Cripto-attività e stabile organizzazione 

Di Alberto Fuccio e Michele Tarantino -

Abstract (*)

Il presente contributo analizza criticamente recenti interventi normativi di natura regolamentare che, nel disciplinare il mercato delle cripto-attività, sembrerebbero imporre ad un soggetto comunitario di registrare una sua presenza fiscale in Italia, introducendo così una presunzione assoluta di legge ai sensi della quale un’entità giuridica avente sede in uno Stato dell’Unione Europea la quale presti servizi – anche esclusivamente on-line – relativi all’utilizzo di valuta virtuale e servizi di portafoglio digitale nei confronti del pubblico italiano configuri sempre e comunque una stabile organizzazione in Italia; e ciò a prescindere dall’esito delle verifiche fattuali necessarie per configurare l’esistenza di una stabile organizzazione.

Crypto-assets and permanent establishment – The article is aimed at analysing – in a critical perspective – recent regulatory law provisions that – ruling over activities related to crypto assets – seem to introduce a mandatory registration for tax purposes of an Italian permanent establishment of EU legal entities that perform such activities in the Italian territory. This regardless of whether the necessary factual analyses aimed at assessing the presence of an Italian permanent establishment have been performed.

Sommario: 1. Inquadramento normativo: art. 17-bis D.Lgs.13 agosto 2010, n. 141 e D.M. 13 gennaio 2022 – 2. Derive tributarie derivanti dall’interpretazione letterale delle disposizioni normative in commento: il rinvio al concetto di stabile organizzazione – 3. La necessità di una interpretazione sistematica: la libertà di stabilimento e la sede secondaria vs. la stabile organizzazione

1. In recepimento delle disposizioni della IV e della V Direttiva antiriciclaggio (cfr. rispettivamente, Direttiva (UE) 2015/849 del 20 maggio 2015, e Direttiva (UE) 2018/843 del 30 maggio 2018), l’art. 17-bis D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (introdotto dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90, e successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, lett. a e b, D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125) – nel prosieguo “Decreto Legislativo” – ha previsto che l’esercizio professionale nei confronti del pubblico italiano di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di servizi di portafoglio digitale sia riservato ai soggetti iscritti in una sezione speciale del registro pubblico dei cambiavalute (il “Registro”) tenuto dall’Organismo previsto dall’art. 128-undecies D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – i.e., l’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi – “OAM” – (cfr. art. 17-bis, comma 1 in combinato disposto con il successivo comma 8-bis del Decreto Legislativo).

In attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 17-bis, comma 8-ter, del Decreto Legislativo, il D.M. 13 gennaio 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 17 febbraio 2022 (di seguito “Decreto”) ha successivamente regolamentato le modalità e le tempistiche con cui i summenzionati prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (c.d. exchange) e i prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d. custodian) sono tenuti a comunicare la propria operatività sul territorio nazionale (cfr. con riguardo alle definizioni di “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”, “valuta virtuale” e “prestatori di servizi di portafoglio digitale” si veda l’art. 1, comma 2, rispettivamente, lett. b, f e c, del Decreto).

Quanto al contenuto, alle modalità nonché alla periodicità di trasmissione delle informazioni, l’art. 5 del Decreto introduce in capo ai predetti soggetti un obbligo di comunicazione telematica all’OAM, su base trimestrale, dei dati relativi alle operazioni effettuate sul territorio italiano.

Con specifico riferimento al requisito relativo all’iscrizione nel Registro, l’art. 3 del Decreto prevede poi che:

i. i soggetti che intendano svolgere, anche on-line, le su indicate attività all’interno del territorio italiano devono presentare domanda di iscrizione al Registro;

ii. i soggetti che già svolgono, anche on-line, i su indicati servizi di utilizzo di valuta virtuale e di portafoglio digitale all’interno del territorio italiano devono presentare domanda di iscrizione al Registro entro 60 giorni a far data dal 16 maggio 2022 (e., data a partire dalla quale il Registro è divenuto attivo) al fine di poter proseguire lo svolgimento delle predette attività. In caso di mancato rispetto del citato termine l’esercizio dell’attività da parte dei citati prestatori è pertanto considerato abusivo.

2. I due summenzionati interventi normativi, di natura regolamentare, si inseriscono nel più ampio quadro nazionale (e, soprattutto, internazionale) indirizzato a disciplinare il mercato delle cripto-valute alla luce della sempre maggior rilevanza di tali strumenti.

Sebbene l’intento normativo ultimo risulti essere degno di plauso, si deve tuttavia sottolineare come la terminologia utilizzata dalle disposizioni contenute nei citati provvedimenti normativi, da un lato, sia da considerare in parte infelice e, dall’altro, stia creando una condivisibile preoccupazione in seno agli operatori del settore aventi sede in altri Stati membri dell’Unione Europea che intendono svolgere o che già svolgono la loro attività nei confronti del pubblico italiano tramite piattaforme on-line.

Invero, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 3, comma 1, del Decreto e dell’art. 17-bis, comma 2, lett. b), del Decreto Legislativo, per le persone giuridiche con sede in altro Stato membro, l’iscrizione al Registro – indispensabile al fine di svolgere tale attività nei confronti del pubblico italiano – è subordinata alla presenza di “una stabile organizzazione nel territorio della Repubblica” (cfr. circ. 21 aprile 2022, n. 41 emanata dall’OAM in cui è utilizzata la medesima locuzione).

Ad una prima lettura, le disposizioni appena citate sembrerebbero configurare delle ipotesi di norme regolamentari che richiedano un rinvio a concetti giuridici estranei al diritto regolamentare e appartenenti – per natura e genesi – ad altre branche del diritto. Ed invero, il concetto di stabile organizzazione è presente nel nostro ordinamento unicamente in ambito tributario e, in particolare, all’interno dell’art. 162 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”).

L’art. 162 TUIR, come noto, regolamenta la finzione giuridico-tributaria necessaria per considerare esistente un nesso con il territorio italiano in modo da attrarre ad imposizione i redditi di impresa ivi prodotti da soggetti fiscalmente non residenti. Si tratta di una situazione giuridico-sostanziale che, per l’accertamento della sua esistenza, richiede un’analisi fattuale. Invero, la nozione di stabile organizzazione si compone di due distinti sub-concetti: la c.d. stabile organizzazione materiale e la c.d. stabile organizzazione personale. In breve e senza pretese di esaustività, l’accertamento della prima richiede la verifica dell’esistenza in Italia di una base fissa d’affari per mezzo della quale il soggetto estero esercita in tutto o in parte la sua attività d’impresa, purché non si tratti di attività meramente preparatorie e/o ausiliarie a quest’ultima; la seconda, richiede che – anche in assenza di una base fissa d’affari – sia verificata la presenza in Italia di una persona, diversa da un agente indipendente, che esercita – di diritto o di fatto – il potere di rappresentare verso terzi l’impresa estera, svolgendo nel territorio dello Stato un’attività di negoziazione che culmina nell’esecuzione di contratti vincolanti per l’impresa estera stessa, a prescindere dal luogo fisico in cui i medesimi contratti vengono materialmente firmati – anche in tal caso è prevista l’esimente del carattere preparatorio e/o ausiliario dell’attività svolta in Italia.

Accertata l’esistenza di uno dei due sub-concetti, può dirsi esistente in Italia una stabile organizzazione del soggetto estero e, quindi, una “presenza” fiscale di quest’ultimo che consente allo Stato italiano di attrarre ad imposizione i redditi di impresa prodotti da questo soggetto per il tramite di tale stabile organizzazione. La quantificazione di tali redditi di impresa richiede poi un’ulteriore e distinta analisi di transfer pricing che condurrà – per il tramite del c.d. Authorized OECD Approach (cfr. 2010 Report on the Attribution of Profits to Permanent Establishments del 22 luglio 2010) – alla corretta individuazione dell’ammontare di redditi di impresa da allocare a tale stabile organizzazione.

Tralasciando per il momento le note differenze, i due sub-concetti sono similarmente delineati nei loro tratti essenziali anche dall’art. 5 del Modello di Convezione OCSE contro le doppie imposizioni e dal relativo Commentario su cui si basano i trattati stipulati dall’Italia (cfr. il riferimento è da intendersi fatto alle diverse versioni dell’art. 5 del Modello di Convezione OCSE contro le doppie imposizioni e del relativo Commentario – così come anche dalle relative Osservazioni formulate al riguardo dall’Italia – di volta in volta rilevanti con riguardo ad una specifica fattispecie).

Si ricorda, infine, che l’art 162 TUIR è applicabile unicamente in caso di assenza nel caso specifico di una convenzione contro le doppie imposizioni ovvero quando, ex art. 169 TUIR, la disposizione domestica garantisce un trattamento fiscale più favorevole rispetto a quella pattizia. Pertanto, è verosimilmente possibile concludere che la presenza in Italia di una stabile organizzazione di un’entità giuridica fiscalmente residente in uno Stato membro dell’Unione vada sempre e comunque accertata avendo anche riguardo alla disposizione convenzionale (la quale gode, peraltro, di una particolare copertura costituzionale ex art. 11 Cost.).

Orbene, tornando alla questione poc’anzi accennata, qualora venisse accolta l’interpretazione per la quale il combinato disposto di cui all’art. 3, comma 1, del Decreto e dell’art 17-bis, comma 2, lett. b), del Decreto Legislativo faccia riferimento proprio alla stabile organizzazione “tributaria” di cui all’art. 162 TUIR, ne deriverebbe che la norma regolamentare imporrebbe al soggetto comunitario di registrare una sua presenza fiscale in Italia per poter ivi esercitare la propria attività, introducendo così una presunzione assoluta di legge ai sensi della quale un’entità giuridica avente sede in uno Stato dell’Unione che presti servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e servizi di portafoglio digitale nei confronti del pubblico italiano esclusivamente tramite piattaforme on-line configuri sempre e comunque una stabile organizzazione in Italia; e ciò a prescindere dall’esito delle verifiche fattuali di cui sopra, necessarie per configurare l’esistenza di una stabile organizzazione (materiale o personale) ai sensi della disposizione convenzionale di volta in volta applicabile.

3. Come è facile intendere, una tale interpretazione non potrebbe considerarsi accettabile in quanto in palese contrasto con gli impegni presi sul piano internazionale dall’Italia. In altri termini, tale disposizione – così interpretata – si porrebbe in netta violazione di norme pattizie oggetto di espressa tutela costituzionale e graverebbe i soggetti interessati con tutta una serie di costi e responsabilità connessi alla presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Come soluzione interpretativa alternativa, all’estremo opposto, si potrebbe addirittura pensare che il legislatore regolamentare abbia voluto in qualche modo negare la possibilità di registrazione a quei soggetti che non soddisfano i requisiti per la configurazione di una stabile organizzazione ai fini tributari. Seppur più ortodossa in tema di interpretazione della normativa tributaria, anche tale soluzione pare del tutto priva di pregio, in mancanza di ragioni sostanziali per una scelta di campo quantomeno “bizzarra” e in contrasto con il diritto unionale.

Pertanto, al fine di salvaguardare l’applicabilità della norma occorre adottare un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della medesima, che consenta in ultima analisi di non vanificare l’intento del legislatore.

A tal fine è necessario fare un passo indietro e analizzare il contesto che ha portato alla stesura di tale norma. Sul punto può sicuramente tornare utile fare riferimento alla Comunicazione rilasciata da Banca d’Italia nel giugno del 2022. In tale documento si legge che «Il d.lgs. 90/2017 ha inoltre previsto che l’Organismo degli Agenti e dei Mediatori (OAM) iscriva in una sezione speciale (istituita ex novo e attiva dal 16 maggio 2022) del registro dei cambiavalute i VASP [Virtual Asset Service Provider, ndr.] in possesso di requisiti minimali, secondo le modalità stabilite dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 13 gennaio 2022. In particolare, il decreto stabilisce che l’attività di VASP è riservata ai soggetti con sede legale in Italia o ai soggetti UE con stabile organizzazione in Italia, non essendo ammessa l’operatività nella forma della libera prestazione di servizi». Pertanto, anche se tale documento utilizza la locuzione “stabile organizzazione”, appiattendosi sul tenore letterale della norma, il medesimo contiene un fondamentale indizio circa la corretta interpretazione di tale termine.

Invero, il citato documento correttamente afferma che la “stabile organizzazione” sarebbe necessaria “non essendo ammessa l’operatività nella forma della libera prestazione di servizi”. Pertanto, è chiaro che occorre fare riferimento ai concetti di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, propri del diritto regolamentare di matrice unionale. Ne deriva necessariamente che se tale attività – come ribadito dalla Comunicazione di Banca d’Italia citata – non può essere esercitata in libera prestazione dei servizi, allora la medesima attività può essere esercitata unicamente tramite la residua libertà di stabilimento.

A tal riguardo, si ricorda che la libertà di stabilimento può essere esercitata su due livelli differenti. Ossia a livello primario, stabilendo/trasferendo la sede legale di una società all’interno del territorio della Repubblica; ovvero a livello secondario mediante la costituzione in Italia di una sede secondaria/succursale della società avente sede legale in un altro Stato membro dell’Unione.

In tale contesto, il legislatore italiano, in assenza di una normativa unionale e facendo in parte da precursore alle disposizioni attese dal legislatore europeo – di cui si dirà subito di seguito, avrebbe inteso limitare l’esercizio di tale attività nei confronti del pubblico italiano alle sole entità dell’Unione Europea che, in esercizio della (unica) consentita libertà di stabilimento, hanno costituito in Italia una sede secondaria/succursale.

Ciò trova ulteriore conferma nella proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai mercati delle cripto-attività e che modifica la Direttiva (UE) 2019/1937. Tale proposta di regolamento, volta ad introdurre una disciplina armonizzata della materia, all’art. 53 (Autorizzazione) prevede che (enfasi aggiunta): «Un’autorizzazione in qualità di fornitore di servizi per le cripto-attività è valida per tutta l’Unione e consente ai fornitori di servizi per le cripto-attività di prestare in tutta l’Unione i servizi per i quali sono stati autorizzati, tramite il diritto di stabilimento, anche tramite una succursale, o attraverso la libera prestazione di servizi. I fornitori di servizi per le cripto-attività che prestano servizi per le cripto-attività su base transfrontaliera non sono tenuti ad avere una presenza fisica nel territorio di uno Stato membro ospitante».

Orbene, alla luce di quanto sopra, l’unica interpretazione della norma domestica non può che essere quella di subordinare l’iscrizione al Registro – e quindi l’esercizio di attività in Italia – alle sole entità giuridiche europee che abbiano costituito una sede secondaria/succursale in Italia, in esercizio della libertà di stabilimento – e non, invece, alla presenza di una stabile organizzazione come sopra intesa. Tale interpretazione deve ritenersi coerente e sistematica, in quanto il concetto di sede secondaria/succursale (costituita nell’esercizio della libertà di stabilimento) è nozione ben diversa e non coincidente con quella fiscale di stabile organizzazione. L’esistenza di una sede secondaria/succursale richiede una verifica meramente giuridico formale. Se la sede secondaria/succursale configuri anche ai fini fiscali una stabile organizzazione è un dato da accertare attraverso le verifiche fattuali di cui sopra. Ed invero, date le caratteristiche del settore e l’operatività del medesimo – pressoché on-line e senza la necessità di collocare dei server in Italia – dovrebbe ritenersi davvero improbabile la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di qualificare una tale succursale quale stabile organizzazione. Peraltro, tale lettura trova ulteriore (e indiretta) conferma in quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 5, paragrafo 1 e 4 del Modello di Convezione OCSE contro le doppie imposizioni (e del relativo Commentario) laddove è previsto come l’espressione “stabile organizzazione” designi una base fissa d’affari per mezzo della quale il soggetto estero esercita in tutto o in parte la sua attività d’impresa, purché non si tratti di attività meramente preparatorie e/o ausiliarie a quest’ultima quali, per quanto qui rileva, la raccolta di informazioni per l’impresa estera in relazione a servizi aventi ad oggetto cripto-attività. Per l’effetto, in considerazione del fatto che la finalità ultima della normativa qui in discussione sarebbe quella di monitoraggio e reportistica all’OAM, la mera registrazione in Italia dell’entità estera non darebbe mai luogo, di per sé sola, ad una stabile organizzazione in quanto tale attività risulterebbe del tutto ausiliaria ed ancillare. Né potrebbe trovare comunque applicazione l’art. 162, comma 2, lett. f-bis), TUIR, ai sensi del quale: «L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare: […] una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso». Invero, come su anticipato, dato che l’analisi volta all’accertamento circa la presenza di una stabile organizzazione risulta disciplinata dalla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con lo Stato Membro dell’Unione di volta in volta rilevante e che su tale aspetto non può certo dirsi che la norma domestica garantisca un trattamento più favorevole al contribuente rispetto alla disposizione convenzionale – la quale non contempla affatto la menzionata fattispecie di stabile organizzazione c.d. virtuale – dovrebbe ritenersi che la citata disposizione domestica non possa essere invocata per accertare la presenza di una stabile organizzazione ogni qualvolta vi sia una Convenzione contro le doppie imposizioni concretamente applicabile ad una data fattispecie.

Ma anche ipotizzando la presenza di una stabile organizzazione, sulla base del citato Authorized OECD Approach e tenuto conto che in Italia vi sarebbe la necessaria presenza di una sola persona con attività comunque limitata, come osservato, al monitoraggio ai fini antiriciclaggio e reportistica all’OAM, il reddito allocabile a tale stabile organizzazione – la cui esistenza dovrebbe comunque verosimilmente essere esclusa sulla base delle verifiche fattuali e delle considerazioni di cui sopra – sarebbe pressoché uguale a zero.

Pertanto, la presenza in Italia di una succursale/sede secondaria e, quindi, di un legale rappresentante della società estera dovrebbe da sola ritenersi sufficiente a soddisfare le suindicate (ed uniche) esigenze sottese all’intento delle previsioni normative qui in commento. Non deve ritenersi, pertanto, giustificato e proporzionato un intervento volto ad imporre l’apertura di una stabile organizzazione in Italia in quanto palesemente non necessaria al fine di garantire che le summenzionate esigenze trovino puntuale soddisfazione. Peraltro, in attesa della definitiva approvazione ed entrata in vigore della citata proposta di Regolamento UE volto a disciplinare la materia, tale preventivo obbligo di stabilimento di origine domestica – comunque esso sia inteso – comporterebbe una inequivocabile violazione della libera prestazione dei servizi garantita e disciplinata dagli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Tuttavia, visti i tempi stringenti imposti dalla normativa (soprattutto con riferimento ai c.d. exchange e ai c.d. custodian che già svolgono attività all’interno del territorio dello Stato) e la indiscutibile incertezza che la medesima ha creato, sarebbe auspicabile un repentino chiarimento in tal senso da parte delle Autorità competenti.

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(*) Gli Autori desiderano ringraziare l’Avv. Emiliano Zanotti e l’Avv. Luigi Caltagirone per gli utili suggerimenti forniti dopo la lettura della prima bozza del saggio.

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