elevato il livello di affidamento che tale strumento sarà in grado di ingenerare nei fruitori e presso l’intera Comunità, tanto più si avranno ripercussioni strutturali sull’esercizio stesso della funzione del giudicante.
Ipotizzando infatti che la previa compulsazione della banca dati costituita con operatività algorotmica divenga un passaggio necessario per l’adozione di una decisione umana in sede giudiziale, la motivazione del giudicante, progressivamente, si trasformerà da motivazione dell’atto a motivazione rispetto all’esito dell’interrogazione informatica.
Uno scenario simile a quello che già si presenta oggi in ambito sanitario, in cui il medico di turno è chiamato a controfirmare referti stilati da chatbox (all’esito di uno scrupoloso screening operato in automatico dalla macchina su un numero elevatissimo di precedenti standardizzati, anche con possibilità di sistema di riconoscimento di immagini a conferma della identità della casistica individuata), con quanto ciò poi comporta in termini di responsabilità civile.
Come si costruisce l’algoritmo? Esso rappresenta solo uno spostamento di potere dal giudice al programmatore? La dittatura del calcolo come processo oscuro, capacità di calmierare e annullare l’errore che è comunque insito nella probabilità, che, tuttavia, per sua connotazione intrinseca non è mai certezza?
È evidente che serve una supervisione dell’algoritmo: una parte della dottrina ha teorizzato una sorta di “parere obbligatorio della macchina” rispetto al quale il giudice debba obbligatoriamente motivare, potendosene sempre discostare (Ruffolo U., Giustizia predittiva e machine sapiens quale “ausiliario” del giudice umano, in Rassegna ASTRID, ora in Ruffolo U., a cura di, Lezioni di Diritto dell’intelligenza Artificiale, Torino, 2021).
Quando ciò avverrà il modello di giustizia sarà trasfigurato?
A mio avviso, come sinteticamente illustrato di seguito, si avrà di fronte un modello “più pubblicistico” e standardizzato di giustizia, in cui l’esito della compulsazione dell’algoritmo rischierà di diventare un nuovo interlocutore del giudice nel processo e nel quale il giudice potrebbe essere portato a compiere sue valutazioni, difensive, nella struttura stessa della motivazione.
Tanto più il basket di dati su cui opera l’algoritmo sarà strutturato in modo efficiente (ovviamente secondo regole immesse da colui che costruisce l’algoritmo), tanto più lo strumento utilizzato sarà affidabile (dal punto di vista statistico-probabilistico). Tanto più tale strumento sarà apprezzato come affidabile e tanto più si riterrà necessaria un’adeguata motivazione per discostarsi dall’esito scaturito dalla compulsazione (fino ad arrivare alla decisione robotica). È evidente che sarà fondamentale comprendere come tale basket viene ad essere formato, se esso si nutra di principi di diritto e/o di fattispecie. Riemerge, allora, sotto altre spoglie il tema classico e fondamentale – caratteristico dei sistemi di common law – della rilevanza e della vincolatività del precedente nella regolazione dei casi conformi e delle modalità e limiti per pervenire a innovazioni decisionali (ovverruling) (Scarselli G., La nostra giustizia, in marcia verso la common law, in Judicium, 2022).
In tale prospettiva appare dunque il caso di prestare attenzione a un altro segmento della riforma della giustizia tributaria, annunciata nel PNRR e che al momento non ha trovato attuazione nella L. n. 130/2022, ma che probabilmente rientrerà nel dibattito con i prossimi provvedimenti di riforma della giustizia ordinaria in generale. Ed infatti, si sarebbe dovuta aggiungere – come già accennato – la possibilità, a determinate condizioni, del rinvio pregiudiziale delle questioni di diritto nuove o controverse da parte dei giudici di merito in Cassazione, l’intervento del Pubblico ministero nell’interesse della legge mediante rinvio alle Sezioni Unite della Cassazione.
Si trattava di strumenti finalizzati a valorizzare il compito della nomofilachia, ancora nella prospettiva di perseguire l’uniformità del diritto, convergenti con altri già in vigore nell’ordinamento.
Si pensi all’introduzione dell’art. 360-bis, comma 1, c.p.c., che costituisce oggi il prodromo per rendere possibile in larga scala l’utilizzo di compulsazioni informatiche dei precedenti, meccanismo potenziato dalle prassi delle udienze monotematiche, dalle riunioni intersezionali e dai poteri del presidente (art. 47-quater dell’ordinamento giudiziario non per il conformismo delle decisioni, ma per evitare contrasti inconsapevoli). Tutto ciò è sintomatico della tendenza a rendere stabile e vincolante il precedente e a procedere con ordinanze (confermative di una sentenza capofila) ed a esaurire il ruolo sul medesimo filone mediante la funzione specifica attribuita a tal fine alla sezione VI (cosiddetta stralcio).
Già ora tali meccanismi – certamente utili a smaltire il pesante carico del contenzioso tributario in Cassazione – conducono talvolta a situazioni paradossali per cui a fronte del cambiamento di legislazione (che comporta addirittura la modifica di tributi, si pensi ad esempio il passaggio dall’ICI all’IMU), la giurisprudenza procede senza soluzione di continuità nell’ambito della sezione stralcio, dalla quale quindi si potrà “uscire” solo riuscendo a dimostrarne la diversità in via di fatto e/o di diritto. Il problema è poi che la compulsazione avviene sempre su dati del passato e riferimenti a una materia che cambia in continuazione. Risulta dunque difficile che si tratti di elementi effettivamente attendibili, amplificando i paradossi di motivazioni sulla base di discipline non più applicabili e contesti sociali evoluti.
Ciò a conferma di quanto sia prioritaria e determinante l’operazione a monte di classificazione del ricorso per l’assegnazione e la decisione del caso.
In generale, si tratta evidentemente di strumenti che convergono nella prospettiva di una virata ordinamentale nella struttura del nostro processo, probabilmente in senso pubblicistico al fine della certezza del diritto diffusa e strutturata sulla base di precedenti e dunque finalizzata risolvere problematiche per masse omogenee di casi scrutinati e non più una visione privatistica del processo finalizzata a risolvere la singola questione.
Il ricorso alla digitalizzazione di una enorme massa di dati, altrimenti ingestibile dal punto di vista umano, concorre nella medesima direzione.
L’interrogativo resta, dunque, se tutta questa progressiva rilevanza del precedente (originariamente estranea al nostro sistema di giustizia e non del tutto coerente con il nostro modello di processo) porti effettivamente a un progresso ai fini dell’efficienza del processo e se, come già sopra segnalato, ciò non rischi di trasformare i connotati tradizionali del nostro sistema di giustizia.
Un ulteriore interrogativo che si pone in prospettiva è se sarà ipotizzabile che anche l’Agenzia delle Entrate possa/debba avere accesso alla compulsazione del medesimo basket di informazione accessibile per la giurisprudenza di merito e di legittimità all’esito della formazione del nuovo massimario istituito dalla L. n. 130/2022. Laddove si arrivi a questo, sorgono una serie di ulteriori dubbi che pur esorbitando da questa riflessione lasciano intravedere come in effetti si prospetti all’orizzonte una uniformità del decidere e del motivare che, in premessa avevamo detto essere l’obiettivo di certezza che in effetti si vuole perseguire appunto con la predittività e prevedibilità della giustizia.
Ad esempio, viene il dubbio se l’Agenzia delle Entrate potrà proseguire in un contenzioso che venga segnalato dalla compulsazione algoritmica come “perdente” e se e come dovrà motivare tale decisione? Se, in questo caso, sarà ipotizzabile un’azione di responsabilità erariale?
Esasperando tale scenario, viene il dubbio se alla fine la giustizia predittiva sposterà il baricentro del processo, appiattendo la decisione (della fattispecie) sul principio di diritto e, nei fatti, diventando elemento rispetto dal quale difenderci mediante la specificità della fattispecie.
Proprio la fattispecie, in questa prospettiva, sembrerebbe destinata a riacquistare la sua centralità nella corretta interpretazione del diritto, quale elemento in concreto da opporre anche ad un’eventuale “non idonea” classificazione del caso da parte dell’algoritmo.
(*) Il saggio, con alcuni aggiornamenti resi necessari medio tempore dall’approvazione della L. 31 agosto 2022, n. 130 (“Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”), riproduce la relazione svolta nell’ambito del Convegno dal titolo Il giurista cattolico e il diritto dell’era digitale, organizzato dall’UGCI (Trani, 6 – 8 maggio 2022). Esso è già stato pubblicato sulla rivista Iustitia n. 2022, 3, 98-116, di cui si ringrazia la Direzione per aver consentito di ospitarlo anche in questa rivista.
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