Il nuovo intervento riformatore del processo tributario: una politica di piccoli passi che non scalfisce l’accentuata “specificità” del processo tributario

Di Giovanni Moschetti -

Abstract

La riforma del processo tributario intervenuta con L. n. 130/2022 è senz’altro da salutare come un passo avanti nella direzione di un “giusto processo regolato dalla legge” (art. 111 Cost). Tuttavia ci sembra palese la mancanza di una volontà del legislatore volta a realizzare un nuovo modello di processo finalizzato alla completa conoscenza dei fatti, in contraddittorio paritario e senza limitazioni probatorie. Persistono, anche grazie a precedenti arresti della Consulta, forti elementi di specificità, non prevedendosi una disciplina organica della fase istruttoria giudiziale, nemmeno precisandosi il fine di tale attività istruttoria (e ciò anche in funzione di orientare le scelte discrezionali del giudice), mantenendo i limiti di un sistema probatorio prevalentemente documentale.

The new tax trial reform: a politic of short steps which doesn’t scratch the stressed “specificity” of the tax trial. – The tax trial reform approved with law n. 130/2022 is certainly to be greeted as a step forward towards a “fair trial ruled by law” (art. 111, Italian Constitution).  However it seems clear the lack of a legislative will towards a new trial pattern aimed to a complete acquaintance of facts within an equal cross examination and without evidences’ limitations. Continue, also due to some findings of the Constitutional Court, strong elements of specificity, not providing systematic rules of the judicial investigation, neither clarifying the scope of this investigation activity (also with the scope to direct the discretionary decisions of the judge), keeping the limits of an evidence system based mainly on documents.

 

 

Sommario: 1. Una (senz’altro apprezzabile) “miniriforma” del processo tributario, coerente con le finalità indicate dal “Comunicato congiunto” del MEF e del Ministero della Giustizia. – 2. Riconferma del principio dispositivo nella fase istruttoria quanto ai fatti oggetto di giudizio. La riaffermazione del principio di legalità quale fondamento del rapporto sostanziale tributario. – 3. L’introduzione della testimonianza scritta, ammessa dal giudice se, ed in quanto, ritenuta “necessaria ai fini della decisione”, non garantisce ancora il massimo chiarimento dei fatti. L’avvicinamento al processo amministrativo non elimina evidenti differenze. – 4. Al fine di accertamento della verità materiale sono essenziali plurimi principi, attuativi peraltro del principio del libero convincimento del giudice: il contraddittorio paritario nell’assunzione della prova, l’oralità, l’immediatezza. – 5. La fase istruttoria giudiziaria nell’interpretazione della Consulta: l’onere della prova in capo alla pubblica amministrazione si desume dal fine di verifica della verità dei fatti posti a fondamento dell’atto amministrativo; la tendenza all’unità dei principi fondamentali nei diversi processi non esclude la particolarità delle situazioni soggettive tutelate e dunque una disciplina diversificata del singolo processo. – 6. Al fine di assicurare un “giusto processo regolato dalla legge” v’è necessità di un sistema di regole finalizzato ad una completa e veridica ricostruzione dei fatti, in maggiore armonia con principi fondamentali propri di altri processi.

1. Il nuovo intervento riformatore “in materia di giustizia e di processo tributari” è da accogliere con favore in quanto ha recepito plurime istanze della dottrina nel senso di una più completa realizzazione di un “giusto processo regolato dalla legge”, nella cornice dell’art. 111 Cost. Tralasciando le modalità di esposizione delle novità normative – che, in mancanza di una reformatio ab imis fundamentis, devono essere “scovate” soprattutto nei commi 4 e 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 – è manifesta la scelta politica di compiere importanti passi avanti sul duplice fronte di una maggior professionalizzazione del giudice e di una disciplina più articolata della fase istruttoria (sull’istruttoria nel processo tributario, vedi, per tutti, da ultimo, Russo P., L’istruzione probatoria, in Russo P. – Coli F. – Mercuri G., Diritto processuale tributario, Milano 2022, 148 ss.; per una critica al comma 5-bis, vedi, per tutti, Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario rivisitato, in Pistolesi F. – Carinci A., a cura di, La riforma della giustizia e del processo tributario, Commento alla legge 31 agosto 2022, n. 130, Milano, 2022, 83 ss.).

In primis, in un quadro generale, è stato recepito l’auspicio di avere un giudice specializzato e professionale (cfr. art. 1 L. n. 130/2022). Nella fase istruttoria v’è poi un palese miglioramento nel senso di dare maggior spazio alle parti nel chiarimento dei fatti rilevanti per la decisione (sull’importanza del chiarimento dei fatti, cfr. Moschetti G., Il principio di immediatezza, quale regola razionale al fine del chiarimento dei fatti, in Ragucci G., a cura di, La legge generale tedesca del processo tributario, Finanzgerichtsordnung [FGO], Testo e studi, Milano, 2022, 93 ss.), ammettendo la prova testimoniale (ancorchè solo per iscritto, come nell’attuale processo amministrativo), nelle forme di cui all’art. 257-bis, c.p.c. (cfr., per tutti, Pistolesi F., La testimonianza scritta nel processo tributario riformato, in giustiziainsieme.it, 29 settembre 2022) riconoscendo così maggior parità alle parti nella ricostruzione della fattispecie.

Inoltre la novella prevede che la parte pubblica debba provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, probabilmente recependo l’insegnamento, da ultimo, delle SS.UU. con la sentenza n. 13533/2001, del principio di vicinanza ai fatti da provare (per approfondimenti, si veda da ultimo Muleo S., Riflessioni sull’onere della prova nel processo tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 3, 603 ss.).

Sul piano dei principi generali, la L. n. 130/2022 afferma – anzi, come vedremo, espressamente riafferma dopo più di Ottanta anni dal R.D. 7 agosto 1936, n. 1639 – la necessità che il giudice si attenga alla cornice normativa della fattispecie sostanziale (art. 27, comma 2, di tale R.D.), e statuisce che il convincimento del giudice si debba formare «su elementi di prova che emergono nel processo» (art. 7, comma 5-bis) così implicitamente segnalando che la prova deve avvenire in contraddittorio e di fronte al giudice.

Una riforma che dunque appare concentrata su alcuni punti nevralgici ed urgenti, suscettibili di ulteriori e adeguati sviluppi giurisprudenziali, e coerente con le intenzioni palesate nel “Comunicato congiunto” del MEF e del Ministero della Giustizia 9 agosto 2022, n. 147 (in www.mef.gov.it/ufficio-stampa/comunicati/2022): «il legislatore ha puntato sulla riforma dell’ordinamento degli organi speciali di giustizia tributaria e sull’introduzione di istituti processuali volti non solo a deflazionare il contenzioso esistente, ma anche a incentivare l’uniformità dei giudizi in materie analoghe».

2. E’ interessante notare, in un quadro di successione storica, come la recente novella abbia confermato quale oggetto dell’istruttoria la conoscenza dei fatti dedotti dalle parti (primo comma dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992) già esistente in precedenti interventi normativi.

Non sempre, invero, nelle plurime modifiche del processo tributario, si è voluto limitare la cognizione del giudice a quanto “dedotto” dalle parti (secondo un criterio dispositivo); talvolta si è voluto lasciare più spazio all’iniziativa del giudice (seguendo un criterio inquisitorio o comunque affrancandosi dai limiti imposti da un’originaria cornice dispositiva). E così, mentre l’art. 35 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 indicava analogamente il «fine di riconoscere i fatti dedotti in causa dalle parti», successivamente, con la novella del D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, tale previsione venne ampliata indicando semplicemente il «fine di conoscere i fatti rilevanti per la decisione».

Ancor più ampia era la previsione di cui all’art. 27, comma 2, R.D. n. 1639/1936, la quale prevedeva che le Commissioni “indirizzano” «il loro giudizioin base alla obiettiva considerazione dei fatti, delle circostanze e degli elementi tutti di apprezzamento di cui siano a conoscenza», lasciando quindi maggior spazio ad iniziative istruttorie del giudice.

Per rintracciare poi un richiamo al principio di legalità nella ricostruzione della fattispecie impositiva, come emerge nel nuovo art. 7, comma 5-bisin coerenza con la normativa tributaria sostanziale»), si deve risalire al citato secondo comma dell’art. 27 R.D. n. 1639/1936: ivi si legge, con riferimento invero al giudizio delle Commissioni, che esso «sarà indirizzato esclusivamente all’applicazione della legge».

3. Non trattandosi di una reformatio ab imis fundamentis, la riforma di agosto 2022 risente di un modus procedendi tipico del nostro legislatore che non intende abbandonare del tutto la “spiccata specificità” del processo tributario affermata nel lontano gennaio 2000 quale argomento, tra gli altri, per negare l’illegittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale (ci si riferisce alla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 18/2000).

Se per un verso, infatti, la prova per eccellenza al fine del chiarimento dei fatti (che normalmente sono fatti accusatori), sarebbe la prova testimoniale, per altro essa è stata ammessa solo nella forma di cui all’art. 257-bis c.p.c., ovvero nella forma scritta; è senz’altro un passo avanti, tanto più che è ammessa anche ad istanza di una sola parte, ma per altro verso si conferma la scelta per un sistema probatorio prettamente scritto e non orale (per un approfondimento sull’importanza dell’oralità nel processo, vedi Chiovenda G., L’oralità e la prova, in Riv. dir. proc. civ., 1924, I, 5 ss.); inoltre alcune limitazioni denotano una certa “inquietudine” del legislatore, quasi turbato della sua prudentissima “apertura”.

La prima limitazione consiste nella ampia discrezionalità del giudice nell’ammissione di detta prova scritta: «ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti» (vedi sul punto Glendi C., L’istruttoria del processo tributario riformato, Una rivoluzione copernicana!, in Ipsoa.it, 24 settembre 2022; dello stesso Autore, La novissima stagione della giustizia tributaria riformata, in Dir. prat. trib., 2022, I, 4, 1140 ss., 1145 ss.). L’inciso “necessario ai fini della decisione” (utilizzato peraltro anche nell’abrogato terzo comma dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, in relazione alla facoltà delle, allora denominate, Commissioni tributarie “di ordinare alle parti il deposito di documenti”) non chiarisce alla presenza di quali circostanze debbano essere utilizzati detti poteri, e non indica una espressa “finalizzazione” dell’attività istruttoria, né tanto meno una finalizzazione di essa nel senso dell’accertamento della verità dei fatti (ci si permette di rinviare sul punto a Moschetti G., Ripensando il processo tributario come insieme di regole “proporzionate” ad un fine, in Riv. dir. trib., 2022, 5, I, 551 ss.; sull’orientamento dottrinale maggioritario nel senso della discrezionalità nell’esercizio dei poteri istruttori e sulla «divergente ‘ideologia’ in ordine alla funzione del processo ed ai compiti del giudice», cfr. Russo P., L’istruzione probatoria, cit., 163-164; sul tema del fine del processo, di accertamento della verità dei fatti piuttosto che di semplice confronto tra le parti, tema che sempre interessa i teorici generali del diritto, si vedano per tutti, da una parte, Taruffo M., Giudizio (teoria generale), in Enc. giur., vol. XV, Roma, 1989, 1 ss.; Id., Prova (in generale), in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. XVI, Torino, 1997, 3 ss.; Id., La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Bari, 2009, e, dall’altra parte, Cavallone B., Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991; Id., In difesa della Veriphobia (considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente di Michele Taruffo), in Riv. dir. proc. civ., 2010, 1, 1 ss. ; tra i classici, Capograssi G., Giudizio processo scienza verità, in Riv. dir. proc., 1950, I, 1 ss. e Calamandrei P., Il giudice e lo storico, in Riv. dir. proc. civ., 1939, I, 105 ss.).

Non è chi non veda la totale incertezza dell’inciso “necessario ai fini della decisione”, anche se non manca in apicibus una possibilità di completare quella che, a prima vista, sembra una dizione troppo generica. Il riferimento è ancora e necessariamente ai principi del “giusto processo” ex art. 111 Cost.: ciò significa che la “necessità” dovrà essere vagliata in primis in ragione dell’esigenza di attuare un contraddittorio paritario tra le parti. È questa “stella polare costituzionale” di cui deve tener conto ogni scelta (apparentemente) discrezionale del giudice.

La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 109/2007 – che ha ritenuto non in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. l’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui non prevede il potere del giudice tributario di «ordinare alle parti, nei limiti dei fatti dedotti, la produzione di documenti ritenuti necessari ai fini della decisione» (dizione dell’abrogato terzo comma dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992) – ha riconosciuto la «indeterminatezza dei presupposti dell’esercizio (o non esercizio)» dei poteri istruttori collegati all’inciso «necessari ai fini della decisione». La Consulta, nella parte finale (punto 7), segnala che comunque il giudice tributario, «in funzione di chiarificazione dei risultati probatori prodotti dai mezzi di prova dei quali si sono servite le parti», ha il potere (non il dovere) di chiedere informazioni o documenti ex art. 213 c.p.c. alla pubblica Amministrazione (è appena il caso di segnalare che anche tale norma civilistica prevede che il potere del giudice riguardi atti e documenti “che è necessario acquisire al processo”).

Ma in relazione a quale fine del processo?

La seconda limitazione riguarda l’oggetto della prova testimoniale: «se la pretesa tributaria si fonda su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale». Suscita stupore il riferimento ai “verbali” come atti tipici che farebbero prova piena fino a querela di falso, essendo ben noto che i verbali possono riguardare anche dichiarazioni di giudizio (e normalmente i processi verbali di constatazione si concludono con opinioni su violazioni compiute, opinioni che appunto sono dichiarazioni di giudizio), in quanto tali certamente estranee alla “piena prova fino a querela di falso” di cui all’art. 2700 c.c.

Quanto poi alla precisazione che se sussiste piena prova fino a querela di falso (poiché trattasi di “circostanze di fatto attestate da pubblico ufficiale” e non dichiarazioni di giudizio), non è ammessa sulle medesime circostanze (così provate) prova testimoniale, ci sembra che la norma enunci una ovvietà: se solo la querela di falso può smentire la “prova piena” (ex art. 2700 c.c.), per smentire tale prova occorre l’azione civilistica di cui all’art. 221 c.p.c. E’ richiesto un cambio di giurisdizione, ma nell’ambito della giurisdizione civilistica non crediamo possa poi essere vietata la prova testimoniale avvalendosi della nuova disposizione (art. 7, comma 4, ultimo periodo) specificamente riferita al processo tributario.

Dette limitazioni evidenziano la difficoltà di un definitivo passaggio ad una disciplina istruttoria che sia volta ad un (pieno e completo) chiarimento dei fatti in paritario contraddittorio (sul “potere-dovere” di esercizio dei poteri istruttori, cfr. Russo P., L’istruzione probatoria, cit., 164; per una recente critica alla “pienezza di tutela” nel processo tributario, cfr. Giovannini A., Sulla giustizia nel processo tributario, in Per princìpi, Dodici saggi di diritto tributario e oltre, Torino, 2022, 101 ss., 111).

Ci sembra altresì doveroso evidenziare, ancorchè brevemente, una sostanziale differenza tra l’istruttoria del nuovo processo tributario e quella del processo amministrativo.

Non solo l’art. 63, comma 2, primo periodo, del CPA statuisce che «il giudice, anche d’ufficio, può ordinare anche a terzi di esibire in giudizio i documenti o quanto altro ritenga necessario, secondo il disposto degli articoli 210 e seguenti del codice di procedura civile», così prevedendo espressamente un potere che nell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 è stato invece abrogato (cfr. comma 5 dell’art. 3-bis, L. 2 dicembre 2005, n. 248, salvo il richiamo al c.p.c. disposto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992), ma altresì contempla una, per così dire, norma di principio, da cui dedurre l’obiettivo cui deve tendere la fase istruttoria: l’art. 65, comma 1, CPA, statuisce infatti che «il presidente della sezione o un magistrato da lui delegato adotta, su istanza motivata di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria».

L’adozione di tali provvedimenti ci sembra ponga al giudice (sia pure su istanza di parte) doveri di iniziativa in funzione di una precisa finalità.

Non così il quadro che emerge dal novellato art. 7: da un lato non si parla di un dovere del giudice di “assicurare la completezza dell’istruttoria”, dall’altro, in caso di prova mancante o insufficiente, si parla senz’altro di pronuncia di annullamento (comma 5-bis, dell’art. 7). La funzione del giudice appare modellata in modo diverso nei due sistemi.

Non si può dire, dunque, ancora raggiunto, almeno sotto questo profilo, l’obiettivo indicato nel “Comunicato congiunto” del MEF e del Ministero della Giustizia 9 agosto 2022, n. 147: “incentivare l’uniformità dei giudizi in materie analoghe”.

4. Le sopra indicate limitazioni nell’assunzione della prova testimoniale, confermano la convinzione che permanga una volontà di conservare una qualche specificità del processo tributario: invero l’attività istruttoria del giudice sembra concepita come rivolta (per così dire) ad una semplice presa d’atto degli “elementi di prova che emergono nel giudizio” (comma 5-bis, art. 7), mentre non si trovano enunciazioni neppure al valore della completezza dell’istruttoria (cfr., invece, art. 65, comma 1, CPA; sui poteri esercitabili d’ufficio, meramente integrativi dei poteri istruttori delle parti, si veda, per tutti, Russo P., L’istruzione probatoria, cit., 156 ss.).

A tal fine, difettano altresì ulteriori principi riconosciuti in altri processi aventi natura pubblicistica, quali l’oralità e l’immediatezza (su tale ultimo principio ci si permette di richiamare Moschetti G., Il principio di immediatezza, quale regola razionale al fine del chiarimento dei fatti, cit., 93 ss.).

Quanto all’oralità, le stesse limitazioni alla prova testimoniale sopra descritte depongono per una istruttoria ancora prettamente documentale.

È appena il caso di segnalare che in altri ordinamenti a noi vicini, ove emerge chiaramente il fine di ricerca della verità nell’istruttoria processuale, il legislatore richiama espressamente l’oralità come principio caratterizzante: il par. 81, comma 1, della “Legge processuale tributaria tedesca” afferma che «il Tribunale assume la prova nell’udienza orale» ed in particolare può compiere ispezioni, assumere testimoni, richiedere documenti alle parti (per una traduzione in italiano di tale legge, cfr. La legge generale tedesca del processo tributario, Finanzgerichtsordnung [FGO], Testo e studi, cit.; per un commento a tale paragrafo, vedi Herbert U., § 81, in Gräber F., Finanzgerichtordnung – Kommentar, IX ed., München, 2019, 848 ss.; Seer R., Rechtsschutz in Steuersachen, in Tipke/Lang, Steuerrecht, XXIII ed., Köln, 2018, 1469 ss.), con ciò evidenziando una scelta di fondo per un processo che, non diffidando del pieno e paritario contraddittorio, dà spazio anche alla prova testimoniale orale. Né la scelta dell’oralità nel processo tributario tedesco è a scapito della celerità, e ciò per due motivi: prima dell’udienza di trattazione, l’attività istruttoria può essere delegata ad uno dei membri del Collegio o ad un Collegio terzo, così profittando del tempo che separa la presentazione del ricorso dall’udienza; inoltre la scelta per una istruttoria che mira al massimo chiarimento dei fatti con la piena collaborazione delle parti, in contraddittorio nell’assunzione delle prove di fronte a Tribunale specializzato, ha consentito di ridurre ad uno solo i gradi di merito.

Non si può invero dimenticare, con breve parentesi storica processualcivilistica, che nel 1921 Ludovico Mortara aveva lucidamente evidenziato che «l’oralità … abbrevia e semplifica il processo» e che «la concentrazione degli atti di istruzione e delle questioni preliminari o pregiudiziali, in un rapido e raccolto svolgimento, diretto con ferma mano e con potestà discrezionale dal giudice, abbrevia e semplifica anche maggiormente il corso della lite; è infine più che mai intuitiva la conseguenza di codesti abbreviamenti e di codeste semplificazioni: i litiganti ne hano beneficio, la giustizia se ne avvantaggia e l’attività professionale dei patrocinanti ha un campo di espansione più ristretto» (in Manuale della procedura civile, Torino, 1921, I, 308). Per l’illustre Maestro trattavasi di principi di “desiderabile” attuazione.

Anche l’immediatezza, principio cardine dell’istruttoria nell’ordinamento tedesco, e che consente senz’altro un miglior chiarimento dei fatti, non è contemplata tra i principi che informano la miniriforma del nostro processo (su tale principio sia consentito richiamare Moschetti G., Il principio di immediatezza, cit.). Non v’è alcun obbligo in capo al giudice, infatti, di assumere le prove più vicine ai fatti da provare.

Se per un verso appare che il giudice resti dominus dell’istruttoria, nel senso che allo stesso spetta l’onere di valutare se determinati mezzi di prova siano “necessari”, per altro verso non può certo dirsi che le modifiche normative si preoccupino di creare un habitat che garantisca la piena realizzazione del libero convincimento del giudice. Attenta dottrina ha posto in rilievo «il valore intimo dell’oralità, considerata in quello dei suoi poliedrici aspetti che si suol chiamare l’immediatezza. L’oralità, intesa come immediatezza di rapporti fra il giudice che deve pronunciare la sentenza e gli elementi da cui deve trarre la sua convinzione (persone, oggetti, luoghi), è la condizione indispensabile per l’attuazione del principio della libera convinzione del giudice» (Chiovenda G., L’oralità e la prova, cit., 16). In un processo in cui il giudice è chiamato a decidere secondo il suo libero convincimento, osserva ancora l’Autore, «l’oralità è indispensabile … come l’aria è necessaria per respirare»; diversamente, «a lui mancherà il più utile strumento per la ricerca della verità, l’osservazione. Tale è il giudice del processo scritto» (17).

Ciò che si intende qui rilevare è che l’apertura dell’istruttoria all’oralità è diretta conseguenza dell’individuazione del fine del processo; l’oralità è adeguata, se non addirittura necessaria, allo scopo che si intende raggiungere (il massimo chiarimento dei fatti).

Nella dottrina processualcivilistica è stato chiaramente posto in luce che «l’ambito, il significato, le implicazioni dell’oralità non vanno precisati sulla base di costruzioni astratte e tutte più o meno arbitrarie e soggettive, bensì commisurati in rapporto ossia in funzione alla maggiore o minore adeguatezza alle finalità del processo e della giurisdizione» (Cappelletti M., La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, parte prima, Milano, 1962, 31; più di recente cfr., sul tema, Picardi N., Riflessioni critiche in tema di oralità e scrittura, in Aa.Vv., Studi in memoria di Carlo Furno, Milano, 1973, 703 ss.; Vocino C., Oralità nel processo: b) diritto processuale civile, in Enc. Dir., Milano, 1980, 586 ss.; Denti V., Chiovenda e le riforme del processo civile, in Foro it., 1988, V, 347 ss.; da ultimo, tra i molti che sono tornati a valorizzare il principio dopo l’emergenza sanitaria, Pagni I., Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, in Judicium, 15 dicembre 2020; Biavati P., Processo civile e pandemia: che cosa passa, che cosa rimane, in Riv. trim. dir. proc., 2021, 1, 133 ss.).

Ma qui ancora una volta si sconta la mancata individuazione di un preciso fine del processo tributario. Se non è definito il fine, non possono essere definite regole proporzionate e coerenti a tal fine.

In definitiva, già per quanto sopra può osservarsi che la riforma del 2022 senz’altro migliora l’istruttoria sul piano della parità probatoria; tuttavia la mancanza di un preciso fine, come avviene nel CPA per la completezza dell’istruttoria o come potrebbe più ambiziosamente ritenersi quello di accertamento della effettiva verità dei fatti storici oggetto di giudizio, comporta che il nostro processo si caratterizzi ancora per la sua “spiccata specificità”, non prevedendo diritti-doveri delle parti e doverosa funzione del giudice di “assicurare la completezza dell’istruttoria”; timidi accenni di prova testimoniale scritta non scalfiscono il carattere ancora prettamente documentale dell’istruttoria.

5. La situazione post novella del processo tributario ci invita a tentare di capire il perché di una insistita difficoltà del legislatore tributario ad approdare ad una effettiva riforma con l’adozione di un codice basato, alla stregua di altri processi aventi natura pubblicistica, su principi e obiettivi fondamentali (auspica, parimenti, l’adozione di un codice, più di recente, Giovannini A., Sulla giustizia nel processo tributario, cit., 103).

Un risalente “arresto” della Consulta può aiutarci a capire perché il processo tributario permanga con “spiccate specificità” (come poi confermato dalla sentenza 21 gennaio 2000, n. 18, sul divieto di prova testimoniale) e non intenda adottare tout court la scelta di una istruttoria improntata ad un “contraddittorio collaborativo” tra le parti al fine comune (delle parti e del giudice) di chiarimento dei fatti.

Ci riferiamo alla sentenza 18 maggio 1989, n. 251 – intervenuta in relazione alla legittimità costituzionale di alcune norme del processo amministrativo – che, pur emessa in materia diversa da quella tributaria, sembra abbia influenzato il legislatore quando, nell’agosto 2022, ha novellato l’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992. Il richiamo a tale sentenza non deve meravigliare in quanto, come sottolineato anche da attenta dottrina, le modifiche intervenute in altro processo pubblicistico, come quello amministrativo, hanno senz’altro influito sulla questione dell’onere della prova nel nostro processo (cfr., per tutti, Muleo S., op. cit., 609).

La sentenza citata ha esaminato se fosse illegittimo che nel processo amministrativo non fossero ammesse le stesse possibilità probatorie che hanno ingresso nel processo civile: in particolare il giudice a quo riteneva in conflitto con l’art. 3 Cost. la disciplina del processo amministrativo, laddove «nelle questioni pregiudiziali relative a diritti, definibili dal giudice amministrativo incidenter tantum» non ammetteva «gli stessi mezzi di prova di cui può avvalersi il giudice ordinario per la soluzione, in via principale, di identiche questioni».

Tale sentenza, da un lato chiarisce quale sia l’oggetto della tutela giurisdizionale nel processo amministrativo e quali siano i mezzi (coerenti con tale tipo di tutela) per assicurare in esso la parità processuale; dall’altro (in coerenza con le premesse) giustifica una diversità di mezzi probatori (e ciò anche con riferimento alla prova testimoniale) tra processo amministrativo e processo innanzi al giudice ordinario.

Sotto il primo aspetto segnala (par. 3.1. della sentenza) che nel processo amministrativo la giurisdizione generale di legittimità (a differenza della giurisdizione esclusiva) «concerne sempre la tutela degli interessi legittimi anche quando nell’esercizio di essa sia necessario decidere in via incidentale questioni attinenti ai diritti soggettivi».

Non esiste dunque parità di situazioni di partenza tra i due processi.

In coerenza con tale premessa è il successivo svolgimento della sentenza per quanto attiene al tipo di sindacato svolto dal giudice nel processo amministrativo: trattasi di sindacato «sull’esercizio del potere amministrativo» e «sulla veridicità di fatti posti a fondamento dell’atto amministrativo impugnato», cosicché «è l’organo amministrativo che l’ha emanato a subire il relativo onere probatorio e le conseguenze del mancato assolvimento di questo» (così al par. 4.1).

Non può non osservarsi la perfetta sovrapponibilità tra queste affermazioni ed il dettato, nel suo incipit, del novellato comma 5-bis dell’art. 7.

Non può non notarsi altresì che il legislatore del novellato art. 7 si è fermato qui e non ha ripreso ulteriori passaggi della sentenza che accennano alla possibile iniziativa del giudice e addirittura considerano tale possibile iniziativa come il mezzo di cui si avvale il sistema per garantire la «parità processuale tra le parti» (confronta ancora il par. 4.1).

«Sotto l’anzidetto profilo – conclude significativamente la Consulta – la parità processuale fra le parti è dunque assicurata e se nell’esperienza pratica avviene che il giudice non esercita i propri poteri in modo da pervenire alla migliore conoscenza dei fatti, ciò non deriva per lo più dalla limitatezza dei mezzi di prova a sua disposizione, bensì dal ridotto esercizio che egli fa di detti poteri. Il convincimento del giudice deve formarsi non sulla base di ciò che le parti prima del processo (come, ad esempio, l’amministrazione in sede di emanazione dell’atto amministrativo da cui trae occasione il processo) o durante esso abbiano affermato, bensì su ciò che ciascuna di esse, in base alle proprie disponibilità, sia stata in grado di provare» (ivi, par. 4.1).

Il discorso sulla prova quindi si allarga: partendo dalla citata premessa sull’onere dell’Amministrazione di provare quanto affermato, si estende all’onere del giudice di farsi un adeguato “convincimento” (anche con l’eventuale utilizzo dei poteri d’iniziativa “a sua disposizione”) «su ciò che ciascuna di esse (le parti, n.d.r.) in base alla propria disponibilità sia stata in grado di provare» (sul principio della disponibilità della prova cfr. da ultimo, Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario rivisitato, cit., 83 ss.).

Anzi, per la verità, la sentenza sembra porre un onere del giudice di “pervenire alla migliore conoscenza dei fatti” (che sembrerebbe richiamare il concetto di completezza dell’istruttoria del CPA).

Tema di riflessione è se questo allargamento alla corresponsabilità del giudice e delle parti (in base alle rispettive “disponibilità” probatorie) non formulato nel novellato art. 7 (che anzi rimarca la giurisdizione di annullamento in caso di prova mancante o insufficiente) si debba ritenere escluso nel sistema del processo tributario, oppure se esso debba ritenersi implicito come svolgimento di poteri espressamente previsti al primo comma dell’art. 7 e da leggersi nella cornice dei valori del giusto processo (e in particolare del contraddittorio paritario) ex art. 111 Cost.

Tralasciando in questa sede tale ampia tematica, sta di fatto che la Consulta nell’ulteriore svolgimento della citata sentenza ha giustificato la diversità di disciplina probatoria tra processo amministrativo generale di legittimità e processo innanzi al giudice ordinario: se esiste diversità del thema probandum, se esiste diversità di situazioni giuridiche di partenza, la parità processuale deve essere garantita in entrambi i processi, ma non necessariamente con gli stessi mezzi. Afferma precisamente la Corte costituzionale (al punto 4.2.) che «nonostante la tendenza degli ordinamenti nel senso di un’unità del processo, ciò riguarda i principi fondamentali di esso, mentre la possibilità del permanere di una tipologia differenziata di processi, legata alla obiettiva diversità delle situazioni che ciascuno di essi coinvolga, non contrasta con il parametro costituzionale invocato (art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione) sempre che ciascuna disciplina soddisfi al tipo di garanzia che si intende assicurare».

In definitiva, ci sembra di poter osservare che la sentenza della Corte costituzionale citata getti lumi sulla riforma del 2022; la novella:

  • afferma chiaramente l’onere della prova in capo alla parte pubblica, desumendo implicitamente detto onere dalla verifica “ai fini della decisione” “della verità dei fatti posti a fondamento dell’atto amministrativo impugnato”, sulla stessa linea di quanto si legge nella sentenza citata;
  • mantiene un “sistema probatorio” prettamente documentale, essendo ciò conforme alla peculiarità di un processo che concerne “le modalità con le quali il potere pubblico è stato esercitato”, ed alle relative situazioni soggettive;
  • mantiene dunque una specificità considerata non illegittima dalla Corte costituzionale;
  • trascurando, tuttavia, di disciplinare i poteri del giudice in funzione di “pervenire alla migliore conoscenza dei fatti”, snodo questo che la Corte aveva valorizzato per un giudizio di “parità processuale tra le parti”.

6. Abbiamo testè rilevato che la “tendenza degli ordinamenti nel senso di un’unità del processo” quanto ai “principi fondamentali di esso”, ben può convivere con le specificità, che caratterizzano, anche dopo la miniriforma, il nostro processo.

Rimane però una disciplina troppo contratta ed asfittica della fase istruttoria nel processo tributario, certo non comparabile non solo con il c.p.c., ma neppure con il titolo terzo del CPA. La novella semplicemente enfatizza il dovere di prova (della parte pubblica) del provvedimento impositivo ed il vaglio del giudice sull’avvenuta dimostrazione in giudizio dei presupposti del provvedimento stesso. Non si parla della funzione dell’attività istruttoria, della funzione dei poteri istruttori del giudice, non si menziona l’esigenza di “completezza” della fase istruttoria (anche ai fini del “libero convincimento” del giudice). Tantomeno si menzionano i principi di oralità e immediatezza che orienterebbero in senso doveroso l’esercizio dei poteri giudiziali che attualmente permane nell’alveo di una mera discrezionalità senza indicazione di un fine (essendo poco significativo il mero richiamo a quanto “necessario ai fini della decisione”).

È appena il caso di segnalare che, in sede di modifica dell’art. 111 Cost., la Commissione Bicamerale era sul punto di introdurre l’oralità, insieme alla concentrazione ed all’immediatezza, ma la legge costituzionale n. 2/1999 non ha ritenuto di inserirli nel testo definitivo. Trattasi, non a caso, di principi che autorevole dottrina sopra richiamata (Chiovenda G., L’oralità e la prova, cit., 19; dello stesso Autore, Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), vol. II, Milano, 1993, 8-9) ritiene “strettamente collegati” con la “libera convinzione del giudice”.

C’è spazio per una giurisprudenza (creativa ma non troppo) che affermi l’importanza di detti principi come sviluppo coerente della necessità del migliore chiarimento dei fatti, essenziale per assicurare giustizia in ogni processo.

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